CronologiaMillenovecento

Correva l’anno 1903

Nascono in Sardegna le prime società sportive, comincia a diffondersi nell’isola, sulla spinta del modello «continentale», il gusto della pratica sportiva. A Cagliari, sotto la presidenza di Angelo Pani, viene fondata la gloriosa Polisportiva «Arborea», che produrrà una lunga serie di campioni di ginnastica, lotta e sollevamento pesi. Il 19 aprile 1903 sarà la volta della Società Educazione Fisica «Torres», fondata a Sassari da un gruppo di sportivi guidati da Giunio Salvi. Prime discipline, ginnastica, atletica e, più tardi, ciclismo (che intanto si diffonde come «divertimento» del tempo libero).

Fu forse nel 1898 che a La Maddalena cominciò a muovere i primi passi una società sportiva ma fu nel 1903 che nacque ufficialmente la S.S. Ginnastica Ilva, il primo sodalizio sardo, i cui colori sociali erano quelli dello stendardo del paese, bianco e celeste. La fondarono Antonio Cappai nato nel 1868 – 1948, Geometra dell’Ufficio Tecnico del Comune, fu il primo (Presidente) insieme a Enrico Balata, 1873 – 1965, Insegnante elementare, (Direttore Sportivo e Maestro di Ginnastica) arrivò da Terranova (Olbia) alla maddalena dopo aver preso l’abilitazione presso la Società Ginnastica Roma e Pietro Sabattini, 1877 – 1956, Impiegato Comunale, (Vice Presidente), dove ricopri per anni anche la carica di Presidente e Presidente Onorario fino alla sua morte, segretario Gisberto Moriani e direttore tecnico Giovanni Mundula. Si inizia con la scherma il tiro assegno, nuoto, ciclismo e la ginnastica e con i cimenti (anche invernali) podistici in Gallura con il Fortior. Poi nel 1912 il calcio prese il sopravvento ed iniziò la leggenda della “Fossa dei Leoni”. Dopo un anno di attività l’Ilva contava 146 soci tra adulti e principianti. La sede era a Cala Gavetta, in un già vecchio, allora, magazzino, oggi ristrutturato e destinato a sala conferenze e manifestazioni varie, chiamato, non a caso, ex Magazzini Ilva. Nel 1914, poco più di cent’anni, fa dunque, alle vigilia della Prima Guerra Mondiale, La Maddalena aveva una società sportiva (in Sardegna poche città ne avevano, in Gallura solo Tempio) piuttosto attiva, e con veri e propri campioni, come Salvatore Mura, un atleta eccezionale, particolarmente dotato per gli esercizi ginnici, tra cui la specialità degli anelli, che disputò gare, vincendone pure, a La Spezia (città militare come La Maddalena), Venezia e Genova. Anche il podismo andava per la maggiore. Alle gare partecipavano, oltre agli atleti maddalenini, anche giovani militari delle caserme e delle batterie, provenienti da diverse parti d’Italia. Si disputava anche la Mezza Maratona, da Piazza Renella (Piazza Comando) a Punta Rossa e viceversa. Lungo le stesse strade e viottoli, tra Maddalena e Caprera, si disputavano anche le gare di ciclismo, con le autorizzazioni, non sempre concesse, delle autorità militari, divenute, nel 1914, in generale più rigide dopo lo scoppio delle ostilità in Europa, e nella situazione di attesa e incertezza che si viveva nella piazzaforte militare. Qualche gara fu disputata verso ponente, fino alla Batteria di Nido d’Aquila, e la faticosissima e pericolosa scalata di Guardia Vecchia e ritorno diventò, per qualche anno, fu una “classica”. Il canottaggio e il nuoto si svolgevano nel tratto di mare tra la stessa Piazza Renella e Cala Gavetta. In Piazza Renella, tra una parata militare e l’altra, dai primi anni del ‘900 si disputavano anche le partite di calcio. Nel 1913, in quello stesso campo improvvisato, vi venne organizzato un quadrangolare, al quale parteciparono la Torres (che aveva vinto uno dei primi, pionieristici, campionati sardi), una rappresentativa della Marina Militare, l’Arsenale Militare e l’Ilva. A vincere il torneo fu la Torres. Anche nel 1914 vi furono organizzati alcuni tornei, e qualche partita vi fu disputata nei primi mesi del 1915, più che mai con la preoccupazione dell’ingresso in guerra. L‘Ilva è stata la prima in Sardegna a iscriversi alla Federazione Italiana Giuoco Calcio. Questa disciplina è stata ed è ancora oggi la principale attività dell’Ilvamaddalena (nome che assumerà dopo la fusione tra Pol. Ilvarsenal e Pol. Maddalena), che ha anche raggiunto livelli professionistici (il massimo è stata la serie C2), rimanendo sempre una solida realtà nel panorama del calcio sardo. Nel 1912 l’Ilva partecipa ad un triangolare a Sassari, le squadre sono tre: Ilvarsenal, Amsicora di Cagliari e la Torres di Sassari. Il primo capitano dell’Ilva fu Agostino Toso “fisico d’acciaio e maratoneta del centrocampo”. Partito soldato per il fronte, morì in battaglia a soli vent’anni. Un eroe, non solo sportivo. Fu infatti decorato “di una medaglia di bronzo al valor militare, due croci di guerra e due medaglie al valor civile”. 

Di fronte alla vecchia caserma genovese di Bonifacio si costruisce un altro grande edificio militare. Con quello edificato nel 1933 formerà un complesso chiamato Caserne Française, che ospiterà, fra gli altri corpi, la Legione Straniera.

Il cimitero di Palau è terminato.

5 gennaio

Muore a Caprera, Teresa Canzio-Garibaldi. Teresita, figlia degli Eroi dei Due Mondi, Giuseppe Garibaldi e Anita, nata a Montevideo il 22 marzo 1845, Teresa giunse in Europa con la madre, che di lì a poco morirà a seguito della caduta della Repubblica Romana. Dal 1847 si stabilì a Nizza, legandosi di amicizia alla famiglia Deidery, dalla quale venne praticamente adottata nel 1852, quando mancò anche la nonna paterna Rosa. Teresa avevo un carattere difficile, scontroso, ingovernabile; molto amata dal Generale, forse per la somiglianza con la madre, trascorse lunghi periodi con lui, dopo l’acquisto della tenuta agricola di Caprera e la costruzione della Casa Bianca. Nell’isola frequentò e si innamorò del giovane garibaldino Stefano Canzio, uno dei luogotenenti della Spedizione dei Mille. Il 26 maggio 1861 a Caprera, si celebrò il loro matrimonio; gli sposi si stabilirono a Genova dove costituirono una famiglia che sarà numerosa: Teresita darà alla luce sedici figli e vivrà con il marito un amore complesso che li terrà legati ma anche lontani per lunghi periodi. Con il trascorrere degli anni, alla fine dell’epopea militare di Garibaldi e dei suoi figli Menotti e Ricciotti, la vita sembrò intristirsi attorno a Teresa. Si legò sempre più a Caprera grazie ai lunghi soggiorni a fianco del padre e, dopo la morte di questi, si impegnò nella veglia sulla casa ormai vuota e nella perpetuazione della memoria dell’Eroe. Di lei rimangono immagini anch’esse immerse nel mito, delicate litografie che la ritraggono giovane con il padre ed i fratelli e poi con lo sposo, ma anche delle preziose fotografie d’epoca che la presentano a distanza di tempo con il variare delle fattezze dovuto al maturare dell’età. Negli ultimi anni della sua vita, i matrimoni dei figli e delle figlie si svolgono a Caprera e Teresa sembra non lasciare più l’isola. La Maddalena registra, infatti, diverse nascite della famiglia Canzio. Teresa si spense nella casa di Caprera e fu sepolta il 6 nel vicino cimitero di famiglia, un poco appartata rispetto alla tomba del padre.

29 gennaio

Il dottor Alfonso Fornaca ricopre l’incarico di commissario, dal 29 gennaio al 26 luglio; Francesco Sabattini, già consigliere anziano, è sindaco.

15 marzo

Nella piazza centrale di Santa Teresa, Giuseppe Poli, 29 anni, spara con la pistola contro Anton Paolo Vincentelli, di 21 anni. Fortunatamente il colpo va a vuoto; l’aggressore si rende irreperibile.

8 aprile

Assestamenti nei rapporti di lavoro dovettero intervenire in questi primi anni, che videro in Sardegna i grandi scioperi nell’industria. Anche La Maddalena ne sarebbe stata interessata. Nei documenti fino al 3 aprile 1903 (poi a maggio dello stesso anno), non c’è traccia di sciopero della categoria degli scalpellini. Risultano altri disordini fra operai, regolarmente annotati nella corrispondenza di Osvaldo Marcenaro, che portarono, negli ultimi giorni di marzo, a risse nelle quali si contarono “feriti e feritori”. Anche nell’archivio storico comunale non vi è traccia di astensioni dal lavoro relative a quel periodo, che sarebbero, invece, state registrate dal Ministero Agricoltura e Commercio l’8 aprile. Scrive Girolamo Sotgiu: “Presero parte allo sciopero tutti gli scalpellini alle dipendenze della società, per ottenere, per alcune categorie di operai, un aumento di salario e, in genere, l’abolizione dei cottimisti. Inoltre essi volevano che l’orario di lavoro, di 10 ore, fosse stabilito in 8 ore in inverno e 10 in estate, che nessuno degli operai potesse essere licenziato senza giustificato motivo, giudicato da una apposita commissione, che della tagliatura del granito dovesse essere responsabile l’impresa e che i prezzi di lavoro venissero stabiliti fra la società e una apposita commissione. Ma la società non volle fare alcuna concessione e rispose negativamente a tutte le domande, invitando coloro che non credevano di conformarsi alle sue decisioni a chiedere il licenziamento. Soltanto promise di concedere a gruppi di operai quei tratti di cava che man mano si fossero resi disponibili. In seguito a ciò il lavoro fu ripreso, alle condizioni di prima. La mercede giornaliera variava da lire 5 a lire 6,50”.

19 aprile

Viene fondata a Sassari da un gruppo di sportivi guidati da Giunio Salvi, la Società Educazione Fisica Torres. Un gruppo di notabili sassaresi si riunisce e decide di creare una società per l’educazione fisica. La ricetta è quella giusta, perché nonostante l’origine aristocratica il nuovo sodalizio sportivo è aperto a tutti i ceti sociali e tutti i soci hanno uguale peso, indipendentemente dal livello di istruzione e dalle disponibilità economiche. Il 20 settembre gli atleti si presentano alla città con un nuovo inno, il cui incipit è tutto un programma: con il nome di Torres. Su un tavolo ci sono alcuni fogli e una scatola: dentro ci sono 47 lire, la rimanenza della colletta fatta mesi prima per accogliere in città i ginnasti dell’Amsicora Cagliari. A partecipare all’incontro sono Pasquale Ghera, Pietro Moro, Celestino Segni, Battista Delogu, Ruggero Rovasio, G. Maria Sotgia, Enrico Berlinguer, Claudio Andry, Ermenegildo Basso, Gianuario Marcellino, Gavino Berlinguer e G. Francesco Satta. Sono avvocati, nobili, negozianti, geometri. Enrico Berlinguer è un avvocato molto noto. Suo nipote, negli anni a venire, diventerà il protagonista della vita politica nazionale e internazionale come segretario del Partito comunista italiano. Tutti insieme hanno appena messo le basi per la creazione di una associazione per l’educazione fisica della gioventù. Hanno stilato una bozza di statuto e una scheda di adesione da proporre ai concittadini. Una copia della scheda viene consegnata a mano alla redazione della Nuova Sardegna insieme a una nota introduttiva, nella quale si chiede l’aiuto di “ogni classe di cittadini, allo scopo di costruire una società forte e numerosa”. L’iniziativa parte dall’alto, ma le porte sono aperte a tutti, dunque. Dopo diverse il comitato è pronto a proporsi alla cittadinanza. Si decide di dividere gli associati in due categorie: della prima faranno parte i soci attivi e i figli dei soci, i quali hanno diritto all’educazione fisica e devono versare ogni mese una quota rispettivamente di una lira e 50 centesimi; nel secondo gruppo sono compresi i soci contribuenti maggiori di 21 anni, che dovranno versare una quota di ammissione di lire 1,50 e un’altra mensile di 1,50, obbligatoria per un anno: questi ultimi “amministrano la società, godono dei vantaggi di essa e s’impegnano a pagare le quote dei loro figli”.  Il progetto impiega assai poco per prendere quota. Nel giro di poche settimane tantissime persone hanno compilato e consegnato le schede di adesione: ai primi di maggio i soci contribuenti sono 121, quelli attivi ben 265. La macchina va governata e i tempi sono maturi per le prime elezioni, che si svolgono al Teatro Civico: il professor Pasquale Ghera viene eletto presidente, l’avvocato Italo Faccion assume la carica di vicepresidente; del direttivo fanno parte anche i signori Masala, Andry, Moro, Aroca, Berlinguer, Stara, Boninsegni, Delogu e Defraia. Viene anche approvato lo statuto, che si compone di 34 articoli, due dei quali sono particolarmente significativi: il 2 (“La società si manterrà estranea a qualsiasi manifestazione politica e religiosa”) e 21 (“Il consiglio dichiara dimissionari coloro tra i suoi membri che regolarmente avvisati non intervengono per tre volte di seguito alle sue sedute”). Due norme che vengono immediatamente applicate: alla Torres vengono infatti ammessi giovani di qualsiasi ceto sociale, colorazione politica e fede religiosa; e il consiglio direttivo, nel solo primo anno di vita, si riunirà ben 150 volte per un totale di 400 ore di lavoro. Il direttivo prende contatti con l’amministrazione cittadina e riesce a ottenere la disponibilità della palestra comunale, a San Biagio, nei pressi di porta Sant’Antonio: per tutta l’estate, a partite dalla fine dell’anno scolastico, i torresini possono sudare e lavorare in quei locali angusti. Vengono utilizzati, all’occorrenza, anche due magazzini in via Torre Tonda. L’inizio degli allenamenti viene fissato per il primo luglio. Le successive riunioni vedono la partecipazione di centinaia di nuovi soci e per poter ospitare tutti l’industriale Ardisson mette a disposizione il piazzale del proprio stabilimento. Prende vita la fanfara sociale, e vengono create le prime sezioni sportive: ginnastica, ciclismo, scherma, podismo, atletica leggera e canottaggio, con sede a Porto Torres. Alcuni soci giocano a calcio, ma per ora sono la minoranza e l’assenza di uno spazio adeguato frena per il momento la nascita di una sezione dedicata al foot-ball. Arriva finalmente il momento di dare un nome alla società per l’educazione fisica appena creata: l’8 luglio 1903 la fanfara e centinaia di soci attendono trepidanti la fine della riunione del consiglio direttivo: l’annuncio del presidente Ghera viene accolto da squilli di trombe. La società avrebbe preso “meta del suo divenire nel nome di Torres, libera capitale del Giudicato durante la gloriosa storia della Sardegna a cui appartenne Sassari per giurisdizione. Sassari che, di Torres gloriosa, fu figlia ed erede degnissima”. Vengono scelti anche i colori sociali, il rosso e il blu, sulla base di un particolare sondaggio fatto tra i soci: per alcuni giorni, nel negozio Ferrucci, al Corso, vennero esposti tre modelli delle divise sociali di gala. La scelta dei torresini cade senza esitazione su quella con “calzoni bianchi, giacca bleu con risvolti rossi, fascia rossa e maglia nera”. Sulla maglia viene ricamato il simbolo della Torres, con un perfetto incrocio tra l’acronimo Sef e la T di Torres. Il simbolo di rappresentanza è una torre coronata da un alloro e sormontata da un’aquila. Non mancano i contrasti e le incomprensioni tra coloro che stanno tessendo le fila dell’ambiziosa società. Il presidente Ghera rassegna le proprie dimissioni e viene immediatamente sostituito da Italo Faccion. La società ritrova, insieme alla serenità interna, anche una nuova spinta. I ginnasti continuano ad allenarsi senza sosta e tantissimi sassaresi iniziano ad avvicinarsi con curiosità e interesse a questa nuova entità, di origine aristocratica ma allo stesso tempo così aperta verso qualsiasi ceto sociale. La prima uscita ufficiale, dopo quasi tre mesi di durissimi allenamenti, è fissata per il 20 settembre al teatro Politeama. Una folla estasiata applaude a lungo le esibizioni dei ginnasti e le acrobazie sui pedali dei ciclisti torresini. La fanfara suona per la prima volta in pubblico l’inno sociale rossoblù, scritto dal poeta dialettale Barore Scanu e musicato da Mario Aroca. Tra Sassari e la Torres è colpo di fulmine. L’avventura iniziata cinque mesi prima nella penombra di vicolo Bertolinis è già storia.

25 aprile

Dagli archivi comunali è stata recuperata la relazione del “Progetto dei lavori da eseguirsi per la costruzione del palazzo delle scuole maschili e femminili elementari per l’isola della Maddalena” a firma dell’Ingegnere Comunale Domenico Ugazzi (senza data, ma risalente sicuramente alla primavera del 1903).
Nella relazione si cita che “è in corso di costruzione il palazzo del Comune” e che sono stati costruiti il mercato, l’ammattatoio e un nuovo cimitero.
Ugazzi racconta che, per “ben quindici anni”, ogni amministrazione che prendeva le redini di questo Comune stabiliva una speciale posizione, faceva fare studi e progetti i quali non venivano attuati, perché a breve distanza, succedeva un altro consenso di vedute….”.
La località su cui sorse la scuola era denominata Pozzo largo o Scoglio, scelta da una apposita commissione in data 7.9.1902 e approvata dal Consiglio Comunale in data 19.10.1902.
Nella relazione sono riportati i dati demografici di La Maddalena nei quindici anni precedenti:

Anno 1889 Abitanti  3.545
Anno 1890 Abitanti  4.800
Anno 1891 Abitanti  4.200
Anno 1892 Abitanti  4.295
Anno 1893 Abitanti  6.122
Anno 1894 Abitanti  6.703
Anno 1895 Abitanti  6.865
Anno 1896 Abitanti  5.087
Anno 1897 Abitanti  5.281
Anno 1898 Abitanti  5.664
Anno 1899 Abitanti  6.027
Anno 1900 Abitanti  6.614
Anno 1901 Abitanti  7.055
Anno 1902 Abitanti  7.690
Anno 1903 (sino al 25 aprile) Abitanti 7831.

Ugazzi prevede una popolazione massima di 9.000 abitanti ed una popolazione scolastica “rappresentata dal 15% della popolazione effettiva” e calcola 9000 x 15/100 = 1.350 alunni. Da ciò ricava il numero delle aule che sono 14 al piano terra e 16 al piano superiore con una superficie complessiva di 1626,82 mq (circa 54,2 mq ciascuna con le dimensioni previste di 10,10÷9,75 x 5,50÷6,00).
Le aule del piano terra sono progettate per un’altezza di 5,50 mt internamente e quelle del primo piano per 5,00 mt.
Ugazzi, in particolare, si preoccupa dell’aereazione e prevede:
quindi ogni alunno ha disponibili da 5 a 6 metri cubi d’aria, la quale potrà essere continuamente rinnovata per mezzo di fori muniti di piccoli sportelli a coulisse praticati nelle pareti esterni dei muri perimetrali da cui entra l’aria pura, mentre quella viziata si solleva ed entra in fori praticati in prossimità del soffitto e passando per tubi verticali che terminano sul tetto”.
L’edificio è diviso in 2 parti distinte perfettamente uguali; una parte per i maschi e l’altra per le femmine, ciascuna costituita da 7 aule al p. terreno e 8 al primo piano.

8 aprile

Sciopero degli scalpellini; Scrive Girolamo Sotgiu: “Presero parte allo sciopero tutti gli scalpellini alle dipendenze della società, per ottenere, per alcune categorie di operai, un aumento di salario e, in genere, l’abolizione dei cottimisti. Inoltre essi volevano che l’orario di lavoro, di 10 ore, fosse stabilito in 8 ore in inverno e 10 in estate, che nessuno degli operai potesse essere licenziato senza giustificato motivo, giudicato da una apposita commissione, che della tagliatura del granito dovesse essere responsabile l’impresa e che i prezzi di lavoro venissero stabiliti fra la società e una apposita commissione. Ma la società non volle fare alcuna concessione e rispose negativamente a tutte le domande, invitando coloro che non credevano di conformarsi alle sue decisioni a chiedere il licenziamento. Soltanto promise di concedere a gruppi di operai quei tratti di cava che man mano si fossero resi disponibili. In seguito a ciò il lavoro fu ripreso, alle condizioni di prima. La mercede giornaliera variava da lire 5 a lire 6,50”. Vedi anche: Le immigrazioni degli scalpellini

7 giugno

“Le aule del piano terreno furono progettate alte metri 5,50 internamente; quelle del primo piano tali dimensioni sono di metri 5,00; quindi ogni alunno ha disponibilità da 5 a 6 metri cubi d’aria”…………..Da “Relazione per la costruzione del palazzo Scolastico, dell’Ingegnere Comunale Domenico Ugazzi – Archivio Comune La Maddalena“. Nel 1898 inizia un fitto carteggio protrattosi fino al 1900 tra il Sindaco, la Regia Marina, il Genio Civile, l’intendenza di Finanza e l’ingegnere incaricato dal Comune per la compilazione del progetto di un edificio scolastico da edificare in Piazza Umberto I°, (esattamente dove sorgeranno poi le Poste moderne). Pressa in tal senso il Comando Marina, perché le mogli degli ufficiali temono di dover mandare i loro figli in quartieri per lo più malfamati e comunque eccessivamente distanti da casa. Inoltre, per restituire alla collettività il suolo che è stato “demanializzato” venti anni prima, pretendono 4.444 lire (una fortuna). Ne scaturisce una polemica furibonda, che vede scontrarsi pure le due associazioni di mutuo soccorso: Montenegro, filo-militare, e XX Settembre, filo-borghese. Le due Associazioni arrivano a scazzottarsi davanti alla sede reale, dove si sono recate, per perorare le loro cause opposte e contrarie. La spunterà il Comune che finalmente potrà imporre la costruzione dell’edificio in regione Montagnetta (poi via Carducci), ma solo dopo aver sventato (grazie ad un oculato Commissario Prefettizio) un altro colpo gobbo di un assessore che, durante una crisi comunale, intendeva dirottare il finanziamento nella stessa zona, ma più spostata verso lo stradone militare di Guardia Vecchia, dove sorge il palazzo Peretti.

15 giugno

Nei primi anni del 1900, la Superiora dell’ospedale Militare, Suor Sodano, constatando il “grande miseria morale in cui versava il paese per la presenza di due logge massoniche e di una chiesa protestante con a capo un ministro zelantissimo e abilissimo nello spargere false dottrine”, avverte l’urgente bisogno di “impedire che il male dilagasse sempre più e pensò ad un’altra Casa di Figlie della Carità, che, potessero per mezzo delle opere di gioventù attirare le anime a Dio”. Per interessamento di S.E. Monsignor Emilio Parodi, Amministratore Apostolico al quale stava molto a cuore la cosa, e che diede tutto il suo contributo all’esecuzione del progetto, mediante la somma di £ 21.500, raccolta tra le Figlie della Carità della Provincia di Torino, fu acquistato uno stabile di proprietà dei Signori Dezerega, situato nel centro del paese, e preparato l’indispensabile per l’apertura della Casa da chiamarsi “Casa San Vincenzo”. Giunsero le prime due Suore, inviate dai venerati Superiori che avevano loro dato una larga benedizione per la buona riuscita dell’opera. Erano a riceverle allo sbarco il Rev. Signor Vicario Can. Vico, Parroco del luogo e la buona Suor Sodano che le condusse alla minuscola, graziosa casetta, adagiata su un terreno assai roccioso, che doveva essere la loro residenza. Il 1° luglio, accompagnata dalla Superiora di Sassari, la Serva di Dio Suor Giuseppina Nicoli, giunse per l’apertura ufficiale la compianta Suor Teresa Fior, nominata Superiora della Casetta nascente. Il 15 luglio 1903 fu aperta la prima opera con laboratorio delle giovinette poi, data l’esiguità dei locali, fu costruito un altro piccolo fabbricato con due aule che servivano, una per asilo e una per dare qualche lezione. Grandi progetti di miglioramento aveva in mente la buona Suor Fior, ma richiamata dai superiori di Torino nell’agosto del 1907, per prendere la direzione dell’Orfanotrofio fondato da suo padre ad Udine, sua città natale, non poté effettuarli.

15 luglio

Nasce l’Istituto San Vincenzo con le Figlie della Carità. Nasce la Casa San Vincenzo. La beata suor Giuseppina Nicoli, allora quarantenne e superiora dell’orfanotrofio di Sassari, giunse a La Maddalena accompagnando la trentatreenne suor Teresa Fior per inaugurare, insieme, la Casa San Vincenzo, della quale la Fior divenne superiora per alcuni anni. La prima era lombarda, la seconda friulana. In quegli anni, tra fine ‘800 e primi ‘900, la popolazione complessiva di La Maddalena, in conseguenza degli imponenti lavori di fortificazione militare, che richiedevano manodopera specializzata e non, si era quadruplicata, raggiungendo quasi 8mila abitanti; e grandi problemi particolarmente di carattere sociale (oltre che politici, urbanistici e di servizi) si erano presentati. Anche la Chiesa cattolica pose la propria attenzione sulle varie problematiche di un arcipelago in rapida crescita, tanto che, tra il 1901 e il 1926 i Vincenziani organizzarono ben 5 Missioni Popolari. Ad alcune di esse partecipò anche il lombardo padre Giovanni Battista Manzella (1855-1937), che prestava la propria opera a Sassari, il quale, nella relazione alla Missione del 1906 così duramente si espresse sull’Isola: «È una popolazione eterogenea, costituita da persone provenienti da vari paesi dell’isola e del continente. Gli opifici governativi sforzano gli operai ad un illegale e crudele lavoro festivo senza distinzione dai feriali. I numerosissimi militari mantengono la solita parte di malcostume». Dal punto di vista religioso, scriveva padre Manzella, «massoneria, valdismo, increduli e non praticanti, formano i diciannove ventesimi della popolazione. Il ministro protestante predica tre volte la settimana coadiuvato da un vice». Un quadro dunque questo che richiedeva, da parte dei vincenziani, una energica azione di evangelizzazione attraverso una presenza stabile e significativa, della quale si fece promotore proprio padre Manzella con l’appoggio dell’amministratore apostolico di Tempio e Ampurias e arcivescovo di Sassari, mons. Emilio Parodi, vincenziano anche lui, il quale raccolse una consistente somma di denaro per l’acquisto di uno stabile, in posizione centrale, con terreno (quest’ultimo pare donato) dove dar vita alla Casa San Vincenzo (poi divenuta Istituto San Vincenzo). In poco tempo fu realizzato ed avviato un laboratorio per le ragazze e vennero costruiti due piccoli locali, uno da adibirsi ad asilo e l’altro a scuola. Intensa fu, da subito, l’attività caritativa e assistenziale nei confronti di una popolazione composta particolarmente da immigrati. Successivamente vennero aperti l’orfanotrofio per bambine e la casa di riposo per anziani mentre alcune suore furono adibite all’insegnamento del cucito e del ricamo. Anche le lingue, la pittura e musica furono oggetto di insegnamento. L’attività della Casa San Vincenzo fu inizialmente ostacolata dalle amministrazioni comunali dell’epoca, piuttosto anticlericali e non disposte a concedere alle religiose un ruolo importante in campo educativo. La svolta tuttavia si ebbe con l’arrivo di una nuova superiora; nel 1909 fu destinata a La Maddalena la trentenne torinese, suor Maria Elisa Gotteland, di agiata famiglia, la quale, in pochi anni, sia per le indubbie capacità d’intraprendenza sia per le conoscenze familiari, trasformò l’Istituto San Vincenzo non solo in un grande centro di assistenza e di carità ma che in una poderosa macchina educativa e culturale organizzata per convertire l’arcipelago al cattolicesimo. Potenziate le classi elementari, le suore impartivano anche lezioni per i frequentanti le Scuole Medie pubbliche e le Superiori, particolarmente ai figli dei militari, proiettati verso le accademie del Continente. Nel 1919 fu aperto l’Educantato; bambine e ragazze giungevano a La Maddalena dai paesi vicini (Santa Teresa, Luogosanto, Arzachena, eccetera) per frequentare le scuole allora esistenti nell’arcipelago. A visitare l’Istituto giunsero in quegli anni personalità di rilievo, a cominciare dalla Regina Margherita nel 1922 e il principe Umberto di Savoia nei primi anni ‘30. Suor Gotteland morì nel 1940 e a La Maddalena volle essere sepolta.

23 agosto

Muore Menotti Garibaldi; Ammalatosi di una febbre malarica mentre si trovava nella tenuta di Carano, il Garibaldi, che l’anno prima era uscito quasi incolume da una caduta in un pozzo profondo 14 m, morì a Roma. I solenni funerali, con la partecipazione di veterani, reduci, ex combattenti, massoni, di una delegazione dell’Unione liberale di cui era stato a lungo presidente e di una folla di gente comune, muovendo dalla romana porta S. Giovanni trasportarono la salma fino a Carano, dove ebbe luogo la sepoltura. Durante il percorso sull’Appia, all’altezza di Cecchina, sopraggiunse a cavallo Gabriele d’Annunzio il quale, fermato il corteo, pronunziò un ispirato discorso commemorativo. Menotti, che aveva sposato Italia Bideschini, alla sua morte lasciò cinque figli: Anita, Rosina, Gemma, Beppina e Giuseppe.

24 agosto

Come ci informa Elettrio Corda nel suo volume “Altalena sul Tirreno”, all’inizio del secolo il porto di La Maddalena era scalo dei vapori di quel colosso armatoriale che fu la “Navigazione Generale Italiana” e centro di intensi traffici mercantili. Le navi che vi facevano scalo, i vari piroscafi Africa, Adriatico, Candia, Egitto, e tanti altri, variavano dalle 600 alle 2.000 tonnellate ed arrivavano carichi di merci destinate alla popolazione, ai vari presidi militari stanziati nell’isola ed ai mercati della vicina Gallura che, a quell’epoca Erano i tempi della “piccola Parigi” si rifornivano a La Maddalena. Non trascurabile era inoltre il traffico dell’armatoria privata e non poche erano le imprese maddalenine che possedevano bastimenti o che noleggiassero per il trasporto di merci. A tale traffico portuale corrispondeva ovviamente un intenso traffico cittadino di carri e carretti sia a trazione manuale che a trazione animale, per il carico e scarico delle merci e per il loro trasporto all’interno dell’abitato. Per i carichi più pesanti erano giunti dalla Gallura alcuni carri a buoi e non pochi erano poi i carrozzini che dei maggiorenti maddalenini e le vetture a cavallo che, quasi quotidianamente, portavano gli immancabili visitatori dei luoghi garibaldini di Caprera, specie dopo la costruzione della diga-ponte realizzata dalla Marina nel 1891. Era un continuo via vai di mezzi, con tintinnio di sonagli e campanacci e singolari personaggi quasi tutti conosciuti dai vecchi maddalenini con coloriti soprannomi che spesso venivano estesi al loro asino e talvolta viceversa. I disagi e gli inconvenienti provocati dall’intenso traffico non dovettero essere pochi tanto che l’amministrazione comunale intervenne con appositi regolamenti, approvati i quali, nell’estate del 1903, decise di chiudere al traffico la via Garibaldi fin da allora salotto cittadino e passerella di belle fanciulle agghindate alla ricerca di marito. L’ordinanza emessa dal sindaco così informava la popolazione: “Allo scopo di tutelare la pubblica incolumità; ritenuto che per la ristrettezza della via Garibaldi accadono spesso gravi inconvenienti a causa dei carri che vi si incontrano sospendendo anche il pubblico passaggio (sarebbe stato meglio dire pubblico passeggio) Che perciò è il caso di limitare il transito dei veicoli nella via Garibaldi soltanto a quelli che per ragioni di commercio o di lavoro devo eseguire carico scarico per le case poste lungo la via stessa e cioè dall’imbocco in piazza Umberto I a quelli in piazza del Mercato; che per tutti gli altri veicoli il transito può eseguirsi lungo la via litoranea; che tutti i veicoli dentro l’abitato, in esecuzione di speciali regolamenti debitamente approvati, debbono marciare al passo, ed i carri, carichi o no, devono essere guidati a mano, rende noto: Il passaggio dei veicoli in via Garibaldi è solo permesso nel caso debbano eseguire carico o scarico per le case comprese nella via stessa. Gli altri carri e vetture, i primi sempre condotti a mano, avranno passaggio per la via litoranea. Tanto i carri che i carretti tirati da animali devono essere muniti di catena d’arresto che ne garantisca l’immobilità durante le fermate. La Maddalena 24 agosto 1903 – Il Sindaco  G. Viggiani.

In un epoca in cui il traffico automobilistico era di la da venire (la prima automobile che attraversò via Garibaldi, quella del Touring Club, immortalata in una cartolina dell’epoca, giunse proprio in quegli anni), l’amministrazione comunale ebbe la sensibilità di regolamentare rigidamente il traffico cittadino creando, come abbiamo visto, quasi certamente, la prima isola pedonale della Sardegna.

dicembre

Appena giunti a La Maddalena la prima volta l’evangelista Virginio Clerico e sua moglie Lisa Deisenseer, giunti nell’isola a continuare il lavoro impostato un paio di decenni prima dal pastore elbano Giuseppe Quattrini, pochi giorni prima del Natale 1903, accolti dall’entusiasmo e dal calore dai non pochi simpatizzanti della piccola congregazione. Il Grande albero di Natale che allestirono nella sala di Culto fu adornato con le arance che Donna Francesca Garibaldi mandò in regalo dal suo frutteto di Caprera. Forte dell’esperienza di 14 anni di evangelizzazione e consapevole quindi delle difficoltà notevoli a cui andava incontro, Clerico si rese subito conto, al di là degli entusiasmi e dell’ottimismo iniziale, che non sarebbe stato facile lo sviluppo e il consolidamento della Stazione Evangelica di La Maddalena. Una cosa era infatti la partecipazione, spesso massiccia, dei maddalenini alle conferenze, l’altra cosa era l’adesione alla fede evangelica e la frequentazione dei culti. “Senza un maggior decoro del locale che farebbe un buon magazzino ma non è ancora una chiesa e senza altra opera, scuola, asilo. scuola serale, colla sola opera religiosa…… considerato anche l’ambiente di La Maddalena….. c’è poco da sperare” scrisse Clerico nel 1905, nella sua relazione annua.