Almanacco isolanoLa Maddalena Antica

Centoscudi e la sua flotta

La sveglia è sempre di buon mattino, come un tempo. Anche l’aspetto non è cambiato, è sempre quello di un vecchio lupo di mare, forse con qualche ruga in più. Sempre sorridente e gioviale, a dispetto dei suoi 87 anni, Carlo Salvatore Aversano è più noto in paese come “U Centoscudi”, il nome della barca che gli fu più cara, preso in prestito al soprannome della sua famiglia, originaria dell’isola di Ponza, e giunta alla fine del secolo scorso a Calasetta in cerca di fortuna. La sorte aveva deciso per lui un avvenire ricco di avventure, oggi memorie minuziosamente annotate in un diario composto da 15 quaderni.

Il primo ricordo risale al lontano 1928, quando “Luigi Repetto, un armatore carolino, decise di andare alla Galita, un’isola della Tunisia, per la pesca delle aragoste“. Il padre di Carlo, provetto pescatore, lo seguì con la sua barca “Il Sacro Cuore di Gesù”, portando con sé tutta la famiglia. “Ma dopo le prime cale – ricorda Aversano – un violento uragano spazzò via tutto, distruggendo la nostra barca e costringendoci a riparare a Biserta“.

Alterne fortune seguirono a quell’episodio, scaduti i permessi di soggiorno “i Centoscudi” lasciarono la Tunisia, ma vi tornarono ancora con una nuova barca, dopo aver affrontato persino il carcere.

Le autorità francesi – spiega Aversano – pensavano fossimo clandestini in fuga dall’Italia e ci rimandarono a Cagliari a Buoncammino“. Il giovane Carlo seguiva le orme paterne, ma voleva guadagnare anche nel periodo invernale, non solo con la pesca delle aragoste, così decise di farsi una barca tutta per sé. Il diario ricorda la data in cui “avuta la barca nelle mani” il lupo di mare “ha incominciato a lottare“, era il primo aprile del ’34, di lì a poco avrebbe intrapreso la scommessa più importante della sua vita: la costruzione di una piccola flotta per il trasporto di passeggeri e merci da Calasetta a Carloforte e Portovesme.

Nel dicembre del ’37, in concorrenza col Caposandalo, il vaporetto precursore dei moderni traghetti, comparve il “San Giovanni” di Carlo Aversano, un’imbarcazione di 10 metri che poteva trasportare 20 persone, per una lira a testa, e merci anche di notte.

A bordo facevano parte dell’equipaggio anche i fratelli di Carlo, Silverio e Giuseppe e il padre. Sullo sfondo, la tragedia della guerra, non risparmiò al San Giovanni il triste carico dei feriti. Con la fine del conflitto i collegamenti si intensificarono, e il “Condottiero” prese il posto del “San Giovanni”, destinato presto alle gite turistiche intorno all’isola di San Pietro. La flotta continuava intanto a ingrandirsi, nei cantieri navali di Torre del Greco, furono costruite “La Sacrocuore” e la “Dio onnipotente”, mentre nuovi concorrenti schieravano sulle rotte calasettane, altre imbarcazioni.

Intorno alla fine degli anni ’50, la Tirrenia assicurò i collegamenti col traghetto “Gallura”, mentre privati carlofortini scesero in campo col “Velaccio”.

Tutti mi osteggiavano – ricorda Aversano – così decisi di trasferire la Dio Onnipotente alla Maddalena, affidando ai miei figli maggiori i collegamenti con Palau“. Nel ’63 il varo del “Centoscudi”, il fiore all’occhiello della flotta Aversano, che avrebbe dovuto chiamarsi, secondo i propositi di Carlo, Santa Maria delle Grazie, ma Giovanni Leone che già ricopriva cariche istituzionali e i titolari del cantiere costruttore, i Ferbo di Napoli avevano voluto padrino della cerimonia, impose il nome di Centoscudi.

L’imbarcazione era un vero e proprio traghetto che avrebbe dovuto contrastare a Calasetta la concorrenza, ma le cose non andavano per il verso giusto, molti preferivano il servizio della Tirrenia, e così anche il “Centoscudi” fece rotta per La Maddalena.

Carlo intanto si era trasferito a Cagliari e con un motoscafo “L’Armonia Maris” organizzava gite turistiche a Villasimius. Ora il Centoscudi non fa più la spola tra La Maddalena e Palau, è stato venduto da tempo come l’Armonia Maris.

Niente rimane della Dio Onnipotente né della Sacro Cuore, colata a picco in un placido mattino di novembre del ’92 nel porto di Cagliari. Una beffa del destino?

Forse, sicuramente un guasto meccanico ha provocato una manovra maldestra, e la barca è andata a fondo mentre Carlo Aversano tentava di portarla in un cantiere vicino. “U Centoscudi” si è tratto in salvo raggiungendo a nuoto la banchina. Lì ha lanciato l’ultimo saluto al suo rifugio scacciapensieri, col dolore nel cuore e il sorriso sulle labbra. Come sempre.