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Carnevali isolani tra 800 e 900

….La vita a Caprera non correva sempre monotona perché Menotti e Teresita si recavano spesso a La Maddalena, ove si facevano nell’intimità cordiale frequenti feste da ballo nelle famiglie. I due figli di Garibaldi, fatta la traversata in battello, si univano con alcuni giovani del paese, prendevano al laccio alcuni asinelli selvaggi che allora abbondavano nell’isola, e su questi al trotto, verso l’abitato. I balli si protraevano fin verso le due del mattino e spesso fino al giorno seguente“.

Così Clinio Quaranta in un articolo del 1928, raccogliendo la testimonianza di Luigi Bottini, il muratore di Garibaldi, proprietario dell’albergo ‘Belvedere’ in via Nazionale. Il periodo cui si riferisce sono gli anni tra il 1855 e il 1860.

Quando arriva Carnevale, la voglia di divertirsi, di scherzare, di mettersi su una maschera contagia un po’ tutti. L’uso della maschera risale al medioevo, il rituale dei balli mascherati lo si fa risalire ai primi dell’800, e da allora i veglioni mascherati, le maratone di ballo, le sfilate, non conoscono (salvo qualche crisi passeggera) interruzione. Un’altra testimonianza sui carnevali dell’altro secolo all’isola l’abbiamo da una corrispondenza di un certo Alfa che su un giornale del 1892 così scrive:
Non si può dire, che,  nella penisola e nell’isola madre quest’anno il carnevale dormicchi, e che debbasi relegare il carnevale addirittura fra i ferrivecchi perché la modernità scettica vuol far mostra di superiorità col condannare tutto ché si ha di sistematico, di convenzionale, “ma l’antico e notissimo ‘Semel in anno licet insanire’, rimarrà trionfante fino alla consumazione dei secoli….!

Insomma 130 anni fa il carnevale lo si faceva ancora all’isola ed il nostro corrispondente aveva la certezza che sarebbe durato per l’eternità. in fondo non aveva tutti i torti. Alfa poi prosegue: “Ieri durante il concerto della banda di Marina (probabilmente al Palco della Musica appena costruito), c’è stata una passeggiata piuttosto animata nella piazza Umberto I (allora “A Rinedda”). Non posso parlarvi né di maschere né di mascherate, che, a questo riguardo ‘ un bel tacer non fu mai scritto ‘. Noto per la cronaca, che alcuni operai sassaresi, qua residenti, furono quelli che, in foggia più o meno strane, e non tutte pulite, sostenevano l’onore delle armi. Un costume nuovo fiammante di ‘principale’ ozierese era indossato da un ufficiale di marina che attorniato da una turba di ragazzi, andava distribuendo manciate e manciate di finissimi confetti. Noto pure che in via Garibaldi, c’è un ballo pubblico, aperto di giorno e di notte, e che in alcune famiglie private si è cercato un pò di rompere il ghiaccio”.

Notizia quanto mai consolante: a La Maddalena nel 1892 si facevano già le maratone di ballo, danzando ininterrottamente per 24 ore, a Tempio, dove il carnevale è una cosa seria, ci sono arrivati soltanto qualche decennio fa! L’uso tra l’altro dei balli in famiglia sarebbe durato fino al primo dopoguerra, quando si ballava anche in locali pubblici; qualcuno riusciva così ad arrotondare il magro bilancio familiare aprendo le porte ad amici e conoscenti per quattro salti in famiglia.

Arrivano i primi del ‘900, quando il capo riconosciuto del carnevale era Sirvé Zonza, soprannominato “Scianchetta” per via di una gamba zoppa, il quale andava in giro per i ‘Carrugghj isulani’, attorniato da frotte di ‘zitteddoni” (ragazzi un “po’ ” cresciuti) che cantavano: “Carnivà nun ti ni andà, ti faremu a cammisgiola, dugna puntu una frisciola“.

In Ricordi di un “Isola” di E. Chirri e L. Piras, abbiamo una descrizione dettagliata dei carnevali di quel periodo. 
Il carnevale era festeggiato con cordialità e sincerità in tutte le famiglie. Si riunivano parenti, amici e conoscenti con la più semplice confidenza e si ballava sino alle ore piccole, senza scollacciature e senza fracchini, valzer, polche, mazurche, e controdanze comandate da Cè d’a Checca (si usava allora il direttore di sala. Usanza arrivata fino agli ultimi anni ’50 ed abbandonata con i nuovi balli di gruppo), con la musica di Giulio Baffigo (Zi Giù), di Matteo Bazzò (Olivieri) e Babbantò. Per la verità tutta la gioventù aveva una grande predisposizione per il ballo e specialmente per il valzer alla rovescia su un mattone“.

Già allora i nostri avi avevano fama di grandi ballerini e “cionfraioli”, perché le feste finivano a notte inoltrata dopo aver consumato i  vini e i dolci locali. Vino bianco e “canistréddi” di Lungoni (altro che tarallucci e vino!) e le superbe frittelle isolane “i friscioli” con zucchero e miele.

Durante il ventennio, cominciano a farsi avanti i primi suonatori di fisarmonica, violino e chitarra. I vecchi isolani ricorderanno sicuramente le sfilate di carri mascherati che partivano dal “Gruppo Centro” poi scuole CEMM, le serate danzanti alla ‘Montenegro’ (attuale biblioteca comunale), l’AMU (Associazione Maddalenina Universitari, i balli al Circolo Sottufficiali ed Ufficiali ed all ‘XX Settembre’ (attuale Val Market) in via Nazionale. I suonatori di allora, che certo non avevano le apparecchiature e la potenza infernale dei musicisti di oggi, sono ormai nella leggenda. Suonavano in case private e locali pubblici. I loro nomi: Zì Dagnéllu Rais, Giuseppe Cesarano, Pinuccio Murrasso, Leonardo Avolio (Capurà).

Poi con la guerra (la seconda) tutto tacque, si ballava con tutt’altra musica: sfollamenti, bombardamenti, morti e una carestia che non si era mai vista. Quando la guerra finì, fu una liberazione: la gente ritornò in strada, ripresero i balli e voglia di divertirsi come se si dovesse recuperare il tempo perduto. 

Il Sindaco di allora, siamo nel 45/46, Domenico “Dumé” Tanca aveva inventato i balli comunali, si svolgevano infatti nel salone consiliare, ma con una formula decisamente nuova ed originale. Un partito alla volta, durante il carnevale, organizzava una sua serata danzante, la settimana appresso sotto un’altro partito e così via, ed ognuno pensava al servizio ristoro offrendo dolci e vino e curando l’organizzazione. Questa divisione era comunque il segno che i partiti anche allora non era facile metterli d’accordo!

Nei primi anni ’50 grandiosi carnevali furono organizzati a La Maddalena. Tutti i ragazzi di allora ricordano le centinaia di indiani con alla testa il capo indiano (Tore Caria) che scendevano da Due Strade con una dimostrazione di forza e compattezza di tutto il “Quartiere Cinese” forse mai ripetuta da un altro quartiere isolano. Ma d’altra parte quelli erano tempi “Chi ghi vulia u passaportu pe’ passà da Dui Stradi” , tanto il quartiere era compatto ed unito. Di quegli anni è anche uno dei balli più famosi organizzati dal Comitato di allora (tra cui i f.lli Dessì, Amerigo Barago,, l’Ing. Sacchetti) che nel febbraio del’54 arrivarono fino a Roma per contattare una delle cantanti più in voga di allora: Tina Centi, che fu accolta a La Maddalena come una star, e che suonò e cantò per tutta la notte al cinema Verdi “pienu cume l’ou”.

Negli anni ’60 e ’70 ci fu un declino dei veglioni, resistevano quelli studenteschi e militari e la festa delle Matricole organizzata dagli studenti maddalenini, ma cominciava a tirare aria di contestazione, il carnevale veniva snobbato ed evitato. Si continuava con i veglioni al Circolo Sottufficiali con “Les Abis” ed al Flathouse con i “Karacolis” e le “lacrime” con i the danzanti, ma niente sfilate di carri mascherati e poche maschere per le strade. Sembrava un declino inarrestabile.

Negli anni ’80 avvenne il miracolo. Un Comitato operativo al massimo ed una scuola elementare guidata da maestri entusiasti trascinarono il resto della popolazione. Si videro sfilate con oltre trenta carri e migliaia di maschere che cercavano di superarsi in bellezza e creatività. Sfilate forse irripetibili. Dopo qualche anno solita crisi e carri e maschere in diminuzione. In questi anni si sta cercando di farlo ripartire, tra alti e bassi e nonostante la dedizione assoluta del Comitato. Ma forse serve un’idea nuova, originale per il nuovo millennio.

Ramon Del Monaco