CronologiaMillenovecento

Correva l’anno 1904

La nuova realtà maddalenina di fine secolo XIX, in piena evoluzione economica e urbanistica, aveva bisogno di una adeguata sede del Municipio in quel momento ridotto in una condizione di ristrettezza e addirittura “indecente”. Dopo qualche tentativo nel 1894, non maturato per beghe politiche, due anni dopo il consigliere comunale Angelo Perugia propose di utilizzare la struttura appena costruita del mercato, elevando un piano. Difficile risultò individuare la nuova ubicazione del mercato, che Perugia proponeva nell’immobile ubicato in via Vittorio Emanuele e donato al Comune dagli eredi di Agostino Millelire. Dalle carte catastali pare essere proprio quello in cui trovò sede la Società di Mutuo Soccorso “Elena di Montenegro”. Il progetto non superò il controllo degli organismi superiori, e gli amministratori si rivolsero ad utilizzare un’area degli ampi spazi da sottrarre al mare di fronte allo scalo di S. Erasmo. L’amministrazione comunale guidata dal sindaco Culiolo con il riempimento di quella vasta area prevedeva di risolvere la questione fognaria legata alla grande vadina, di recuperare una piazza dietro il mercato e avere l’area di sedime per il nuovo municipio. Nel frattempo il sindaco Culiolo lasciò il posto al Commissario governativo Valle che con procedure accelerate ottenne il nulla osta del Ministero della Guerra (barattando la spianata del Quartiere e la fontana del re). Il Lo stesso Commissario affidò il progetto all’ingegnere sassarese Giuseppe Franchetti che lo approntò per l’ottobre 1898, prevedendolo a levante del mercato nonostante la furibonda opposizione di Carlo Ajassa che lo voleva a Cala Gavetta nei pressi del palazzo Zicavo (oggi Banco di Sardegna). L’appalto fu vinto dalla ditta Muntoni che iniziò i lavori in un ambiente agitato che produsse molte varianti al progetto e determinò la rinuncia di Muntoni all’appalto. Fu necessario anche rimettere mano a un nuovo progetto, che stavolta fu affidato all’ingegnere comunale Domenico Ugazzi. I lavori, affidati alla ditta isolana di Andrea Raffo, ripresero nel 1903 e già nell’aprile 1904 il completamento del tetto fu celebrato con il pranzo delle maestranze. Nel dicembre successivo le opere murarie erano concluse e si soffrì un ritardo della consegna delle balaustre di marmo dei balconi. Nel frattempo si diede disdetta del contratto di affitto con Tomaso Volpe per l’affitto dei suoi locali di via Principe di Napoli che ospitavano gli uffici comunali. Alcuni mesi dopo il nuovo palazzo comunale era in funzione ed oltre i propri uffici, ospitò nel piano terra anche le regie poste. Contestualmente alla richiesta di manodopera per le cave di granito, scoppia il problema del “mercato degli affitti”. Infatti, se il porto di Genova era la porta di accesso per gli operai che chiedevano di venire a lavorare alla Maddalena: a volte erano disgraziati che non avevano neanche i soldi per il viaggio e per mangiare, soldi che venivano anticipati dalla ditta alla partenza, insieme alle prime informazioni sulla vita della cava; spesso nell’ufficio di Genova si presentavano giovani desiderosi di portar con sé la famiglia, pronti a cercare nuova fortuna tagliando i ponti con i luoghi di provenienza. In alcuni periodi le richieste risultavano tutte accoglibili per la grande richiesta di manodopera, ma quando il lavoro scarseggiava operai anche specializzati dovevano essere rimandati indietro. Arrivati qui, i nuovi venuti dovevano cercare una sistemazione che costasse poco, alimentando così un mercato di affitti illegali di scantinati e locali malsani che faceva intervenire con vigorose quanto inutili denuncie l’ufficiale sanitario, dottor Regnoli. “Non posso…. esimermi dal parlare di certi sotterranei, che qui a Maddalena vengono adibiti ad uso abitazione per famiglie povere che rappresentano non solo quanto di antigienico può esistere, ma anche quanto di antiumanitario si possa immaginare”. (ASS, Tribunale di Tempio, Pretura di La Maddalena, busta 52, Relazione sullo stato igienico e sanitario del comune della Maddalena durante l’anno 1904, compilato dall’ufficiale sanitario dottor Regnoli Giovanni, Tipografia e Cartoleria G. Tortu, 1905. Egli proponeva di eliminare questo mercato chiedendo all’amministrazione di intervenire a “proibire in modo assoluto ai proprietari di poterli affittare”, ma la situazione perdurava identica ancora nel 1910 – Relazione della commissione di vigilanza del 1° rione ad ovest della via Italia, Piazza della Chiesa, via Ilva, via Cairoli sulle Condizioni Igieniche del Paese, Livorno, Industria Tipografica Benvenuti e Cavaccioli, 1910).

Erasme Carrega è sindaco di Bonifacio e Giuseppe Cardi è sindaco di Santa Teresa; ricoprirà l’incarico fino al 1907.

Il comandante Aristide Garelli parte da La Maddalena.

26 aprile

Il direttore generale del Touring Club Italiano Federico Johnson percorre la Sardegna con una Isotta Fraschini 16 HP ed arriva anche a La Maddalena. Fu la prima autovettura che traghettò da Palau e la seconda a calcare il suolo sardo (la prima sbarcò a Cagliari nel 1903, era una Vermorel francese, vinta a un concorso a premi dal Sig. Manunza di Sestu), ed è interessante leggerne il racconto: “alle 8.00 circa, Johnson lascia Tempio con direzione Palau. L’automobile attraversa veloce Padulo, lo Sfossato e, dopo un salto a Luogosanto, ritorna sulla strada principale; transita per Bassacutena e giunge sino al ponte sul Liscia dove gli ospiti sono attesi da soci del Touring, giunti in bicicletta da La Maddalena. Alle 10.00 tutti si ritrovano al porto di Palau; Ecco il mare, si fa una sosta al Palau, ove l’automobile arriva alle 10 circa; viene imbarcata sopra un barcone a vela, e alle 10.30 tocca La Maddalena, ove i turisti sono ricevuti dalla “Società Operaia XX Settembre” e dai comuni abitanti dell’isola che accolgono acclamanti la comitiva. Questa percorre le vie principali della città e poi si dirige verso Caprera dove è d’obbligo la visita alla casa del generale Garibaldi ed alla sua tomba. Al ritorno a La Maddalena il sindaco Sabbatini ed i soci del Touring offrono un lauto pranzo, che termina con una serie di brindisi a metà pomeriggio. Alle 16.00 si riparte per Palau. Poco dopo le 17.00 l’auto riprende spedita la strada per Tempio percorrendo senza soste i 47 chilometri nel fantastico tempo di 1 ora e 37 minuti (la diligenza dei Grimaldi percorreva allora quella stessa tratta in circa 8 ore). Scopo (non dichiarato) ma esplicito del viaggio: sostituire il servizio postale e le vecchie corriere con le nuove automobili. Nel 1907 infatti verrà inaugurata la linea Palau – Tempio – Sassari di 130 Km”. il commendator Johnson sbarcò, con la sua auto, calata, con le gru dal piroscafo “Candia”, sulle banchine del porto di Golfo Aranci. Dopo i saluti e convenevoli, partì in direzione Tempio. Trascorsa la notte il 27 mattina si mise in viaggio verso Palau.
Giunto nel paesino gallurese intorno alle 10 del mattino, la sua Isotta, con molta cura e attenzione, venne imbarcata su di un barcone a vela, che partì navigando per La Maddalena, alle cui banchine arrivò attorno alle 10,30.
Ad accogliere i “visitatori”, tutti i soci della “Società Operaia XX Settembre”, Johnson volle prima fare un giro per le strade del paese percorrendo tutta via Garibaldi (celebre la cartolina che ritrae l’auto che percorre la nota via), dopodiché diresse per Caprera, dove, dopo le visite di rito, posò per una foto ricordo.
Al suo rientro in paese a Johnson ed ai suoi accompagnatori venne offerto un pranzo da parte della Società XX Settembre, presso l’albergo “Belvedere”, sul lungomare cittadino. Terminato il pasto, attorno alle 16,00, con atto di cortesia il Comandante cavalier Guerra concesse un rimorchiatore della Regia Marina per rimorchiare il barcone con sopra l’automobile di Johnson fino alla banchina di Palau.
Da qui l’auto si metterà in viaggio per Tempio, per poi proseguire fino al Campidano, attraversando paesini e piccoli centri abitati. Rientrò definitivamente a Golfo Aranci il 6 maggio per essere nuovamente imbarcata sul Piroscafo “Candia” in partenza per Civitavecchia.
Si concluse così il viaggio di Johnson, per l’epoca avventuroso, nelle strade di una Sardegna al suo primo contatto con il mezzo che di lì a poco avrebbe sconvolto il futuro dei trasporti e della società, la “Carrozza de fogu” aveva accorciato le distanze ed avvicinato le genti. Valga un solo ultimo dato: al ritorno, il tratto Palau – Tempio fu percorso in un’ora e 37 minuti, mentre l’omnibus trainato dai cavalli, per la stesso tragitto, impiegava, all’epoca, circa otto ore.

1 maggio

Dagli Archivi della Chiesa apprendiamo di una relazione fatta in occasione della Missione popolare a La Maddalena: La Maddalena: 12.000 abitanti; missione dal 1 al 21 maggio. Predicatori: Manzella e Valentino. “Maddalena! Terra veramente degna della patrona prima della conversione. È una popolazione eterogenea, costituita da persone provenienti da vari paesi dell’isola e del continente. Tale situazione si registra anche nel comportamento religioso: massoneria, valdismo, increduli e non praticanti formano i diciannove/ventesimi. La nefasta tomba di Caprera che la prospetta pare che con i suoi miasmi infernali tutta ne abbia appestata l’aria ed il suolo talmente da renderlo persino incapace di fecondità, come il suolo che attornia il celebre Mar Morto! Gli opifici governativi (l’arsenale) sforzano i poveri operai ad un illegale e crudele lavoro festivo senza distinzione dai feriali. I numerosissimi militari mantengono la solita parte del malcostume. Il ministro protestante predica tre volte la settimana coadiuvato da un vice. La scomodità dell’unica chiesa, il carattere perfettamente inerte dei due sacerdoti, che per altro sembrano buoni: tutto concorre a far tristemente presagire l’esito della missione. Essendo scarso l’afflusso in chiesa, il Signor Manzella, ottenute le debite autorizzazioni, si recò nella zona lontana ed isolata detta Cantiere per predicarvi e celebrare all’aperto. Era opera troppo buona ed il demonio suscitò tutti i suoi degni figlioli massoni, protestanti e socialisti, i quali al momento di partire fanno emettere un decreto revocativo del permesso e proibitivo d’ogni radunanza religiosa in quel luogo. I missionari fecero intervenire il Prefetto il quale chiese spiegazioni al sindaco massone. Se il demone lavora, il buon Dio non dorme sulla salute delle anime e tutto coordina al miglior loro vantaggio: fu affittata una sala che divenne una succursale della scomoda chiesa parrocchiale e permise un migliore proseguimento della Missione.

10 luglio

Dopo la morte di Francesco Sabatini, avvenuta il 10 luglio, Giuseppe Viggiani è nominato sindaco, ma morirà il 30 novembre.

30 luglio

Nasce a Tempio Pausania, Aldo Chirico; Medico, politico, giornalista e studioso di storia. Di cultura sardista, nel primo dopoguerra fu il fondatore della sezione del Partito Sardo d’Azione a La Maddalena, di cui fu a lungo Podestà. Caduto il fascismo, dal 1943 prese parte al dibattito sull’autonomia della Sardegna. La sua esperienza (giornalistica, ma anche umana) più interessante è legata al breve soggiorno di Mussolini a La Maddalena subito dopo il 25 luglio. In uno dei trasferimenti predisposti dal governo Badoglio per sottrarre Mussolini ai tentativi di liberazione messi in opera dai tedeschi, l’ex dittatore fu tenuto prigioniero per 21 giorni, dal 7 al 28 agosto 1943, a Villa Webber, nell’immediata periferia dell’abitato maddalenino. Guardato a vista, Mussolini era rigorosamente isolato: solo con il parroco don Capula intrattenne un minimo di dialogo. Chirico, mosso dalla sua solidarietà di medico e dalla curiosità di giornalista, cercò di entrare in contatto con lui, inviandogli dei bigliettini per mezzo della donna incaricata di lavare la biancheria. Tutto questo Chirico lo raccontò prima in un articolo del quotidiano ‘‘Il Tempo’’ di Roma (Mussolini prigioniero a La Maddalena) che poi raccolse e ampliò in un opuscolo (Mussolini a La Maddalena). Di recente sarebbe stata ritrovata una lettera di Mussolini che indicava al destinatario il dottor Chirico come l’uomo che avrebbe collaborato a un suo tentativo di fuga dall’isola.

10 settembre

Pasquale Serra aveva inoltrato al sindaco richiesta per ricerche minerarie nell’isola di Santo Stefano, ma, pur avendo avuto risposta positiva, non aveva ufficialmente avviato alcuna attività. Ora, però, il personaggio che si presentava sotto il nome di “ditta Salvatori e &”, mostrava tutta l’intenzione di inserirsi prepotentemente nel mercato del granito sardo: era Stefano Schiappacasse, costruttore edile genovese che, venuto in Sardegna nei primi anni Venti per procurarsi forniture di pietra da costruzione, era sbarcato prima a Tortolì dove aveva aperto una cava fallita in breve tempo. Era venuto, quindi, alla Maddalena e aveva avvicinato Primo Tonelli per avere informazioni da un esperto sui luoghi più adatti per nuovi impianti. Era stato proprio Tonelli a suggerirgli Villamarina e Schiappacasse si era accordato con il proprietario, Pasquale Serra, con la clausola che ne avrebbe assunto il figlio Giovanni Battista. Solo nel 1930, però, l’apertura della cava a nome “dell’esercente proprietario Stefano Schiappacasse & C di Genova” fu formalizzata con l’indicazione di Battista Serra come direttore dei lavori. Da subito una buona organizzazione sembrava riproporre, in piccolo, le caratteristiche di Cala Francese: la cantina ad uso dei dipendenti, una linea di collegamento con La Maddalena, la banchina della Fumata per accogliere gli operai e quella di Cala Levante per imbarcare comodamente i pezzi finiti, una rete viaria ripristinata adeguatamente, gru, binari per i carrelli da trasporto, forge e quanto altro necessitava al lavoro. Schiappacasse aveva avviato una gestione piuttosto attiva: i contatti con Genova, la sua esperienza nel campo dell’edilizia, la qualità della pietra di Villamarina, gli garantivano contratti importanti: ma i dipendenti gli rimproveravano comportamenti non corretti nei loro confronti, accusandolo di scarsa serietà nel versamento dei contributi previdenziali e di altrettanto scarsa puntualità nel pagamento dei salari. Perciò mentre a Cala Francese il giorno di paga era fisso, a Villamarina i ritardi erano la norma e una bandiera gialla con un decoro rosso veniva issata per segnalare che finalmente si poteva ritirare il dovuto. A volte, per zittire gli operai inferociti da settimane di attesa, Schiappacasse dava loro dei buoni per generi di prima necessità da spendere nel negozio di alimentari di Battaglia che gli concedeva credito, finche cinque di loro (fra cui Enea Morganti, Paolo Moi, Giacomo de Giovanni e Giorgio Amalfitano) si rifiutarono di continuare il lavoro manifestando il loro malcontento di fronte a tutti gli operai riuniti sulla banchina a Maddalena per l’imbarco verso Santo Stefano. I più giovani fra cui Pilade Moranti, figlio di Enea, si sentivano “come pulcini”, spaventati dalla presenza dei carabinieri (accorsi per sedare eventuali disordini) e tuttavia partecipi della “rivolta” degli anziani. Schiappacasse fu duro con questi allontanandoli da Santo Stefano, ma, dovendo in qualche modo rimediare, affidò loro la lavorazione di un grosso masso precipitato a causa di un fulmine, nel terreno di Webber, vicino al mare: si aprì così una cavetta che assicurò un discreto lavoro.

22 settembre

Viene demolita una parte del campanile della chiesa di Santa Maria Maddalena, perché pericolante.

18 novembre

Il canonico Antonio Vico, prende carta e … pennino, scrivendo al Prefetto di Sassari una dura lettera contro l’Amministrazione Comunale isolana, allora guidata dal sindaco Giuseppe Susini (in carica dal 1912 al 1918, un’Amministrazione quella assai chiacchierata, tanto che fu oggetto di un’accurata inchiesta ministeriale, l’inchiesta Ferri). La lettera del parroco tuttavia riguardava certi lavori alla facciata della Chiesa, iniziati e non conclusi (sulla quale facciata da circa 90 anni non venivano eseguiti significativi interventi conservativi). “Fin dallo scorso mese di maggio – scriveva Vico al Prefetto – l’onorevole Consiglio Comunale aveva fatto costruire dei ponti per la riparazione della facciata di questa Chiesa Parrocchiale che minacciava rovina con pericolo di irreparabili disgrazie per le persone che affluiscono in detta Chiesa. Dopo aver distrutto il primo cornicione ha fatto sospendere i lavori, ed ora si trova pericolante non solo dei crepacci della facciata istessa, ma anche gli stessi ponteggi minacciano rovina per i temporali che si stanno scatenando di piogge e di venti impetuosi. Ad ovviare qualche disgrazia mi rivolgo alla benignità della S.V. Ill.ma perché voglia con sollecitudine provvedere a che l’onorevole Consiglio Comunale faccia continuare e finire i lavori cotanto urgenti. La prevengo – precisava il Parroco – che la Chiesa Parrocchiale è talmente povera che fin l’antiquo è sussidiata dallo stesso Comune di lire 150 per l’olio lampada e per le candele necessarie al Culto Divino; è giusto dunque come è di legge che facciano le riparazioni necessarie. Io intanto ne declino ogni responsabilità, lasciando che questa ricada sull’Amministrazione Comunale“. Non abbiamo la risposta che il Prefetto inviò al parroco Vico, ma certamente quest’ultimo intervenne, tanto che poco tempo dopo i lavori ripresero, “eseguiti in economia“, sulla base del progetto e della relazione che il geometra comunale Antonio Cappai aveva redatto in data 10 agosto 1904.

Proprio dal 1904, l’imponente aquila di legno posta sullo spigolo di un altrettanto secolare palazzo, ‘sorveglia’ l’imboccatura est di via Garibaldi. L’opera, pregevole intarsio di discreta grandezza, fu realizzata da un detenuto che scontava la propria pena presso la Colonia Penale della ‘Disciplina’ di Moneta. A ordinarla fu la famiglia Bargone, proprietaria dell’immobile ultimato proprio in quell’anno. Agli inizi del Novecento via Garibaldi andò ad assumere le connotazioni attuali, con l’edificazione di numerosi palazzi, molti dei quali di discreta architettura. Vennero aperti diversi negozi, anche signorili, che la trasformarono nella via principale e più elegante dell’isola. Il locale adiacente il ‘monumento’ venne dato in locazione a un certo Giovanni Casale di Genova, che mise su un negozio che denominò “Emporio all’Aquila”. Dopo alcune brevi gestioni, il negozio nel dopoguerra passò alla famiglia Susini, che ribattezzò l’attività “Magazzini all’Aqula”, denominazione rimasta fino ai primi anni Novanta del secolo scorso. Nel 1974 ma maestosa aquila di legno, duramente provata da circa settant’anni di sole, vento ed intemperie, fu sottoposta ad un necessario restauro. Riprese il suo posto pochi mesi dopo. Oggi (nel 2020) è tornata in mano degli ebanisti per un secondo restauro e attendiamo di poterla rivedere svettare al più presto.