CronologiaMilleottocento

Correva l’anno 1849

Tomaso Depietri è sindaco di La Maddalena. Gli succede nell’anno Niccolao (Nicolò) Susini Ornano, che ricoprirà l’incarico fino al 1851.

Dal racconto dell’inglese John Warre Tyndale, apprendiamo: A prima vista, l’isola de La Maddalena, ed in particolare la posizione della città, mi fece venire in mente Sira, nell’arcipelago delle Cicladi, sebbene non sia estesa o verdeggiante come quell’emporio commerciale.
Quel che nel giungervi colpisce subito lo straniero è la grande pulizia. Gli Spagnoli chiamano Cadice la jícara áurea de España e La Maddalena si potrebbe battezzare, con lo stesso diritto “la coppa d’oro della Sardegna”. Le strade sono ben tenute e la generalità delle case, costruite in granito o imbiancate, hanno un aspetto uniforme e lindo. La popolazione conta circa 2300 abitanti, due terzi dei quali trovano occupazione nel traffico marittimo. Nell’organico della Marina reale degli Stati di Sardegna, l’isola di Sardegna contribuisce solamente con non più di due ufficiali e quindici marinai e la maggior parte di questi sono Ilvesi (ovvero gli abitanti di La Maddalena). L’idrofobia dei Sardi si può in primo luogo ascrivere alla loro scarsa laboriosità ed in secondo luogo al fatto che per generazioni essi sono stati costantemente preda dei corsari ed i loro paesi costieri sempre assaliti e depredati da Pisani, Genovesi e Spagnoli. Costretti per ragioni di sicurezza ad abbandonare le coste per rifugiarsi nell’interno, hanno perduto lo spirito e l’amore per l’attività marinara.
Le donne di Ilva, per quanto laboriose nel disbrigo degli affari domestici, si dedicano in parte anche alla costruzione delle reti ed alla lavorazione della nacchera. Quasi ogni casa ha una mola e le donne non soltanto fanno il pane, ma macinano anche il grano. Una volta fu proposto di alleviare il gentil sesso da questo duro lavoro costruendo dei mulini a vento, e non esistevano certo difficoltà per piazzarli nei luoghi idonei, ma la proposta cadde nel vuoto perché si pensò che se alle donne fosse stato tolto quel compito, sarebbero rimaste completamente inattive. Gli Ilvesi sono di razza diversa dai Sardi. Fino al 1767, quando Carlo Emanuele III entrò formalmente in possesso di La Maddalena e delle isole adiacenti, la medesima era stata abitata dai pastori nomadi indigeni della Corsica i quali, mantenendosi in contatto con l’isola madre e la Sardegna, attraverso matrimoni misti fra i due popoli, vennero considerati un “mezzo termine”, come mentalità e caratteristiche fisiche, così come lo erano territorialmente.

15 gennaio

Il sindaco di La Maddalena, venuto a sapere della presenza di Giorgio Asproni nell’isola e del suo intento di raggiungere Siniscola, mette a sua disposizione un’imbarcazione.

9 febbraio

Viene solennemente proclamata dal Campidoglio la Repubblica romana. Ha così inizio un’incredibile esperienza repubblicana che durerà fino al mese di luglio, quando sarà repressa nel sangue dall’esercito francese comandato dal generale Nicolas Charles Victor Oudinot.

I forti di Santo Stefano sono ormai abbandonati: ne è prova il fatto che l’ammiragliato consente che la provvista di olio a essi destinata per il 1848, e rimasta in deposito, sia usata per un nuovo fanale guida nel porto di La Maddalena.

La Scuola normale di Santa Teresa è chiusa, malgrado nel bilancio comunale siano previste le somme per il precettore scolastico. Sarà riaperta dopo il 1852.

3 marzo

Alberto Della Marmora è nominato commissario straordinario per la Sardegna.

23 marzo

Abdicazione di Carlo Alberto, gli succede Vittorio Emanuele II.

15 aprile

Viene eletto deputato nel collegio di Sassari, il calangianese Nicolò Ferracciu; tale carica parlamentare fu rinnovata, ad eccezione della XII Legislatura fino al 1890. Durante la sua attività politica fu membro e relatore di parecchie giunte e commissioni parlamentari. Nel 1878, con l’avvento della sinistra al potere, fu Ministro della Marina. La carica politica che più di ogni altra suscitò stima e orgoglio da parte dei suoi elettori e compaesani fu, nel 1884, la nomina di Ministro di Grazia e Giustizia. Il Comune di La Maddalena, gli ha dedicato una piccola piazza, chiusa tra facciate color pastello e i gerani fioriti che ornano i balconi, nelle dolci serate estive la piazza ospita eventi culturali.

27 aprile

Maggior Leggero entra in Roma alla testa dell’avanguardia garibaldina. Nella battaglia fu un leone: i suoi uomini rimasero galvanizzati dalla sua agilità, dalla fantasia dei suoi attacchi, dall’irruenza con cui affrontava più nemici per volta in corpo a corpo furibondi; e quindi la compagnia fu tra quelle che maggiormente contribuirono alla fuga delle truppe francesi verso Civitavecchia. La Repubblica Romana parve per un breve tratto essere salva. Ma Austria, Spagna e Regno di Napoli le si coalizzano contro: Garibaldi comandò una spedizione contro Napoli e il Maggior Leggero fu alla testa della 4° Centuria. Poi venne la battaglia decisiva di Roma, il 3 giugno, con il famoso episodio di Villa Corsini o Casino dei Quattro Venti, in cui costrinse i francesi alla fuga.

29 maggio

Viene nominato comandante di Piazza dell’Isola e Porto della Maddalena il Maggiore Salvatore Falchi.

4 agosto

Maggior Leggero, ritrovò Garibaldi, con Anita già morente, e ne seguì tutto il calvario fino alla maledetta pineta di Ravenna.: lì erano soli: l'”Eroe dei Due Mondi” nel momento più tragico della sua vita ebbe vicino soltanto il Maggior Leggero, che lo guidò tra boschi e acquitrini fino alla fattoria dei Raviglia, pianse con lui quando Anita spirò alle 19,45 del 4 agosto 1849. Poi, con infinita dolcezza lo sollevò da quel corpo dal quale non pareva non volersi staccare più, e dicendogli piano “Per i tuoi figli… per l’Italia“, lo trascinò via, nella fuga. Dicono i testimoni che Garibaldi era affranto, spento, sfinito e che, “appoggiato al silenzioso e costante camerata delle sue battaglie, s’avviò nel buio affidandosi alla fedeltà delle sue guide“.

10 agosto

Muore il maddalenino Giuseppino Bertoleoni figlio dei corsi Paolo di Levie e Mariangela Pinto, passato alla storia come il Re di Tavolara. Si è perduta traccia della sua tomba di Giuseppino, fu il primo abitante di Tavolara dove si stabilì nel 1807. Alberto La Marmora nel suo “Itinerario dell’isola di Sardegna” edito a Torino nel 1860, non ha dubbi: parla del ‘famoso Giuseppino, della Maddalena”. «Quest’uomo – scrive La Marmora – morto era son pochi anni, avendo avuto dei contrasti colla giustizia per motivi di bigamia, prese il partito di lasciare una delle sue mogli (ch’erano sorelle) nell’isolotto di S. Maria di cui egli s’impossessò, e l’altra nell’isola di Tavolara che riguardava parimente come sua proprietà, e così le visitava a turno; e per ciò fu chiamato il re di Tavolara: così pure lo chiamava compiacendosene, il fu re Carlo Alberto, quando fece l’ultima corsa in Sardegna. Giuseppino allora gli fu molto utile, specialmente per la caccia alle capre che vi fece il figlio del re, il fu duca di Genova.» Questo scrive La Marmora nel 1860 e nel 1868, quando il libro viene tradotto in italiano, lo Spano annota a piè pagina: «Ora vi stanno i figli e i nipoti, ed il Bertoleoni conserva sempre il titolo di Re di Tavolara. Sebbene la roccia sia nuda, pure ai piedi è coltivata dal proprietario, e vi ha una bella tenuta con casa e tanca, ne vi manca l’acqua potabile in due fontane». Il Valery, che pubblicò il suo “Viaggio regna e Corsica ” nel 1837, parlando di Tavolara dice: «essa fu in un certo modo offerta dal re di Sardegna ad un pastore corso sovrano generato da quest’isola, il solo essere umano che, con la sua famiglia, abita questo deserto. Questo pastore re, che ha per sudditi le sue pecore e le capre della montagna, porta il titolo onorifico di intendente di Sanità dell’arcipelago vicino. Coltiva il grano sulle coste della sua isola, e gode certa agiatezza». Il Valery non fa nomi ma la data in cui il libro fu stampato indica chiaramente che lo scrittore francese si riferisce a Giuseppe o meglio Giuseppino come lo chiama La Marmora. I due autori fanno, dunque, intendere che il primo re fu Giuseppino. Ma in che modo lo divenne? Stando alle parole del La Marmora sarebbe stato l’indubbio fascino del personaggio, con quel suo viaggiare da un’isola all’altra e da una moglie all’altra, a farne un mito per la gente che, ad un certo punto, cominciò’ a chiamarlo re di Tavolara. Successivamente Carlo Alberto, conosciutolo, avrebbe approvato l’attribuzione del titolo “compiacendosene”. La leggenda tramandata dai racconti dei discendenti dà una versione simile e forse affascinante ma che, comunque, non cambia la sostanza. Giuseppe Bertoleoni, di origine corsa, viveva a La Maddalena. E’ un bell’uomo, alto quasi due metri, magro, robusto e forte. Possiede greggi e si sposta in continuazione nell’arcipelago maddalenino. Prende possesso di alcune isole: Santa Maria Soffi e, poi, spingendosi più lontano, Tavolara. Pastore, ma anche marinaio. Piace alle donne e si procura le prime inimicizie proprio per questo. Gli dicono di mettere la testa a posto, di sposarsi. E lui capitola e si sposa. Ma quasi subito, in qualche modo, sposa anche la sorella della moglie. E’ scandalo e lo sarebbe anche oggi, la giustizia lo cerca. Giuseppino non si spaventa. Ha le sue isole e pone rimedio alla giustizia e al cuore. Una moglie a Tavolara, l’altra a S. Maria. Precedentemente aveva portato sementi e armenti nelle due isole; il pane era assicurato ed anche il companatico. Siamo nel 1807. Per un certo periodo fa la spola, ma cinquanta miglia in barca a vela, specie quando il mare è brutto, non sono uno scherzo anche per un uomo forte come lui. Intanto a Tavolara la famiglia cresce; Giuseppino rallenta il ritmo, si ferma sempre di più. L’isola è ricca di selvaggina, le greggi rendono bene con buoni pascoli, ci sono cave di calce, il pesce è abbondante, la casetta viene ingrandita. Anche la sua fama cresce a tal punto da giungere alle orecchie di Carlo Alberto che un giorno del 1836 si reca a Tavolara accompagnato dal figlio, il duca di Genova, e da numerosi ufficiali. Vuol conoscere Giuseppino, vuol vedere le capre dai denti d’oro che, secondo il Valery, avevano «i mustacchi dorati». Molto più semplicemente, la doratura trova origine dalle piante dell’isola di cui quegli animali si cibavano. Carlo Alberto e Giuseppino simpatizzano, il duca di Genova è affascinato da questo gigante forte come un toro che ha la battuta pronta e tratta il re con deferenza, ma senza i salamelecchi dei cortigiani. Paolo, figlio di Giuseppino, ha 24 anni. E’ l’immagine del padre, forte come lui, bello altrettanto e altrettanto intelligente. Re e principe fanno buona caccia, sono entusiasti; Carlo Alberto si diverte. Quando parte vuole dimostrare la sua riconoscenza; regala a Giuseppe il suo orologio d’oro e più o meno gli dice così’: “Tu qui sei il re di quest’isola; d’ora in poi lo sarai a tutti gli effetti !” Uno scherzo? Certamente. Anche un sovrano schivo come Carlo Alberto talvolta si abbandona alla celia! Qualche giorno dopo, così si apprende dalla tradizione orale, nell’isola arriverà una pergamena in cui si attesta che Giuseppino Bertoleoni viene nominato… re di Tavolara. Purtroppo la preziosa carta non è stata mai trovata. L’attestato di Carlo Alberto è solo qualcosa di più. Chi, invece, alla cosa diede peso fu il figlio Paolo. Quando il padre morì si preoccupò’ di scrivere a Carlo Alberto per farsi mandare un altro attestato e, ottenutolo (Giuseppino, pare avesse perso la prima pergamena), fece le cose in grande. Disegnò una corona sulla facciata della casa e si procurò’ una bandiera con tanto di corona. Nonostante il passare del tempo, le intemperie, le “esercitazioni” dei tantissimi cacciatori che vi hanno scaricato centinaia di pallini, la corona è ancora ben visibile sulla facciata di casa Bertoleoni. I giornali divulgarono la storia e la notizia della fondazione del regno di Tavolara fece il giro del mondo. Paolo I stava al gioco, anzi lo conduceva allacciando rapporti con le più alte personalità dell’epoca e facendosi stimare.

settembre

Il territorio di Bonifacio è sconvolto da una tromba d’aria che distrugge orti e giardini e abbatte una fortezza.

5 settembre

Sconfitto a Roma, Garibaldi era fuggito con pochi fedeli, scampati alla prigionia o alla morte, e dopo un tentativo travagliato di raggiungere Venezia, durante il quale la moglie Anita, stremata e febbricitante, morì, cambiò itinerario e giunse a Portovenere, nel Golfo della Spezia, con un passaporto rilasciatogli a Roma dal console americano sotto falso nome. Di lì, con la diligenza postale, arrivò a Chiavari. Con lui era rimasto il capitano G.B. Culiolo nome di battaglia di Leggero. L’arrivo di Garibaldi suscitò l’entusiasmo di gran parte dei cittadini chiavaresi e la gioia della famiglia dei cugini Puccio, che lo ospitarono quella sera. Quando al capitano dei Carabinieri, marchese Filippo Ollandini, giunse la notizia dell’arrivo in città del generale, informò subito il Comando dell’Arma a Genova e l’Intendente conte Augusto Nomis di Cossilla. L’Intendente fece sapere a Garibaldi che avrebbe informato il governo regio del suo arrivo in Chiavari e gli chiese le ragioni della sua presenza, raccomandandogli di persuadere i suoi amici a non dare occasione a disordini. Garibaldi rispose che il suo intento era unicamente di potersi congiungere con i suoi familiari prima a Chiavari e più tardi a Nizza. Anche il sindaco si preoccupò di informare l’Intendente che se avesse tentato di procedere all’arresto la città si sarebbe opposta con la forza. Si racconta che la sera, Garibaldi fosse accolto con entusiasmo da amici e volontari della regione lombarda e dai canti nati a Genova nel 1797, all’epoca della Repubblica Ligure. Preoccupato di questa calorosa accoglienza, l’Intendente Nomis di Cossilla inviò un dispaccio al generale Lamarmora, che nelle prime ore del 6 settembre interpellò il ministro dell’Interno Pier Dionigi Pinelli: Garibaldi è giunto a Chiavari. Lo farò arrestare. Che cosa ne debbo fare? Il meglio sarebbe di spedirlo in America. Questa la risposta: Si mandi in America se vi acconsente. Gli si dia un sussidio. Se non vi acconsente si tenga in arresto. Subito Lamarmora inviò un carabiniere a Chiavari per procedere all’arresto di Garibaldi, il capitano Carlo Alberto Basso, che dapprima prese contatto col capitano Ollandini. Fu mandato il brigadiere Saviotti nell’abitazione dei Puccio, ai quali era stata comunicata la disposizione ministeriale: Garibaldi non era in casa e quando arrivò, una volta ricevuto l’ordine, alle ore 8 si recò in Prefettura per protestare contro il provvedimento, che tuttavia accettò. Fu deciso di partire alle 10 di sera con una vettura da posta, dalla casa dei Puccio, dove Garibaldi si recò a congedarsi dai familiari. A questo punto capitan Leggero, impugnata la pistola, si scagliò contro l’Intendente. Con prontezza Annetta Puccio lo disarmò, posando la pistola sul piano della credenza, mentre Garibaldi, commosso, con la sua autorevolezza impose la calma. Così la vettura poté, all’ora stabilita, partire per Genova, mentre si levavano appassionate grida Viva Garibaldi, Viva l’Italia, al punto che ai clamori della folla solo Garibaldi riuscì a porre fine. Dalla chiesa delle Grazie in poi quattro Carabinieri a cavallo scortarono la vettura che portò Garibaldi e capitan Leggero, prigionieri, in due segrete a Palazzo Ducale.

16 settembre

Garibaldi riprende il mare sul vapore da guerra “Tripoli”: lo accompagnano l’inseparabile Leggero e il tenente Luigi Cucelli, che è stato con lui fin dai tempi di Montevideo. La destinazione scelta dal generale è Tunisi, il più vicino dei luoghi lontani, terra di incontro di uomini e di culture diverse e soprattutto di emigrazione per gli italiani, compresi moltissimi esuli politici. Come scrive Garibaldi , «la mia speranza su migliori destini del mio paese mi faceva preferire un luogo vicino. A Tunisi trovai un Castelli di Nizza, amico mio d’infanzia – ed un Frediani amicissimo mio dal ’34 – e compagno della mia prima proscrizione. M’imbarcai dunque per Tunisi sul vapore da guerra Tripoli. Ma a Tunisi il governo, subordinato alle aspirazioni della Francia – non mi volle». Garibaldi conosceva Tunisi per esserci già stato nel 1834 – 35, dopo essere fuggito dalla Liguria, dopo il tentativo rivoluzionario del 1834, ma ora le cose sono diverse: non è più l’oscuro ufficiale di marina di Nizza, era uno dei capi della rivoluzione italiana (esiste anche una lapide a Palazzo Gnecco in rue de la Commission a Tunisi che ricorda questo episodio). Le pressioni delle autorità consolari italiane, ma soprattutto della Francia fanno sì che il bey tunisino Ahmad I ibn Mustafà gli impedisca lo sbarco, fra le proteste della comunità italiana locale, nella quale abbondavano gli elementi repubblicani, come Gaetano Frediani, citato dallo stesso generale e personaggio di primo piano della comunità italiana a Tunisi. D’altra parte come è possibile pensare il contrario data l’avversione del governo conservatore francese e il debito di riconoscenza che il bey Ahmad aveva verso la Francia. Infatti il bey «sottrasse la Reggenza (di Tunisi) all’alto dominio dell’impero ottomano. Gli fu efficacissima coadiutrice la sua alleata, la Francia; imperciocché se il governo di Costantinopoli minacciava ripristinare la perduta influenza, al più lieve sintomo di pericolo, il governo Francese spediva le sue navi a difesa del Bey. A dimostrazione di riconoscenza verso Luigi Filippo, Ahmed pascià fino dal 1840 aveva dato il nome di Monte Luigi Filippo alla parte superiore dell’antica Cartagine, offrendogli in proprietà il terreno, ove nel 1270 era morto Luigi IX durante l’assedio di Tunisi. Colà fece il re di Francia innalzare una chiesa, che affidò in custodia allo stesso Bey». È evidente che il bey non pensa neanche lentamente di “scontentare” il governo francese per accogliere un pericoloso sovversivo che anche il Regno del Piemonte aveva allontanato. Si tratta a questo punto di riprendere la via del mare.

25 settembre

Garibaldi si ferma per la prima volta nell’isola in veste di esiliato, in attesa di decisioni sulla sua destinazione. È guardato a vista, ma ciò non gli impedisce di avere contatti con gli isolani e, in particolare, con la famiglia Susini alla quale apparteneva Antonio, già da lui conosciuto a Montevideo e lasciato là al comando della Legione Italiana.

Giuseppe Garibaldi giunse per la prima volta a Caprera. Arrestato dopo la fuga da Roma si era deciso di mandarlo esule a Tunisi, ma il Bey non volle accoglierlo. Rotta su Cagliari, appena giunta la nave a Cagliari, il popolo, informato per chissà quali vie della sua presenza a bordo, sbucò fuori da ogni lato per festeggiare Garibaldi. Il Tripoli non attraccò neppure e proseguì per il porto africano, ma qui giunto, il bey rifiutò di far sbarcare il prigioniero. Si dovette far ritorno a Cagliari e l’imbarazzo del governo fu grande. Accadde a questo punto uno di quegli strani giochi del destino che spesso fanno pensare come ogni cosa venga predisposta in una specie di soprammondo; comandava il Tripoli il tenente di vascello Francesco Millelire, della famiglia maddalenina, e questi convinse le autorità a trasferire Garibaldi nella sua isola, in attesa che si chiarisse la destinazione finale dell’esilio. In effetti la scelta per quel poco simpatico intervallo era tra le due Isole minori sarde, S. Pietro e La Maddalena, ma la prima venne ritenuta troppo vicina a Cagliari, ove non erano sopiti fermenti e malumori tra la popolazione e si preferì accogliere il suggerimento del Millelire. Ai tre prigionieri si aggiunse un quarto garibaldino, Raffaele Teggia; poi il Tripoli fece rotta per l’Arcipelago settentrionale e li sbarcò il 25 settembre 1849 a Cala Gavetta consegnandoli alla responsabilità del comandante militare, tenente colonnello Falchi. Ad accogliere gli esuli al loro arrivo c’era l’intera popolazione: non fu un accogliere, fu un abbraccio a qualcuno che si era lungamente atteso. Il Maggior Leggero, maddalenino, tornava a casa dopo tanti anni di disagi e di sofferenze (il maddalenino Giovanni Battista Culiolo, che lo aveva seguito in tutte le sue peregrinazioni e che aveva avuto la sorte di assisterlo nel momento di maggior sconforto: la morte di Anita nella pineta di Ravenna, Leggero rimetteva piede nel suo paese dopo tanti anni e tutti volevano conoscere l’uomo di cui era giunta nell’isola l’eco di tante gesta. Numerosi altri maddalenini gli erano stati vicini: Giacomo Fiorentino era stato il primo caduto della prima battaglia di Garibaldi in difesa della Repubblica di Rio Grande do Sul e Antonio Susini, eroe della battaglia del Salto, era stato da lui lasciato al comando della Legione Italiana di Montevideo); Garibaldi era l’eroe, il capo, la guida di tutti i figli che se ne erano andati per raggiungere con lui un sogno grande, ma anche di tutti i compagni di mare che navigando ne sentivano narrare le gesta e gli ideali, e di tutte le donne che si sentivano rappresentate nell’ombra di Anita, popolana ed eroica, morta per amore. C’era il sindaco di La Maddalena Nicolò Susini e suo fratello Francesco , il padre di quell’Antonio a cui Garibaldi, partendo da Montevideo, aveva affidato il comando e l’onore della Legione Italiana. Quindi era tra amici più sicuri del vincolo di sangue. E poi c’erano pescatori e marinai, suoi simili, suoi compagni. Subito dopo l’arrivo, i Susini chiesero al tenente colonnello Falchi di poter ospitare Garibaldi e i suoi; ma l’ufficiale non si sentiva di perdere di vista l’importantissimo prigioniero. Perciò si decise che questi avrebbe dormito nell’abitazione del Falchi, che sorgeva su Cala Gavetta, dove oggi ha sede la Guardia di Finanza, e sarebbe stato libero per l’intera giornata di muoversi nell’isola, sulla sua parola d’onore di non allontanarsene per alcun motivo. In tal modo, Garibaldi visse quei giorni ospite fisso della famiglia Susini e dei Maddalenini, tranne che di notte. Gli altri tre, ebbero dimora presso la famiglia Raffo, sotto la sorveglianza discreta di un certo Paracca. I Susini abitavano sulla piazza del Mercato – di fronte all’attuale Municipio – ed avevano la vigna con una casetta al “Barabò”, sul passo della Moneta, proprio di fronte a Caprera. Era stagione di vendemmia e, dal giorno del suo arrivo, Garibaldi si unì agli amici in quel lavoro e si lasciò prendere, con l’immediato e naturale abbandono che gli era proprio, dalla vita semplice e serena di quella gente. Dopo tanto dolore, il silenzio della vigna, il calore dell’amicizia, il moto eterno e distaccato del mare gli ridavano fiducia. Andava a caccia e pesca con Pietro e Nicolò Susini, fratelli di Antonio, poi tornavano a casa e le donne preparavano il pranzo con le loro prede; giocava a bocce con gli uomini de La Maddalena, girava per le vie salutato da tutti, da tutti invitato a mangiare qualcosa insieme, osservava il gioco dei bambini e il lavoro delle donne sulle soglie. Proprio in quei giorni fu protagonista di un ardimentoso intervento ancora oggi ricordato da una lapide posta sulla facciata della casetta di Barabò. Durante una battuta di pesca salvò da sicura morte tre uomini e un bambino rovesciatisi con la barca. Uno di questi tale Tarantini, era forse il padre dell’unico maddalenino che partecipò all’impresa dei mille.

8 ottobre

8 ottobre 1849 – Il primo soggiorno di Garibaldi a La Maddalena

12 ottobre

Nella permanenza a La Maddalena, un solo episodio lega i Tarantini – tra cui Angelo Tarantini, garibaldino dei Mille – alla figura del Generale; esso va collocato nel periodo della breve presenza coatta di Garibaldi nell’arcipelago, dopo la caduta della Repubblica Romana, la morte di Anita e l’arresto subito a Chiavari il 6 settembre dello stesso anno. Il 12 ottobre Garibaldi si trovava nella vigna della famiglia Susini Millelire, con cui era legato da una stretta amicizia; ci aiuta in questa ricostruzione il dr. Angelo Falconi, medico a La Maddalena e appassionato ricercatore locale: “mentre le donne accudivano nella casetta ai preparativi del pranzo, gli uomini, con a capo il Generate si recavano alla partita di pesca prestabilita. “Il vento infuriava e il mare erasi fatto grosso; una barca di pescatori, con a bordo il patrono Antonio Tarantini, un figlioletto di questo e altri due uomini, non potendo reggere il fortunale, si capovolse. E fu tutt’uno vedere Garibaldi, mezzo vestito, tuffarsi in mare e condurre alla spiaggia i tre uomini; ma avendogli detto che il ragazzo, avvolto nella vela, era calato in fondo, si rituffò, stette alcuni secondi sott’acqua, e ricomparve con in braccia il piccolo Tarantini quasi svenuto». Un gigante gocciolante, così apparve per la prima volta – almeno secondo il racconto di Angelo Falconi cinquant’anni dopo – Giuseppe Garibaldi agli occhi di Angelo Tarantini. Era il 12 ottobre 1849 e Angelo aveva tredici anni. Si trovava sulla spiaggia de La Maddalena – isola dove era nato – per una battuta di pesca.” Garibaldi si con i Susini Millelire, con i quali era legato da consolidati rapporti di amicizia. All’epoca Angelo Tarantini che, dopo la scomparsa del padre, faceva parte, direttamente o indirettamente, del nucleo familiare dello zio Antonio, era poco più di un ragazzo e non è improbabile che quel gesto di coraggio, idealizzato da un tredicenne, possa aver avuto un’influenza sugli avvenimenti successivi. Il 2/6/1932, sempre in occasione 50° anniversario della morte di Garibaldi, fu apposta una targa marmorea nella facciata della Casa Barabò 12 che un tempo fungeva da residenza di campagna dei proprietari dei vasti vigneti circostanti. L’epigrafe ricorda che, in data 12/10/1849, il Generale, venutovi in visita alla vigna del suo amico Francesco Susini *, si gettò nel mare poco distante e salvò quattro persone: tre adulti ed un bambino, forse il piccolo Angelo Tarantini 14 che in seguito parteciperà da volontario alla Spedizione dei Mille. I “due generosi” figli del suo amico, ripetutamente citati nell’epigrafe, sono i noti garibaldini Antonio, che si distinse nella difesa di Montevideo, e Nicolao, che combatté con Garibaldi alla difesa di Roma. L’epigrafe recita:

“IL DÌ 12 OTTOBRE 1849 / FU GIORNO AVVENTUROSO PER FRANCESCO SUSINI / GENITORE DI QUEI DUE GENEROSI / E PER LA FAMIGLIA SUA / QUELLO IN CUI VIDE FESTEGGIARE IN QUESTA CAMPAGNA SUA / L’AMICO IL TUTORE IL SECONDO PADRE DEI DUE FIGLI SUOI / IL PRODE GENERALE GARIBALDI / SOTTO IL QUALE ACQUISTARONO L’UNO IN MONTEVIDEO L’ALTRO IN ITALIA / ONORATA RINOMANZA E QUEL DÌ ISTESSO L’ILLUSTRE DUCE / SLANCIOSSI IN MARE E SALVÒ QUATTRO PERSONE / CHE MANOVRAVANO UNA BARCHETTA CHE QUI SOTTO GIAVIRÒ / 2 GIUGNO 1932 A X E.F.”

23 ottobre

“Caro signor Sindaco, voglio essere l’interprete dei miei sentimenti di gratitudine verso questa gentile popolazione. Lascio questa terra italiana con vero dispiacere, e non dimenticherò mai l’accoglienza di simpatia e amore ricevuta dai vostri generosi cittadini. Lontano dall’Italia quando la sua immagine tempera le fatiche di una vita errante tra i ricordi confortanti di questo ricorderò sicuramente con affetto come fui accolto nella Maddalena”.
A Niccolò Susini, sindaco dell’isola della Maddalena. Con questa bellissima lettera Giuseppe Garibaldi ringrazia i maddalenini per la calorosa accoglienza fin dal primo arrivo nell’arcipelago sardo, qui rimase in residenza permanente per circa un mese, dopo la morte di Anita, in attesa di conoscere la destinazione del suo esilio. Il generale non sapeva ancora che sei anni dopo avrebbe comprato una parte di Caprera, dove si sarebbe accontentato per il resto della sua vita e dove avrebbe iniziato a compiere la grande impresa dei Mille. La Maddalena è una delle sette isole principali che compongono l’arcipelago della Maddalena. Le altre isole sono: Caprera, Santo Stefano, Spargi, Budelli, Santa Maria e Razzoli, circondate da tante piccole isole, rocce e semisommerse a secco.

24 ottobre

A bordo del brigantino “Colombo”, Garibaldi, sempre accompagnato da Leggero e da Cucelli, lascia a malincuore La Maddalena, destinazione Gibilterra, dove esisteva una nutrita colonia genovese che popolava il villaggio di La Caleta (Catalan Bay). Si trattava di marinai e pescatori di acciughe che erano emigrati nella piazzaforte britannica e che conservavano gelosamente il loro dialetto (che è stato parlato a Gibilterra fino agli inizi del Novecento).

9 novembre

La nave con Garibaldi, arriva all’imponente rocca di Gibilterra, doppia il capo di Europa Point e attracca nel porto. Fa già freddo e i gelidi venti del nord iniziano a farsi sentire nel piccolo possedimento britannico. Garibaldi chiede al governatore il permesso di sbarcare e di trattenersi nella città. Il governatore è un ex ufficiale dell’armata del duca di Wellington, sir Robert Gardiner, un militare anziano e rigido che rifiuta di accogliere Garibaldi: non vuole guai nella sua piccola colonia e gli dà solo quattro giorni per ripartire. La stampa europea e statunitense non ha, tuttavia, abbandonato Garibaldi e ne segue i frenetici spostamenti, dando ai lettori (magari con forte ritardo come i giornali statunitensi) notizie di quello che ormai è considerato, dall’opinione pubblica democratica e progressista, un vero e proprio protagonista della rivoluzione europea.

10 novembre

Giuseppe Garibaldi indirizzava da Gibilterra questa lettera a Francesco Susini, padre di Antonio, Pietro e Nicolò e fratello di Nicolao, allora sindaco di La Maddalena, ringraziandolo della squisita accoglienza ricevuta durante il suo breve soggiorno all’isola dal 25 settembre al 24 ottobre: Al Signor Francesco Susini – Gibilterra, 10 novembre 1849; Voi e l’amabilissima Vostra famiglia mi avete fatto possibile la separazione dalla Maddalena, ove fui beneficato dell’asilo più confacente all’afflitta mia situazione, ed in cui ho trovato la quiete dell’anima sconvolta dalle peripezie di una vita di tempeste. Giunto in questo porto ieri, io sbarcherò oggi, e dicesi mi sia concesso quindici giorni di soggiorno. Partirò quindi per gli Stati Uniti o per l’Inghilterra. Non so se tali disposizioni si adempiranno alla lettera. In ogni caso io mi prenderò l’ardire di avvertirvene. I miei saluti a tutti.
Bacio la mano alle gentilissime signore di casa, e sulla bocca la mia Anna Maria.
Noi ci sovveniamo tutti, e di Pietro ad ogni momento.
Non mi dimenticate presso Niccolari, Niccolao e sorella.
..Amate il Vostro Giuseppe Garibaldi “Castor Dorme al mio lato”.

Francesco Andrea Susini Ornano, nato a La Maddalena il 2/1/1783 e morto il 22/6/1863, sposò Anna Maria Millelire, la figlia di Domenico Millelire, Medaglia d’Oro della Marina Sarda per i noti fatti del 1793. Era il padre dei due garibaldini: Antonio Susini Milleire (nato a La Maddalena l’11/4/1819, morto a Genova il 21/11/1900) e Nicolao Susini Millelire (nato a La Maddalena nel 1827, mortovi il 4/4/1869), nonché di un altro figlio, Pietro (nato a La Maddalena il 30/3/1814, mortovi il 21/2/1895), che consigliò ed aiutò Garibaldi, di cui godeva la massima fiducia come procuratore “ad negotia”, nell’acquisto dei terreni di Caprera. Inoltre, Francesco Andrea Susini Ornano era fratello di Nicolao, che fu Sindaco di La Maddalena.