CronologiaMilleottocento

Correva l’anno 1832

Nel diario tenuto da Roberts a cominciare da questa data si trovano due descrizioni degli abitanti del golfo di Arzachena e di Santa Teresa. Roberts riferisce che il comandante di Santa Teresa è stato ferito per un colpo d’arma da fuoco sparato da uno dei tanti malviventi che trafficano nella zona.

Domenico Baffigo è sindaco di La Maddalena.

Antonio Addis diviene parroco della parrocchia Santa Maria Maddalena. Ricoprirà tale ufficio fino al 1852. Suoi vice sono Michele Mamia Addis e Domenico Rumaneddu.

Nell’arcipelago si riprende la raccolta del lichene tintorio, già sperimentato nel decennio 1768/1778, a opera di William Sanderson Craig, dipendente della Casa Mackintosh di Glasgow, che diverrà console a Cagliari e farà parte della nutrita schiera di inglesi sempre presente alla Maddalena durante tutto il XIX secolo. Sono note e riconosciute le sue doti di disegnatore e pittore (suo è fra l’altro il progetto del portone della chiesa del 1822): egli firmerà un importantissimo documento iconografico del centro abitato e di Cala Gavetta, databile alla seconda metà dell’Ottocento. Craig si fa promotore dell’iniziativa di abbellire la facciata della chiesa con un orologio che intende donare in cambio di una palla di cannone lanciata da Napoleone nel 1793 e conservata in paese.

Gli incendi che affliggono la Sardegna, dovuti oggi ai piromani, agli speculatori e all’imprudente comportamento di qualche sconsiderato, erano in passato causati in massima parte dai pastori e dagli agricoltori che al termine della stagione estiva attuavano il “debbio”, discussa pratica di miglioramento dei terreni agrari che consiste nel dar fuoco ai pascoli e ai seminativi per liberarli dalle stoppie e dalle erbe infestanti e prepararli così al seminerio rendendoli più fertili con l’apporto delle ceneri. Tale attività. sia oggi che in passato, è sempre stata regolata da precise disposizioni che ne fissano i tempi e le modalità di esecuzione e che impongono specifiche autorizzazioni con le quali, avuto riguardo alla particolare condizione dei luoghi, vengono prescritte le cautele da adottare ed assoggettati i richiedenti a determinati oneri. La pratica del debbio, infatti, non può rientrare nelle previsioni di una disciplina generale ovunque applicabile, ma deve tener conto delle condizioni geomorfologiche della zona, della predominanza dei venti, dell’altitudine, dell’esposizione dei terreni, delle colture in atto nella zona e di tanti altri elementi a fronte di quali occorre predisporre precise istruzioni zona per zona, località per località al fine soprattutto di salvaguardare il patrimonio boschivo che è quello che in tali occasioni corre maggiori pericoli. Nell’arcipelago di La Maddalena, però, le disposizioni sul debbio vigenti nell’ottocento non sempre furono osservate in quanto gli isolani, per particolari esigenze locali, intendevano porvi mano molto prima di quando la legge stabiliva e cioè nel pieno della stagione estiva quando maggiori erano i pericoli di incendio. E tale invalso sistema, attuato senza cautele e con la semplice autorizzazione orale data dagli amministratori locali, causò in passato vasti incendi in tutte le isole con gravi danni che certamente compromisero la sopravvivenza del patrimonio boschivo originario. Il fatto più eclatante, però, avvenne certamente sul finire dell’estate del 1832 quando una serie di incendi distrusse gran parte dell’isola di La Maddalena e l’intera isola di Santo Stefano. L’avvenimento fu di tale portata da provocare un’inchiesta del Consultore di Gallura (la massima autorità giudiziaria del circondario), il quale si era deciso ad intervenire per stroncare gli abusi e per individuare e punire gli autori del disastro. L’inchiesta, iniziata nel settembre del 1832, e cioè immediatamente dopo i fatti, andò però per le lunghe; condotta dal bailo Sanna, assistito dal notaio Sini. che stese i verbali, ebbe termine nel febbraio del 1837 (oltre quattro anni dopo) e si concluse con un provvedimento del viceré Giuseppe Maria Montiglio che nel rimettere gli atti al consultore di Gallura, ne decretava la chiusura con l’impunità per i colpevoli ed una pesante censura nei confronti dell’amministrazione comunale di La Maddalena che, con le sue omissioni e leggerezze, aveva consentito che le isole andassero a fuoco. Nel corso dell’inchiesta furono sentiti quasi tutti i proprietari, molti cittadini, gli amministratori e il sindaco, che era all’epoca Domenico Baffigo. Venne accertato che ad appiccare il fuoco nell’isola di Santo Stefano erano stati gli agricoltori Giovanni Maria Fresi, Antonio e Battista Lena, Lorenzo, Antonio e Andrea Zicavo, Domenico Peraldi, Giuseppe e Simone Ornano, Natale Culiolo, Francesco Pintus, Domenico Serra, Bartolomeo Zonza, Domenico Variani, Giò Culiolo-Schiaffino ed i consiglieri comunali Giovan Marco Zonza e Michele Costantini. Nell’isola di La Maddalena gli incendi si erano verificati nei terreni di Vincenzo De Pietro e Nicola Zonza a Padule, Francesco Ferracciolo-Tramoni a Vadde Maggiore, Domenico Berretta, Quirico Zonza e Gerolamo Simone alla Trinita. Giò Francesco Panzano e Giovanni Scannadicolo a Macchia di mezzo, Giuseppe Lena e Giò Agostino Pittaluga a Carda Giloni. Francesco Moriani-Zonca e Nicolò Simone all’Ajacceddu, Battista Millelire e Domenico Allegria al Campo Santo, Matteo Pes a Punta della Gatta, Angelino Olivieri e Antonio Zicavo a Mongiardino, Battista Ferracciolo alla Moneta. In pratica tutte le zone agricole dell’isola erano andate a fuoco. Allorquando furono interrogati, tutti i proprietari, con dichiarazioni unanimi e concordi si giustificarono asserendo che nelle isole dell’arcipelago, contrariamente a quanto per legge era stabilito per l’isola madre, dove il debbio poteva essere praticato alla fine di ottobre o ai primi di novembre, era uso locale ormai consolidato di procedere all’abbruciamento delle stoppie a fine agosto essendo necessario, rispetto agli altri territori montani e collinari della Sardegna, seminare il pascolo e il grano con molto anticipo. Quanto poi all’autorizzazione prevista essa non veniva mai richiesta e concessa per iscritto in quanto il sindaco e il consiglio comunale davano da anni una collettiva autorizzazione orale senza imporre alcuna specifica prescrizione e con la sola condizione che il fuoco non danneggiasse le colture arboree e non provocasse danni alle proprietà private.
In particolare, Angelino Olivieri, sentito dal bailo il 9 settembre 1833, così depose: “Li agricoltori proprietari quasi tutti di questo paese hanno incendiato ognuno di loro le sue terre che preparate erano al seminerio poiché così è costume di questo luogo di abbruciare le dette terre ogni anno alla fine di agosto e primi giorni di settembre atteso che il luogo è molto sterile e se non vengono le dette terre seminate anticipatamente non danno frutto alcuno; ed in quanto al permesso che detti proprietari hanno avuto, posso io stesso dire che è stato dato secondo il costume di questo luogo dal Sindaco e dalli Consiglieri Comunali, che sindaco era Domenico Baffigo, essendo io presente ed altri proprietari erano assai numerosi; mi ricordo che eravamo 20 o 25 che li predetti Sindaco e Consiglieri dicevano di abbruciare li terreni alli predetti agricoltori a condizione però di non fare danno alcuno”. La circostanza dell’autorizzazione orale data dal sindaco venne confermata da tutti; Giò Maria Satta, l’ultimo ad essere sentito nel dicembre del 1833, così riferì: “…mi ricordo bene d’essermi trovato in un giorno festivo nel Piazzale di questa Parrocchiale Chiesa, e nel mese di agosto dell’anno 1832 ed alla presenza di Natale Culiolo, Angelo Olivieri ed altre trenta e più persone ho inteso dire dal Sindaco e Consiglieri che chi voleva abbruciare i terreni che preparati erano al seminerio avessero pure abbruciato a patto e condizione però che facendo danno lo dovevano pagare”. La vicenda, come abbiamo premesso, si concluse con una salomonica decisione del viceré Montiglio il quale, con il parere del Magistrato del Regio Consiglio, resosi conto che doveva essere dichiarata colpevole e quindi punita l’intera popolazione agricola dell’isola mentre le responsabilità più gravi erano da addebitare al sindaco e ai consiglieri comunali, rimise gli atti al consultore di Gallura con il seguente provvedimento del 1° aprile 1837: “Sottoposto alla disamina del Magistrato del Regio Consiglio l’oggetto ch’ella mi ha rassegnato con foglio del 26 febbraio, il medesimo fu d’unanime avviso non esser conveniente il procedere ulteriormente per gli incendi seguiti nei territori dell’Isola Maddalena nel 1832, perché in tal modo si andrebbe a mettere in diffidenza tanti abitanti dell’isola, ed a farne tanti fuorusciti senza vantaggio per la Giustizia e della quiete del Paese; mentre sembra essersi quelli abitanti lasciati indurre in un certo errore dall’essersi in addietro tollerati qull’incendi come antico sistema. Concorrendo pertanto nel sentimento del medesimo Magistrato, io autorizzo Lei, in primo luogo ad archiviare gli atti relativi e non farsene più conto per lo passato, salva l’indennizzazione in via civile a chi ne avesse diritto”. Ordinata l’archiviazione degli atti e quindi l’impunità dei colpevoli, il viceré demandava al consultore di Gallura il seguente incarico: “Far pubblicare in detta isola un bando in cui si contenga la disposizione letterale della legge relativa agli incendi, e si diffidino quindi gli abitanti che dopo tale pubblicazione i contravventori verranno sottoposti alle pene portate dalla legge suddetta. Oltre alla stessa pubblicazione, di prevenire separatamente il sindaco e consiglio comunale affinché essi pure d’ora innanzi si astengano dal concedere permessi d’abbruciamento i quali spettano alla Curia (cioè al Bailo) ; e nello stesso tempo debbano invigilare a ciò non si rinnovi l’antico abuso per cui ciascuno e quando gli pareva, appicciva il fuoco ai suoi e pubblici territori”. Con quest’ultimo richiamo al sindaco e ai consiglieri, adusi a deliberare e ad emettere provvedimenti sul sagrato della chiesa, si concludeva al fine la vicenda degli incendi del 1832; ma i guai derivanti dagli incendi, come risulta dalla cronache dei decenni successivi, ed anche da quelle dei nostri giorni, non sono cessati, né per i maddalenini, né per i pubblici amministratori.  

Arrivano, con tutta probabilità, in quell’anno i coniugi inglesi Richard Forman e Clara Emma Collins, che si installano stabilmente sull’isola, rimanendovi fono alla loro morte. Prendono parte attiva alla vita della comunità maddalenina, acquistano numerosi appezzamenti di terreno (in parte ceduti poi a Garibaldi) e vivono fino alla morte nella loro casa; ancora esistente, di fronte alla diga-ponte di Caprera.

gennaio

Muore il comandante di Santa Teresa Bosio, Giuseppe Verrina è sindaco.

8 giugno

Nel Nuorese i pastori, riuniti in ‘‘quadriglie armate’’, procedono alla sistematica demolizione delle recinzioni: è l’inizio della prima grande sollevazione contro le chiudende. I tumulti dilagheranno nelle Barbagie arrivando a nord fino al Logudoro e investendo a sud le zone del Guspinese e del salto di Quirra. La rivolta sarà soffocata con durissime repressioni.

Agosto

Un provvedimento di abolizione del feudalesimo in Sardegna, già approvato dal Supremo Consiglio e consegnato alle stampe, viene ritirato per disposizione del sovrano; il repentino cambiamento di rotta è dovuto a una dura nota di protesta dell’Austria, che invocando la convenzione di Vienna contesta a Carlo Alberto il diritto di riscattare i feudi.

Correva l'anno 183219 agosto

19 agosto: attentato nella chiesa parrocchiale: uno sconosciuto taglia il quadro di San Giorgio che Desgeneys aveva donato per l’altare dedicato al suo santo protettore. Il Consiglio comunitativo è interpellato da Pasquale Tola per la compilazione del suo dizionario biografico.

Qualcuno attentò alla tela di San Giorgio (l’altare ed il quadro raffigurante San Giorgio, posto in una della cappelle della chiesa di Santa Maria Maddalena, furono entrambi donati alla stessa dall’ammiraglio Giorgio Des Geneys nel 1831, segno tangibile della sua devozione per questo santo e di attaccamento ed affetto per la comunità maddalenina), danneggiandola seriamente. Del fatto diede notizia all’ammiraglio Des Geneys il sindaco di La Maddalena, Baffigo, con lettera del 25 agosto, con la quale lo informò del “misfatto” precisando che la tela era stata “tagliata con coltello” e che erano stati prodotti danni “a tutta l’effige” e poi “solamente ad una parte dell’elmo e qualche vestigio del cavallo”. Dell’autore di questo “scellerato” e “sacrilego” gesto non si avevano notizie, tuttavia – scrisse al Des Geneys il sindaco Baffigo “sembra improbabile che un uomo di mente sana possa eseguire un simile misfatto senza essere vittima del proprio rimorso” ritenendo potesse trattarsi “di un forsennato, guidato dall’alterazione del sangue e dall’imperfezione del celebro”. Naturalmente il sindaco, a nome dell’intero Consiglio Comunitativo e della cittadinanza maddalenina intera, espresse il proprio profondo dispiacere per l’accaduto, assicurando tutto l’impegno per l’individuazione del colpevole. Alla missiva rispose da Genova il 6 ottobre 1832 lo stesso Barone Des Geneys con una lettera indirizzata al sindaco Baffigo. “La malvagità o demenza di un individuo comunque siami stata cagione di non poco dispiacere” scrisse Des Geneys, tuttavia ciò “non altera menomamente i sentimenti di benevolenza che ho sempre avuti per gli abitanti dell’Isola, e di tanto mi compiaccio di trasmettere loro le assicurazioni“. Des Geneys poi si riservava decisioni in merito alle riparazioni, cosa del resto della quale si preoccupava lo stesso sindaco, il quale in un’altra lettera inviata al Des Geneys, datata 8 novembre, dopo averlo informato di aver inviato la denuncia “a S.E. il Signor Viceré” affermava che “è ora di pensare al riattaccamento” della tela, attendendo tuttavia da lui “gli opportuni ordini“. La documentazione in nostro possesso non ci consente di sapere né il nome dell’autore dell’attentato (ammesso che sia mai stato scoperto) né come né quando si procedette alla riparazione dei danni. Troviamo nello stesso hanno, il nostro Barò, protagonista di un curioso episodio legato a Maddalena e alla famiglia Millelire. Il fatto di cronaca, molto interessante riguarda esattamente Antonio Millelire, figlio di Agostino e fratello di Giovanni Battista, si svolge interamente all’interno delle alte gerarchie militari. Credo sconosciuto ai più. Ma rivelatore di un costume, che viene da lontano, duro a morire ancor oggi. Riguarda il Varignano a La Spezia ed il posto di Ispettore del Lazzaretto. Creato nel 1822, il primo ispettore fu il cav. Domenico Gerolamo Partenopeo. Morto nel 1832, aspiravano a sostituirlo il nob. Bartolomeo Boccardi, il cav. Millelire Giovanni Battista di La Maddalena ed il marchese Castagnola di La Spezia. Nonostante i meriti distinti del Boccardi e del Castagnola, la scelta del Ministero cadde sul cav. Millelire. Vi chiederete perché? Vi accontento subito. Il Primo Segretario di Guerra e Marina Di Villamarina, informava della nomina l’ammiraglio Comandante in capo della R. Marina in Genova con un dispaccio che diceva: “Avendo avuto l’onore di sottoporre a S. M. le supplicazioni del cav. Millelire, da V.S. ill.ma ed Ecc.ma trasmessemi tendenti ad ottenere la carica di Ispettore del Lazzaretto del Varignano ….., pregiomi far noto che il Re, in seguito alla raccomandazione da Lei fatta di questo benemerito Ufficiale Superiore, ….. si è degnata nominare il predetto cav. Millelire all’implorato posto, firmando le sue Regie Patenti, in virtù delle quali si conserva il grado di Cap. di Vascello, e gli viene assegnata la paga di lire Seimila. ….. .” Avete capito bene: una raccomandazione eccellente aveva premiato il nostro Isolano. Ed ora visto che siete curiosi, vi dirò anche il nome, cognome, grado e titolo nobiliare di chi lo aveva raccomandato presso il Re. Si trattava , chi lo avrebbe mai detto, di Giorgio Andrea Agnes Des Geneys, barone di Fenile e Mathie, figlio di Giovanni e di Cristina Boutal dei conti di Pinasca! E chi poteva resistere di fronte a tutti questi titoli. U Barò, avendo vissuto qualche periodo a La Maddalena ed avendo conosciuto Agostino, padre di Giovanni Battista, aveva voluto fortemente a quella carica un isolano, la cui famiglia tanto aveva dato alla nascente Marina Sarda.

12 dicembre

Grave crisi agricola provocata dalle cavallette che hanno rovinato i raccolti negli ultimi sette anni. Il 12 dicembre il sindaco Giuseppe Verrina e i consiglieri Vincenzo Ruggiero e Giacomo Pieri denunciano abusi e usurpazioni di terreni e fabbricati da parte di alcuni abitanti in vista di Santa Teresa.

18 dicembre

Viene nominato comandante dell’Isola della Maddalena, il Maggiore Salvatore Ciusa (di Matteo e Vittoria Manunta, nato il 17 settembre 1783 a Sassari)