CronologiaMilleottocento

Correva l’anno 1813

Correva l'anno 1813Octavien Aldovrandi è sindaco di Bonifacio. Dall’Eremitaggio della Trinità scompare la statua rappresentante la Trinita: responsabili del furto sarebbero dei banditi sardi che avrebbero trasportato e nascosto la sacra immagine nella chiesa di Trinità d’Agultu.

Giuseppe Bertoleoni si stabilisce, con la moglie e la cognata, nell’isola di Santa Maria. Qui riatta i ruderi della chiesetta medievale nota come Santa Maria di Budelli, pianta vigne e dissoda il terreno per le semine.

Caso di contrabbando sulla spiaggia di Palau: un carico di formaggio fino diretto a La Maddalena è  sequestrato dal delegato patrimoniale di Tempio, Giovanni Franco.

Prima scuola regolare privata: il sacerdote Luca Ferrandico firma un contratto per sei anni per l’insegnamento primario a 16 bambini.

Su indicazione della regina di Sicilia, alla Maddalena viene arrestato l’abate Ruopolo, siciliano, accusato di spionaggio, che dopo una breve reclusione nelle carceri di Sant’Andrea viene rimandato a Palermo.

Giovanni Ornano è sindaco di La Maddalena. Secondo il censimento redatto dal bailo, gli abitanti sono 1663. Dalle note relative all’allevamento risulta che nell’arcipelago vi sono 174 bovini e circa 800 ovini.

gennaio

Un manifesto affisso in tutte le contrade del regno ordinò la cattura dei cospiratori dell’ottobre 1812 ancora latitanti,  promettendo una ricompensa di 300 scudi e l’impunità per qualunque reato a chi avesse catturato un ricercato. Il 13 maggio di quello stesso anno, dopo un rapido processo, furono impiccati Sorgia e Putzolu e condannati a morte in contumacia Gaetano Cadeddu, Zedda, Fanni e Garau, all’ergastolo Floris, a venti anni di carcere Luigi Cadeddu. Tanti altri furono banditi dall’isola, mentre Salvatore Cadeddu, catturato nell’iglesiente, fu impiccato il 2 settembre. Gli atti del processo scomparvero quasi subito dagli archivi e circolò voce che gli imputati avessero fatto, in confessione, un nome illustre quale capo segreto della rivolta. Si fece il nome del marchese di Villahermosa, alto funzionario della corte di Carlo Felice e antagonista dell’altra corte cagliaritana del re Vittorio Emanuele I. La sparizione dei documenti potrebbe essere giustificata proprio dalla esigenza di non rivelare il nome del Marchese di Villahermosa che avrebbe coinvolto nella cospirazione lo stesso principe Carlo Felice. Solo congetture o pura realtà? Non avremo mai una risposta.

13 febbraio

Perduti Villafranca e i velieri d’alto bordo, la marina conservava unicamente le 7 navi fatiscenti riunite ad Oneglia e condotte a Cagliari da Des Geneys nel marzo 1799 sotto scorta di una fregata inglese, più l’Armaletta Leggera riunita alla Maddalena. Radiate le galeotte e la Beata Margherita, restava una sola mezzagalera in disarmo (Santa Barbara), più il brigantino San Vittorio (comandato da Raimondo Mameli) con 42 uomini d’equipaggio (2 ufficiali, 2 di stato maggiore, 5 sottufficiali, 24 marinai, 1 mozzo, 1 forzato e 7 soldati), lo sciabecco Vittorio Emanuele, la goletta San Filippo e 4 gondole (Sardina e Bilancello con base alla Maddalena e Ardita e San Maurizio con base a Porto Torres). Nel 1799 Porcile acquistò a Mahon un secondo sciabecco battezzato Carlo Felice e classificato come guardacoste.
Nel luglio 1800 il duca d’Aosta acquistò a Livorno, per 105.000 lire sarde (= 2.180.360 toscane), la galera ex-ligure Prima, presa il 23 maggio dagl’inglesi nel porto di Genova: ribattezzata Santa Teresa e armata di 2 cannoni di bronzo da trentasei e artiglierie minori, era tenuta di riserva per esigenze straordinarie e fu armata solo nel 1804, 1806 e 1810. L’equipaggio era di 346 uomini (6 ufficiali di vascello con 9 domestici, 6 di stato minore, 8 sottufficiali di manovra, 3 maestranze, 9 cannonieri, 71 marinai, 183 della ciurma e 51 soldati). Nel 1801 il piccolo cantiere di Porto Torres produsse una scialuppa addetta alla galera, e nell’autunno 1803 una gondola (del costo di 200 scudi e sotto la direzione del nocchiero La Guerra) in sostituzione della Sardina predata dai tunisini.
Per ragioni di bilancio nell’estate 1803 fu messo in disarmo il regio sciabecco. In compenso si cercarono aiuti a Napoli e l’11 ottobre il ministro sardo, marchese Pasqua, riferiva che re Ferdinando IV aveva concesso 6 cannoni di bronzo da dodici con 200 palle per armare la galera: un dono che Des Geneys stimava del valore di 14.000 ducati (circa 60.000 franchi). Pochi giorni dopo, Pasqua trasmetteva la proposta del ministro della marina, Forteguerri, di donare alla marina sarda anche due delle 10 mezze galere napoletane in disarmo, in cambio tuttavia di un po’ di ferro o altro materiale per l’arsenale, tanto per farlo sembrare un acquisto a titolo oneroso ed evitare così sospetti o gelosie da parte della Francia. Furono così acquisite le mezze galere L’Aquila e Il Falco, armate con un pezzo da trentasei e con equipaggi di 137 uomini (2 ufficiali, 5 di stato minore, 7 sottufficiali di manovra, 1 maestranza, 56 marinai, 40 della ciurma, 23 soldati e 3 domestici), che effettuarono la crociera estiva del 1804 insieme alla galera (346) e ad altre 3 unità minori (la goletta, lo sciabecco e la peniche Speditiva). Nei mesi invernali il pattugliamento era svolto dalla Speditiva e dai lancioni Sant’Efisio e Benvenuto basati a Porto Torres.
Nel gennaio 1806 lo sciabecco Carlo Felice fu venduto per 1.800 scudi sardi. Il 18 ottobre 1809 fu disposta la vendita della polacca S. Cristo e del legno e del carico predati dal cavalier Cugia, versandone l’importo all’intendenza generale delle finanze a beneficio della marina.
Nel 1810, per dimostrare alla Francia che il regno era in condizione di attuare rappresaglie contro il blocco continentale, furono armate ben 13 unità, con 983 uomini e 108 pezzi (28 carronate, 48 cannoni, 2 obici e 30 spingarde): erano la galera, le mezze galere, la galeotta Bella Genovese, i lancioni Sant’Efisio e Benvenuto, i brigantini Carloforte e S. Vittorio, gli sciabecchi Vittorio Emanuele e Generoso, la gondola Carolina e la tartana Tirso, più una speronara con marinai sardi e bandiera inglese. Nell’inverno 1811 furono mantenute in armamento solo 4 unità (gli sciabecchi Generoso e Ichnusa, il lancione Sant’Efisio e la tartana Tirso) con 354 uomini d’equipaggio, cui si aggiunsero da aprile a settembre mezze galereere (con altri 284 uomini). Queste ultime e il Sant’Efisio presero parte il 28 luglio al combattimento di Capo Malfatano contro tre corsari tunisini, lo scontro di maggiori dimensioni sostenuto dalla marina sarda dopo l’impari combattimento dell’Isola di Hyères (1794).
Secondo l’arciduca Francesco «nel 1811 la galera era già inservibile e in disarmo alla Isola Maddalena, le due mezze galere, la gagliotta, i lancioni e uno sciabecco erano armati d’estate e nell’inverno s’armavano gli altri due sciabecchi invece delle mezze galere e della galiotta, che si disarmavano (…) Nel 1812, per mancanza di denaro della regia cassa restarono tutte le navi in disarmo, fuori d’uno sciabecco, la tartana, la galliotta e il lancione». L’arciduca stimava che, a causa del disarmo, il costo annuo della marina fosse ridotto a circa 40.000 scudi, di cui 20.700 per paghe di 23 ufficiali e 90 marinai di pianta fissa, 7.300 per le riparazioni, 8.000 per l’armamento e 4.000 di spese straordinarie. Il “piano economico” per la marina, presentato da Des Geneys, fu approvato dal re con lettera del 13 febbraio 1813.

27 febbraio

Prima emissione per la zecca di Cagliari istituita nell’anno precedente: un editto l’autorizza a coniare reali d’argento per un valore complessivo di 4.000 lire sarde.

6 marzo

Nel post scriptum, inviata alla Segreteria di Stato, il Comandante Millelire racconta che Ambrogio Casabianca e Pasquale Altieri, con un suo nipotino, vennero fatti prigionieri da un corsaro francese mentre si recavano a Malta sotto bandiera inglese, trasportati prima a Napoli e poi a Roma riusciranno a fuggire e con una scialuppa partiranno da Fiumicino e arriveranno alla Maddalena il 6 marzo dopo un giorno di navigazione. Ambrogio Casabianca, che si sposò a Tempio, aveva una relazione con Santa Ornano, figlia di Salvatore e Maria Fiore Altieri, vedova del corsaro Nicola Semonry, che l’aveva sposato nel 1807. Da questa relazione nascono dei figli che nel registro parrocchiale de La Maddalena vengono definiti spuri, legittimati solo dopo la morte della prima moglie di Ambrogio (1856) e il conseguente matrimonio con Santa (1857). I figli sono Anna Maria – che si sposerà nel 1846 con il notaio di Bonifacio Francesco Saverio Serafino e farà parte di una famiglia di alti responsabili militari, l’ultimo dei quali fu il generale Antonio che viveva ad Ajaccio – Pasquale e Maria Fiore.

aprile

I delegati patrimoniali che controllano una gondola sospetta nella cala dello Strittogghju (Santa Teresa Gallura) vengono accolti a fucilate. Nello scontro muoiono il patrimoniale Matteo Muntoni Monico e il contrabbandiere Cicceddu Decandia Brandincu. È questo l’ultimo episodio di banditismo commesso nel territorio controllato da Magnon prima della sua morte (14 luglio) in un agguato: l’assassino viene identificato in Antonio Battino.

13 aprile

Viene nominato capitano del porto della Maddalena, il maddalenino Giovanni Battista Albini. (con paga di 1.000 lire)

primavera

Un vero colpo di scena dell’amministrazione della giustizia in Anglona. Un insolito caso di “dolosa negligenza” di cui fu protagonista il sacerdote Gavino Carta, allora parroco di Laerru. A dare notizia della curiosa vicenda, verificatasi tra la primavera e l’estate del 1813, è stato per la prima volta nel 1966 il periodico diocesano “Gallura e Anglona”. Più recentemente, la notizia è stata ripresa da un’altra rivista territoriale, “La Frisaia”. L’articolo pubblicato dai due giornali informava sull’arresto del religioso Gavino Carta messo in atto dalle autorità giudiziarie del tempo per volontà del vescovo Stanislao Paradiso. L’accusa, poco lusinghiera, sarebbe stata quella di non aver mai restituito la somma di 37 scudi, due soldi e sei denari, dovuta a Domenico Millelire, il nocchiero della Marina sarda che era stato insignito della medaglia d’oro per avere respinto il tentativo di occupazione dell’isola della Maddalena da parte di Napoleone Bonaparte, allora giovane ufficiale, che aveva da poco concluso gli studi presso l’Accademia militare francese. Allora, Laerru, insieme a tutta l’Anglona, era uno dei centri cui si rivolgevano preferenzialmente i mercanti e gli uomini d’affari della Gallura per approvvigionarsi di grano. Il fatto che l’Anglona fosse considerata, sin dai tempi dell’occupazione romana, il granaio del nord Sardegna non è certo un mistero. Fu così che Domenico Millelire scelse Laerru, individuando in Gavino Carta, forse amministratore della ricca prebenda parrocchiale, oltre che vicario coadiutore di don Giuseppe Carcupino, rettore di Laerru, la persona più indicata per portare a termine la transazione. Conti alla mano, soppesando la quantità di grano realmente ottenuta e la cifra versata, Millelire si accorse che non tutto quadrava. Iniziò così a esigere i 37 scudi, frutto forse dell’involontaria “cresta” del religioso. Questi si dimostrò però più recalcitrante del previsto, tanto che i ripetuti solleciti di Domenico Millelire rimasero tutti inascoltati. E così fu per un po’ di tempo, a quanto pare, anche per l’ammonizione del vescovo di Ampurias e Civita, che richiamò il prete di Laerru sotto l’ordine del governatore di Sassari, il conte Revel. Insomma, la faccenda rischiò allora di complicarsi ulteriormente, se il religioso non fosse sceso a più miti consigli. Quelli, in parole povere, del suo vescovo, che, visti comunque gli sviluppi della vicenda, non riuscì ad evitargli qualche giorno di detenzione nelle carceri ecclesiastiche di Castelsardo. La drastica misura della prigione risultò piuttosto efficace. Il debito venne saldato, il creditore rimborsato e Gavino Carta fece ritorno a Laerru. Delle carceri ecclesiastiche di Castelsardo, dove il religioso ebbe modo di ravvedersi, si sa ancora ben poco. Due anni dopo la vicenda di don Gavino Carta, un suddiacono tempiese, don Peppino Sardo Piccolomini, riuscirà a evadere. Segno che forse le prigioni sarde dell’epoca, ecclesiastiche e non, non offrivano garanzie per un soggiorno di tutto riposo.

13 maggio

Lasciano la testa sul patibolo Raimondo Sorgia, conciatore, e Giovanni Putzolu, sarto, entrambi cagliaritani, come rei della famosa congiura ordita nel luogo detto Palabanda dall’avv. Salvatore Cadeddu e dai suoi figli avvocati Luigi e Gaetano, giusdicente questi della baronia di Quarto; dal fratello Giovanni, tesoriere dell’Università; da Giuseppe Zedda, prof. all’Università, dagli avvocati Francesco Garau ed Antonio Massa Murroni, ai quali si univano Paqsquale Fanni, orefice; Ignazio Fanni, pescatore, e Giacomo Floris.

23 maggio

Il dodicenne Antonio Pietri viene ucciso brutalmente da alcuni forzati. L’immediata scoperta dei colpevoli scongiura una reazione popolare.

fine maggio

Pirati provenienti da Tripoli tentano uno sbarco presso la tonnara di Cala Sapone. Per la Sardegna inizia un periodo drammatico: i pirati tunisini e poi quelli algerini si aggiungono ai libici. Per la prima volta nella sua storia l’isola subisce il contemporaneo attacco delle tre reggenze africane; le incursioni e le razzie di schiavi non risparmiano neppure le protette coste settentrionali della Nurra e di Alghero.

11 giugno

Divieto d’approdo per tutte le imbarcazioni provenienti da Malta, flagellata dalla peste bubbonica.

14 luglio

In aprile i delegati patrimoniali che controllano una gondola sospetta nella cala dello Strittogghju (Santa Teresa) vengono accolti a fucilate. Nello scontro muoiono il patrimoniale Matteo Muntoni Monico e il contrabbandiere Cicceddu Decandia Brandincu. È questo l’ultimo episodio di banditismo commesso nel territorio controllato da Magnon prima della sua morte (14 luglio) in un agguato: l’assassino viene identificato in Antonio Battino.

25 agosto

Dura reazione violenta dei maddalenini che rischiò di coinvolgere anche Desgeneys e Millelire, la popolazione si indignò a causa dell’omicidio del dodicenne Antonio Pietri ad opera di alcuni condannati ai lavori forzati e di soldati del Corpo Franco.

17 settembre

Nasce Giovanni Battista Culiolo da Silvestro e Rosa Fienga, di origine corsa, ad 11 anni si arruolò nella Regia Marina Sarda, come mozzo; probabilmente fu in quel momento che, come da tradizione della marineria regia, venne assegnato al giovane Culiolo il nome di guerra, di LEGGERO, magari in relazione alla sua giovanissima età o agilità o esile corporatura. Sul finire del 1838 venne imbarcato come marinaio di 1a classe sulla Regia fregata “La Regina”.
Partendo in addestramento da Genova toccò i porti del Sudamerica, prima in Brasile poi in Uruguay, a Montevideo. Durante quest’ultima sosta, nel marzo del 1839, Leggero venne a conoscenza delle gesta di Garibaldi, che già dal 1836 si batteva per l’indipendenza della provincia repubblicana del Rio Grande do Sul dall’oppressione dell’Impero del Brasile: promotori della secessione della ricca provincia del Rio Grande erano Bento Conçalves e Livio Zambeccari, patriota bolognese esule in Sudamerica dopo la partecipazione ai moti carbonari del 1821.
In quelle circostanze, probabilmente maturarono le prime idee politiche di Giovanni Battista Culiolo il quale, con la mente pervasa dalle gesta che da circa tre anni Garibaldi e gli esuli italiani compivano in quelle terre, il 3 marzo 1839 mandato a terra con una lancia nel porto di Montevideo, per i servizi della fregata su cui era imbarcato, decise di disertare.
A Montevideo si rivolse al Centro di aiuto per gli emigrati che faceva capo al ligure Giovanni Battista Cuneo, esponente locale della Giovine Italia, anche esso esule dal 1833 in Sudamerica. Nella capitale uruguaiana Leggero per le sue ottime qualità di marinaio e di abile artigliere venne arruolato ed entrò a far parte della 1a Legione della Repubblica, formata quasi interamente da esuli italiani, che prenderà quindi il nome di Legione Italiana.
Garibaldi, dopo circa sei anni, passati a difendere l’indipendenza della provincia del Rio Grande do Sul, decide nel giugno del 1841, dopo aver conosciuto Aninha Ribeiro da Silva, poi per sempre Anita, la quale nell’anno prima, settembre 1840, aveva messo al mondo il loro primogenito Menotti, di stabilirsi a Montevideo, ove la libera Repubblica orientale dell’ Uruguay, presieduta dal generale Fructuoso Rivera, era minacciata dalle mire espansioniste del dittatore argentino Juan Manuel de Rosas, che voleva impossessarsi delle due rive del Rio de la Plata.
Garibaldi ottenuto l’incarico, prima di organizzare la piccola flottiglia uruguaiana, ottenne nel 1843 il compito di costituire la legione degli esuli italiani a Montevideo. Fu questo il primo corpo ragguardevole di patrioti italiani che Garibaldi comandò, furono essi i primi a portare la famosa camicia rossa, furono questi esuli che, nel 1848, alle notizie dei moti popolari in tutta Italia, torneranno con Garibaldi in Italia.
Leggero si distinguerà nelle file della Legione Italiana, in particolare nella famosa battaglia di Sant’Antonio del Salto nell’8 febbraio 1846, insieme all’altro maddalenino Antonio Susini Millelire, ambedue ufficiali nella marina uruguaiana. Per riconoscenza il governo di Montevideo concesse ai volontari italiani di portare al braccio una placca con la scritta ”Invincibili combatterono l’8 febbraio 1846”:
Rientrato dunque in Italia nel 1848, Leggero, partecipò alla prima guerra d’Indipendenza con il Corpo dei volontari al seguito di Garibaldi col nuovo grado di capitano prendendo parte a vari scontri e distinguendosi a Luino e Morazzone nell’agosto di quell’anno.
Terminata la campagna di Lombardia, Garibaldi con un gruppo di volontari tra cui Leggero, raggiunse Roma, ove era scoppiata a novembre del 1848 un’insurrezione popolare che aveva determinato la fuga di papa Pio IX a Gaeta. Roma divenuta il centro degli avvenimenti nazionali, proclamata la Repubblica nel marzo del 1849 dovette essere difesa dall’attacco dei francesi intervenuti per ripristinare lo stato pontificio.
Garibaldi ed i legionari accorsi a difesa della Repubblica combatterono con grande audacia fino all’ultimo.
Leggero, promosso maggiore d’artiglieria, dopo la sua partecipazione ai fatti d’arme del 30 aprile in Porta San Pancrazio alla testa di una compagnia, si segnalò per il coraggio di condurre i giovani legionari nei furiosi assalti alla baionetta che tanto sgomentavano le truppe francesi. Il 3 giugno, nel respingere l’assalto delle truppe francesi del generale Oudinot, Leggero, ferito al piede sinistro, senza il pollice e metacarpo della mano sinistra, il petto e la testa solcata da ferite, si ritirava solo a notte dai combattimenti.
Dopo quasi un mese, il 2 luglio Garibaldi con 4000 uomini rimasti, lasciò Roma, indifendibile, in mano ai francesi di Napoleone III, con l’intento di raggiungere Venezia che ancora resisteva. Leggero, nonostante non fosse pienamente guarito, a fine luglio usciva da Roma per unirsi di nuovo a Garibaldi a San Marino. A Cesenatico i volontari rimasti si imbarcarono sui bragozzi per tentare di raggiungere Venezia, ma intercettati dalla flotta austriaca dovettero prender terra nelle paludi di Comacchio, dove Leggero rimase solo con Garibaldi ed Anita, gravemente ammalata.
Morta Anita il 4 agosto ’49 alla fattoria Guiccioli presso le Mandriole, rimasti soli, Garibaldi e Culiolo attraversarono per quasi un mese il territorio romagnolo e toscano – la cosiddetta “trafila” – raggiungendo il 2 settembre la costa tirrenica, per poi sbarcare a Chiavari dove vennero arrestati e mandati in esilio.
Raggiunta in seguito l’America Latina, Leggero combatté in Costarica a difesa della giovane repubblica che, dopo essersi liberata dal dominio spagnolo, aveva abolito la schiavitù fra il 1856 e il 1857 ed era minacciata dall’invasione dello schiavista nordamericano William Walker. In tali frangenti Leggero nel corso di un combattimento perse il braccio destro, amputato per una ferita da scheggia di bomba.
Nel 1860, essendo venuto a conoscenza della Spedizione dei Mille, rientrò dal Costarica in Italia ma non fece in tempo a partecipare alla campagna meridionale, giungendo a spedizione ormai conclusa.
Rientrato a La Maddalena, fu quasi sempre a Caprera con Garibaldi.
Morì nella sua isola a causa di un avvelenamento da funghi, il 14 gennaio 1871.

18 ottobre

Battaglia di Lipsia.

31 ottobre

La città di Cagliari ottiene un grosso prestito dai Monti di soccorso per pagare ai mercanti e alle comunità rurali il grano fornitole durante la carestia.

19 dicembre

Muore a La Maddalena Maria Antonietta Suzzarelli, moglie di Giovanni Brandi, avvocato e console inglese nell’isola. La loro figlia Anna Maria sposò Vito Tomaso Serafino , Ufficiale cacciatore della Grande-Armée, poi luogotenente del re a Bonifacio, poi comandante del luogo fino alla morte.