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Domenico Baffigo

La Maddalena è vissuta fin dalle sue origini dentro la Marina Militare, ne ha condiviso periodi di gloria e di oscuramento, ha visto molti suoi figli partire per imbarcarsi sulle navi indossando una divisa. Ma un popolo che conta tanti marinai è naturalmente destinato a piangerne molti caduti in azioni di guerra. Uno di questi è Domenico Baffigo, decorato al valor militare, figlio di Giovanni Battista, appartenente ad una famiglia genovese trapiantatasi nell’isola fin dai primi anni dell’Ottocento. Era stato proprio un Domenico Baffigo, figlio di Gerolamo e di Francesca Lavaggi, a sbarcare a La Maddalena come tanti giovani che, vivendo sul mare, non avevano paura a spostarsi per cercar fortuna; e come tanti altri di loro, anche Domenico si era fermato qui sposandosi con una Ornano. Non era marinaio, ma maestro muratore, come altri uomini della sua famiglia che troviamo, con lo stesso mestiere, a Santa Teresa o a Tempio: fu lui lavorare alla chiesa di Santa Maria Maddalena, in diversi periodi negli anni dal 1820 al 1840, sia nella struttura esterna che negli indispensabili interventi interni quali il posizionamento del pavimento o le manutenzioni. Fu allora Baffigo (Sebastiano), forse un nipote, a realizzare nel 1870, i lavori necessari al forte Sant’Andrea perché divenisse carcere mandamentale.
Domenico Baffigo, nato a Cornigliano Ligure, evidentemente dopo il trasferimento del padre Giovanni Battista che aveva fatto, a ritroso, la strada percorsa anni prima dai suoi antenati, entrò in Accademia Navale a Livorno, nel 1928, partecipò alla guerra civile spagnola non sappiamo sotto quale veste e con quale incarico.
Nei primi anni della seconda guerra mondiale (1940-1941) compì numerose missioni di ricognizioni aeree, con idrovolanti, nel canale di Sicilia per proteggere i convogli navali da e per la Libia, guadagnandosi tre medaglie d’argento al valor militare.
Nell’aprile del 1941 assunse il comando dell’incrociatore leggiero Giulio Germanico in costruzione nel cantiere di Castellamare di Stabia.
La nave era pronta nel settembre del 1943 quando la pubblicazione dell’armistizio fra l’Italia e le forze alleate lasciò molti reparti in balia di se stessi a difendersi contro gli attacchi dei tedeschi divenuti, improvvisamente, nemici. Questi attaccarono il cantiere di Castellamare probabilmente per impadronirsi delle unità navali appena in fase di allestimento o appena terminate. (F. Sanna)
Era l’inizio del mese di settembre 1943, nel cantiere navale di Castellammare di Stabia – ex regio cantiere costruito nel lontano 1783 – alcune navi militari erano in allestimento, altre sugli scali pronte per essere varate (corvette Vespa e Lucciola), piccole unità già in avanzato stato di armamento, erano affiancate ai moli (Vedette antisommergibile e M.A.S.). Altre sette corvette (Calabrone, Cavalletta, Cicala, Coccinella, Grillo, Maggiolino, Libellula), un piroscafo, tre motozattere ed un sommergibile, in costruzione avanzata, rappresentavano un notevole quantitativo di naviglio bellico.
La massima autorità militare presente in cantiere era il Capitano di Corvetta Domenico Baffigo, di 31 anni, che sovrintendeva all’allestimento dell’incrociatore Giulio Germanico.
L’ufficiale superiore era un pluridecorato con due Medaglie d’Argento, due di Bronzo ed una Croce di Guerra, per valorose azioni compiute in qualità di Osservatore Aereo.
Alle sue dirette dipendenze sull’incrociatore vi erano i Tenenti del Genio Navale Francesco Bottino di Cosenza, di anni 27 e Ugo Molini di Napoli, di anni 23. Il Capitano di Corvetta Michelangelo Flaman di La Spezia, di anni 31, era responsabile delle altre corvette, mentre il Sottotenente di Vascello Ettore Percival Mazza di Torino, di anni 26, era comandante di un M.A.S. La Vedetta antisommergibile (V.A.S.) n. 242 era comandata dal Sottotenente di Vascello Giuseppe Falla di Pachino (Siracusa), di anni 24.
I sottufficiali presenti, per riportare i nominativi dei soli decorati, entrambi addetti all’allestimento della corvetta Vespa, erano il Capo Meccanico di 2° Classe Ciro Borriello e 2° Capo Meccanico Mario Vittozzi, di Torre Del Greco.
Alla fatidica data dell’8 settembre, anche a Castellammare i militari restarono senza ordini. Ma tutti obbedirono all’ordine non scritto di difendere il cantiere e le navi ivi dislocate.
Quando guastatori tedeschi si presentarono per minare gli impianti e sabotare le navi, il Capitano Baffigo assunse il comando degli uomini presenti in cantiere che contrastarono, con le armi leggere e le mitraglie di bordo, i tedeschi.
Fatti affluire truppe, alcune con carri armati, dalle altre zone della città e dei paesi limitrofi, i tedeschi iniziarono una vera e propria battaglia. Baffigo fece sistemare i suoi marinai anche sugli spalti del forte borbonico e nei punti strategici dello stabilimento e si preparò a sostenere una lunga lotta. Le armi le avevano in abbondanza ed il coraggio non mancava.
Il comandante Baffigo tentò di mettersi in contatto con i suoi superiori per ottenere ordini più precisi, visto che era riuscito a fronteggiare i tedeschi e poteva, se adeguatamente supportato da altri militari, salvare il cantiere e le navi, fino all’arrivo degli americani che, nel frattempo, erano sbarcati a Salerno.
Ma nessuna risposta dai comandi compartimentali. Erano rimasti soli contro un nemico sempre più arrabbiato ed incattivito.
Privi anche del sonno, oltre che di notizie e di rinforzi, i pochi marinai continuarono a combattere con coraggio, arginando le forze nemiche che non riuscivano a minare neppure un’officina.
I tedeschi, vista l’impossibilità di riuscire nel loro disegno, con la collaborazione di un ufficiale dell’esercito italiano che fungeva da interprete, alzando bandiera bianca, chiesero al comandante Baffigo di poter parlamentare per eventualmente addivenire ad un accordo: avrebbero lasciato intatto il cantiere se cessavano le ostilità dei marinai. Essi temevano che un combattimento ad oltranza avrebbe potuto innescare una rivolta popolare, così come avvenne a Napoli qualche giorno dopo.
Il comandate Baffigo, fidando nelle tradizioni militari (che pur i tedeschi avrebbero dovuto rispettare) sull’uso della bandiera bianca per far cessare temporaneamente le ostilità e parlamentare, si recò all’appuntamento fuori dalla mura del cantiere, forse in via Duilio. Ma vigliaccamente, i tedeschi, senza onore militare, lo catturarono.
Da questo momento non si hanno più notizie certe. Il valoroso ufficiale fu fucilato assieme ai tenenti Francesco Bottino ed Ugo Molino, nonché al marinaio stabiese Vincenzo De Simone. Dove sia avvenuta la strage, nessuno lo sa. Qualcuno afferma che furono portati a Napoli.
Dopo la cattura degli ufficiali e dei marinai, i tedeschi si diedero alla distruzione del cantiere con tutte le sue navi. Alcuni marinai furono fucilati sul posto (purtroppo non se ne conoscono i nomi), gli ufficiali furono portati altrove.
La figlia di Baffigo, Paola, ha detto che, forse, suo padre fu portato a Scafati e lì fucilato. Comunque il suo corpo non è stato mai trovato.
Successivamente fu fatto saltare l’intero stabilimento con tutte le navi in costruzione ed in allestimento. L’incrociatore Giulio Germanico, dopo la guerra, fu recuperato e ricostruito come caccia conduttore con il nome di San Marco. In città scoppiarono numerosi focolai di resistenza, uno in piazza ferrovia, altri nei pressi delle fabbriche dell’AVIS e CMI. In quei giorni i tedeschi trucidarono complessivamente 31 persone tra militari e civili e, successivamente, iniziarono a deportare verso il Nord più di 5.000 giovani stabiesi.
Ma la città di Castellammare di Stabia non ha mai dimenticato il sacrificio del Comandante Baffigo, la locale Associazione Marinai d’Italia riuscii, nel 1978, a contattare la signora Paola, figlia di Domenico Baffigo, e la invitò allo scoprimento di una lapide posta, unitamente al Consiglio di fabbrica dell’Italcantieri, sul muro perimetrale della caserma della Marina Militare chiamata “Cristallina” a Via Duilio.
Per diversi anni, ogni 25 aprile, un corteo si muoveva dal cantiere e andava a deporre una corona di fiori sotto la lapide, dopo brevi allocuzioni di un sindacalista e di un rappresentante dell’A.N.M.I. Man mano, questo appuntamento con la memoria si è andato affievolendo, fino a scomparire agli inizi degli anni ’80. Paola è tornata diverse volte in città: in occasione della dedica a suo padre, ad opera del comm. Vincenzo Della Monica della sezione dei Combattenti della Guerra di Liberazione, e per la posa di una targa ricordo in villa comunale. È stata presente anche alle celebrazioni del 25 aprile 2005 per il conferimento alla città di Castellammare di Stabia della Medaglia d’Oro al Merito Civile da parte del Presidente Ciampi, dopo 60 anni dalla Liberazione. La motivazione, incisa su di una lapide posta davanti al cantiere navale, così recita: “Importante centro del Mezzogiorno, all’indomani dell’armistizio fu oggetto della violenta reazione delle truppe tedesche che, in ritirata verso il Nord, misero in pratica la strategia della “terra bruciata”, distruggendo il cantiere navale, simbolo della città eroicamente difeso dai militari del locale presidio, e gli stabilimenti industriali. Contribuì alla guerra di liberazione con la costituzione spontanea dei primi nuclei partigiani, subendo deportazioni e feroci rappresaglie che provocarono la morte di numerosi concittadini”. (1943 – 1945, Castellammare di Stabia).

Domenico Baffigo fu decorato con Medaglia d’Oro al Valor Militare “ alla memoria”: “Valoroso ufficiale superiore, più volte decorato nel recente conflitto, trovandosi all’armistizio, all’allestimento di incrociatore presso cantiere navale, freddamente determinato ad assolvere i doveri derivatigli dal suo stato, respingeva con il fuoco truppe nemiche dirette a impossessarsi dell’unità all’ormeggio. Organizzava successivamente – di propria iniziativa – la difesa del cantiere, ne assumeva il comando. Alla testa di un manipolo di animosi marinai, fronteggiava gli invasori ricacciandoli con violento prolungato tiro di armi leggere. Dopo ardua lotta, nella quale i suoi uomini avevano prevalso, attratto con l’inganno a parlamentare, veniva catturato e barbaramente trucidato. Pur essendo state disperse le sue spoglie mortali, vive tuttora il suo spirito indomito nell’esempio lasciato ai posteri delle più alte virtù militari”.