CronologiaMillesettecento

Correva l’anno 1799

Nel portolano di Sebastiano Gorgolione, pubblicato a Livorno, le isole dell’arcipelago maddalenino vengono chiamate ancora Buccinare; Porto Pozzo è chiamato Porto Passo.

Nella regione di Bonifacio si segnala lo sbarco di 300 transfughi contro i quali interviene la truppa armata.

Antonio Biancareddu è il terzo parroco dalla nascita della parrocchia Luca Demuro è il viceparroco. Per qualche tempo è viceparroco, fra gli altri, Giovanni Lantieri da Bonifacio.

1 gennaio

Il console francese a Cagliari, Jean Francìois Coffin, temendo un’occupazione inglese, lascia clandestinamente la Sardegna.

Correva l'anno 1799
Giorgio Andrea Des Geneys

30 gennaio

Spodestato da Napoleone, il Re Carlo Emanuele IV di Savoia è costretto a cedere alla Francia i suoi Stati di terraferma e il suo regno si riduce alla sola Sardegna. Quel che resta della flotta si raccoglie alla Maddalena, nella convinzione che un nuovo eventuale attacco dei francesi alla Sardegna possa avvenire attraverso la Corsica. Il comando del naviglio, fino ad allora esercitato dal carlofortino Vittorio Porcile, viene affidato a Giorgio Andrea Des Geneys, un nobile piemontese nato a Chiomonte nel 1761. Suo compito, oltre quello ovvio della difesa militare contro eventuali offensive di stati esteri, è il contrasto delle incursioni barbaresche, la repressione del fiorente contrabbando con la Corsica e il contenimento degli abusi dei corsari. L’Ammiraglio trova un interlocutore interessato e convinto, anche se purtroppo a corto di mezzi, nel viceré Carlo Felice; riesce cosi a potenziare in qualche modo la flotta con alcune navi e con nuovi equipaggi formati i gran parte da maddalenini. La Storia di quegli anni, così bene tratteggiata dal Prasca nella sua opera, è tutto un intreccio di calcoli per tenere in servizio il minimo di difese sufficienti alla difesa dell’isola, facendo ruotare l’armamento delle poche navi e tenendone alcune in disarmo, costruendo piccole torri litoranee di difesa, la dove non si poteva giungere con i navigli, controllando al centesimo la manutenzione dei legni, le munizioni, il vitto dei marinai, scovando fonti di possibile finanziamento. L’autore citato riporta un elenco di tali fonti da una relazione di Des Geneys di qualche anno più tardi, che mi sembra molto interessante: Sussidio ecclesiastico, Peschiere, Tonnare, Diritti di ancoraggio, Diritti di tonnellaggio, Prodotto bolle, Diritto di spedizione, Coralline, Fondi provenienti dalla vendita di corallo e altre tasse. Ma come mantenere una difesa valida con le entrate di uno Stato ormai ridotto alla sola Sardegna con non più di 300.000 sudditi, per lo più poverissimi? Eppure ciò che non risultava possibile con la logica della matematica, Des Geneys lo realizzò con la conoscenza degli uomini e l’intuizione strategica e organizzativa, e Carlo Felice con la diplomazia. Des Geneys intuì che il cuore della difesa marittima del regno era La Maddalena e il suo arcipelago, e ciò non soltanto per la felicissima posizione strategica, ma per la vocazione marinara dei suoi abitanti. Conosceva tutto di la Maddalena e delle bocche di Bonifacio, per avervi prestato servizio a bordo della “Beata Margherita” e conosceva l’indole eroica, disciplinata e autonoma degli uomini dell’isola imbarcati sulle navi di Sua Maestà. Di Questi uomini l’Ammiraglio scriverà al Re, dieci anni più tardi, di poter sempre contare su di loro a un solo suo cenno, “Come ho già avuto più volte prova di sperimentare essendo tutta la popolazione accorsa in massa quando sono stati da me richiesti.”. E il Prasca commenta che, “per iniziativa e impulso di Des Geneys , la piccola isoletta delle bocche di Bonifacio andava trasformandosi in quell’incomparabile vivaio di eccellenti marinai da guerra che sino ai giorni nostri rimane”. Nello stabilire a La Maddalena la base della Marina all’inizio del secolo, Des Geneys sapeva anche di poter fare pieno affidamento sul comandante di quella piazza, Agostino Millelire, che tante prove di valore e di fedeltà aveva già dato. Nel 1802 Re Carlo Emanuele abdico in favore del fratello Vittorio Emanuele I, di lui ben più vigoroso e fiero e subito dopo il Viceré Carlo Felice e il suo ammiraglio misero in moto una penetrante opera di convincimento per il potenziamento della flotta. Così nell’anno successivo, quest’ultimo poté andare a Napoli a ritirare due nuove mezze-galere, “Aquila” e “Falco”, cedute a prezzo moderato da quella corte alla Sardegna, e nuovi cannoni per la “Santa Teresa”. Per la lotta contro i barbareschi e i contrabbandieri, Des Geneys si adoperò anche alla fortificazione del porto di Porto Torres e della costa settentrionale oltre a far effettuare un minuzioso e continuo pattugliamento delle bocche di Bonifacio dalla squadretta di La Maddalena. Dal canto loro, sia il nuovo sovrano sia il fratello Viceré di Sardegna non avevano mai cessato di intrattenere ottimi rapporti con l’Inghilterra, anche quando negli ultimi due anni, la sua flotta era stata estromessa dal Mediterraneo dall’avanzata di Napoleone. Tale Attività diplomatica sortì i suoi effetti quando il Paese amico decise di riprendere il dominio su questo mare, affidando a Horatio Nelson il comando supremo della flotta Mediterranea. Egli può dunque considerarsi, a buon diritto il fondatore della Marina Sarda, dalla quale nascerà poi, nel 1861, la Marina Militare Italiana.

12 febbraio

Muore a Torino, il viceré di Sardegna, Vincenzo Balbiano. Nato a Chieri il 15 marzo 1729, primogenito di Ludovico Alberico, marchese di Colcavagno e governatore di Susa, e di Irene Luserna Bigliori, dama d’onore delle principesse piemontesi, seguendo la tradizione della famiglia intraprese la carriera militare, arruolandosi in marina. Fece il tirocinio sulle galere di Malta, poi, nel 1759, divenuto uno dei migliori ufficiali della marina di Savoia, fu nominato capitano della galera “S. Barbara”. Per la sua esperienza fu inviato, nel 1762, a Marsiglia e a Londra per trattare l’acquisto di nuove navi per la piccola flotta piemontese. Il 18 dicembre 1785 fu nominato maggior generale, e il 27 marzo 1789 tenente generale; da tempo, inoltre, era cavaliere gerosolimitano e balì di Malta. Il 9 settembre 1789 fu nominato governatore del Monferrato ed il 6 agosto 1790 gli venne affidato il vice-regno di Sardegna. L’incarico, onorifico ed ambito, era però di particolare responsabilità a causa della situazione dell’isola: oppressa da una secolare miseria, funestata dalla piaga del banditismo, sfruttata da una esosa e parassitaria classe feudale, la Sardegna da anni era agitata da un diffuso malcontento e da un endemico stato di rivolta, soprattutto dopo che l’ascesa al trono di Vittorio Amedeo III aveva segnato un arresto nell’introduzione delle riforme propugnate da Carlo Emanuele III e dal Bogino.

24 febbraio

L’ammiraglio Giorgio Andrea Des Geneys, sotto l’incalzare delle truppe giacobine, abbandona il Piemonte ormai invaso (e che verrà annesso alla Francia nel 1800) e sulla Rondinella accompagna in Sardegna il proprio sovrano. con una ventina di familiari e accoliti. Il piccolo convoglio, composto da sette vecchi bastimenti, è protetto durante il viaggio da una fregata inglese che aspetta i profughi al largo della Liguria. È la svolta per la storia, ma soprattutto, per l’economia di La Maddalena. All’altezza della Corsica, il convoglio si scinde in due blocchi: uno si ferma a La Maddalena, per determinazione dell’ammiraglio, che predilige una sede operativo-strategica, e uno continua il proprio viaggio fino a Cagliari, dove il re troverà una sede consona al proprio rango.

3 marzo

Perduti Villafranca e i velieri d’alto bordo, la marina conservava unicamente le 7 navi fatiscenti riunite ad Oneglia e condotte a Cagliari da Des Geneys nel marzo 1799 sotto scorta di una fregata inglese, più l’Armaletta Leggera riunita alla Maddalena. Radiate le galeotte e la Beata Margherita, restava una sola mezzagalera in disarmo (Santa Barbara), più il brigantino San Vittorio (comandato da Raimondo Mameli) con 42 uomini d’equipaggio (2 ufficiali, 2 di stato maggiore, 5 sottufficiali, 24 marinai, 1 mozzo, 1 forzato e 7 soldati), lo sciabecco Vittorio Emanuele, la goletta San Filippo e 4 gondole (Sardina e Bilancello con base alla Maddalena e Ardita e San Maurizio con base a Porto Torres). Nel 1799 Porcile acquistò a Mahon un secondo sciabecco battezzato Carlo Felice e classificato come guardacoste. Nel luglio 1800 il duca d’Aosta acquistò a Livorno, per 105.000 lire sarde (= 2.180.360 toscane), la galera ex-ligure Prima, presa il 23 maggio dagl’inglesi nel porto di Genova: ribattezzata Santa Teresa e armata di 2 cannoni di bronzo da trentasei e artiglierie minori, era tenuta di riserva per esigenze straordinarie e fu armata solo nel 1804, 1806 e 1810. L’equipaggio era di 346 uomini (6 ufficiali di vascello con 9 domestici, 6 di stato minore, 8 sottufficiali di manovra, 3 maestranze, 9 cannonieri, 71 marinai, 183 della ciurma e 51 soldati).

Carlo Emanuele IV di Savoia sbarca a Cagliari, con una piccola corte di familiari e collaboratori: ha abbandonato, fuggendo, il Piemonte invaso dalle truppe di Napoleone Bonaparte. La Sardegna offre così ai suoi sovrani, che pure stentano ancora a considerarla un possesso definitivo – una convenzione segreta con la Francia dell’aprile 1797 contiene l’impegno della sua cessione in cambio di un incremento territoriale sul continente –, un rifugio ed una base strategica per una futura ripresa. La presenza diretta nell’isola della famiglia reale da un lato imprime ulteriore vigore alla restaurazione politica e civile successiva ai moti angioiani, dall’altro fa guadagnare ai Savoia un nuovo consenso delle élite sarde, specie di quelle che si troveranno in qualche modo coinvolte nelle attività di governo e nella vita di corte. Le fortune maggiori arridono ai marchesi Giacomo Pes di Villamarina e Stefano Manca di Thiesi, che pervengono alle massime cariche del governo regio. Tra gli altri beneficati ci sono anche due esponenti della repressione antiangioiana: Efisio Luigi Pintor, che ottiene la Croce dei Santi Maurizio e Lazzaro e diviene segretario privato del duca del Chiablese, zio del re, e Giuseppe Valentino, che entra nel consiglio di Stato della Sardegna, alla cui presidenza assurge don Gavino Cocco, uno dei migliori esponenti della magistratura sarda, notevole anche per la vasta e moderna azienda agraria che ha creato in territorio di Quartu. Decise subito di riorganizzare, per quanto possibile, le forze armate e, in particolare, una sufficiente forza navale. Affidatane la costituzione e il comando a Giorgio Andrea Des Geneys, che si era distinto negli anni precedenti per l’impegno e l’abilità con cui aveva combattuto i pirati barbareschi e i Francesi nelle acque dell’Alto Tirreno, il Re si trovò ad avere una piccola squadra di 12 legni: una galera, la Santa Teresa, tre mezze galere, Santa Barbara, Aquila e Falco, il brigantino San Vittorio, la goletta San Filippo, le quattro gondole, Ardita, Bilancello, San Maurizio e Sardina, e i due sciabecchi Carlo Felice e Vittorio Emanuele. La squadra entrò subito in attività contro i pirati barbareschi, le cui incursioni, grazie all’impegno contro le navi francesi che distoglieva il naviglio sardo dal contrasto della pirateria, si erano intensificate negli ultimi anni. Così le incursioni si susseguivano, e numerosi isolani venivano deportati in Nord Africa, da dove pochi di loro sarebbero potuti tornare indietro, nonostante gli sforzi dei diplomatici del Re. Durante l'”esilio – rifugio” dei reali piemontesi in Sardegna, giunse a La Maddalena, il Des Geneys, (oggi giustamente riconosciuto il vero fondatore della Marina Sarda, dalla quale, per fusione con le Marine regionali doveva nascere nel 1861 la Marina Militare Italiana). Il Sindaco di La Maddalena è Antonio Ornano fu Giuseppe; Cogliolo Pietro e Variano Antonio Giovanni sono i consiglieri. Inviano una supplica al Re di Sardegna, Carlo Emanuele IV, per chiedere la costruzione di una nuova chiesa, più adeguata alle esigenze della popolazione di quella modestissima costruita dopo il 1780, ponendo la condizione al Balio che i materiali vengano portati sul posto. La comunità, appena nata, ha bisogno di simboli e valori dietro i quali riconoscersi, nello stesso anno diventa parroco Antonio Biancareddu, che resta in carica fino al 1808.

6 marzo

Il sovrano promulga l’amnistia per i reati politici e grazia gli imputati di delitti comuni.

aprile

In primavera, in seguito alle vittorie della seconda coalizione europea contro Napoleone, si teme in Corsica il rientro dei transfughi che, secondo il commissario Poggi, sarebbero riuniti a La Maddalena. Nella regione di Bonifacio si segnala lo sbarco di 300 transfughi contro i quali interviene la truppa armata.

14 maggio

Di Pietro Mamia, noto Luzitta, lucetta, per il suo sguardo fulminante, Ricci nel suo libro “Banditi. Storia dell’ammutinamento della Gallura, dei più famosi fuorilegge e delle principali faide della Gallura sabauda (1720-1848)”, ci dice subito che nacque ad Aggius nella seconda metà del Settecento, che era il fuorilegge più celebre e ricercato della Gallura sabauda, e che era «intelligente, scaltro, spregiudicato, opportunista e coraggioso, ma allo stesso tempo cauto e lungimirante, infallibile con lo schioppo e con la pistola». Poi lo consegna al lettore segnando le tappe più significative del suo destino: il primo omicidio, il 14 maggio del 1799, la formazione di un piccolo esercito di fedelissimi, la collusione con le autorità governative, le attività di contrabbandiere, lo scontro vincente con un’imbarcazione regia pilotata da Domenico Millelire mentre con un carico di bestiame rubato navigava per la Corsica; e subito dopo una vera e propria battaglia tra il suo “esercito” e alcune navi regie che dovettero darsi alla fuga per non essere affondate. A questo esordio fulmineo seguì una caccia feroce contro di lui: un contingente, misto di cacciatori esteri e di miliziani di Cagliari al comando del tenente Giorgio Francesco De La Flechere, che cerca di acciuffarlo, si salva dalla disfatta con la fuga. Sarà poi il cav. Pes di Villamarina, comandante militare della Gallura a tentarne inutilmente la cattura. A dispetto di altri agguati per eliminarlo, di altri scontri, della taglia di 500 scudi sulla sua testa, del pregone di Placido Benedetto di Savoia, conte di Moriana, emanato il 15 luglio 1801 quasi esclusivamente per lui, ritroviamo Luzitta, l’uomo dagli occhi di fuoco, in Corsica, nei pressi di Bonifacio, assieme ad alcuni esuli politici sardi che si autodefinivano rivoluzionari seguaci del famoso Alternos Giovanni Maria Angioy: il notaio cagliaritano Francesco Cilocco, il teologo Sanna Corda e il professor Obino. Conoscendo la spregiudicatezza e il seguito di fedelissimi su cui Pietro Mamia poteva contare lo invitano a far parte di un loro progetto: scatenare con l’appoggio della Francia una sommossa in Gallura per instaurarvi una repubblica sarda. Mamia, che non nutriva nessuno interesse verso le questioni politiche, aderì per cercarvi un suo possibile tornaconto. Fece finta di credere al Sanna Corda che dava per certo l’intervento di 5000 rivoluzionari franco corsi, e mandò a dire ai suoi amici galluresi di organizzarsi per una grande impresa che il Cilocco, pronto allo sbarco in Gallura, avrebbe loro illustrato. Il piccolo “esercito” si ricompose immediatamente e il Cilocco, esaltato dalla vista di tanti uomini armati, mandò a dire al colonnello Giacomo Pes di Villamarina che gli uomini di Pietro Mamia, altri rivoluzionari e truppe franco corse stavano per bombardare e saccheggiare Tempio. Ma contemporaneamente Pietro Mamia avvertiva in gran segreto il Villamarina assicurando che i suoi uomini non avrebbero partecipato all’impresa. E fu di parola: li ritirò prima dell’attacco con la scusa del mancato intervento franco-corso. Nel frattempo Sanna Corda, sbarcato con pochi uomini in Gallura e occupata la torre di Longo Sardo, venne catturato ed ucciso dai soldati al comando del luogotenente Ornano. Vennero catturati anche due giovani aggesi, destando l’ira dei parenti che, appreso della morte del Sanna Corda si diedero alla caccia del Cilocco ritenuto responsabile dell’accaduto. Si unì alla ricerca anche un contingente di miliziani volontari assoldati dal governo: il povero Cilocco fu catturato, flagellato e impiccato. Pietro Mamia aveva fatto bene i suoi conti: ottenne, come ricompensa per aver contribuito a salvare Tempio dal saccheggio, la grazia assoluta. Sciolto da ogni impegno, visse fino a tarda età nella sua nuova casa di Aggius, che si era fatto costruire nel 1803, come si può leggere ancora nell’architrave. La vecchia volpe aveva perso il pelo: il vizio non del tutto. «Dopo tale anno», scrive Ricci, «il nome di Pietro Mamia, che per anni aveva seminato morte e terrore, scomparve definitivamente dalle cronache giudiziarie galluresi. Lo ritroveremo, suo malgrado, in una faida scoppiata diversi anni dopo tra le famiglie Mamia-Spezzigu e Carta-Muntoni, quando, per l’età avanzata e per una serie di circostanze, ad Aggius, non faceva ormai più paura a nessuno.

26 maggio

Le truppe austriache entrano vittoriose a Torino.

5 giugno

Un editto fissa la ripartizione del contributo straordinario di 165,000 scudi approvato dagli Stamenti per concorrere alle spese eccezionali per la permanenza della corte nell’isola.

20 giugno

Corso forzoso dei biglietti di credito. La Regia Segreteria di Stato comunica l’avvio di un’indagine per individuare e abolire le prestazioni feudali illegittime.

luglio

In luglio transitano per La Maddalena 50 corsi, emigrati, di passaggio per Maone sulle due gondole Ferrandini e Cotogno.

9 agosto

Muore in Cagliari, per vaiolo, in età di tre anni, il figlio del duca d’Aosta, poi re Vittorio Emanuele I. Nominato Carlo Emanuele. Vivendo avrebbe dovuto succedere al trono dei suo avi. Veniva seppellito nel Santuario del Duomo.

28 agosto

In una solenne ‘‘rappresentanza’’ gli Stamenti fanno atto di umiltà e di ubbidienza al sovrano e, rinunciando alle concessioni ottenute, chiedono al re l’autorizzazione a riunirsi nel decennio di sospensione delle Corti e la deroga alla esclusività delle cariche in cambio di un’astratta possibilità di concorrere agli impieghi negli stati di terraferma.

9 settembre

Carlo Felice, governatore di Cagliari e generale delle armi, offre una taglia di 500 scudi per la cattura del ‘‘tribuno’’ cagliaritano Vincenzo Sulis, accusato di aver progettato una congiura anti-monarchica.

settembre

In luglio transitano per La Maddalena 50 corsi, emigrati, di passaggio per Maone sulle due gondole Ferrandini e Cotogno.

18 settembre

Il sovrano crea la commissione, preannunciata nella circolare del 28 giugno, per l’indagine sugli abusi feudali.

19 settembre

Carlo Emanuele IV parte da Cagliari a bordo di una nave inglese con l’obiettivo di riprendere possesso degli stati di terraferma.

14 ottobre

Un’altra flottiglia tentò uno sbarco alla Maddalena spiccando sulla spiaggia 2 cannoniere e 12 altre scialuppe, che furono però respinte a cannonate e fucilate dalla milizia comandata dal solito Domenico Millelire: “Tranquillissimo ad onta della da molti temuta invasione de’ turchi apparsi alla Maddalena con 18 vele, vi auguro fauste e felici le prossime feste, aggiungendovi la nuova d’essersi dileguata da Alghero e la fregata e ‘l brich e la corvetta omine valde bono. Abbracciate il nostro Pietro carezzato cotanto dal nostro Francesco, anzi da tutti i Rossi e Gastaldi come lo merita, e confortatelo a non temere i Turchi, che certamente non ardiranno ghermirgli la sua cara metà, che da lui lontana di giorno in giorno divenne più sana gaia vispa rosea vegeta…”. Lo stralcio di missiva fa riferimento ad un attacco arabo che l’ Isola subì il 14 ottobre 1799 e che la popolazione locale, capeggiata da D. Millelire, respinse. (Una squadra tunisina getta l’ancora a sei miglia di distanza dall’isola della Maddalena. Il comandante dell’isola, Domenico Millelire armò la popolazione, la schierò sulla spiaggia di fronte al nemico e fece tuonare i cannoni. I Tunisini presi dalla paura si ritirarono e volsero le vele verso l’isola di Caprera. Il fatto è riferito da Pietro Martini nella sua Storia dal 1799 al 1816, in continuazione della Storia del Manno. Una flottiglia tunisina, con settecento uomini la notte del 5 giugno del 1806 sbarca nelle spiagge di Orosei. La popolazione riesce a mettere in fuga i nemici: ottanta e più caddero fra morti e feriti, a fronte di un solo sardo morto e un ferito: la fonte è Pietro Martini. Benché sconfitti a Orosei i Tunisini continuarono a corseggiare: predarono alcuni legni mercantili e sbarcarono sulle spiagge dell’Ogliastra e del Sarrabus, facendo schiavi. Questi furono riscattati nel 1803, pagando quarantotto mila lire o scambiando africani incatenati nell’Isola. I primi due decenni del secolo XIX registrano una serie di scontri fra navi della Marina sarda e barbaresca nei mari intorno all’Isola: in alcuni di questi si distinsero per valore, (e anche per i danni inferti agli aggressori) il nocchiero Tomaso Zonza e Domenico Millelire, già segnalatisi in occasione del tentativo francese del 1793 contro La Maddalena, e il comandante Vittorio Porcile.

ottobre

In ottobre, sette grossi bastimenti, forse sciabecchi tunisini, sono nelle acque di La Maddalena, ma per il forte vento devono ripartire verso Mortorio: il comandante Pandini accorre da Tempio con molti galluresi. “Nell’estate comparvero i tunisini e tosto uscì in corso dall’isola della Maddalena il naviglio sardo capitanato dal barone Giorgio Andrea Des Geneys e forte di una galera, due mezze galere, uno sciabecco, ed una scialuppa armata visitate le coste occidentali dell’isola si spinse alle marine di Tunisi e la il 16 settembre discoperse una galeotta ed un felucone tunisini, armati l’uno di due obici, l’altro di quattro cannoni, con ottantasette uomini d’equipaggio, raggiuntili li fulminò orrendamente. La galera sulla galeotta, le due mezze galere sopra il felucone si rovesciarono, e dopo breve pugna, in che dei Tunisini 14 caddero uccisi, la vittoria fu dei Sardi. Il Des Geneys colla squadriglia e le due navi predate, tornò alla Maddalena, fra le acclamazioni del popolo”.

9 novembre

Colpo di stato in Francia.

28 novembre

Le pressioni esercitate da tutta la comunità isolana, che ormai quasi totalmente era scesa a Cala Gavetta, raggiungevano il loro scopo. Si decideva finalmente di costruire la nuova chiesa che veniva dedicata a Santa Maria Maddalena, mentre la chiesetta di “Collo Piano” veniva intitolata alla SS. Trinità. “L’anno del Signore 1799, allì 28 del mese di Novembre in l’Isola di Maddalena e nella curia giudiziale avanti a me Bailo (Fravega) e testimoni sottoscritti, si sono fatti comparire personalmente…[segue un lunghissimo elenco di abitanti di La Maddalena], tutti capi di famiglia dei più benestanti della detta Isola, e al tempo stesso il sottoscritto Bailo le ha presentato il disegno e calcolo per la spesa da farsi alla fabbrica della nuova chiesa che devesi erigere in questa nuova popolazione… ed anche a nome di tutta la comunità di sottomettersi, come si sottomettono di spontanea e libera volontà di trasportare tutti quanti i materiali di ogni qualità e che saranno necessari alla detta fabbrica…“.

10 dicembre

L’isola, per il sistema delle fortificazioni, per la sicurezza delle sue cale e per la fedeltà dimostrata dai suoi abitanti alle insegna savoiarde, viene definita “base marittima”. All’epoca esistevano già la Torre di Santo Stefano, la Batteria Balbiano, il Forte Sant’Andrea, la Batteria Sant’Agostino, il Forte San Vittorio e il Forte Santa Teresa. Dove è oggi il comando della Guardia di finanza, venne costruita la residenza di tipo coloniale per il Bailo e per il comando marittimo. Ma l’arrivo del Des Geneys contribuisce, in particolare, a far crescere le strutture necessarie per l’assistenza dei velieri militari. Le prime modeste abitazioni di La Maddalena cominciano invece a sorgere sul versante di ponente, nel declivio detto “Spiniccio”, lungo le odierne vie Cloro, Gianicolo, Cissia, Guerrazzi. Nella parte pianeggiante e più interna della cala sono stati eretti già in precedenza, come abbiamo visto, baracche, capannoni e magazzini militari. Per iniziativa del Des Geneys, ma pare anche su suo disegno, vengono costruite due nuove fortificazioni: una a La Maddalena chiamata Forte Carlo Felice, e l’altra nell’isoletta di Santo Stefano, denominata Forte San Giorgio. Sorge un ospedaletto militare, in parte tutt’ora in piedi, al confine col Lazzaretto, tra la via Domenico Millelire ed il cortile attualmente occupato dall’albergo “Flat House”. Verso il 1820, per impedire che con le mareggiate di maestrale l’acqua raggiunga l’interno delle “baracche”, vengono costruiti i primi rudimentali bordoni di banchinamento. Negli anni successivi è tale lo sviluppo del centro abitato che, già nel censimento del 1871, la città appare articolata in più sezioni: Marina, Castelletto, Quarantena.