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Cisto marino

Cisto marino o Cisto di Montpellier (nome scientifico Cistus monspeliensis, nome locale mucchiu)

Questo arbusto è in assoluto la specie più diffusa nell’Arcipelago, molto aromatico e viscoso, specialmente nella parte sommitale della pianta. Cresce in ambienti aridi e sassosi, dove spesso si estende su vaste estensioni formando dense coperture (cisteti). Fioritura da marzo a maggio.

In passato il legno dei loro rami ha rappresentato e rappresenta nell’uso popolare un ottimo combustibile per cuocere i pani e i dolci nel forno, sia per la tenuta costante del calore sprigionato dalle sue fiamme (e per questa capacità era anche molto usato in passato per i forni delle terrecotte) e sia per il conferimento di un particolare gradevole aroma alla cottura. Le loro foglie tenere sono alimento di capre e buoi.

Sulle sue radici, nella tarda primavera, vive parassita il fiammeggiante Ipocisto; mentre nel tardo autunno cresce, simbionte un boleto di piccole dimensioni localmente apprezzato e donominato ” mureddu di mucchio” ( Leccinum corsicum).

Nell’uso terapeutico i sardi hanno usato le loro foglie in svariati modi: le sfregavano sui denti per pulirli e proteggerli, curavano con la loro poltiglia, o con la loro macerazione in aceto, o con il loro olio di spremitura, piaghe e ferite della pelle.

Il cisto di Montpellier è una specie a distribuzione stemnomediterraneo-macaronesica, cresce sia su substrati calcarei che su substrati silicei (con optimum su questi ultimi), in macchie e garighe mediterranee, formando dense popolazioni soprattutto in aree soggette a ripetuti incendi. Si rinviene al margine degli stagni temporanei sardi a contatto con la macchia mediterranea e la gariga. Il nome generico, dal greco ‘kìsthos’ (capsula, cesta), allude forse alla forma del frutto e appare già in Dioscoride per designare una pianta da cui si estraeva una sostanza resinosa (ladano) usata come incenso; il nome specifico si riferisce alla città di Montpellier, nei cui dintorni la specie è presente. Forma biologica: nanofanerofita. Periodo di fioritura: aprile-maggio.

Arbusto sempreverde e legnoso diffuso in tutta la Sardegna, dalle zone costiere a quelle montane interne. Insieme agli altri cisti: Cisto rosso e Cisto femmina, costituisce essenza tipica della macchia mediterranea, molto rustica, si adatta a qualsiasi substrato e la troviamo negli sterili, nei terreni percorsi da incendi, nelle zone degradate, nei boschi radi, nelle macchie, nelle radure, nelle garighe, nelle scarpate e ai bordi delle strade. E’ una pianta molto resistente all’aridità, alla siccità e al calore; durante la siccità estiva le foglie si colorano di marrone e sembrano secche, ma alle prime piogge riacquistano vigore e si colorano di verde. Spesso costituisce delle vere e proprie macchie a cisto come l’estesa località “Struvina de Babari”, nella costa arburese.

Come gli altri cisti non emette polloni dalla ceppaia dopo il taglio, e al passaggio del fuoco la pianta muore; mentre, si riproduce diffusamente per seme a livello infestante. Il cisto marino è senz’altro quello più diffuso su tutta l’isola, anche perché si spinge fino ai 1000 mt s.l.m.; inoltre, al passaggio del fuoco (incendi) si riproduce vistosamente, poiché le fiamme favoriscono la germinazione dei semi, che avviene nel periodo delle piogge.

Il cisto marino è indice di degradazione della macchia mediterranea, ma al tempo stesso rappresenta anche l’essenza pioniera capace di generare macchie e formazioni boschive pregiate. Dopo un incendio è la prima essenza a svilupparsi (da seme).

In qualche paese della Corsica dire a qualcuno che valeva quanto u mucchiu significava considerarlo una creatura di nessuna importanza, come questa pianta rifiutata anche dal bestiame e accettata, solo per le gemme appena nate, unicamente dalle capre: pure da noi non è difficile incontrare chi la eliminerebbe volentieri per sostituirla con qualche specie esotica più appagante dal punto di vista estetico o dalla crescita più rapida; anche senza arrivare a questi punti estremi, di fronte alla varietà e alla ricchezza della macchia mediterranea, siamo generalmente propensi a pensare che il cisto sia inutile e, qualche volta, dannoso per lo spazio che sottrae alle altre piante. Ma non è proprio così: con i suoi semi resistenti al terribile calore del fuoco e pronti a germogliare alle prime piogge, il cisto costituisce l’anello iniziale della catena di ricostruzione della macchia alta o della macchia foresta degradate dagli incendi, pronto a fermare con le sue radici la terra che le piogge dilaverebbero negli scoscesi pendii delle isole, pronto anche a dare rifugio e protezione alle prime piantine della macchia che trovano nell’humus creato dalle sue foglie alla fine di ogni estate, un ambiente favorevole per nascere e svilupparsi.

Nella nostra isola, si tramandava una traizione che diceva: “tagliare il cisto porta sfiga, e chi lo taglia a primavera non arriva a sera“.