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Batteria di Candeo

Nei primi decenni del novecento, il sorprendente progresso tecnico nel campo dell’aviazione militare, nata con obiettivi di semplice ricognizione e divenuta ben presto potente mezzo di bombardamento dall’alto (impiegata per tale scopo per la prima volta dall’italiano ten, Giulio Gavatti nel conflitto italo-turco del 1911-1912), rese indispensabile la creazione di un sistema difensivo con caratteristiche diverse da quelle fino ad allora in uso; il campo trincerato diventava estremamente vulnerabile ad un attacco aereo e si dimostrava quindi indispensabile ricorrere a impianti costruttivi delle fortificazioni basati sul più rigoroso mimetismo.

Nacquero cosi, fra la prima e la seconda guerra mondiale, batterie più periferiche, edificate normalmente in calcestruzzo e ricoperte poi da massi di granito disposti in modo da occultarle al massimo alla vista zenitale.

Cosi stazioni di tiro, baraccamenti, depositi di munizioni e alquanta serviva alla sussistenza dei militari furono addossati a formazioni rocciose o ricoperti con pezzame e scaglie pazientemente accostate per ricostruire la tormentata morfologia del rilievo delle nostre isole.

Alcune delle fortificazioni di questo tipo, armate a seconda del compito a cui erano destinate (antinave, antiaerea e antisommergibile) con cannoni di grosso, medio e piccolo calibro, furono localizzate a Spargi, a La Maddalena e a Caprera.

La Batteria antisommergibili “Antonio Candeo”, posta sulla costa Nord Est dell’isola di Caprera, e una di queste intitolata al capitano di fregata Antonio Candeo, la batteria fu armata dalla l\/larina intorno alla fine degli anni Venti, con 4 cannoni di medio calibro da 152/50 prodotti dalla Ansaldo di Genova su licenza della britannica Armstrong nel 1918, della gittata massima di i9,7OO metri, e da un cannone da 120/40 modello Armstrong per il “tiro illuminante”.

Per la difesa ravvicinata erano presenti 4 mitragliere calibro 6,5mm.

Dalla casa che fu di Giuseppe Casula (ex casermetta della Batteria “Messa del Cervo”) attraverso numerosi tornanti ben protetti da spallette in muratura di granito e malta di calce, si scende tino a raggiungere il livello del mare.

Nei pressi della piccola banchina la cucina, una cisterna d’acqua, piccoli locali dai duali, percorrendo un tortuoso sentiero, si arriva a due “collinette” costruite in calcestruzzo e ricoperte di massi di granito naturale, perfettamente mimetizzate nell’ambiente circostante; alla base una galleria a chiocciola, con piccole feritoie che si affacciano sul mare, che inerpicandosi tra roccia viva e muri in calcestruzzo conduce fino alla piattaforma che ospitava una delle quattro postazioni di mitragliere.

Nelle immediate vicinanze svettano le due “torrette” della Stazione di Tiro, abilmente mimetizzate per confondersi con l’ambiente circostante, dotate di larghe feritoie che permettevano ai sofisticati strumenti della centrale Speditiva, probabilmente tipo “San Vito”, di cogliere e segnalare ogni movimento del nemico.

Riservette, depositi in caverna e di acqua potabile, locali di servizio alle postazioni e basamenti per le piazzuole delle artiglierie sono state costruite attraverso un difficoltoso ed estenuante lavoro di scavo in roccia dura granitica e il successivo livellamento dei basamenti e lo scheletro costruttivo dei manufatti sono stati ottenuti con solide gettate di calcestruzzo armato, utilizzando poi la stessa roccia scavata per ricomporli in oniriche architetture dal vago gusto artistico di Antonio Gaudì; i locali per gli alloggi dell’ufficiale Comandante, per i sottufficiali e per i marinai ed altri fabbricati minori, invece, unitamente alla cisterna d’acqua più capiente, un tempo rifornita anche attraverso una condotta idrica che principitava dalla banchinetta, sono chiaramente distinguibili anche se seminascosti da un compluvio naturale situato sul versante a Sud, a ridosso delle postazioni di artiglieria.

Curiosità

Dopo l’ultima guerra Giuseppe Casula, custode delle fortificazioni militari settentrionali di Caprera, continuò a vivere fino al 1984 nell’edificio assegnatogli dallo Stato, ai piedi della batteria di Messa del Cervo. La sua casa era un baraccamento militare: tutt’ora sono riconoscibili il locale dormitorio nel quale in alto campeggia la scritta “Vinceremo”, la cucina con il forno a legna i locali degli ufficiali. A Caprera Casula coltivò l’amore per la natura e l’amicizia di Clelia Garibaldi, di scrittori e giornalisti famosi come Oriana Fallaci, vivendo di quel salario esiguo che continuò a percepire, grazie alla burocrazia statale che si era dimenticata di lui. Dopo la sua morte, le sue capre sono tornate allo stato brado: le si incontra, talvolta, immobili sui picchi granitici della costa orientale dell’isola, pronte a sparire rapidamente agli sguardi degli intrusi.

Pierluigi Cianchetti

La batteria fu intitolata ad Antonio Candeo, capitano di fregata, nato a Padova nel 1872, morto nel disastro della R.N. ‘Benedetto Brin’, della quale era comandante in seconda, il 27 settembre 1915 (prima guerra mondiale). Sottotenente di Vascello nel 1984, T.V. nel 1987, C.C. nel 1911, C.F. nel 1915. Candeo partecipò alla spedizione Cecchi nel Benadir (Somalia), fu comandante di torpedienera del 1908. “Fu una delle figure salienti della guerra libica”. A Sidi-Siad si guadagnò la medaglia d’argento al valore. Ebbe poi la Croce di Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, per “zelo, intelligenza ed abnegazione” dimostrata nella guerra di Libia. (da ‘Albo d’Oro della R. Accademia Navale MCMXIX’, Editori Alfieri & Lacroix, Milano–Roma)