Il pane del GovernoLa Maddalena Antica

1946. Le prime elezioni, ovvero ‘la maggioranza di una minoranza’

L’anno 1946, che doveva portare il primo approccio delle popolazioni con il nuovo sistema di scelte di democrazia soppresso più di vent’anni addietro, si può dire che prese avvio il 15 aprile. In quel giorno lo stato di guerra fra l’Italia, la Sardegna, La Maddalena e i governi alleati cessò, e si avviò finalmente l’edificazione della riconquistata pace.

Con parecchi dubbi, poche certezze, e una grande, inesausta fame.

La fame è quasi sempre accompagnata dal malaffare, quasi esclusivamente per placare i morsi dello stomaco, e l’isola non faceva certo eccezione alla regola che aveva visto, nella Sardegna tutta, una recrudescenza generalizzata di atti di brigantaggio e di grassazione

E il nuovo anno non prometteva niente di buono.

Il 24 febbraio, ad esempio, verso mezzanotte, furono catturati due pericolosissimi pregiudicati. Questi i fatti “due individui scendevano tranquilli, armati ed attrezzati di tutto punto per le operazioni che dovevano fare durante la notte (ventosa e fredda), dalla zona di Guardia Vecchia al centro della città quando in via Maggior Leggero incappavano con le canne dei mitra. Uno dei due pregiudicati, favorito dall’oscurità tentava la fuga, mentre l’altro cercava di lanciare una bomba a mano. Il pronto intervento però del brigadiere Bruno Muru e del carabiniere Corona stroncava la fuga e l’azione delittuosa. Subito arrestati e perquisiti furono trovati in possesso di bombe a mano, corde, palanchini, cacciavite, tenaglie, grimaldelli, sacchi, e altri attrezzi idonei allo scasso”. Condotti in caserma i due risultarono essere certo Pietro Barbuscia, siciliano, evaso il novembre precedente dalle carceri di Bonorva e Giuseppe Orta suo complice e favoreggiatore. Insieme avevano commesso vari furti fra cui “quello ingentissimo in danno al sig. Caputo di Tempio, commerciante di stoffe” [1].

Ma c’erano anche altri problemi da risolvere. Le comunicazioni, ad esempio.

Le corrispondenze del quotidiano L’Isola in partenza da La Maddalena nei primissimi giorni dell’anno vertevano tutte, o quasi, sulla presenza di vaste sacche di disagio sociale, evidentemente sentito da tutta la popolazione e causato dalla mancanza di alimenti. Ma c’erano altri problemi da affrontare, non meno impellenti. La rete telefonica pubblica, ad esempio, non esisteva, anzi sembrava che la ‘Te.Ti’, la società gestore della rete privata, era restata ferma con i lavori di ammodernamento al 1938. La guerra aveva bloccato tutto.

E creare un posto telefonico pubblico a Moneta “di modo che quegli abitanti non siano costretti a fare una passeggiata di 8 chilometri per chiamare, ad esempio, il medico” rappresentava, per l’epoca, un passo avanti decisivo [2].

Altrettanto provvisorie erano le comunicazioni terrestri. Da Palau si poteva salire a Tempio per ferrovia con “il treno misto n. 313” soltanto il lunedì, il mercoledì e il venerdì. Per tornare indietro c’era il treno n. 314 che espletava il servizio nei giorni di martedì, giovedì e sabato.

Quel primo inverno di pace vera, tanta era la fame e tanta la disoccupazione, che un ragazzo di 15 anni era costretto ad imbarcarsi su navi militari “per fare il maestrino di camera, cioè il cameriere ‘servi-a-tavola’ per gli ufficiali, e alleviare per quanto possibile la fame di una famiglia numerosa” [3].

La Maddalena era amministrata da un sindaco indicato nel 1944 dalla Concentrazione dei Partiti Antifascisti. Si chiamava Domenico Tanca, esercitava di professione il commerciante e l’armatore, e apparteneva a quella schiera, numerosa, degli iscritti o comunque simpatizzanti che la loggia massonica ‘Giuseppe Garibaldi’ annoverava allora nell’isola [4].

Il cavalier Tanca restò alla guida della città, con l’ausilio di una giunta non eletta, con il solo apporto degli impiegati e del segretario comunale Egidio Casazza, sino al pomeriggio del giorno 16 aprile 1946.

Nove giorni prima si erano infatti tenute anche a La Maddalena le prime elezioni libere.

Erano anche le prime elezioni a suffragio universale, vale a dire aperte anche al voto delle donne. Risulta che la parte femminile dell’elettorato rispose alla novità in modo inversamente proporzionale all’età: le più giovani si rivelarono le più entusiaste [5].

La votazione dette un risultato abbastanza scontato: 24 seggi su 30 andarono alla Democrazia Cristiana, 6 all’opposizione composta in modo quasi paritario da socialisti e da comunisti. Una terza lista, capeggiata da Domenico Tanca, orientata su candidati laici, non ottenne la possibilità di essere rappresentata in consiglio comunale.

Le cronache assicurano che l’afflusso fu ordinato e molto elevato [6].

Fu eletta nella lista vincente anche un consigliere donna, la prima nella storia isolana: Felicita Guccini, maestra elementare, che divenne poi anche assessore.

La riunione del primo consiglio comunale del dopoguerra fu stabilita, appunto, per il 16 aprile, al mattino. Presiedeva il sindaco uscente [7], che, come detto, non era riuscito a farsi eleggere, e questa fu solo la prima delle tante sorprese che la pratica democratica offrirà alle attenzioni della vita civile isolana. Nella relazione di chiusura del mandato Tanca ribadì alcuni concetti legati al momento storico e alle necessità amministrative che aveva dovuto affrontare nei due anni trascorsi alla conduzione dell’apparato municipale, partendo da una situazione anomala, quale nel campo politico e sociale si presentava al momento della sua assunzione in carica, momento della saldatura delle due ere, fascista e democratica. “Per giungere alla congiuntura – affermò l’ormai ex sindaco – si è dovuto molto lavorare al fine di non perturbare l’ordine pubblico, il pubblico trovatosi di bel nuovo nel clima del liberalismo, male interpretò lo stesso, svisandone il contenuto ed indirizzando l’azione nel campo delle repressione politica” [8]. Non è facile capire, dalle stringate righe della relazione ufficiale della riunione, a cosa o a chi intendesse riferirsi Domenico Tanca quando parlava di ‘repressione politica’, tuttavia, nel prosieguo, egli trattò della difficile “questione alimentare”, facendo intuire che quest’ultima difficoltà sconfinava decisamente nell’ordine pubblico e, giocoforza, nelle decisioni politiche generali. Ammonì che l’isola non avrebbe potuto “data la sua improduttività, arginare la borsa nera né contenere la tendenza rialzistica dei prezzi” [9] individuando implicitamente qualcuna delle fonti tangibili delle difficoltà che opprimevano la comunità isolana. La guerra era ancora lì, per le strade, nelle case colpite dai bombardamenti, nei cumuli delle macerie ancora da bonificare, nei vestiti logori dei ragazzi e nella piaga della denutrizione che si poteva scorgere sui volti di tutti, o quasi. L’Arsenale scavato dalle bombe del 10 aprile di tre anni prima, mostrava ancora le sue ferite e gli ‘arsenalotti’ non potevano avere, in questo clima di costante recessione, lusinghiere speranze per l’avvenire. E dietro l’angolo c’era l’appuntamento con il trattato di pace, in discussione a Parigi, con le pretese della Francia vittoriosa che avrebbero pesato, e parecchio, sulla situazione economica dell’isola.

Occorrevano, necessitavano, urgevano opere di primaria importanza. L’avvio della ripresa passava attraverso le strutture. Tanca elencò le opere che erano state eseguite durante il suo mandato: “[…] convenzione e gestione dell’acquedotto R.M.; fonte di Cala Chiesa; aggregazione Palau a La Maddalena; funzionamento del consultorio materno; proposta di istituzione riformatorio; esame circa la possibilità di attuare a La Maddalena la zona franca: […] questione del bacino di carenaggio, considerando la realizzazione del bacino un’opera che deve essere affrontata e risolta per garantire un futuro a La Maddalena” [10]. Infine si dilungò “anche con dovizia di particolari” sulla questione sociale maddalenina, e quindi si rivolse “ai consiglieri comunali ringraziandoli per quanto hanno fatto durante il difficile periodo” [11].

Dopo le dichiarazioni di rito del presidente, il consigliere più votato Elindo Balata, l’assemblea civica passò all’elezione del sindaco. Erano presenti 22 consiglieri – quelli di minoranza abbandonarono l’aula dopo le dichiarazioni di voto di Salvatore Vincentelli – che, a votazione palese, decretarono di assegnare la carica allo stesso Balata con 21 voti. Un voto andò a Luigi Papandrea.

Nella stessa seduta furono nominati anche i quattro assessori: Giuseppino Merella, Luigi Papandrea, Armando Neri e Vincenzo Carrega, tutti con 20 voti favorevoli.

Il primo sindaco eletto democraticamente fu dunque Elindo Balata, classe 1916, ex ufficiale d’artiglieria, “diventato candidato per amicizia e sindaco per caso” come lui stesso ebbe in seguito ad ammettere.

La sua fama di sportivo – giocava da centravanti nell’Ilva – la sua provenienza da una notissima famiglia locale, avevano giocato a suo favore e il giovane sindaco accettò la carica promettendo di operare “al di sopra di ogni partito e di ogni colore intendendo svolgere opera di pacifica e lontana da preconcetti di parte; [opera] proiettata a beneficio della collettività; monda da personalismi, da preconcetti e tesa verso soluzioni proficue” [12].

Fu sindaco dal 16 aprile 1946 al 18 gennaio 1947.

Nell’occasione del primo consiglio elettivo si formarono gli schieramenti politici. Aveva vinto la Democrazia Cristiana, com’era facile da prevedere, e i consiglieri di sinistra non potevano che ergersi all’opposizione, a difesa “degli interessi dei cittadini amministrandi” [12bis]. Erano queste parole di Salvatore Vincentelli, socialista, destinato sette anni dopo a indossare le non facili vesti di sindaco della città, in un’occasione che avrebbe chiuso un momento storico irripetuto dell’amministrazione isolana: un consiglio a maggioranza non democristiana. “La minoranza di questo consiglio comunale che ora si è insediato – affermò Vincentelli – assume un atteggiamento di onesta opposizione, perché questo è il suo compito preciso che deve prendere e deve assumere dopo l’elezione a carattere maggioritario. Poiché lo scarto di voti è stato minimo, la maggioranza può definirsi la maggioranza di una minoranza. Collaborando la opposizione con essa maggioranza, tradirebbe i propri sostenitori. Una collaborazione, però, a parità di seggi, sarebbe stata accettabile anche perché lo scarto minimo di voti l’aveva di fatto consacrata. Ciò sarebbe stato se il sistema elettivo fosse stato del tipo proporzionale. La minoranza non intralcerà l’opera sana e fattiva della nuova civica amministrazione, anzi l’aiuterà a così operare, ma vuole restare libera di intervenire ed opporsi se l’amministrazione stessa non opererà nell’interesse dei cittadini amministrandi” [13].

La riunione del successivo 19 giugno 1946, in piena era repubblicana [13bis], fu importante anche perché furono messe in cantiere opere pubbliche di grande interesse per il futuro della città.

In primo luogo occorreva cercare di trovare rimedio alla carenza di lavoro. La disoccupazione era veramente tanta e palpabile. Occorreva, ad esempio, cercare di ottenere fondi per il rimboschimento di Caprera, per realizzare “case popolarissime” [13ter], come sottolineavano le sinistre, per eseguire piccole bonifiche, per creare una rete fognaria funzionante, per demolire il vecchio cimitero,per mettere in esecuzione il secondo lotto per la creazione dello scalo di alaggio e per concludere finalmente il totale banchinamento di Cala Gavetta. Tutte imprese necessarie e improcrastinabili, tutte difficili da realizzare in una situazione economica davvero d’emergenza, anche a livello nazionale. Per la pavimentazione e la condotta idrica di via Principe Amedeo, vedremo, sarebbero occorsi non meno di 5 milioni di lire. Allora una cifra ragguardevole.

A tali affermazioni rispondeva la sinistra proponendo, fra l’altro, di chiedere al Comando Militare Marittimo la disposizione di un certo numero “di alloggi ora disabitati” per far fronte provvisorio alla richiesta di case, in attesa di realizzare quelle “popolarissime” [14].

La stringata cronaca dice che “la proposta venne presa in considerazione” [14bis].

Nella seduta tutti i consiglieri votarono favorevolmente le seguenti proposte: “1) Finanziamento pavimentazione piazza 23 Febbraio 1793. 2) Finanziamento pavimentazione via Principe Amedeo. 3) Approvazione progetto e funzionamento strade vicinali. 4) Finanziamento scalo di alaggio. 5) Finanziamento lavori per il cimitero nuovo”. Presero l’iniziativa di istituire una colonia elioterapica per bambini da realizzarsi in località ‘Punta Tegge’; il socialista Vincentelli propose di ripristinare la Casa di Riposo per anziani, infine il comunista Giuseppe Rassu chiese che fosse fatta luce su “ un furto di molti quintali di farina avvenuti circa 8 mesi fa in due forni cittadini” [15].

Furono questi i primi atti della nuova amministrazione civica. Ma questi atti si innestavano in una situazione davvero precaria che noi, oggi, stentiamo a raffigurare.

Ecco come descrive quell’anno 1946 Claudio Ronchi, in un opuscolo uscito nel 1996.

Eliminato da poco il tesseramento a La Maddalena non si produceva alcunché di commestibile e c’era il problema di trovare, con il poco denaro circolante (si usavano le Am-Lire stampate dagli americani), qualcosa da acquistare. Ancora poco forniti i negozi, furono di estrema importanza le derrate fornite dagli americani: ‘a’ pappetta’ (un concentrato piccante di cereali macinati), le patate dolci, il formaggio giallo a forme grandissime, una specie di cioccolato col sapore di nocciole. Di meno sofisticato in loco si poteva pescare del pesce e raccogliere fichi d’india. Il caffè era scarso e ancora si usava il surrogato di cereali. Dalle forze armate in genere c’era chi riusciva a procurarsi, in un modo o nell’altro, farina, olio, zucchero, e anche qualche pezzo di carne.

Il sapone, tranne qualche pezzo procurato dagli americani, si preparava ancora a casa con grasso animale (quello assolutamente non commestibile), soda caustica e allume di rocca.

Per quanto riguarda il vestiario, esterno e intimo, al tessuto di orbace si affiancavano le stoffe delle divise e delle coperte militari, dalle quali, mani più o meno abili, ricavavano praticamente di tutto, naturalmente modificando, accorciando e rivoltando.

Al di là di tutto ciò c’era il mercato nero, chi poteva, trovava di tutto. Favorito dalle presenze militari e dalla vicinanza con la Corsica, il mercato nero era un’attività redditizia con la quale, si dice, diverse persone si arricchirono. Per altre invece fu una questione di mera sopravvivenza, o arte di arrangiarsi”[16].

E’ necessario tenere ben presente questo quadro: lo sforzo generalizzato di tutta la comunità per uscire da questa situazione drammatica, la ricerca dei presupposti per farlo che, a sinistra, tendevano a privilegiare la distribuzione delle poche risorse disponibili verso un rilancio strutturale dell’economia locale indirizzando l’azione pubblica a sostegno delle famiglie povere (case popolari, sussidi ai bisognosi, funzione sociale dell’ECA, centri medici, comunicazioni agevolate, miglioramento delle condizioni di lavoro nell’Arsenale tramite l’azione di pressione dei sindacati e della commissione interna, ecc) mentre la parte opposta magnificava e tendeva alla realizzazione, delle grandi opere che l’ancora confusa strategia della ricostruzione nazionale poteva e doveva destinare all’isola, dopo la crisi causata dal recente tracollo militare, opere capaci di rimettere in moto il volano dell’economia (alberghi, strade, opere di aggregazione). Solo in questa maniera sarà più agevole e meno approssimativo comprendere tutto quello che accadde, o fu fatto accadere, a La Maddalena negli anni che corrono fra il 1952 e il 1956: le decisioni che furono prese e perché furono prese, i giochi politici spesso poco puliti che si intrecciarono con le direttive che arrivarono dall’esterno, le conseguenti implicazioni che esse ebbero nello sviluppo della comunità sia nel piano dell’immediato sia nelle realizzazioni a lungo termine. In altre parole, le ragioni e l’oggetto di questo saggio.

Il Pane del Governo di Salvatore Abate e Francesco Nardini – Paolo Sorba Editore – La Maddalena

NOTE:

[1] ‘L’Isola’ n. 52 del 3 marzo 1946. Nel solo mese di febbraio 1946 si registrò il furto di un bue in zona ‘Mongiardino’ ai danni di Pasquale Razzatu (L’Isola n. 43 del 20 febbraio 1946) e lo svaligiamento del negozio di Silvia Colonna, ved. Mordini (‘L’Isola’ n. 45 del 22 febbraio 1946). Cfr. F. NARDINI, Storia e storie di un’Isola in Guerra. La Maddalena 1940-46. In corso di pubblicazione presso la Ed. Webber, Sassari.

[2] Ibidem, n. 4 del 5 gennaio 1946.

[3] Testimonianza orale resa agli autori da Salvatore Sanna.

[3bis] Cfr. Elenco degli iscritti alla loggia massonica ‘G. Garibaldi’ (d’ora in poi LMGG). Iscritto n. 55141: apprendista il 18 gennaio 1917, compagno il 22 ottobre 1919, maestro nella stessa data.

[3ter] Ricordo di Irma Bruzzone, ex segretaria del P.N.F. locale.

[4] L’Isola n. 6 del 8 gennaio 1946. Il comitato per l’unione di Palau a La Maddalena operava già da qualche tempo (Cfr. L’Isola, n. 282 del 7 dicembre 1945).

[6] I risultati aggregati (voto di lista + voto di preferenza) dei candidati alle elezioni furono i seguenti: Balata Elindo voti 2172, Culiolo Edilio 2145, Grondona Lorenzo 2145, Farina Vincenzo 2145, Rossi Mario 2140, Carrega Vincenzo 2138, Guccini Luigi 2136, Molinari Ercole 2135, Facchini Angelo 2135, Neri Armando 2131, Cannarsa Bartolomeo 2129, Merella Giuseppino 2127, Guccini Felicita 2126, Papandrea Luigi 2125, Porchedda Pasquale 2125, Dejana Salvatore 2125, Del Monaco Andrea 2124, Isoni Pietro 2114, Secci Michele 2113, Meloni Pietro 2107, Ogno Giuseppe 2104, Giagnoni Primo 2100, Vico G. Battista 2005, tutti per la Democrazia Cristiana (Cfr. ‘L’Isola’ n. 85 del 10 aprile 1946).

All’opposizione: Cuneo Anselmo 1983, Vincentelli Salvatore 1975, Sorba Manlio 1943, Pittaluga Giacomo 1935, Arras Giacomo 1020, e Rassu Giuseppe 1953. Tutti della ‘Lista del Popolo’.

In totale la DC ebbe 2.123 voti (44,5%), il Partito del Popolo ne ebbe 1.925 (40,3%) e ‘Ricostruzione maddalenina’, 625 (13%).

Cfr. C. RONCHI, Le elezioni del 1946. in ‘Almanacco Maddalenino’, n. 4. La Maddalena 2006.

[7] L’amministrazione Tanca aveva preso avvio il 15 marzo 1944.

[8] Archivio Comunale de La Maddalena (d’ora in poi ACLM). Deliberazione n. 79 del 16 aprile 1946.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem. Per il curioso ma interessante progetto di aggregazione del territorio di Palau a La Maddalena, cfr. F. NARDINI, Storia e storie… . cit.

[11] Ibidem.

[12] Ibidem. A proposito dell’età dei sindaci del dopoguerra occorre dire che Elindo Balata fu il più giovane (30 anni) a guidare il comune. Al secondo posto c’è Francesco Del Giudice (32) eletto nel 1989 e al terzo Roberto Brocca (33) eletto sindaco nel 1993.

[12bis] Ibidem.

[13] Ibidem.

[13bis] A proposito del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 va detto che La Maddalena si pronunciò per la Monarchia. I voti validi a favore di questa risultarono essere 3.367 (53%), quelli per la Repubblica furono 3.106 (47%).

[13ter] F. NARDINI, Storie e storia … cit.

[14] Lo stato di povertà era generale. Possediamo sul problema una certificazione (“Certificato di Povertà”) rilasciato dal comune di Alghero ad un sottufficiale del C.E.M.M. di stanza a La Maddalena in cui il sindaco, “conoscendo per informazione assunta la condizione economica di (…)”, attestava “il medesimo trovandosi in stato di povertà”. L’attestazione è datata 13 novembre 1946.

[14bis] ACLM, Deliberazione n. 79 .. .cit.

[15] ‘L’Isola’ n. 149 del 28 giugno 1946. La pavimentazione “in granito” di via Principe Amedeo era stata avviata prima della guerra e poi interrotta. Era ritenuta un’opera indispensabile per il collegamento fra il centro storico e il rione Due Strade e fu ripresa nell’inverno del 1946 (Cfr. L’Isola, n. 58 del 9 marzo 1946). In quest’ultima corrispondenza è anche riportato un trafiletto molto curioso e interessante che illumina bene sulla povertà dell’isola in quegli anni. Dice il cronista: “Esiste a La Maddalena un grandissimo palazzo che crediamo di proprietà militare e che, da quando son partiti gli inglesi, cioè da circa un anno, è disabitato. Ci riferiscono che esiste una lite fra i vari Geni (Guerra, Marina, Civile, ecc): a noi non interessa; a noi interessa soltanto constatare che mentre decine e decine di famiglie alloggiano in stamberghe e in portoni, questo palazzone militare è disabitato”.

[16] C. RONCHI, La Maddalena 1946. L’anno delle prime elezioni comunali. La Maddalena 1996 – Pag. 2.