CronologiaMillesettecento

Correva l’anno 1755

A Palau si discute una causa per il possesso di un rebagno nella pianura del Liscia: i contendenti sono i Ciboddo (che evidentemente abitano da tempo nella zona) e don Andrea Pes Riccio di Tempio.

A Santa Teresa, l’ingegnere capitano Soleri effettua una relazione (18 maggio) sui siti dove devono essere costruite le nuove 50 torri, di cui 10 in Gallura, tenendo conto dei progetti precedenti e, in particolar modo, del progetto De Vincenti. Il Soleri progetta di proteggere il porto di Longon Sardo e di armare la torre di Capo Testa che, ormai in rovina, è da 25 anni priva di artiglieria.

12 aprile

Il Regolamento di Carlo Emanuele III per il governo della Sardegna riordina la normativa sulle magistrature e gli uffici amministrativi del regno: espressione del disegno accentratore sabaudo, esso resterà in vigore fino ai primi decenni del secolo XIX e offrirà, per oltre mezzo secolo, le coordinate essenziali all’iniziativa regia, ministeriale e viceregia nell’isola. Nella stessa data viene soppressa la seicentesca Giunta del morbo e viene invece istituito il Magistrato di sanità.

Pasuale Paoli

16 aprile

Paoli sbarca alla foce del Golo, ben cosciente delle contraddizioni che minacciavano la rivolta dei compatrioti; secondo il suo parere, si poteva evitare la divisione soltanto concentrando il potere nelle mani di una sola persona. Da qui derivava l’impegno per elaborare delle istituzioni che elevassero la qualità della lotta e rafforzassero la coesione della nazione. Cinque giorni dopo il suo arrivo, «il 20, 21 e 22 aprile 1755, i principali capi del regno si riunirono al convento di Caccia per rimediare ai disaccordi che si manifestavano ogni giorno tra i membri del governo». Nella Consulta furono approvati regolamenti e decreti che riorganizzavano la giustizia ed abolivano la funesta pratica della vendetta: nomina d’arbitri (paceri), nomina di un giudice per ogni pieve, creazione di tribunali delle province e di un Magistrato Supremo, istituzione della pena di morte per l’assassinio e dell’esilio per la famiglia e creazione di un esercito itinerante per l’esecuzione delle sentenze. In questo modo veniva ripresa l’opera della Consulta d’Orezza del 1751 e continuata la riforma della giustizia intrapresa da Gaffori, riforma che testimoniava la presenza endemica del malessere isolano. La Consulta di Caccia doveva imprimere una nuova forma al governo isolano: il testo predisposto dai deputati corsi merita un’analisi ancora più dettagliata, perché si riconosce facilmente, dietro i provvedimenti di riforma, la volontà occulta di Paoli. Innanzitutto, nell’enunciato dei principi, era affermata solennemente e chiaramente la sovranità nazionale, che s’incarnava nel potere esecutivo: il Magistrato Supremo, delegato del potere ricevuto dal popolo. Al Magistrato erano affidati dei poteri piuttosto ampi, tali da elevarlo al di sopra dei particolarismi provinciali: si instaurò di diritto, per la prima volta, un potere forte, immagine vivente della nazione sotto il profilo istituzionale, oltre che politico. Indubbiamente questa decisione costituiva un progresso nella costruzione dello Stato nazionale, dato che fino ad allora l’autorità era divisa tra il Magistrato Supremo ed il Consiglio di Stato senza una specificazione costituzionale dei ruoli; inoltre i Generali, come Gaffori, avevano comunque esercitato una dittatura ufficiosa. Ormai il potere, legalmente definito e senza equivoci, era esercitato da un solo corpo istituzionale. La Consulta di Caccia testimonia inoltre il marchio dell’abilità e dell’astuzia politica di Paoli: il Magistrato Supremo, unico organismo direttivo, era composto da dodici presidenti di provincia e da 36 consultatori per il Diquà, e da sei presidenti ed otto consultatori per il Dilà. Il Capo Corso restava escluso fino a «quando si disponga ad unirsi in un corpo con noi». Al di là della mancata unificazione nazionale, il gran numero di membri del Magistrato, testimoniava la volontà di lasciare inattiva questa struttura, dato che per adottare una legge era sufficiente la maggioranza dei due terzi dei votanti. Nella successiva Consulta di Sant’Antonio della Casabianca del 13 ed il 14 luglio, Paoli venne nominato “Capo Generale”, ma non ricevette la totalità dei poteri: in particolare, non aveva la facoltà di siglare le “deliberazioni di Stato” e quindi non poteva concludere trattati. Nella prima Consulta il Magistrato era investito della sovranità in virtù di principi costituzionali; qui il Generale, sommo capo, viene assistito da un Consiglio di Stato, vale a dire dal Magistrato, ricevendo legalmente il potere esecutivo. Si tratta di un salto di qualità enorme rispetto alla posizione già occupata da Gaffori: Paoli si presentava come l’eletto ed il portavoce della nazione, sottoposto solo al controllo del suo organismo dirigente, il Consiglio di Stato. A Sant’Antonio della Casabianca furono affermati con forza i principi dello Stato: il popolo corso era dichiarato indipendente ed il benessere della nazione doveva essere assicurato da una costituzione. Il pensiero di numerosi filosofi del XVIII secolo, che identificavano la nazione con la libertà ed il contratto sociale, si ripresentava nei principi generali del testo costituzionale. Queste linee ideologiche di fondo non furono più riprese nelle altre Consulte: si trovano enunciate per la prima ed ultima volta nel 1755, come un fatto acquisito, di cui non bisognava più occuparsi. Lo stesso può essere detto per la definizione dei poteri del Generale: le sue prerogative furono fissate una volta per tutte nella prima consulta e non venne più scritto alcun articolo sulle sue funzioni. La Consulta aveva stabilito anche la composizione del Consiglio di Stato, che aveva la suprema autorità nella sfera politica, militare ed economica. Il Consiglio era composto di 36 presidenti e 108 consiglieri, che si riunivano in udienza plenaria due volte l’anno; i presidenti cambiavano a rotazione di tre ogni mese, i consiglieri ogni dieci giorni; questi ultimi formavano con il Generale, membro del Consiglio di Stato, l’organo esecutivo. Così il Generale non sarebbe stato più eletto dal Consiglio di Stato, ma ne diventava un membro a pieno titolo: in parole povere, il generalato era un incarico legale. Da un punto di vista giuridico-costituzionale, il potere di Paoli risultò enormemente rafforzato: egli aveva un ruolo predominante nel Consiglio di Stato, di cui era il solo elemento permanente e il suo voto valeva il doppio degli altri. L’evoluzione costituzionale era così terminata: la razionalizzazione delle istituzioni testimoniava un forte senso dello Stato da parte del Legislatore, che intendeva certamente dare una coscienza nazionale alle popolazioni dell’isola. Paoli, tuttavia, non aveva completamente debellato il fronte interno: l’ostilità di molti notabili era serrata. Una volta eliminato il pericolo del clan Matra (con cui era iniziata una guerra intestina nel 1757), Paoli cercò di estendere il proprio potere sul Diladamonti. Nel Dilà, nonostante qualche amico fidato (Santo Folacci, Pietro Maria Cacciaguerra), Paoli doveva scontrarsi con i partigiani del partito genovese e del partito francese. Inizialmente ostili, i Signori finirono per allinearsi definitivamente nel 1763. La loro ostilità era strettamente connessa agli interessi dell’aristocrazia feudale ed a quelli della Chiesa, che rifiutava la politica giurisdizionalista di Paoli. L’ostilità si trasformò in alleanza quando Paoli, sottilmente, si riconciliò con il Vaticano rimettendo al Visitatore Apostolico i fondi delle rendite ecclesiastiche a partire dall’aprile 1760. I corsi partitanti per la Francia subirono una sorte simile: essi si dichiararono risolutamente ostili a Genova ed a Paoli già dal settembre 1757; ma con un’incredibile abilità diplomatica Paoli propose ad Antonio Colonna (capo del partito francese) il comando dell’intero Diladamonti. Privato, nel frattempo, dell’appoggio militare dei francesi, Colonna accettò la proposta nell’agosto del 1758; la sua deposizione, nel 1761, ad opera di un luogotenente di Paoli eliminava definitivamente l’ultimo ostacolo all’unità dell’isola. La Corsica venne sottomessa ben presto all’autorità del Generale, tranne le grandi città della costa: questo fatto costituiva una fonte di incertezza sull’avvenire dello Stato e si rivelò una delle debolezze del Governo rivoluzionario.

20 aprile

Viceré di Sardegna è Vittorio Amedeo Costa, conte della Trinità.

17 maggio

Il piemontese Luigi Emanuele Del Carretto, già preside del Collegio reale di Superga e ora arcivescovo di Oristano, apre il sinodo della diocesi arborense.

18 maggio

L’ingegnere capitano Soleri effettua una relazione sui siti dove devono essere costruite le nuove 50 torri, di cui 10 in Gallura, tenendo conto dei progetti precedenti e, in particolar modo, del progetto De Vincenti. Il Soleri progetta di proteggere il porto di Longon Sardo e di armare la torre di Capo Testa che, ormai in rovina, è da 25 anni priva di artiglieria.

14 luglio

Pasquale Paoli viene eletto “capo generale della nazione corsa”. Pasquale Paoli, una delle figure emblematiche della storia della regione, cercò di porre fine al dominio di Genova in Corsica. Fu eletto “Generale della Nazione” e offrì alla Corsica 14 anni di indipendenza, fondando una costituzione repubblicana. I Genovesi, ancora presenti sull’isola, erano ormai senza forze e in rovina. Così cedettero la Corsica alla Francia nel 1768 con il Trattato di Versailles. Per salvaguardare tutto ciò che aveva costruito, Pasquale Paoli iniziò una guerra contro l’esercito francese che culminò con la celebre battaglia di “Ponte Nuovo” del 1769 vinta dagli eserciti di Re Luigi XV. Dopo la terribile sconfitta subita, Pasquale Paoli fu costretto a ritirarsi in esilio in Inghilterra. Così si concluse la “guerra dei corsi”.

24 luglio

Sull’avviso che era scoppiata in Algeri una grave epidemia contagiosa, il viceré conte di Bricherasio emise un lungo e dettagliato Pregone con il quale, oltre a stabilire le cautele sanitarie e le quarantene per tutte le navi in arrivo, ordinava la costituzione delle ronde lungo tutte le coste dell’isola al fine di avvistare per tempo i bastimenti in arrivo e impedire gli approdi clandestini allora frequenti per l’introduzione o l’esportazione di merci in contrabbando. Sulla costa nordorientale della Sardegna le ronde sanitarie erano stabilite nel modo seguente: “Dalla torre di Frigiano alla torre dell’Isola Rossa cinque guardie, che si prenderanno da Castello Aragonese. Dall’Isola Rossa alla torre di Vignolas cinque guardie, che si prenderanno dalla villa di Tempio. Dalla torre di Vignolas a quella di Longon Sardo, cinque guardie delle ville del dipartimento della Gallura. Dalla torre di Longon Sardo alla torre di Santa Lucia di Posada, trenta guardie che si prenderanno dalle ville della Gallura, Terranova e baronia di Posada”. Tre anni dopo, il 10 giugno 1758, il viceré Des Hayes, nel timore di un’altra epidemia apparsa in vari porti del Mediterraneo, emetteva un ulteriore Pregone che sostanzialmente, per quanto riguardava le ronde sanitarie, ricalcava quello precedente. Stavolta, però, nominava per ciascun tratto di costa i deputati di sanità, che per il litorale che ci interessa erano don Giuseppe Riccio di Tempio, dall’Isola Rossa a Longon Sardo, e Don Giuseppe Farris di Siniscola, da Longon Sardo alla torre di Santa Lucia. Sia nel primo che nel secondo provvedimento non si fa alcun cenno alle fronteggianti isole dell’arcipelago maddalenino come se le stesse fossero disabitate, non costituissero scalo per le navi, ovvero non appartenessero alla Sardegna e ciò anche se la corte cagliaritana era certamente a conoscenza che in due precedenti pregoni sanitari emessi il 28 gennaio 1721 dal barone di S.Remy, primo viceré di Sardegna, in occasione della peste di Provenza, e l’11 maggio 1728 dal marchese di Cortanze per la peste segnalata nei porti ottomani, si era fatto chiaro cenno all’arcipelago ed era stato intimato ai pastori corsi ivi stanziati di allontanarsene trasportando a Bonifacio il bestiame da loro tenuto sulle isole. E’ ben strano (e la cosa fu poi sfruttata dai bonifacini a loro favore quando sorse la controversia appartenenza delle isole) che in questi ultimi due Pregoni che non si sia fatto alcun cenno agli abitanti dell’arcipelago i quali, invece, proprio in quegli anni erano tenuti sotto stretta osservazione per la loro connivenza con i contrabbandieri di Aggius alla cui attività venivano attribuiti i mali che affliggevano il nord della Sardegna ove i traffici illeciti, alimentati dal furto e dall’abigeato, oltre a recare grave danno all’erario, avevano dato origine al banditismo e alle faide che per decenni insanguinarono la Gallura e il Logudoro. Indubbiamente le ronde costiere, istituite in occasione delle epidemie, con la loro vigile e costante presenza sui litorali dovevano render dura la vita ai contrabbandieri anche perché, come imponeva il secondo pregone, ad ogni allarme era fatto obbligo “…a tutti i pastori, ed altre persone di qualunque sorta commoranti presso i lidi del mare doversi ben tosto ritirare coi loro bestiami e greggi dentro terra in non minore distanza di tre miglia da’ litorali, sotto pena in caso di inadempimento della vita e della confisca di detti bestiami”. Le cronache dell’epoca riportano frequenti episodi di scontri armati fra truppe e miliziani da una parte e contrabbandieri e banditi dall’altra e in tutti i resoconti ci si rammarica sempre del fatto che ad avere la meglio erano quasi sempre questi ultimi, di solito meglio armati, talvolta più numerosi e comunque favoriti dalla perfetta conoscenza di ogni anfratto e di ogni segreto passaggio che consentiva loro di praticare azioni di vera e propria guerriglia alla quale le truppe regolari non erano certamente addestrate.

9 ottobre

In reazione al “malgoverno” genovese, Pasquale Paoli impone la pena di morte in Corsica attraverso uno “spettacolo” terrificante ed educativo. La testimonianza ha svolto un ruolo essenziale durante le indagini rapide. Quando era appena salito al potere come generale della nazione corsa prendendo le redini di un nuovo ma povero Stato, Pasquale Paoli si preoccupò di dare un ruolo essenziale alla giustizia, concepita come il pilastro dell’edificio politico durante lo sviluppo. A Ferdinando de Leòn scrisse: Il Regno è tanto atterrito dalle continue esecuzioni che ordino contro banditi e malfattori, che i buoni benedicono la giustizia e gli empi sono atterriti. Nel novembre 1760 a Nonza, Angelo Maria Strenna fu impiccato due giorni dopo la sua presentazione davanti ai giudici, Pietro Ansaldi fu fucilato a Furiani. Il patibolo e il fucile divennero gli strumenti di una repressione intransigente contro il brigantaggio che infestava le campagne e il flagello della vendetta, mentre nei presidi della costa la giustizia veniva sempre resa in nome di Genova. A volte il carnefice – reclutato non senza difficoltà – completa la sentenza del Magistrato sezionando in quattro pezzi il corpo del malvivente, come avvenne nel maggio 1764 a Nebbio contro un bandito che agiva per conto dei genovesi. “Questo rigore è giudicato favorevolmente rispetto al malgoverno genovese, e per dimostrarlo il governo isolano si sforza di legare il progresso della pace civile all’aumento della popolazione oltre che al miglioramento della produzione agricola». Questa giustizia esercitata sotto l’autorità del Paoli ed accettata dai “popoli”, prenderà solo successivamente, dopo la sua scomparsa nel 1807, il nome di “Ghjustizia paolina”. La storiografia dell’Ottocento evidenzia poi la statura di un Paoli“ buono e umano statista che esercita la giustizia lontano dalla Ghjustizia morandina e dal lassismo genovese” , stima Erick Miceli, storico specializzato nel periodo paolino. L’esecuzione delle condanne a morte è pubblica, e costituisce ” uno spettacolo negoziato tra l’autorità statale e la popolazione”, indica. Miceli precisando che Paoli “si tiene lontano dal teatro della giustizia, dove il condannato diventa lo strumento di uno spettacolo educativo”. La “Ghjustizia paolina” deve colpire forte e forte. Un esempio lo dimostra. Nel dicembre 1758 un uomo fu trovato morto. Il podestà informa il governo, che dà subito mandato a un investigatore nella persona di Martino Moracchini, la cui missione è chiudere il caso in 24 ore. “Ma a quel tempo la polizia scientifica non esisteva, bisognava affidarsi alle testimonianze. In questo caso non ci sono testimoni, quindi nessuna prova. Eppure l’investigatore rilascia il permesso di sepoltura. Si dice una messa, il corpo sepolto. Ma la sera stessa apprendiamo che il defunto aveva una ferita alla testa. La giustizia ordina quindi l’esumazione per un nuovo esame. Riscontrata la lesione, il caso prende una piega criminale con un processo. Ma in assenza di un colpevole accertato, la giustizia addossa l’onere al podestà che ha dichiarato la morte”, dice Erick Miceli. La conclusione giudiziaria di questo caso non è nota. “La ghjustizia paolina è anche una giustizia spedita: gli omicidi come i furti possono essere puniti con la morte; incapace di esiliare i criminali, Paoli li costringe a combattere nelle sue truppe in prima linea affinché paghino il loro debito con la società”. La “Ghjustizia paolina” vuole essere incorruttibile, colpendo senza tremare i parenti dello stesso Paoli. Fu il caso del giovane Matteo Massesi, figlio proprio del cancelliere Giuseppe Maria Massesi, figura di spicco. Nel dicembre 1768 Paoli, informato da de Ludre, ufficiale francese catturato a Borgo, scoprì un complotto per eliminarlo fisicamente, caso in cui fu coinvolto il giovane Massesi. Quale trattamento dovrebbe essere riservato a questo crimine di alto tradimento? Paoli non poteva ” ascoltare la pietà senza violare la legge “, Massesi fu giustiziato nel febbraio 1769, strangolato in una prigione di Corte. Tuttavia, accade che la giustizia ” implacabile ” negozia “, si tratta caso per caso, ma questa trattativa non è mai scritta“, spiega Erick Miceli. Non è così per tutti gli atti giurisdizionali “che sono scritti e controllati dal governo che controlla tutti i casi”. L’istituto giudiziario paolista ha quindi più livelli a seconda della gravità dei fatti. I reati minori sono trattati a livello comunale dal podestà, mentre i reati più gravi passano davanti al Magistrato di Corsica che lavora in sinergia con la Camera dove siedono gli eletti. Ma la “Ghjustizia paolina” che talvolta sa essere umana nel trattare con i criminali, non avrebbe potuto essere applicata con tanto rigore, se non fosse stata compresa e quindi tollerata dalle popolazioni in attesa sia di giustizia che di protezione dal loro sovrano. Non si conoscono statistiche ufficiali, ma un primo bilancio dà soddisfazione al Paoli: « Si tratta senza dubbio del discorso ufficiale, ma il redattore dei Ragguagli si lusingò, nel dicembre 1763, dei buoni risultati di questa giustizia sui dati della popolazione. Grazie a lei, scriveva, scomparve sull’isola fino al ricordo delle vecchie inimicizie… In altre parole, la giustizia di Paoli avrebbe consentito di frenare la giustizia privata della vendetta, usanza micidiale fin dai genovesi. Al funzionamento di questa macchina giudiziaria si aggiungeranno nuovi ingranaggi essenziali, tra cui il carnefice, personaggio odiato e temuto. “Nel 1764, il reclutamento di un siciliano come boia permise di diversificare le condanne pubbliche. Nel maggio dello stesso anno, un bandito viene arrestato nei dintorni di Saint-Florent. Il boia arriva da Corte per tagliarlo in quattro pezzi che sono stati esposti sulle pubbliche strade.” Ma Pasquale Paoli volle che la funzione di carnefice fosse ricoperta da un corso. Il suo desiderio sarà esaudito da un detenuto che propone di vestire i panni di un boia in cambio del suo perdono. Questa idea ” rallegra il generale per il quale la professione è tanto necessaria quanto quella del sarto o del cotonatore… “. Paoli confessò volentieri a Boswell che gli venne incontro a Sollacario: “Tutti i delinquenti corsi vengono giustiziati 24 ore dopo la pronuncia della sentenza; questa usanza può non essere cattolica, ma è umana”.

12 ottobre

A seguito dell’intensificarsi dei traffici di contrabbando, un altro progetto per l’armamento di due sciabecchi e di altrettante galeotte con funzione di guardia coste, ed al quale veniva allegato un minuzioso e preciso piano di spesa, veniva presentato all’Intendente generale del Regno Sabaudo, dal capitano Porcile. Ma anche questo progetto, per il costo di realizzazione ritenuto troppo alto verrà rinviato a tempi migliori. E per il governo sabaudo la scusa della repressione del contrabbando in quel tratto di mare, e che si intrecciava strettamente anche al fenomeno del banditismo, costituirà il pretesto per legittimare agli occhi di tutti, e quindi anche dei governi di Genova e della Francia, la spedizione per l’occupazione delle cosiddette “isole intermedie” dell’arcipelago maddalenino.
La spedizione, al comando del maggiore La Rocchetta, coadiuvato dagli ufficiali di marina Allione di Brondel e Nobili di Nonza, comandanti rispettivamente del pinco e del felucone che operavano costantemente in quel tratto di mare, scortati dalle due fregate S. Carlo e S. Vittorio, recentemente acquistate dall’Inghilterra e dotate di 96 cannoni, ebbe inizio la notte tra il 14 ed il 15 ottobre 1767 e fu portata a termine in brevissimo tempo, senza alcuna resistenza da parte dei pastori bonifacini presenti nelle isolette. Questi, giovani e vecchi pastori bonifacini, ai quali si aggregheranno nuclei di greco-corsi e di galluresi, professandosi sudditi fedeli del re di Sardegna, daranno vita alla nuova comunità di La Maddalena, che entrava di diritto a far parte del Regno sardo.
Prima cura del Governo fu ovviamente quella di impiantare nei punti strategici più importanti le indispensabili opere di difesa militare. La nascente piazzaforte marittima veniva prontamente trasformata in base di rifornimento di prima categoria con la costruzione di un deposito di armi e munizioni con il compito di provvedere ai bisogni non solo dei presìdi militari dell’arcipelago e della vicina costa gallurese, ma anche delle navi armate che vi avrebbero fatto scalo. Col trascorrere degli anni le opere di difesa aventi carattere di fortificazione campale venivano sostituite con costruzioni permanenti in muratura, come torri, casematte, postazioni, trinceramenti e ripari. L’isola verrà dotata anche di un forte, detto della Guardia Vecchia.
L’approdo di Villamarina, inoltre, nel vicino isolotto di Santo Stefano veniva abilitato ad accogliere bastimenti nazionali e stranieri, sottoposti naturalmente alla corresponsione dei prescritti diritti di ancoraggio. La popolazione del centro di La Maddalena registrava subito un notevole incremento demografico, superando ben presto il migliaio di abitanti, grazie soprattutto all’arrivo di corsi di Bonifacio, profughi per ragioni politiche dopo il passaggio della Corsica alla Francia, e sardi di Gallura attratti dal desiderio di migliorare le loro misere condizioni di vita.

15 ottobre

Proponendo la creazione di una squadretta di navi per il controllo e la difesa delle coste, il viceré considera necessaria la costruzione di qualche nuova torre nelle terre più esposte e cita il caso delle marine di Arzachena nelle quali, quello stesso anno, i barbareschi hanno depredato le capanne dei pastori.

16 novembre

La Corsica di Paoli diede il voto alle donne, 189 anni prima che in Francia. La Costituzione della Repubblica di Corsica con a capo Pasquale Paoli – Stato indipendente dal 1755 al 1769 anche se mai riconosciuto da altri governi – fu pioniera in questo, dato che garantiva il voto a tutti gli abitanti maggiori di 25 anni, comprese le donne (vedove o nubili). Inoltre la Corsica indipendente fu tra le prime nazioni al mondo, assieme alla Svezia nel 1708, a considerare le donne come cittadine. La costituzione venne redatta a Corte, naturalmente in lingua italiana, all’epoca ufficiale nell’isola, il 16, 17 e il 18 novembre 1755 e rimase in vigore fino alla definitiva occupazione francese dopo la Battaglia di Ponte Nuovo combattuta l’8 e il 9 maggio 1769. Con l’annessione alla Francia, la Costituzione còrsa venne abrogata, e di conseguenza anche il suffragio universale maschile e femminile. Paradossalmente la Francia, patria dei diritti dell’uomo, non fu altrettanto per i diritti della donna. Con la Rivoluzione, le donne furono considerate come “cittadini passivi” ed escluse dunque dal diritto di voto. Esclusione mantenuta nella Costituzione del 1791. Il codice civile del 1804 dona loro certi diritti civili, ma non la cittadinanza politica. Dunque la Francia, uno dei primi Paesi ad istituire il suffragio universale maschile, dovette affrontare un lungo processo per arrivare a quello femminile, che giunse solo il 21 aprile 1944 per decisione del governo provvisorio del generale de Gaulle che stabiliva “les femmes sont électrices et éligibles dans les mêmes conditions que les hommes”. 189 anni dopo Pasquale Paoli.

15 ottobre

Proponendo la creazione di una squadretta di navi per il controllo e la difesa delle coste, il viceré considera necessaria la costruzione di qualche nuova torre nelle terre più esposte e cita il caso delle marine di Arzachena nelle quali, quello stesso anno, i barbareschi hanno depredato le capanne dei pastori.