CronologiaMilleottocento

Correva l’anno 1885

Andrea Raffo, Domenico Lantieri e Leonardo Bargone, si succedettero nei 12 mesi del 1885 quali sindaco della Maddalena. C’era una fortissima instabilità politica dovuta alla contrapposizione di interessi, certamente non ideologica giacché di politicamente erano schierati con la destra nazionale ed erano più o meno d’ispirazione massonica o comunque simpatizzanti anticlericali. In realtà si delineava la militarizzazione della Maddalena tanto che, un anno dopo, venne istituito un Ufficio del Genio Militare con il compito di eseguire le opere per una stazione navale. Essendo i capi di famiglie isolane altolocate, imprenditori, padroni marittimi e possidenti, probabilmente si voleva preparare il terreno per rapportarsi positivamente, almeno per loro, con la nuova realtà che andava delineandosi, e con i suoi interessanti sviluppi. Giusto per la cronaca, in quel periodo ci fu un’epidemia di colera, che si diffuse nonostante le misure sanitarie più o meno rigorosamente imposte. E di colera morirono tre maddalenini.

Le isole di Cavallo e Lavezzi appartengono alle famiglie Colonna e Tertian.

La falesia a sud e a ovest di Bonifacio è interessata ai lavori di difesa con la costruzione di alcune batterie costiere chiamate Batterie di Saint-Antoine e di Saint-François.

Nella Pointe du Gouvernail vengono scavati una scala e un grande vano per la fotoelettrica. Si restaura la cappella della Trìnita di Bonifacio.

Si riprende lo sfruttamento della cava di granito di San Bainzo, presso l’isola di Cavallo.

La Maddalena e Santa Teresa inviano una comune richiesta per sollecitare la riparazione del tronco stradale Porto Pozzo-Ponte Liscia.

Antonio Vico, già viceparroco, diventa parroco con uno stuolo di vice che si alternano negli anni (Angelo Ciuti, Gerolamo Scampuddu, Pietro Canu, Giovanni Battista Mura, Giuseppe Millelire, sacerdote maddalenino noto come preti Mambrì), Pietro Macciocco e Salvatore Capula.

15 gennaio

Muore alla veneranda età di 81 anni, Don Michele Mamia Addis. Fu seppellito nel vecchio cimitero di La Maddalena, in una tomba con lapide e senza foto. Del resto, all’epoca, ben pochi all’isola erano stati fotografati. Era quasi cieco e da oltre un anno gli affari della parrocchia gli aveva presi in mano Antonio Vico già destinato a succedergli. Che don Michele Mamia Addis abbia dato l’estrema unzione al Maggior Leggero, che fosse amico di Garibaldi e che tifasse per l’unificazione italiana è stato già scritto in questa rubrica. Un particolare poco conosciuto è quello secondo il quale “dalla due orecchie pendessero due cerchietti (pendini)”. Tale usanza era abbastanza normale all’epoca, anche se non sappiamo quanto potesse esserlo per un prete; il particolare quindi lo prendiamo con prudenza. Don Mamia era “piccolo di statura, piuttosto grassoccio e calvo. Era sempre sorridente, severo ma buono con tutti ed in specie con i poveri per i quali, diceva, grava maggiormente il peso della società umana. Egli, spesso, sentenziava, che i falli delle donne, dei fanciulli e degli ignoranti sono sempre colpa dei mariti, dei padri e dei dotti. Caritatevole sempre, da buon sacerdote, spesso si privava del necessario per farne delle elemosine”. Nato ad Aggius nel 1804, don Michele Mamia Addis giunse a La Maddalena nel 1831, in qualità di vice parroco di don Antonio Addis. Nel 1841 fu presente alla messa celebrata in parrocchia alla presenza di re Carlo Alberto. Divenne parroco 10 anni dopo, in tempi difficili, di povertà per il paese, e di conseguenza per la stessa parrocchia. Don Mamia rimase a La Maddalena ben 54 anni, 34 dei quali da parroco. Alle difficoltà che dovette incontrare nel ‘gestire’ gli estremismi risorgimentali dovettero aggiungersi quelle legate alla qualificata ed influente presenza inglese-anglicana di quegli anni: da Roberts a Collins da Webber al reverendo Yiermin, giusto per fare qualche nome. Quando don Mamia giunse a La Maddalena questa era un villaggio di mare e vi morì che era ancora un villaggio di mare. Tuttavia nel suo piccolo era già un coacervo di razze e nel suo porto sbarcarono i più disparati personaggi, alcuni dei quali hanno fatto la storia d’Italia. Morì nel 1885 alla rispettabile età di 81 anni. Era quasi cieco e da qualche tempo gli affari della parrocchia erano curati da don Antonio Vico, destinato a succedergli. Non conobbe la presenza massiccia della Marina che se n’era andata con Des Geneys prima che lui arrivasse e ritornò, altrettanto massicciamente, pochi anni dopo la sua morte. Nel frattempo si era però sviluppata la storia del risorgimento italiano e lui molti episodi li potè sentir raccontare, a Caprera, dal più popolare protagonista.

31 gennaio

Muore a Collescipoli, Giovanni Froscianti. Partecipò alla preparazione dei moti rivoluzionari del 1853 e 1854 con il nome di battaglia di Mustafà. Abbandonato in giovane età il seminario dove studiava abbracciò il pensiero mazziniano, fu un seguace della prima ora di Giuseppe Garibaldi. Partecipò alle tre guerre d’indipendenza e alla spedizione dei Mille, dapprima con il grado di sottotenente, divenne in seguito colonnello. Fu amico e consigliere di Garibaldi e della sua famiglia, finiti gli impegni bellici si occupò dell’amministrazione dei possedimenti di Garibaldi a Caprera e risiedette per lunghi anni a La Maddalena.

6 febbraio

Inaugurazione del collegamento telegrafico tra Cagliari e Sassari.

marzo

Sessant’anni dopo la gloriosa spedizione di Tripoli del 1825, Re Umberto volle di Motu proprio, nominare Cavalieri i quattro maddalenini. Erano essi il timoniere Ornano Giuseppe (Diligente), Tanca Antonio (Fioravanti), Zicavo Marco Maria (Calaì), Volpe Nicolò (Rosmundo), conosciuto ancor meglio col soprannome di Macacciò.

Maggio

La bilancella S. Antoine del comandante corso Santucci naufraga all’ingresso del porto. Alcuni finanzieri e marinai, fra i quali il teresino Gavino Sposito, portano in salvo equipaggio, carico e attrezzi di bordo. Guy de Maupassant pubblica a Parigi il racconto “Une vendetta”, ambientato a Longonsardo e Bonifacio, nella raccolta Contes de jour et de la nuit.

estate

Manovre navali nell’arcipelago con piccolo aneddoto. “L’invenzione della mina, risale al 1600, quando vennero utilizzate per la prima volta delle botti riempite di pece ed inviate accese e galleggianti, verso le navi nemiche, altri utilizzi di questo genere sono gli stessi brulotti (vecchie Navi o prede belliche che venivano incendiate e inviate sfruttando venti favorevoli verso le flotte avversarie). Ma fu un italiano, il conte torinese Giovanni Emanuele Elia (1866-1935), verso la fine del secolo scorso, a realizzare le mine (quelle ancora oggi conosciute tali) che presero il suo nome, quelle sfere cornute munite di cavo di ancoraggio e di ancora che arriva a toccare il fondo del mare, e così frequentemente viste. Una invenzione italiana che gli inglesi usarono ampiamente durante la prima guerra mondiale e che per molto tempo ritennero loro, tanto da chiamare “Elaia” il modello, pronunziando all’inglese l’italianismo nome Elia. F. Savorgnan di Brazzà, in un suo libro intitolato “Da Leonardo a Marconi”, e citato da Vittorio Emanuele Bravetta in “Marinai d’Italia” (Ispi, Milano, 1942), ricorda l’incontro del guardiamarina di fresca nomina Elia con l’ammiraglio Simone Pacoret di Saint Bon, alle manovre navali della Maddalena nel 1885. Al rapporto ufficiali, per ultimo fra tutti parlò il giovane guardiamarina. Tutti si meravigliarono dell’ardire del giovanotto: “l’ultimo venuto, così verde in età, osava chiedere la parola in un consesso di illustri “monumenti” dell’arte militare qual’era quello riunito per le manovre navali? Tra essi, spiccava nientemeno che il glorioso Saint Bon, ormai una istituzione della flotta e della marina italiane: era stato un eroe di Lissa, aveva rivoluzionato la tecnica delle costruzioni navali con il suo genio anticipatore, aveva assunto il dicastero della Marina, nessuno avrebbe osato contrastarne la parola e nemmeno suggerirgli nuove idee o nuove proposte. Ed ecco che questo guardiamarina sconsiderato pretende va addirittura di avanzare proposte di testa sua, e a personaggi di tal fatta! Ma il giovane Elia non aveva timori reverenziali, convinto inoltre della bontà della propria tesi e confortato dai lunghi studi che aveva dedicato ad essa. Nel silenzio, fatto più di curiosità che di attenzione, subito formatosi, egli cominciò a parlare con voce ferma. “Perché non creare rapidamente” disse, “un arcipelago di banchi esplode costituiti da torpedini in posizione nota a noi soli, per attirarvi il nemico e danneggiarlo gravemente, e allo stesso tempo, silenziosamente, creare queste insidie presso le coste nemiche, per obbligarlo ad azioni in condizioni per lui disastrose? “. Il famoso Saint Bon, carico di gloria e di onori, fissò con interesse il giovanotto e lo trattenne a colazione. Per molti anni Elia fece esperimenti e finalmente nel 1897 la regia Nave “Washington”, con a bordo appena venti marinai torpedinieri, eseguì in una sola ora lo sbarramento del golfo di La Spezia. La mina Elia era costituita da una cassa a superfici curve, con una carica da 150 a 300 chili di esplosivo (si cominciava a usare il fulmicotone umido, che noi chiamiamo tritolo), capace di distruggere qualsiasi nave di superficie o subacquea. Dalla parte inferiore della torpedine si stacca una fune d’acciaio lunga fino a mille metri, terminante in un’ancora che mantiene fisso l’ordigno nel punto desiderato. La mina viene attivata da un piatto idrostatico che entra in azione a qualche metro di profondità. Il complesso mina- ancora è sistemato su un carrello che scorre su rotaie, e ogni torpedine cade in mare in cinque secondi. Una nave, filando a venti nodi, può in venti minuti stendere uno sbarramento di dodici chilometri Costituito da mine a 60 metri l’una dall’altra. Contro le mine la difesa più semplice è stata il dragamine: generalmente un motopeschereccio per la pesca a strascico, nel quale la rete è sostituita da un robusto cavo metallico. Nei primi tempi, il cavo veniva rimorchiato da due battelli naviganti di conserva, a una distanza di circa duecento metri: il loro cavo si impigliava in quello di ancoraggio delle mine, lo troncava oppure sollevava la zavorra d’ancora, e faceva salire a galla le mine; una volta a galla, venivano o fatte esplodere o perforate (e allora, piene d’acqua, affondavano egualmente), a colpi di fucile, mitragliatrice o cannoncino. Vi furono anche congegni minati che esplode vano se si disturbava l’ancoraggio delle mine, per cui questo lavoro senza gloria degli “spazza mine” è sempre stato difficile e ingrato. Le mine di deriva, usate dai tedeschi sono invece galleggianti, munite di antenne sensibilissime che affiorano appena sull’acqua, quasi invisibili. Molte mine normali venivano strappate dalle ondate al loro ormeggio, risalivano a galla ed erano trasportate dalle correnti. Sono sempre state un’arma insidiosa, subdola e pericolosissima nella guerra sui mari e molto giustamente, anche se con un pizzico di retorica, furono chiamate “le uova della morte”” Come potete notare, anche queste “uova” hanno visto il loro primo “schiudersi” nelle acque di questo Arcipelago. (Tratto da: Navi e Marinai dal 1915 al 1918 la lotta sui mari)

28 settembre

Nasce alla Maddalena, Renzo Larco; Sindaco, Giornalista e scrittore. Dopo aver conseguito la laurea in Legge, si trasferì a Roma dove lavorò nella redazione de ‘‘La vita’’. Divenne amico di Luigi Barzini ed entrò nella redazione del ‘‘Corriere della Sera’’ come inviato speciale. In questa veste fu testimone delle operazioni nelle guerre balcaniche e nella prima guerra mondiale, inviando dai vari teatri di guerra corrispondenze di altissimo livello giornalistico. Nel dopoguerra collaborò con importanti periodici e in molti suoi articoli cominciò a far conoscere la Sardegna al grosso pubblico. Negli stessi anni scrisse alcuni saggi di ottimo livello; caduto il fascismo tornò a La Maddalena, dove per alcuni anni fu anche eletto sindaco. Tra i suoi numerosissimi scritti se ne possono ricordare alcuni di argomento specificamente sardo, fra cui Il nocchiero che sconfisse Napoleone, ‘‘La Domenica del Corriere’’, 1924; L’avvenire industriale della Sardegna, ‘‘L’Unione sarda’’, 1929; Domenico Millelire e la difesa della Sardegna, ‘‘La Nuova Sardegna’’, 1954.

26 novembre

Domenico Lantieri è sindaco di La Maddalena. Ricoprirà l’incarico fino al novembre del 1901.