CronologiaMillesettecento

Correva l’anno 1728

In seguito, l’annessione della Sardegna al Regno Sabaudo stipulata nel 1720 col trattato dell’Aja «comportò la ridiscussione della sovranità» in quelle che, nei documenti ufficiali, venivano già denominate Isole Intermedie. I Piemontesi, infatti, non tardano ad accampare diritti sul territorio, pretese che segnano l’insorgere di problemi con l’amministrazione genovese della Corsica. Dieci anni dopo l’annessione, ai pastori còrsi viene perfino imposto un canone d’affitto. Tuttavia, due anni prima, nel 1728, il Viceré di Sardegna in persona, Marchese di Cortanze, tentò un dialogo ben più diplomatico con i Còrsi presenti sull’arcipelago, al fine di ricavare un accordo che soddisfacesse entrambe le parti. Questi ultimi, tuttavia, professarono la loro fedeltà ai Genovesi dai quali formalmente dipendevano, dichiarandosi sudditi della Repubblica di Genova ed estendendone la sovranità tanto a La Maddalena quanto alle altre isole dell’arcipelago. Ciò è dovuto alla memoria storica della colonia originaria dell’entroterra bonifacino, la quale ricorda di abitare a La Maddalena da almeno due secoli. Sarà infatti impossibile cancellare i frequenti rapporti avuti con Bonifacio, anche in sede spirituale. Essendo Bonifacio stessa dominata e ripopolata dai Genovesi, non sorprende che l’arcipelago sia concepito, dai suoi stessi abitanti, come territorio della Repubblica di Genova. Quanto annotato traspare anche dalla lettura dei documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Cagliari, “Isole Intermedie. Popolazione delle medesime (1735-1783)”, Antico Archivio Regio, c. 9, vol. 1289, dai quali per l’appunto si evince con chiarezza il ruolo preminente che la comunità di Bonifacio gioca nel popolamento dell’arcipelago maddalenino durante il Settecento. La mancanza di dialogo condusse a un contenzioso, che coinvolse il Consiglio Comunitativo di Bonifacio, protrattosi per quasi quarant’anni; nel 1767, oramai stanchi del dissidio, i Sardo Piemontesi optano per l’occupazione militare della parte meridionale dell’arcipelago: tale scelta, brusca e repentina nell’esecuzione, fu operata soprattutto in vista dell’imminente passaggio della Corsica alla Francia. Baldacci sottolinea infatti, come dopo il 1767 le relazioni tra Còrsi maddalenini e Bonifacini fossero rigorosamente controllate. Tuttavia, importanti fattori quali i vincoli di parentela, la non facile dimestichezza con i Sardi e il sempre più frequente rapporto economico sia legale (per esempio, aspetti relativi a commercio ed eredità) sia illegale (primo fra tutti il contrabbando) esistente tra La Maddalena e Bonifacio favorirono il mantenimento di collegamenti sempre attivi. Proprio attraverso tali collegamenti è stato possibile, nel corso di circa un secolo, trasferirsi da una sponda all’altra e, dunque, contrarre matrimoni che, di fatto, preservarono il ceppo còrso in area geograficamente e politicamente sarda. Si rimanda qui a Baldacci O., Il popolamento dell’arcipelago, in Baldacci O., Desole L., Guareschi C., Lilliu G., Vardabasso S., Vardabasso S., Ricerche sull’Arcipelago de La Maddalena, in “Memorie della Società Geografica Italiana”, vol. XXV, Società Geografica Italiana, Roma, 1961, p. 313. Il controllo sulle relazioni bonifacino-maddalenine, per niente ben viste, mirava a «spezzare la società e li nodi di interessi e di comunicazione» fra Còrsi, Bonifacini e Maddalenini, rinserrando questi ultimi in stretti legami con la Sardegna, ufficialmente loro isola di appartenenza.

In alcune lettere indirizzate dal commissario di Bonifacio, Ascanio Pallavicino, al governo della Serenissima Repubblica di Genova sulla situazione delle Isole Intermedie, si nominano tutte le isole: Maddalena, La Cabrera, S. Stefano, S. Maria del Budello, Rizzuola, Budellaccio, Spargi, e altre che qui dicono le Boche, e per la prima volta appare il toponimo della Cappellania di Santa Maria de Insula insieme a Santa Maria de Budelly.

16 gennaio

Il sovrano consente al viceré di utilizzare le galere per azioni di corsa.

8 aprile

Il piemontese Giovanni Battista Lomellini, vescovo di Alghero, celebra il sinodo diocesano. Inizia la serie dei sinodi sabaudi.

31 maggio

Il conte Guglielmo Beltramo, reggente la Reale Cancelleria, porta a termine la sua fondamentale Raccolta degli usi ecclesiastici del regno.

11 maggio

Fu la peste di Zante del 1728 a far nascere di fatto e de jure il caso delle isole Intermedie tra il regno di Corsica, governato dalla Serenissima repubblica di Genova, e il regno di Sardegna, di recente ceduto a casa Savoia. L’Editto del marchese di Cortanze, quarto viceré sabaudo, emanato in Cagliari l’11 maggio 1728 dettava le regole di sanità a proposito della peste nelle isole Ionie e nei paesi ottomani. Tra l’altro, in esso si ordinava ai pastori presenti nelle isole Intermedie di allontanarsi da esse con le bestie, pena il loro arresto e il sequestro degli animali. Sulla stessa materia intervenne, un mese dopo da Bastia, anche il magnifico Felice Pinelli, governatore genovese del regno di Corsica, con una sua “Grida ordinata da pubblicarsi nelle isole di Maddalena, Santo Stefano, Cabrera etc. sul morbo proveniente dalle isole Ionie, datata 19 giugno. Due autorità governative di nazionalità diversa intervenivano sullo stesso oggetto e sullo stesso territorio, pretendendo, ognuno per proprio conto, di avere legittima giurisdizione su di esso e sulle persone, animali e cose che lo abitavano. I pastori delle isole, oggetto di quel pasticcio giuridico di sovranità, vivevano ancora inconsapevoli di questa contraddizione, e se conobbero qualcosa delle disposizioni che li riguardava non fu certamente per la lettura diretta dei documenti scritti. Le comunicazioni importanti che li riguardava le conoscevano oralmente nei loro frequenti incontri coi pastori lisciesi o del Surrau della prospiciente costa gallurese, o dai loro corrispondenti bonifacini. Anche stavolta, come nel 1721 per l’epidemia della Provenza, non si mossero dalle isole. Non si mossero neppure negli anni successivi, in occasione delle altre pestilenze provenienti dalla Bosnia e da Messina e segnalate con i soliti pregoni e i soliti provvedimenti che essi non lessero mai.

13 giugno

Il pregone sanitario del 1728, emesso dal viceré sardo, non avviò solo la pressione sui pastori corsi delle isole Intermedie perché con la licenza di pascolo e di semina riconoscessero la giurisdizione del regno di Sardegna su quelle isole. Non appena i bonifacini conobbero, infatti, i termini ultimativi che venivano rivolti ai loro pastori e le minacce di confisca delle loro bestie, predisposero delle contromisure. Un importante documento sinora inedito ci racconta l’antefatto della produzione da parte del governatore genovese della Corsica della sua grida sulla stessa pestilenza e sulle stesse isole, e di come i bonifacini avessero avuto notizia del pregone sardo che li mise in allarme. Si tratta di una memoria del 13 giugno 1728 che, inviata al governo della Serenissima di Genova dal commissario genovese di Bonifacio, il magnifico Ascanio Pallavicini, torna utile riportare integralmente: “Vi sono in questi mari alcune isole o sian penisole adiacenti chiamate cioè della Maddalena, la Cabriera, S. Stefano, S. Maria del Budello, Rizzuola, Budellaccio, Spargi, e altre che qui le dicono le Boche, che se bene siano pure alcune d’esse in qualche vicinanza della Sardegna, a memoria però de’ viventi son sempre state riputate annesse a questo regno, e della Serenissima Repubblica, deducendosene una probabile conseguenza d’essere state sempre dipendenti specialmente da questo luogo, dall’esservi alcune Cappellanie, cioè sotto titolo di S.ta Maria de Budelly, di S.ta Maria de insula, et altre con la percezione de’ proventi de luoghi constituiti e descritti ne’ cartularii di cotesta Ill.ma Casa di S. Giorgio, e tenesse a questa parrocchiale Chiesa o sia all’Arcipretura della medesima, e con un antico possesso, coll’enunciato giusto titolo, d’esser le medesime state sempre semenzate ed erbaricate da bonifacini, con la continua permanenza specialmente da pastori destinati alla custodia de’ bestiami di persone di Bonifacio, e come tali ……i loro alberghi et ….continuo e fermo domicilio con loro rispettivamente famiglia, senza alcun disturbo, salvo se alcune volte per qualche intervallo di pochi mesi li è convenuto sloggiare esimersi dall’innazione de’ barbari corsari che sovente frequentano quelle costiere, e solo ora essendo ritornato da Cagliari il sig. Giuseppe Antonio Serafino di Bonifacio, ove si era recato per suoi affari da negozio, e qui gionto sopra una delle due galere della Ser.ma Rep.a procedente da detto Cagliari, approdatevi in congiuntura del corso per quale son destinate, e questo riporta essersi coàa pubblicata grida stampata trasmessa dal loro sovrano, del tenore in sostanza che tutti li pastori predetti che albergano nell’enonciate isole, o sian penisole adiacenti come sopra debbano immediatamente da quelle sbattere e sloggiare con li rispettivamente bestiami che hanno in custodia, alla pena della perdita d’essi e di duecento scuti ai rispettivi padroni de’ medemi e tali pastori di cinque anni di galera per ognuno”.
Solo dopo 6 giorni il governatore Pinelli, evidentemente sollecitato dai bonifacini, emanò il proprio provvedimento sanitario per conto di Genova, e in Bonifacio si iniziò a produrre documenti che tentavano di certificare il possesso delle isole da parte della Corsica, specularmente alla stessa azione da parte sarda.

20 giugno

Il viceré ordina il censimento del raccolto nei villaggi e convoglia le eccedenze sul mercato della capitale.

7 luglio

In occasione della peste del 1728 i “conservatori di sanità” delle marine di Gallura presero l’iniziativa di denunciare alla corte viceregia di Cagliari i limiti della loro azione di tutela nel territorio di competenza. La presenza di pastori corsi in alcune isole delle Bocche, incontrollata e incontrollabile, era per loro fonte di grande preoccupazione rispetto all’importante funzione a cui erano chiamati, di evitare cioè la contaminazione dell’interno del regno da agenti di contagio provenienti dal mare. Tanto più in una realtà di per sé già difficile da controllare, in un comprensorio costiero che da Longonsardo a S. Lucia di Posada era privo di qualsiasi presidio di torri, e con una minima presenza umana aggregata in abitato solo a Terranova a est e a Castelaragonese ad ovest. A partire dalla lettera dei conservatori di sanità della Gallura, don Martino Riccio e don Isidoro Guglielmo, datata da Tempio il 7 luglio di quel 1728, il governo sardo prendeva per la prima volta conoscenza del caso maddalenino. In una memoria riassuntiva degli avvenimenti si legge, infatti, che in quella occasione i due diligenti funzionari rilevarono che: “risulta molti essere gli anni che sono li corsi bonifacini co’ loro bestiami nel possesso delle isole suddette, senz’altro titolo che quello del possesso”. L’utilizzo delle isole da parte di pastori corsi, si diceva inoltre, avveniva nell’indifferenza dei pastori galluresi, che avevano nella valle del Liscia, del Surrau e di Arzachena un abbondante territorio a disposizione e di migliore qualità, sia per i pascoli che per le semine. La notizia avuta da Tempio entrò nel pacchetto delle informazioni che gli uffici viceregi giravano routinariamente alla corte torinese. Da Torino si prese atto del fatto e della previsione di intervenire sui pastori abusivi in occasione del passaggio in quei mari della galera nel suo giro di ronda nelle acque sarde. Lo scambio di note tra Cagliari e Torino su questo argomento si protrasse sino al giugno del 1730, e da questa corrispondenza sappiamo inizialmente che la crociera della primavera-estate 1729 della galera non fu utile per l’intimazione a quei pastori di munirsi di licenza a pascolare. Nel frattempo erano sorte perplessità sulla legittimità della pretesa, e si convenne sulla necessità di raccogliere prove più certe del dominio sardo sulle isole. Ad un certo punto, a riprova di quanto si lavorasse approssimativamente e a tentoni, si pensò che la sola isola della Maddalena potesse riconoscersi rientrante nella giurisdizione sarda, ignorando del tutto S. Stefano, che oggettivamente è la più “adiacente” alla Sardegna. Ma, oltre la ricerca delle prove documentali dell’appartenenza patrimoniale delle isole al regno sardo, si iniziarono ad elaborare i primi ragionamenti di dottrina giuridica della sovranità sulle stesse isole. A questo proposito il positivo parere dell’avvocato fiscale Cani, chiamato ad esprimere il proprio giudizio sulla legittimità del dominio sardo sulle isole, rilanciò le pretese sarde. La stessa memoria riassuntiva rilevava che la corte torinese, sostenuta nelle proprie ragioni dal quel parere, scrisse al viceré, marchese di Cortanze, nell’ottobre del 1729: “doversi riputare usurpativo il possesso [delle isole Intermedie] ed ordinogli di mandare alli Giudici, a cui poteva spettare l’uso di dette isole, di far intendere alli pastori corsi di non introdurvi più li loro bestiami al pascolo senza la loro licenza, qual però veruna volta si dovesse negare e senza pagamento. E inoltre di valersi dell’opportunità delle galere per cacciarli ogni volta quando fossero renitenti a chiedere detta licenza, facendovi fare atti possessori affine di esercitarvi la sovranità ed escludere quella che ne potesse pretendere la Repubblica di Genova”.

8 agosto

Ancora una volta il commissario bonifacino Pallavicini si fece parte diligente e condusse una propria inchiesta che produsse la verbalizzazione, il giorno 8 agosto del 1728, di tre testimonianze pressoché univoche rispetto l’utilizzo remoto e recente delle isole Intermedie da parte di bonifacini e di pastori corsi alle loro dipendenze. Il primo testimone fu l’ottantaquatrenne Simone Lantero che dichiarò che gli risultava che le isole, sebbene frequentemente assalite dai turchi con prede di uomini, donne e ragazzi, erano state abitate e utilizzate per pascolo da bonifacini e dal loro bestiame custodito da pastori alle loro dipendenze. Lui stesso aveva visto corsi recarsi con i loro attrezzi a seminare biade nelle isole e pastori con le bestie, e anche lui vi aveva inviato al pascolo dei somari. Il secondo testimone fu un ottantunenne patrone marittimo bonifacino, Francesco Pittaluga fu Pietro, che avviò la sua dichiarazione affermando che già da giovane marinaio era più volte stato nelle isole. In esse aveva sempre trovato molti bonifacini a seminare le biade e molti pastori a custodire il bestiame degli stessi bonifacini. Il testimone precisò, inoltre, che negli anni addietro la presenza nelle isole era più numerosa e che era stata più volte decimata da incursioni barbaresche. Anche lui confermò che quei pastori custodivano il bestiame di proprietari di Bonifacio, e aggiunse che gli risultava che i delitti commessi nelle isole vedevano i processi celebrati a Bonifacio. L’ultimo testimone fu un altro vecchio ottantacinquenne sempre di Bonifacio, omonimo del precedente Francesco Pittaluga ma fu Paolo. Quest’ultimo, oltre a ripetere che dei bonifacini avevano seminato e raccolto biade in quelle isole e dei pastori governato il loro bestiame, verbalizzò che lui stesso molte volte aveva seminato e raccolto, e che con il proprio padre, almeno sessant’anni prima vi si recava a caccia di cinghiali e cervi. I bonifacini, anche in questa occasione, non ebbero più fortuna dei sardi nella ricerca di titoli di diritto del regno di Corsica, e quindi della Serenissima, sulle Intermedie. La ricerca nei loro archivi risultò infruttuosa, e non riuscirono ad andare oltre la verbalizzazione di testimonianze di mero utilizzo del territorio delle isole per pascolo e semina. Delusi, ne presero atto prima il commissario di Bonifacio Pallavicini, che relazionò al governo di Bastia, e quindi il governatore Pinelli che ne informò i Serenissimi a Genova. Mentre per i sardi era la prima volta che tentavano di rintracciare i titoli del loro presunto dominio sulle Intermedie, per i bonifacini era l’ennesima.
Vedi anche: Dal litigio sulla peste al litigio sul diritto di proprietà

5 ottobre

L’interessamento immediato del regno sardo all’arcipelago cominciò nel 1728, anno in cui il marchese di Cortanze, Vicerè di Sardegna, “scrisse al Re….proponendo al superiore governo che si intimasse ai Bonifacini delle isole di riconoscere la sovranità di S. M. Sarda mediante la corresponsione di un tenue affitto. Nel caso che l’intimazione non avesse avuto effetto, si sarebbe dovuto ricorrere alla forza servendosi delle galere che annualmente dalla base di Villafranca si portavano in Sardegna per compiere la perlustrazione delle coste e allontanare la minaccia delle incursioni barbaresche” Il Re rispose in data 5 ottobre “consigliando un atteggiamento di prudenza: approvava non solo il disegno di far sentire la presenza di navi sarde nei paraggi dello stretto di Bonifacio, in modo che vi fosse impedito il contrabbando, ma anche quello di indurre i pastori corsi al pagamento del canone; era invece alieno ad ogni dimostrazione di forza che potesse creare delle complicazioni con la repubblica di Genova; in tutti i casi era necessario che si facessero diligenti ricerche per rintracciare eventuali titoli di sovranità su quelle isole”. Gli atti del 1728 documentano una situazione di disagio nei confini settentrionali della Gallura, considerati come porta aperta al contrabbando; situazione che un buon piemontese non poteva tollerare. Tuttavia sono da notare due fatti:
1 – la saggezza con cui il governo centrale manovra la questione, in vista di complicazioni non desiderate con la vicina Repubblica;
2 – la questione giuridica della sovranità sulle isole. Questione alla quale sin da allora si cercò, invano, di dare una risposta rovistando gli archivi della Sardegna.
Comunque si volle procedere egualmente a comunicare agli interessati le condizioni stabilite dal governo sardo per poter utilizzare le isole e nel 1729 compaiono le galere della Marina sarda.

4 novembre

Nasce a La Maddalena Pietro Millelire, da Leone e Faustina. Il padre è di Sorbola (sorbollano o Surbuddà in dialetto corso, villaggio del Rizzanese, distretto di Sartène). Come si usava allora, era stato battezzato subito e poi nell’agosto successivo anche a Bonifacio dal Rev. don Musso, esattamente il 15 agosto 1729. La mortalità infantile, allora molto numerosa, e l’impossibilità dei genitori di recarsi a Bonifacio nei mesi di lavoro, faceva si che i nati a Maddalena, Caprera o nelle altre isolette, venissero subito battezzati e poi lo rifossero, con un nuovo battesimo, nei mesi di luglio e agosto, a Bonifacio. Pietro ebbe una sorella, Maria, nata il 30 marzo 1734, nel cui atto di nascita figura la professione del padre Leone. berger aux iles, ovvero pastore alle isole. Pietro di Leone sposò Maria Caterina fu Michele da Zicavo, da cui nacquero a La Maddalena Giovanni Battista nel 1751 e Antonio nel 1754. In seconde nozze Pietro fu Leone sposò, nel luglio 1756, Maria di Giuseppe d’Ornano, in altre occasioni indicata come Pintus, da cui ebbe Giò Agostino, Domenico, ecc. Pietro ebbe da subito un ruolo importante nella mediazione tra i pastori ed il comando del distaccamento, e tra l’altro si fece garantire un prestito di orzo alla popolazione per provvista. Impiantò nel 1774, su permesso dell’Intendenza di Cagliari, un magazzino per la raccolta del formaggio a Porto Pollo e risulta creditore di una considerevole somma nei confronti di un certo Maistre e quindi detentore di denaro liquido. E’ infine tra i primi a ricevere la patente di padrone marittimo, insieme a Batta Pittaluga e a Pasquale Millelire. Pietro muore a La Maddalena nel gennaio del 1809 all’età di circa 81 anni.

18 dicembre

Un pregone contro il banditismo prevede la sospensione dei privilegi di casta per i nobili che favoriscano dei banditi. Nello stesso anno il censimento ordinato per la redistribuzione dei carichi fiscali da una popolazione di 310 000 abitanti, distribuiti in 82 500 ‘‘fuochi’’.