Amici di La MaddalenaCo.Ri.S.MaGiorgio Andrea Agnès des GeneysLa Maddalena AnticaRubriche

Des Geneys e le condizioni storico-politiche della sua presenza nell’isola

Quando Giorgio Andrea Des Geneys nacque a Chiomonte-Susa il 29 aprile 1761, l’Europa era appena uscita da una lunghissima e travagliata crisi politica che, con le guerre di successione spagnola, polacca ed austriaca aveva interessato tutta la prima metà del secolo XVIII, sostanzialmente modificando e, addirittura travolgendo tutti i precedenti equilibri europei.

Altri e ben più radicali mutamenti aventi causa ed origine nella Rivoluzione Francese e nella conseguente ascesa dell’astro napoleonico avrebbero interessato l’ultimo decennio del Settecento e buona parte del secolo successivo.

La figura e l’opera del Des Geneys rientrano in tale contesto storico e pertanto, non si può in alcun modo prescindere dal tratteggiarne, sia pure in estrema sintesi, gli avvenimenti più salienti che, in qualche modo, fungono da premessa e condizione non soltanto dell’opera del Des Geneys ma anche della nascita e crescita di questa Comunità nella quale egli ha operato per oltre un trentennio e della quale si e sempre assiduamente interessato lungo l’arco di tutta la sua vita.

Non si può. in fatti, trascurare di dire che guerre apparentemente così lontane sono state tanto vicine da influire e determinare la nostra condizione di civile comunità e. addirittura, la nostra nazionalità o cittadinanza.

Con la guerra di successione spagnola (1700 – 1713/14), tanto per fermarci soltanto al primo e più importante avvenimento storico che ci riguarda la Sardegna, nel gioco degli equilibri tra Potenze europee, cessava dalla secolare dominazione spagnola per divenire, dopo un periodo di dominazione austriaca durato 9 anni ed una breve riconquista da parte della Spagna (1717) un regno autonomo in uno con il Piemonte e Vittorio Amedeo ll di Savoia diventava il primo Re di Sardegna (1718).

E con la costituzione del Regno di Sardegna, anche La Maddalena ed il suo arcipelago cessava di essere una sorta di res nullius o terra di nessuno, per diventare parte integrante di esso sia pure dopo circa un cinquantennio trascorso tra disinteresse, incertezze e tentennamenti.

L’atto di cessione della Sardegna ai Savoia, firmato dai plenipotenziari di Filippo V Re di Spagna. e Vittorio Amedeo ll a Cagliari l’8 agosto 1720 (e non nel 1721 come erroneamente riporta il Garelli ed altri storici) contiene la seguente dizione: «Regnum el insulam Sardiniam una cum suis adnexis, connexis ad dependentibus et eo pertimentibus››.

In tale atto non si fa alcun accenno alle Isole dell’Arcipelago e tale omissione sarà successivamente e per molti decenni oggetto di contestazione e di rivendicazione, soprattutto da parte francese.

La omissione ha, altresì, determinato nei primi Viceré inviati in Sardegna l’assoluto disinteresse per quelle che venivano allora chiamate Isole dei Carruggi, secondo una denominazione genovese, anche perché non abitate dai sardi, notoriamente poco amanti del mare, e lontane da principali centri abitati quali Tempio, Terranova e Castelsardo.

Soltanto nel 1728 il Viceré Marchese di Cortanze sembra accorgersi dell’esistenza di tali isole e, venuto a conoscenza che alcuni pastori corsi erano da tempo nel possesso di esse pascolandovi il bestiame e coltivandovi modeste superfici di terreno, decideva di informarne il Governo di Torino proponendo l’allontanamento di tali pastori o, comunque, l’assoggettamento di essi alla sovranità regia, mediante il pagamento di un sia pur modesto tributo a titolo di canone di affitto.

Forse è interessante conoscere che all’epoca come risulta dalla relazione del Comandante Della Chiusa, comandante delle mezze galere incaricato di effettuare appositi rilievi statistici come diremmo oggi, il numero dei pastori corsi in tutto l’Arcipelago era il seguente: “a La Maddalena e Caprera complessivamente 60 unita tra «maschi, femmine e figlioli che hanno la loro dimora in baracche di muri a secco; nell’isola di Spargi vi erano soltanto «alcune capre lasciate da 14 persone che due volte all’anno colà si portano da Bonifacio”; nell’isola di Santa Maria «essersi detto che abitavano due pastori e trovasi al presente inabitata».

Le intimazioni di pagamento del canone fatto ai pastori corsi a mezzo del Reggitore di Tempio, non sortirono comunque alcun effetto. Non solo, all’annuncio che si sarebbe recato nelle isole il luogotenente del Reggitore ad intimare il pagamento, i pastori corsi fecero sapere che essi nulla avrebbero potuto fare senza “la partecipazione dei loro padroni abitanti nella Corsica” che «a tutti li patroni di barche era stato vietato dal Governatore di Bonifacio di trasportare a dette isole verun sardo e principalmente ministro di giustizia» e. infine «che anzi era stato ordinato da detti padroni di prendere armi e di far fuoco sopra li Sardi, per il che erano stati provvisti di polveri e palle».

Sta di fatto che i pastori corsi, non soltanto continuarono indisturbati nel possesso delle isole, ma addirittura cominciarono a pensare di stabilirvisi in maniera duratura ed a trasformare le povere baracche in costruzioni solide anche se modeste.

Soltanto nel 1767 il governo sardo decideva di occupare le isole «manu militari» ma in realtà, dopo aver concordato l’occupazione con i rappresentanti di detti pastori ed un corpo di spedizione di 140 uomini al comando del Maggiore La Rocchetta si imbarcava a Longosardo il 14 ottobre e dopo poche ore «faceva finta» di conquistare La Maddalena.

L’emblematico saluto di Pietro Millelire rivolto agli occupanti «Viva chi vince» è la conferma più significativa dell’accordo e la lettera di Pietro Culiolo al Commissario di Bonifacio, Oldoini, del 26 ottobre, un tentativo di giustificazione della resa.

Gli abitanti in tutto l’arcipelago ammontavano in quel momento a 185 unità.

Il Barone Des Geneys aveva allora appena 6 anni e. pertanto, si può ben dire che egli nasceva nel momento in cui anche La Maddalena nasceva come comunità civile organizzata.

Il primo vero contatto con La Maddalena, il Des Geneys lo ebbe nel 1783 e cioè circa sedici ami dopo la «conquista» da parte dei Savoia, allorché, appena ventiduenne veniva qui destinato per assumere il comando della mezza galera Beata Margherita da poco acquistata a Napoli e dislocata in permanenza in questa sede.

In questi sedici anni la piccola originaria comunità era cresciuta ed alcune opere già realizzate, quali la chiesetta della Trinità e il forte San Vittorio (Guardia Vecchia) (1768), la torre di S. Stefano (1773) la prima chiesa dedicata a S. Maria Maddalena (1780-81) che sorgeva sullo stesso luogo della attuale, oltre naturalmente, le costruzioni civili e militari intorno a Cala Gavetta.

La comunità aveva vissuto in pace in tutto questo periodo anche se all’epoca dell’arrivo del Des Geneys, era ancora in discussione a livello politico e diplomatico il problema della sovranità sulle Isole intermedie come forse ad arte venivano allora chiamate le isole dell’arcipelago maddalenino.

Ovviamente all’epoca il Des Geneys non doveva occuparsene; molto tempo dopo. e più precisamente nel 1816, tuttavia, il Re rimessa sul tappeto la questione incaricò il Des Geneys di elaborare un apposito e. finalmente definitivo, parere.

Sintetizziamo brevemente la materia del contendere.

L’occupazione delle isole dell’Arcipelago di La Maddalena se aveva soddisfatto le aspirazioni dei pastori corsi che ne avevano il possesso aveva nello stesso tempo scatenato una vivissima reazione negli abitanti di Bonifacio, o meglio nel gruppo dei maggiorenti di quella città ed in particolare. i membri della famiglia Doria gli arcipreti Trani e Meglia, l’assessore De Santi il cancelliere Scotto ed il Commissario Pallavicini dei quali i poveri pastori erano soltanto i «servi››, come si diceva allora degli uomini addetti alla pastorizia per conto di altri.

l Bonifacini si ritenevano genovesi a tutti gli effetti e come tali tenevano a distinguersi dal resto dei Corsi, tanto che, all’atto del passaggio della Corsica alla Francia, essi avanzarono la pretesa che il promontorio di Bonifacio ne venisse escluso al fine di poter continuare a godere dei privilegi che Genova aveva loro riservato nel passato e fra tutti l’esenzione dalle tasse.

Respinta dalle autorità francesi l’assurda richiesta, ritennero opportuno riprendere la rivendicazione sulle isole dell’Arcipelago adducendo a motivazione l’interesse per la stessa Francia di affermare la propria sovranità su tali isole, per evidenti ragioni economiche e strategiche.

Sulla questione i Bonifacini si impegnarono a raccogliere il maggior numero di prove possibili atte a dimostrare il precedente buon diritto di Genova sulle Isole ed a redigere interminabili «Memorie››, in gran parte fondate su dati manifestamente falsi, quali la rappresentazione grafica della distanza tra le isole di S. Stefano e la costa gallurese che appare della stessa larghezza delle Bocche di Bonifacio che misura dieci volte tanto, o argomentazioni capziose quali la maggiore vicinanza delle isole sarde di Razzoli, Budelli e S. Maria alle isole di Lavezzi, Cavallo e Piana che appartengono alla Corsica e la conseguente deduzione che anche le prime tre devono essere considerate corse.

Le pretese dei Bonifacini incontrarono poca considerazione presso le autorità francesi ma certo è che tali pretese vennero fatte pervenire ai massimi livelli, se è vero come è vero che nel 1778 lo stesso Luigi XVI ordinava di rimandare «ad un momento più propizio l‘affare di La Maddalena».

E questo momento propizio si presentò nell’occasione della convocazione dell’Assemblea Generale del 1783 alla quale i Bonifacini facevano pervenire oltre ad una lunga memoria dell’Arciprete Meglia e del coadiutore Trani fratello del defunto Arciprete anche 29 «pezze di appoggio››.

Tali documenti che, evidentemente non hanno rilevanza per la soluzione della «vexata quaestio» da tempo ormai definita militarmente. sono però importanti per la ricostruzione della storia di questa Città e, pertanto, si ritiene opportuno segnalarne i più significativi:
– Doc. 1-2) Documenti relativi alla impossibilità da parte dei Bonifacini di opporsi alla sopraffazione sarda del 1767 (è la predetta lettera-alibi di Pietro Culiolo).
– Doc. 9) Lascito depositario presso il Banco di San Giorgio di Genova a favore della Chiesa di Budelli.
– Doc. 10) Estratti dei registri parrocchiali da cui risulta che tra il 1683 ed il 1768 furono battezzati in Bonifacio non meno di 114 bambini nati nelle isole dell’arcipelago.
– Doc. 14) Querela depositata presso il Tribunale di Bonifacio per il furto di un bue nell’isola della Maddalena.
– Doc. 15) Ordinanza del commissario genovese di Bonifacio Stefano Maincro per il trasporto in quella città di tutto il grano raccolto nelle isole stante la grave carestia che ricorreva allora in Corsica.
– Doc. 18) Istruttoria presso la Cancelleria di Bonifacio per la morte nell’isola di La Maddalena di un pastore bonifacino dipendente dalla famiglia Doria.
– Doc. 24) Arresto a Bonifacio di Andrea Rubiano comandante di una gondola guardiacoste sarda. per aver catturato ingiustamente come presunti contrabbandieri due marinai bonifacini.
– Doc. 26-27) Istruzione presso il Tribunale di Bonifacio del processo contro alcuni pastori della Maddalena rei di aver ucciso Andrea Rubiano, padrone di una gondola sarda, evaso dalle carceri di Bonifacio.

Le rivendicazioni dei bonifacini non rimasero questa volta inascoltate ed il governo francese dette ordini perché si intavolassero per via diplomatica trattative con la Corte di Torino per ottenere la restituzione delle isole in contestazione.

Nel 1787 il governo di Torino trasmetteva al proprio ambasciatore a Parigi, Scarnafici, un memoriale di 160 pagine redatto per ordine di Vittorio Amedeo III dal Supremo Consiglio di Sardegna sulla scorta di tutte le memorie, documenti ed informazioni ottenute nei vari anni dal Governo Viceregio di Cagliari.

Dal memoriale «Deductions des Droits du Royame de Sardaigne sul les iles adjacentes dites de la Magdaleine contre les rèclamations et les prétentions des Corses» e dalla copiosa documentazione allegata, il Governo di Torino auspicava si potessero trarre tutti gli elementi necessari a porre fine a tutte le pretese sulle isole dell’Arcipelago.

L’attenzione doveva essere particolarmente posta su una delle carte idro-geografiche, rilevata con grande attenzione da un esperto ufficiale delle regie fregate, e dalla quale emergeva incontestabilmente la vera posizione delle isole dell’Arcipelago rispetto alle coste della Sardegna e della Corsica e che poteva essere presa come documento essenziale per la delimitazione delle acque territoriali secondo il criterio adottato dalle maggiori potenze della equidistanza dalle coste, unitamente all’altro criterio della maggiore profondità della acqua di un canale.

Le prove che la Corte di Torino produce a sostegno delle proprie deduzioni sono relative a:
1) posizione naturale delle isole;
2) consenso unanime degli storici e geografici antichi e moderni compresi quelli genovesi e francesi;
3) costante persuasione del governo sardo di averne il dominio;
4) atti di sovranità esercitati;
5) silenzio di Genova e dei Corsi nel passato.

Il memoriale rimase senza risposta anche perché ben più importanti avvenimenti stavano profilandosi all’orizzonte dando luogo ai moti rivoluzionari.

I Bonifacini, però al sicuro di quanto succedeva a Parigi e in Francia, non demordevano e, in occasione del primo anniversario della presa della Bastiglia, il Consiglio Generale di quella Comunità deliberava di riprendere la rivendicazione delle isole dell’arcipelago dando mandato al concittadino Antonio Costantini, di presentare le loro istanze alla Assemblea Generale e agli altri organi di governo.

Cosa che il mandatario fece con diligenza presentando apposito promemoria al ministro della Guerra che esprimeva il suo parere favorevole.

Non ci dilungheremo ulteriormente sulla contestazione; ma se la storia si potesse fare anche per ipotesi, vi sarebbero buone ragioni per dire che il tentativo di spedizione francese in Sardegna nel 1793 sia stato, almeno in parte, motivato dalla pretesa bonifacina sulle nostre isole il piano di occupazione era stato infatti elaborato dallo stesso Costantini, Deputato di Bonifacio.

Ma torniamo al Des Geneys.

La permanenza in quest’isola del giovanissimo Comandante iniziata nel 1783 deve essere stata evidentemente di profondo interesse, se è vero come è vero che circa quattro anni dopo (1788) egli chiedeva ed otteneva di essere nuovamente destinato a La Maddalena al comando della stessa «Beata Margherita».

In tale incarico, ed in quello di Comandante la modesta squadra navale della Sardegna egli rimaneva nell’isola altri 16 mesi.

Lo scoppio della Rivoluzione Francese (i789) e la guerra portata dalla Francia rivoluzionaria all’Europa intera e quindi anche al Piemonte (1792), trovano il Des Geneys nella base navale di Villafranca, che era allora la più importante base navale del Regno Sardo e che in quel particolare momento aveva urgente necessità di apprestamenti difensivi.
Il Des Geneys non era pertanto, presente in Sardegna e tantomeno a La Maddalena in occasione del tentativo di sbarco francese nel I793. Comandante della Beata Margherita e della piccola squadra navale di La Maddalena era infatti, il Cavaliere Felice di Costantin di Castelnuovo e, comandante del Porto Agostino Millelire.

I fatti del febbraio I793 sono fin troppo noti per rievocarli anche in questa sede.

Essi però sono stati riportati dalla storiografia sarda sulle orme del Manno, in maniera non sempre storicamente valida, avendosi di mira l’obiettivo di servirsi dell’occasione per affermare un inesistente “spirito nazionalistico sardo” ed un altrettanto inesistente «fervore filosabaudo».

Spero che nessuno mi accusi di «lesa maestà» se mi permetto di affermare che i fatti tanto a Cagliari come a La Maddalena si sono svolti in maniera assai diversa da quella narrata da autorevoli storici, quali il Randaccio il quale afferma che «pochi valorosi poterono vantarsi di aver costretto alla fuga colui che doveva signoreggiare l’Europa», o il Prasca il quale afferma che «questa brillante fazione pose fine alla lotta durata circa tre giorni ed i Francesi se ne tornarono là donde erano venuti con duecentodieci dei loro tra morti e feriti e le navi della spedizione tutte più o meno maltrattate». O ancora e questo è più criticabile da quanto affermato dallo stesso Viceré Balbiano che nel suo rapporto degli avvenimenti al governo di Torino esalta «i bravi popolani di La Maddalena» che «hanno fatto strage dei nemici e seco hanno ricondotto vari prigionieri».

La sconfitta francese, pur senza nulla togliere al coraggio ed al valore dei difensori sardi. e tra tutti Domenico Millelire, ha infatti, ben altre cause e motivazioni e l’ammutinamento degli equipaggi provenzali della Fauvette e dei soldati corsi componenti la spedizione altro non rappresenta se non l’atto finale di una impresa affrettata, malcondotta e naufragata per il comportamento irresponsabile di equipaggi e truppe raccogliticce di cui già prima della partenza da Bonifacio si erano avuti sintomi inequivocabili.

Basterà ricordare, a titolo di esempio, che lo stesso Napoleone ebbe a correre gravissimo rischio personale. Durante la permanenza a Bonifacio in attesa dell’imbarco per la spedizione nell’Arcipelago infatti, i provenzali avevano organizzato, per il 9 febbraio, una manifestazione giacobina e dopo aver percorso le vie della cittadina al canto di “Ca irà” e “La carmagnole” si fermavano sulla piazza principale gridando a squarciagola motti rivoluzionari e danzando una scomposta farandola provenzale.

Napoleone assisteva incredulo allo spettacolo ma notato da uno dei marinai provenzali mentre alzava una spalla in segno di disgusto e di disappunto veniva prima insultato e poi rincorso lungo le tortuose vie della cittadina, fino a che non trovò riparo sotto un portico.

Qui un sottufficiale accorso in suo aiuto gli fece scudo con il proprio corpo e tirato fuori il pugnale inferse un violento colpo ad uno dei marinai aggressori uccidendolo e ponendo in fuga gli altri.

Una imparziale comparazione di tutte le fonti storiche comprese ovviamente, quelle corse con una particolare attenzione al rapporto del comandante la spedizione, colonnello Colonna-Cesari e del rapporto inviato in data 2 marzo 1793 al Ministro della Guerra a firma degli “Ufficiali del 2° battaglione volontari del Dipartimento delle Corsica” di cui il Comandante in 2° era Napoleone e, verosimilmente da lui stilato, varrà pertanto a dare una versione degli avvenimenti storici sicuramente più corretta anche se meno «eroica››.

Ma se il tentativo di sbarco francese, sotto il profilo militare, può essere definito fallimentare sia per il corpo di spedizione diretto a Cagliari dell’Amm. Truguet e sia per quello diretto a La Maddalena di Colonna-Cesari, sotto il profilo politico esso ha dato causa a due importanti avvenimenti:
1) la cacciata dei piemontesi dalla Sardegna (Cagliari 1794) con l’accusa non soltanto di malgoverno arbitri e soprusi in danno dei sardi ma, anche, di assoluta indifferenza alle sorti della Sardegna ed ai tentativi di occupazione;
2) il movimento antifeudale che sorto per motivi di carattere esclusivamente economico (rivolta dei vassalli contro i feudatari sempre più esosi e famelici in danno dei propri subordinati) doveva man mano trasformarsi sotto la guida di Giovanni Maria Angioy. in movimento politico e democratico» ispirato ai principi della Rivoluzione Francese.

Movimento che doveva tragicamente concludersi con l’esilio dell’Angioy e dei suoi principali collaboratori quali il prete Francesco Sanna-Corda, parroco di Torralba ed il notaio cagliaritano Francesco Cilocco (1796), e la feroce repressione regia diretta dal Giudice Giuseppe Valentino che per circa tre anni ha terrorizzato la Sardegna e soprattutto Sassari e il Logudoro (1796/I799). (ll tentativo di Sanna-Corda e Cilocco di instaurare una Repubblica Sardo-Corsa doveva miseramente fallire nel giugno-luglio 1802 con la morte dei due: il primo a Longosardo ed il secondo a Sassari dove era stato tradotto ed impiccato).

Non presente dunque il Des Geneys a La Maddalena, lo ritroviamo nel 1793 comandante in seconda del «San Vittorio›› e, all’atto dell’abbandono del S. Vittorio nel porto di Tolone lo vediamo imbarcare con lo stesso grado sulla fregata francese «Alceste›› catturata dagli inglesi a Tolone e da questi consegnata, dietro richiesta del comandante Ross alla Marina Sarda.

L’Alceste veniva impiegata nell’inverno 1793 – primavera 1794 in compiti di collegamento con la flotta inglese che operava nel Mediterraneo in guerra con la Francia, al comando dell’Ammiraglio Hood e che nel frattempo aveva occupato alcuni punti chiave della Corsica (Bastia, Calvi, Saint Florent).

ln occasione di una missione ordinata dal Governatore della Corsica Lord Castelreagh, l’Alceste venne a contatto in Alto Tirreno con la flotta francese e, dopo uno strenuo combattimento catturata; il suo equipaggio, compreso evidentemente il comandante Ross ed il comandante in seconda Des Geneys, veniva trasportato prigioniero in Francia, ove rimaneva fino alla conclusione della pace, o meglio dell’armistizio firmato a Cherasco il 28 aprile del 1796, ed al quale il Re di Sardegna veniva costretto dal giovanissimo generale Bonaparte.

Nel 1798 il Des Geneys è con il grado di maggiore governatore della città di Oneglia quando la neo Repubblica franco-ligure muove nuovamente guerra al Re di Sardegna, ponendo, tra l’altro, l’assedio alla cittadina ligure.

La difesa organizzata dal Des Geneys fu talmente efficace che gli assalitori, benché molto più numerosi furono costretti a desistere.

Magra consolazione per la verità posto che di fronte ai pressanti ed inaccettabili ultimatum francesi (uno di questi prevedeva la cessione immediata della Sardegna alla Francia), l’8 dicembre 1798 il Re sardo. Carlo Emanuele IV veniva costretto a capitolare e a cedere alla Francia tutti i suoi territori di terraferma.

Al Re veniva data la facoltà di ritirarsi in Sardegna con tutta la famiglia con il divieto di accogliere nei suoi porti navi appartenenti a Potenze nemiche della Francia ed in guerra con essa (il riferimento alla flotta inglese era fin troppo evidente).

Il 24 febbraio 1799 dopo un viaggio avventuroso attraverso l’Italia durato oltre due mesi, il Re di Sardegna e tutta la Corte Sabauda si imbarcava a Livorno sulla fregata «Rondinella» e giungeva a Cagliari il 3 marzo successivo.

L’esilio del Re in Sardegna imponeva al Des Geneys ed a molti altri ufficiali in servizio una scelta dolorosa: o accettare la dispensa del giuramento concessa dal Re a Torino e arruolarsi in altri eserciti stranieri, oppure mantenere fede al giuramento prestato e trasferirsi in Sardegna seguendovi le sorti del Sovrano.

Ovviamente il Des Geneys non ebbe esitazioni e giunto in Sardegna ebbe l’incarico di comandante di tutti i servizi marittimi del Regno e della piccola Marina Sarda per la quale scelse ed ottenne di fare di La Maddalena la base principale.

Su tale scelta può verosimilmente aver influito la conoscenza personale dei luoghi; ma sicuramente vi ha prevalso la valutazione della potenzialità strategica della base e le esigenze di difesa della Sardegna in quel particolare momento storico, in ciò anticipando di alcuni anni lo stesso Nelson. del quale sono ben noti gli apprezzamenti su La Maddalena.

Appena pochi mesi dopo il suo arrivo in Sardegna, il Des Geneys doveva però ripartirne: le truppe del generale russo Sovorov erano entrate a Torino, vi avevano cacciato i francesi (1799) e restaurato il trono sabaudo. Su espressa richiesta della popolazione di Oneglia, il Des Geneys vi veniva nuovamente inviato quale Governatore.

Le armate napoleoniche ponevano ben presto fine alla effimera Restaurazione piemontese ed il Des Geneys faceva nuovamente rientro in Sardegna.

Emblematicamente egli vi rientrava al comando di una bella nave, già appartenente alla Repubblica di Genova e di recente caduta in mano agli inglesi come preda di guerra e da questi venduta a caro prezzo ai Savoia che ne cambiavano l’originario nome di «Prima» in quello di «Santa Teresa».

Rientrato in Sardegna il Des Geneys poneva immediatamente mano al rinnovamento del naviglio ormai vetusto e superato e, comunque inadeguato alle necessità del Regno che, seppure in condizioni finanziarie precarie aveva indifferibili esigenze di difesa pena la propria sopravvivenza.

Nello spazio di un triennio riusciva a costituire un primo nucleo di 5 nuove unità navali: la galera «Santa Teresa», le mezze galere «Aquila» e «Falco››, acquistate a Napoli e portate in Sardegna dallo stesso Des Geneys lo sciabecco «Carlo Felice», una scialuppa di cui ignoriamo il nome.

Queste unità andavano ad affiancare la vecchia mezza galera «Santa Barbara» la goletta «San Filippo», le gondole «Sardinia››, «Bilancello», «Ardita» e «San Maurizio» e lo sciabecco «Vittorio Emanuele».

Certo ben altra potenza offensiva e difensiva contro la flotta francese aveva la squadra navale inglese del Mediterraneo allora sotto il comando di Nelson e che in quel periodo stazionava nelle acque di La Maddalena (1803-1804).

Ciò non significa però che la piccola squadra non avesse coscienza dei compiti da svolgere o rinunciasse alla propria autonomia ed indipendenza.

Ed alla proposta di Nelson, diretta al Viceré Carlo Felice e contenuta nella lettera in data 17 febbraio 1804 da bordo del Victory, di porre le galere appena giunte da Napoli agli ordini di un ufficiale inglese, la risposta cortese ma ferma di rifiuto da parte dello stesso Viceré, è verosimilmente ispirata dal Des Geneys.

Nello stesso anno (1804) il Des Geneys ha la prima vera occasione di porre alla prova l’efficienza della propria squadra ed il valore dei suoi equipaggi.

Informato della presenza di pirati barbareschi presso le coste della Sardegna, prende personalmente il mare con la galera «Santa Teresa» le due mezze galere «Falco» e «Aquila» e la goletta «San Filippo», alla caccia delle navi pirata. Queste, avvistata la squadra sarda viravano precipitosamente di bordo per far vela verso le proprie basi in Tunisia. I sardi inseguono i barbareschi sin nei loro porti e raggiunti una goletta ed un felucone ingaggiano con essi un furioso combattimento. Sopraffatte e catturate le due imbarcazioni tunisine venivano rimorchiate fino a La Maddalena.

Nel 1810 il regio naviglio risulta essere così composto: galera «Santa Teresa», mezze galere «Aquila» e «Falco», goletta «Bella Genovese», lancioni «Sant’Efisio›› e «Benvenuto», gondola «Carolina››, brigantini «Carloforte» e «San Vittorio», sciabecchi «Vittorio Emanuele» e «Generoso››, tartana «Tirso››.

Esso era diviso in due in due dipartimenti: La Maddalena e Cagliari con un piccolo arsenale per piccole riparazioni in entrambe le basi.

La galera stazionava abitualmente a La Maddalena, in una specie di posizione di riserva a causa degli alti costi per il suo armamento, ma pronta a prendere il mare in caso di bisogno con l’equipaggio completato dai volontari maddalenini sui quali l’Ammiraglio Des Geneys dichiarava «di poter contare in qualsiasi momento per esperienza fattane in precedenza».

Per tutti i servizi navali e logistici della Marina, comprese le Capitanerie di Porto, la Sanità marittima, la manutenzione delle darsene l’amministrazione e la sussistenza, l’organico totale era di 638 unità.

Ed e proprio l’anno successivo, il 1811, che la piccola Marina Sarda dà la dimostrazione più evidente della sua efficienza e preparazione e del valore dei suoi equipaggi formatisi sotto la guida e l’esempio del Des Geneys.

La Battaglia di Capo Malfatano è. infatti l’episodio più significativo e glorioso nella storia della Marina Sarda ed al quale non si può trascurare di accennare senza offendere la memoria dei protagonisti in gran parte cittadini di questa Isola.

Nella primavera del 1811, la squadra sarda, in continua perlustrazione lungo le coste dell’isola. composta dalla mezza galera «Falco» al comando del De May. la mezza galera «Aquila» al comando di Vittorio Porcile, il lancione «S. Efisio» al comando del 2° Nocchiere La Violetta (che era evidentemente il nome di guerra di uno della famiglia Zonza, ma non certo Tommaso che pure era presente al combattimento e che venne poi decorato di medaglia d’oro proprio per la sua condotta in quel combattimento), era da poco rientrata a Cagliari per rifornimento quando venne informata che una flottiglia di navi tunisine composta da un felucone, una goletta ed un legno minore, si trovava nei pressi di Capo Teulada portandosi a rimorchio una tartana sarda da poco catturata.

Ripreso il mare la squadra sarda raggiungeva ben presto i tunisini ed ingaggiava con essi un violento e cruento combattimento che durava ben quattro ore con gravissime perdite da entrambe le parti.

Tra i sardi vi furono 9 morti di cui 4 erano isolani, e molti feriti tra i quali piuttosto gravemente l’eroe della giornata Vittorio Porcile, ed il De May.
Per i barbareschi, oltre i morti ed i feriti la giornata si concluse con la cattura del felucone e della goletta e di oltre 200 uomini degli equipaggi.

Lo stesso Vittorio Emanuele I si recava a ricevere sulla banchina a Cagliari i suoi marinai, e vivamente compiaciuto, accoglieva successivamente le proposte di ricompense e decorazioni avanzate dal Des Geneys.

Avviandomi verso la conclusione mi accorgo di aver poco parlato dei reali di Savoia e della loro attività in Sardegna.

Dirò soltanto che il Re Carlo Emanuele IV, appena pochi mesi dopo il suo arrivo in Sardegna ne ripartiva con la Regina per recarsi a Firenze (18 settembre 1799) e non pose mai più piede in Sardegna dal cui Trono abdicò nel 1802 per andare, infine, a morire a Roma nel 1818 in un convento di Gesuiti dove era entrato in qualità di novizio cinque anni prima.

A succedergli veniva chiamato il fratello Vittorio Emanuele I, fino a quel momento Duca d’Aosta che partito dalla Sardegna il 15 agosto 1799 per assumere la reggenza del Piemonte in occasione della effimera Restaurazione conseguente alla vittoria del Sovorov, non vi fece ritorno se non nel 1806 (18 febbraio).

Egli in compenso rimase in Sardegna fino al 2 maggio 1814, allorché sconfitto Napoleone e costretto alla abdicazione da parte dei suoi stessi generali (6 aprile 1814) e inviato in esilio neIl’isola d’Elba, l’Inghilterra. a nome delle altre potenze europee invitava Vittorio Emanuele l a riprendere possesso dei suoi stati di terraferma con l’annessione di Genova e dei suoi territori e gli inviava, per il trasferimento da Cagliari a Genova il vascello «Boyne››.

Il 20 maggio 1814 la corte sabauda faceva solenne ingresso a Torino destando peraltro, ilarità nella popolazione per il curioso abbigliamento ormai passato di moda.

Al governo della Sardegna, il re aveva lasciato la moglie Maria Teresa, che vi rimase fino all’agosto dell’anno successivo.

L’ultimo ad abbandonare l’isola fu Carlo Felice nel giugno del 1817; egli nel suo ruolo di Viceré aveva mostrato dell’autentico interesse per la Sardegna e per i suoi problemi.

A questo punto bisogna veramente concludere. E non certamente perché l’attività del Des Geneys possa considerarsi esaurita, anzi si può dire che essa con la Restaurazione del Regno Sardo in Piemonte e Liguria, riprendeva a svolgersi a livello più elevato per durare ancora 25 anni e cioè fino alla sua morte avvenuta l’8 gennaio 1839 a Genova.

Chi era dunque Des Geneys?

Certamente un marinaio e, a buon diritto storicamente riconosciuto come il fondatore della Marina Sarda.

Ma egli non era soltanto un marinaio, egli era soprattutto un politico, inteso non nell’odierno significato quasi spregiativo ma nel significato etimologico di «colui che ha cura degli interessi della città della “polis”».

Ed è in tale veste che lo vediamo occuparsi dei più svariati problemi della Sardegna ed in particolare di La Maddalena, incurante perfino delle basse insinuazioni e delle accuse più feroci (quali quelle che volevano la sua predilezione per La Maddalena ispirata ad interessi e profitti personali) e, addirittura in conflitto con la Regia Maria Teresa evidentemente istigata da chi parteggiava per Cagliari.

Il Des Geneys è stato comunque un benefattore di questa Città che, si può ben dire, era nata assieme a lui e che lui aveva decisamente cooperato a far crescere imprimendogli quell’indelebile carattere di comunità civile-militare che tuttora la caratterizza.

La testimonianza più significativa di questa sua predilezione per La Maddalena la si può ritrovare in tre fatti che appaiono più rilevanti perché tutti posteriori alla sua partenza dall’isola, e dai quali traspare oltreché il costante e determinato interessamento, il sincero affetto del Des Geneys per questa Comunità:
– l’ampliamento (1814-1819) della originaria chiesetta divenuta troppo stretta per i maddalenini ormai cresciuti di numero (circa 2.000);
– il dono personale del quadro di S. Giorgio alla Chiesa Parrocchiale che si può ammirare tuttora nell’ultima cappella a destra prima dell’altare;
– l’altare in marmo policromo voluto dal Des Geneys identico a quello della Chiesa di S. Maria Maggiore in Bonifacio, quasi a perpetuare il ricordo delle «radici» dei primi isolani.

Ma quanti dei maddalenini si fermano di tanto in tanto a leggere la lapide in marmo posta proprio sulla facciata principale della Chiesa a testimoniare la gratitudine dei nostri avi all’Ammiraglio?

Gavino Canopoli