Caprera AnticaEroi maddaleniniGiuseppe Garibaldi

Il faro Garibaldi a Caprera

Dopo la morte di Giuseppe Garibaldi venne presentato in Parlamento un progetto di legge perché si realizzasse nell’isola di Caprera un monumento alla memoria del leggendario Eroe dei due mondi. Oltre al monumento si sarebbe dovuto costruire un istituto per l’educazione e l’istruzione agricola al fine di conservare il patrimonio di esperienze maturate dal Generale durante i ventisette anni di permanenza sull’isola. Questo progetto era stato promosso e sostenuto fin dal dicembre 1882 dal prof. ing. Giovanni Battista Cerletti (1846-1906), fondatore e direttore dal 1876 della Scuola Speciale di Viticoltura ed Enologia di Conegliano. (1)
In seguito, una legge del 17 luglio 1890 aveva decretato la tomba di Giuseppe Garibaldi, nell’isola di Caprera, monumento nazionale; nel solco delle celebrazioni in onore del Generale, l’arch. Augusto Guidini (1853-1928), (2) coadiuvato per la parte agraria dal prof. Cerletti si fece promotore nel 1899 di un progetto che prevedeva la costruzione del faro Garibaldi sul monte Tejalone, la vetta più alta di Caprera, a 212 metri sul livello del mare. Tra il porto e la tomba doveva sorgere inoltre un edificio destinato ad accogliere i volontari veterani della Marina e delle legioni garibaldine destinate al servizio di guardia alla tomba; una parte di questa struttura doveva ospitare anche l’Azienda e la Scuola Agraria. (3) Il progetto del faro, che non venne mai realizzato, prevedeva uno zoccolo liscio sul quale si impostava una base a parallelepipedo superiormente e inferiormente modanata, occupata solo sulla fronte da una tabella epigrafica, ispirata nella forma alle metope e ai triglifi dell’ordine dorico. Sul prospetto si aprono due feritoie delle quali quella più grande in alto è sormontata da un arco di scarico; superiormente un leone giace addormentato con la coda penzolante sulla cornice della tabella. Il leone, che rievoca quello dello scultore danese Bertel Thorwaldsen (1770-1884), realizzato a Lucerna nel 1821, e quello di Antonio Canova (1757-1822) nel celebre monumento sepolcrale di Maria Cristina d’Austria a Vienna del 1805, doveva essere realizzato in bronzo. (4) Questa parte inferiore del monumento sostiene una colonna a sua volta impostata su una base costituita da zoccolo liscio, una cornice modanata, feritoia centrale con arco di scarico, cornice superiore anch’essa modanata sormontata da acroteri, uno centrale e due angolari ripetuti su ogni lato. Il corpo della colonna vera e propria si eleva su uno zoccolo liscio sul quale poggia un toro ornato da un serto di lauro. Sul fusto, rastremato verso l’alto, si aprono quattro feritoie, tutte sormontate da un arco di scarico che consentono l’illuminazione della scala elicoidale che si sviluppa all’interno della colonna; alla sommità una ghirlanda è sostenuta da aquile ad ali spiegate; tra le estremità delle ali si intravede un solo ovulo del kyma ionico che decora l’echino, chiaramente descritto nel progetto originale con un disegno di dettaglio. Al di sopra del capitello si svolge un’ampia terrazza, delimitata da una ringhiera di metallo, sulla quale si erge una tholos. Il tetto, sostenuto da otto colonne, è coperto a spiovente e coronato da un globo dal quale si eleva una lunga antenna, verosimilmente con funzioni di parafulmine. Il basamento, la torre e la loggia superiore a forma di tempietto classico dovevano essere realizzate in granito di Caprera (5) e in marmo.
Per la realizzazione del faro, il cui progetto venne studiato sul posto con tutti i rilievi necessari, era prevista una spesa di lire 250.000 complessive, risultante da preventivi particolareggiati che comprendevano la completa e integrale esecuzione del monumento attraverso quattro distinte fasi costruttive, la realizzazione iniziale del basamento a dado, quindi del corpo del faro vero e proprio, in seguito del coronamento e infine delle decorazioni.
Il leone, le aquile ghirlandofore e l’alloro sono tutti elementi desunti dal repertorio funerario del mondo classico che alludono alla dote del coraggio e alla simbologia vittoriosa. In particolare la figura del leone ricorre spesso nell’iconografia funeraria, quando, con l’affermarsi delle più elevate civiltà antiche, la produzione di raffigurazioni zoomorfe si arricchisce di numerosi e notevoli esempi e assume di volta in volta diversi significati simbolici. Nell’antico Egitto, dove era molto diffuso il culto di idoli animali, il leone rivestiva un’importanza rilevante come animale regale per eccellenza. I leoni, addomesticati, venivano condotti in battaglia al fianco dei soldati per combattere i nemici. Talvolta la figura del leone costituiva l’allegoria dello stesso faraone, basti ricordare che la creazione più nota dell’arte egizia è la figura della sfinge, costituita dal corpo di un leone e dalla testa di un faraone. All’interno della speculazione teologica da parte della classe sacerdotale, il leone veniva interpretato come custode e guardiano dei confini, in considerazione delle regioni in cui viveva, al limite estremo tra le terre nere e le sabbie gialle degli immensi deserti. Il più antico leone che conosciamo dalla storia dell’arte è scolpito in una statua lapidea sumerica precedente il XXX sec. a.C. dove è raffigurato un esemplare ben nutrito, accosciato e digrignante. All’interno dell’esperienza artistica greca il repertorio di raffigurazioni animalistiche contempla due soggetti principali, il cavallo e il leone. Nel mondo greco, come in quello orientale la figura del leone è assunta come esempio di coraggio, elemento demoniaco che accompagna i malefici, posto a guardia di templi e di tombe, con valore apotropaico. Per circa due secoli il leone venne rappresentato come statua funeraria, a evocare probabilmente il mondo degli inferi. Tra i numerosi esempi di leoni sono considerevoli quelli che adornavano il Mausoleo di Alicarnasso, una delle sette meraviglie del mondo antico, e il leone di Cheronea, un enorme colosso marmoreo alto sei metri.
Durante il Medioevo il leone venne assunto come simbolo della Resurrezione, in quanto i suoi cuccioli, appena nati, restano immobili per tre giorni, quasi senza vita, finché il padre non gli alita sul muso quasi a resuscitarli. Dall’Apocalisse deriva invece la figura del leone alato di San Marco, simbolo della città di Venezia. La raffigurazione del leone funerario come simbolo del valore militare, sia valoroso che sconfitto, viene ripresa con interesse dal neoclassicismo.(6)
Insieme agli stili storici, l’architettura del Settecento e dell’Ottocento riprese dall’architettura antica alcuni modelli di monumenti commemorativi come i fari, assunti anche dall’architettura religiosa. Inserito all’interno del complesso di iniziative minori portate a termine nel quadro generale degli interventi previsti per Roma nel 1911, per i festeggiamenti del cinquantenario della proclamazione del Regno, sarà interessante ricordare il faro costruito sul Gianicolo a Roma dall’architetto Manfredo Manfredi (1859-1927)(7)
Più di recente, nel 1957, l’architetto Giovanni Iacobucci (1895-1970) elabora il progetto di un Faro Garibaldi a Marsala non realizzato. (8) Il faro deriva il suo nome dall’isoletta di Opog, nel porto di Alessandria, sulla quale durante il regno di Tolomeo Soter (305-283 a.C.), l’architetto Sostratos di Cnido progettò e iniziò la costruzione di una grande torre bianca, completata tra il 280 e il 279 a.C., durante il regno del successore Tolomeo Filadelfo (285-246 a.C.). La torre, di proporzioni colossali, circa 135 metri di altezza, serviva come punto di riferimento diurno per i naviganti; dalla metà del I sec. a.C., sulla sommità venne posta la lanterna del porto, per agevolare anche la navigazione notturna. L’opera, annoverata tra le sette meraviglie del mondo già in antico, si conservò in parte anche durante il Medioevo. Il faro di Alessandria servì non solo da modello per altri fari, ma anche per certe rappresentazioni dell’architettura funeraria, tra le quali la torre di Taposiris, località situata sul delta del Nilo, in prossimità di Alessandria di Egitto e venne anche preso a modello per la realizzazione di una serie di minareti e di campanili. Nell’VIII secolo, durante il dominio arabo, il faro di Alessandria, abbandonato a se stesso, andò in rovina finché il terremoto del 956 d.C. ne determinò il crollo definitivo. In seguito i fari vengono adottati con la funzione di monumenti a carattere sacro, eretti in prossimità delle tombe di personaggi eroizzati, assumendo il significato simbolico dell’asse del mondo o del punto mistico dal quale prende slancio l’ascensione in cielo. Il primitivo significato sacro attribuito al monumento è relativo al culto dei Dioscuri, i gemelli Castore e Polluce, dei della luce, venerati come protettori del commercio e dei viaggi; secondo la tradizione talvolta risplendevano, durante le notti di burrasca, sulle cime degli alberi delle navi come stelle di buon auspicio per i navigatori. Si tratta dei fenomeni detti fuochi di sant’Elmo che si determinano durante le notti di tempesta in cima agli alberi delle navi, ai pennoni, alle antenne, ai parafulmini o sulle ali degli aerei in conseguenza dell’eccessiva elettricità presente nell’atmosfera. L’avvistamento della fiamma ardente che stava in cima al faro veniva considerata come l’apparizione salvifica di una divinità protettrice.(9)
La sintesi tra l’aspetto funzionale e l’esaltazione astratta si può individuare nella realizzazione dei fari la cui simbologia, riconducibile al mito, si riferisce alla leggenda dei due bellissimi amanti Ero e Leandro. Quest’ultimo attraversava ogni notte lo stretto dell’Ellesponto a nuoto per raggiungere Ero che lo aspettava sull’altra sponda guidandolo con una fiaccola accesa, dove risulta con evidenza la significativa trasposizione della rappresentazione del faro e del navigante legati da un destino comune. Quando il vento spegne la fiaccola di Ero, Leandro disorientato si perde e sparisce tra le onde del mare ed Ero per la disperazione si uccide. (10) Il faro dunque rappresenta la possibilità di salvezza lontano dai pericoli, legato al porto come ideale rifugio. (11) L’iconografia del faro e del porto quale luogo di riposo lontano dagli affanni ricorre di frequente nelle raffigurazioni a carattere funerario, come nel mosaico presso la tomba 45 della necropoli di Porto all’Isola Sacra dove ai lati del faro, tra le navi, è posta l’iscrizione greca “odepausylipos”: questo è il luogo che libera dagli affanni.(12)
Gli ideali estetici e commemorativi presenti nei monumenti onorari di età romana trovano nuovo impulso nella concezione del monumento e della monumentalità che si sviluppa nel corso del XIX e XX secolo. L’idea di monumento raggiunge una forma definita con il formarsi e il consolidarsi di una tradizione tipologica che si sviluppa a partire dall’antica stele funeraria o commemorativa per culminare nelle colonne onorarie di età moderna. Come si è visto, il modello simbolico ideale adottato nel progetto di Caprera è il faro, costruzione commemorativa a carattere sacro ricorrente nell’ambito dell’architettura celebrativa funeraria dell’Ottocento, tuttavia il monumento recepisce, nel carattere costruttivo e stilistico, la memoria delle forme di un tipo di monumento funerario diffuso nel mondo romano, quello della colonna onoraria, i cui esempi più illustri sono costituiti dalla colonna di Traiano, nel foro omonimo inaugurato nel 112 d.C., e da quella di Marco Aurelio, del 180-190 d.C., a Roma, monumenti celebrativi e funerari dell’imperatore. (13) La colonna coclide (14) portava in alto la statua dell’imperatore ed era per questo simile ad un elevato piedistallo dell’immagine imperiale. Il tema della statua iconica su colonna appartiene ad un orizzonte cronologico e culturale le cui tradizioni derivano da una colta tradizione iconografica e di motivi architettonici tipicamente romani. Il tipo della colonna onoraria nasce, infatti, dalla concezione architettonica e celebrativa dell’ambiente artistico romano, del quale rappresenta una delle più antiche e genuine espressioni. (15) In questo tipo di colonne il fusto è privo dell’entais ricorrente nelle colonne classiche, mentre l’adozione del capitello corinzio con foglie di acanto, decorato con quattro ghirlande pendenti, sottolinea il riferimento e la adesione ai modelli degli ordini classici. La funzione più importante del monumento era quello di servire come tomba dell’imperatore; nel basamento, racchiuse in un’urna d’oro, erano infatti riposte le sue ceneri. Il basamento, a forma di dado, è assai simile nell’aspetto ai tanti monumenti funerari romani “ad ara” diffusi in età repubblicana. All’interno del fusto si svolgeva una scala a chiocciola scavata nei rocchi monolitici e illuminata da finestre a feritoia. Dai modelli dell’architettura romana derivano alcune tra le più note colonne di età moderna quali la coppia di colonne che fiancheggiano la Karlskirke a Vienna, (16) opera dell’architetto Johann Bernhard Fischer von Erlach (1656-1723) realizzata tra il 1716 e il 1741, dove sono espliciti i riferimenti all’ambiente romano, dove si era formato come architetto, e la colonna di piazza Vendôme a Parigi, caratterizzata da rilievi in bronzo, realizzata negli anni tra il 1806 e il 1810, abbattuta nel 1871 e poi ricostruita nel 1874. (17) In Germania l’idea di erigere un monumento a Federico II, dopo la sua morte, interesso molti architetti e nel 1822 fu ripresa anche da Friedrich Schinkel (1781-1841), il maggiore architetto tedesco dell’Ottocento, che in una delle versioni del progetto, da realizzare a Berlino, ideò un monumento ad imitazione della colonna traiana. Tuttavia le colonne commemorative moderne, per quanto assumano in genere, in modo abbastanza fedele, come modello quello delle colonne coclidi di epoca romana, presentano talvolta il fusto liscio, come accade anche nell’esempio della colonna nota come The Monument, realizzata a Londra, in prossimità del London Bridge, tra il 1671 e il 1677 da Christopher Wren (1632-1723). (18) Sempre a Londra si trova la colonna di Nelson dell’architetto William Railton (1801-1877), realizzata tra il 1839 e il 1843, nella piazza di Trafalgar, il cui nome deriva dalla vittoria che l’ammiraglio inglese Horatio Nelson riportò sulla flotta francese davanti a capo Trafalgar, al largo delle coste della Spagna meridionale il 21 ottobre del 1805. (19) Un ulteriore esempio è costituito dal monumento dedicato a George Washington, realizzato a Baltimora tra il 1814 e il 1819, in forma di enorme colonna dorica dall’architetto Robert Mills (1781-1855). Non va dimenticato, infine, che negli anni di fervore urbanistico, verso la ?ne dell’Ottocento, tra i numerosi concorsi a Roma venne bandito anche quello relativo alla sistemazione di piazza Colonna e della colonna di Marco Aurelio.(20)
Fin dalla prima giovinezza Garibaldi iniziò a suscitare ammirazione e consenso, ?no a diventare, a partire dal 1875, il monumento vivente di se stesso; l’iconografia garibaldina, con il trascorrere del tempo e in virtù di una accorta gestione dell’immagine, aveva favorito la trasposizione dell’eroe nella sfera del mito. La sua raffigurazione appare assai articolata e complessa nella letteratura e nell’arte dell’Ottocento dove non si conosce una figura altrettanto celebrata.
Garibaldi viene descritto come un eroe mitico e trasfigurato in una dimensione onirica nelle pagine di Giuseppe Cesare Abba, dove il Generale, ad una svolta della via, veduto dal basso, grandeggiava sul suo cavallo nel cielo, un cielo di gloria da cui pioveva una luce calda. (21) Peri grandi uomini della storia legati indissolubilmente alla propria società e al proprio tempo la morte segna il trapasso in una dimensione puramente eroica, fantastica. La raffigurazione dell’Eroe in forma simbolica è significativamente rappresentata nello straordinario esempio del Monumento al Leone di Caprera, una litografa a china su carta nella quale la celebrazione di Garibaldi attraverso la simbologia conduce l’eroe nella sfera del mito. (22) Il disegno esalta l’apoteosi dell’eroe che dopo la morte viene accolto tra gli dei, assume carattere divino e durante una tempesta appare a cavallo nel cielo in soccorso ai marinai, così come i Dioscuri con la loro luce guidano e proteggono i marinai durante la navigazione (23) L’isola di Caprera vi appare avvolta da una tempesta e sormontata da una stele funeraria di forma piramidale, sulla cui base è disteso un leone addormentato.(24)
In epoca molto antica, intorno alle sepolture venivano collocati cumuli di pietre che nel tempo sono stati trasposti nel linguaggio artistico e sintetizzati attraverso la scultura in forme molto stilizzate, divenendo dei cippi di forma piramidale che venivano posti a segnacolo della tomba. Il modello al quale si richiamavano in maniera esplicita era quello del prototipo egizio della piramide, dalla quale derivavano la forma geometrica ridotta allo schema elementare; in effetti le piramidi erano considerate da sempre il tipo di tomba per eccellenza come modello di forma assoluta. Durante il 1800 si sviluppa una particolare predilezione per le forme geometriche elementari; esempi di strutture piramidali ricorrono, infatti, nelle opere di numerosi architetti di questo periodo. (25) Quando si avverte la necessità di un rinnovamento in architettura si intensificano le riflessioni attorno al tema delle origini. La ricerca dell’archetipo, come esigenza di un riferimento essenziale, investe la cultura architettonica del XIX e XX secolo, attraverso la sperimentazione dei reuivals storici che culminano nell’eclettismo di fine ‘800. (26) Lo stesso Garibaldi, nella sua opera I Mille, aveva descritto, così come lo aveva immaginato in un sogno, un monumento sul Gianicolo a Roma; si trattava di una costruzione di forma piramidale in bronzo, ornata da un bassorilievo raffigurante le gesta dei suoi soldati.(27)
Le fonti di ispirazione del progetto per il faro Garibaldi a Caprera vanno dunque ricercate all’interno del contesto storico e del clima culturale, sia a livello nazionale che a livello europeo, nel quale Guidini opera. Nella seconda metà dell’Ottocento lo stato italiano avvertiva forte l’esigenza di assumere uno stile nazionale attraverso il quale affermare il proprio prestigio e il senso della propria rinascita culturale (28) Il gusto per l’antico costituisce un evidente richiamo ai valori della tradizione e ad una visione della possibile continuità con l’arte classica che riconduce ai suoi mitici archetipi. L’adozione degli elementi simbolici e mitologici del repertorio figurativo neoclassico collocano questo monumento tra i più diffusi esempi di architetture monumentali a carattere pubblico e celebrativo. Anche la componente onirica e il carattere fantastico sono elementi ricorrenti in molte opere di questo periodo; tra queste il Monumento a Vittorio Emanuele II di Giuseppe Sacconi (1854-1905), a Roma, rappresenta certamente uno degli esiti più emblematici, eclettici e scenografici. (29) Il progetto del faro Garibaldi è dunque il prodotto della rivisitazione di modelli classici cari all’architettura neoclassica; attraverso la lettura critica e analitica del carattere stilistico e costruttivo del monumento si possono intravedere gli archetipi monumentali che hanno influenzato l’elaborazione del progetto. In virtù di tali caratteristiche il faro Garibaldi si inserisce nel panorama architettonico nazionale ed europeo della fine dell’Ottocento. Al di là della sua funzione di segnale, come punto di riferimento per i marinai durante la navigazione, il faro assume nel caso specifico un carattere puramente laico, quello dell’ara. Nelle relazioni e nel progetto non si ritrovano riferimenti alla necessità o alla opportunità di dotare il faro di una lanterna; questo escluderebbe tra le caratteristiche del monumento la componente più strettamente funzionale per cui la trasposizione del significato di questa opera procede dal connotato funzionale del segnale verso quello più strettamente simbolico del segnacolo. La celebrazione attraverso questi simboli conduce l’eroe nella sfera della mitologia, all’interno della quale diviene lui stesso il monumento: il faro è Garibaldi.

Giovanni Mulas

NOTE:

1 Sulle vicende che riguardano il progetto di G. B. Cerletti cfr. G. Mulas, Un istituto Agrario Garibaldi a Caprera, in “Almanacco Gallurese”, n. 16, 2008-2009, Sassari 2008, pp. 316-319. Cerletti vantava trascorsi gloriosi al seguito del Generale Garibaldi. Dopo aver compiuto gli studi secondari a Como ed essersi iscritto alla facoltà di Matematica dell’Università di Pavia, nella primavera del 1866 si era arruolato nel I battaglione del corpo dei volontari garibaldini e aveva combattuto nel Trentino, rimanendo ferito alla mano e al braccio destro nello scontro di Monte Suello, il 3 luglio di quell’anno. Per questi meriti era stato insignito di una medaglia d’argento ed era diventato successivamente il presidente della Società dei Reduci Garibaldini di Chiavenna, sua città natale.

2 L’architetto ticinese, nato a Barbengo nel 1853 e morto a Milano nel 1928, è attivo nella stagione artistica caratterizzata dall’Eclettismo e dal Liberty. Nel 1875 si stabilisce a Milano, dove studia come architetto con Giuseppe Mengoni, col quale collabora al progetto della galleria Vittorio Emanuele II. Il nome di Guidini è pure legato alla Villa Ducale di Stresa, dopo l’acquisto da parte della duchessa Elisabetta di Sassonia. L’architetto, infatti, diresse i lavori per la sistemazione di alcuni locali interni, per l’aggiunta del piano mansardato e per la sistemazione del parco. Guidini ebbe un’intensa attività professionale sia in Ticino, sulle rive del Verbano, che nella vicina Italia, progettando e costruendo numerose ville, alberghi e palazzi. A Barbengo acquistò una casa dando il proprio nome sia all’edificio che alla piazza antistante. Ampliò la costruzione già esistente con l’aggiunta di un’ala, caratterizzata da una decorazione in cotto in stile neogotico, e, quindi con l’aggiunta di una torre eclettica. Nel 1883, nell’ambito della tradizione del tiro federale, realizzò due impianti; la «Cantina della Festa» e il «Tempio dei Premi». In linea con le esperienze maturate in patria progettò gli edifici del tiro a segno nazionale alla Farnesina di Roma (1890), tra Porta Angelica, Cerchia del Vaticano e Ponte Milvio; in questa occasione Guidini si distinse per l’originalità delle soluzioni strutturali adottate. Impegnato anche nell’arte funeraria realizzò nel 1884 l’edico1a monumentale della famiglia Caccia nel cimitero di Morcote; nel 1893 progettò il monumento funebre a Vincenzo Vela nel Cimitero di Ligornetto, in marmo di Carrara, eseguito da suoi allievi. Il 3 novembre 1895, in Piazza Cairoli a Milano, venne inaugurato il monumento a Garibaldi realizzato in collaborazione con lo scultore Ettore Ximenes. Di notevole rilevanza il contributo di idee e di realizzazioni nel campo del restauro dei monumenti, con progetti e interventi su edifici come il Duomo di Milano, San Lorenzo a Lugano (1905-1910) e il restauro della Chiesa di S. Paolo ad Arbedo, vicino Bellinzona, molto importante per i criteri di restauro adottati. Di particolare interesse, inoltre, il decisivo impegno nel settore della tutela pubblica, con le proposte per l’emanazione delle prime leggi di tutela ticinesi; è anche degna di nota la militanza di Guidini a favore dell’approvazione del disegno di legge sulla cremazione facoltativa. Nel 1910, in seguito al terremoto di Messina, Guidini propose un piano urbanistico dalle caratteristiche abbastanza personali. Molto interessante anche la parentesi professionale argentina di Guidini, residente a Montevideo tra il 1910 e il 1913. Cfr. anche G. Miano, voce Guidini, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 61, Roma 2003, pag. 346-350.

3 A. Guidini, Caprera. Progetto di Monumento Nazionale, Milano 1899; e inoltre Caprera. Progetto di monumento Nazionale, in “Secolo Illustrato”, n. 485 del 30 aprile 1899, Milano, 1899.

4 Progetto di un monumento nazionale a Caprera, in “L’Illustrazione italiana”, 16 aprile 1899, pag. 263. Il monumento a Maria Cristina si trova nella chiesa degli Agostiniani di Vienna; cronologicamente precede di due anni la pubblicazione dei Sepolcri di Ugo Foscolo che rappresenta il suo equivalente letterario. All’inizio della sua carriera Antonio Canova aveva scolpito altri due grandi monumenti funebri a Roma, il monumento a Clemente XIV, nel 1787, e quello a Clemente XIII nel 1792. In particolare quest’ultimo, conservato all’interno della basilica di S. Pietro, è caratterizzato dalla presenza di due leoni in marmo, accosciati a guardia dell’ingresso. Cfr. G. C. Argan, L’arte moderna. 1770/1970, Sansoni, Firenze, 1970, pag. 43-47, ?gg. 57-59.

5 Durante la sua intensa attività professionale Augusto Guidini realizzò numerose ville tra le quali quella che Nicola della Casa, imprenditore svizzero attivo nel campo della estrazione e della lavorazione dei graniti, si fece realizzare dal1’architetto a Baveno, sul Verbano, ultimata nel 1880. Per la costruzione del faro si sarebbe largamente adoperato il granito di Caprera poiché ritenuto ben più resistente di quello di Baveno. Cfr. Progetto di un monumento nazionale a Caprera, cit., pag. 263; G. Margarini – C. A. Pisoni, Il granito di Baveno. Nicola Della Casa, un pioniere, Verbania, 1994.

6 Sulle raffigurazioni e sulla simbologia relativa al leone cfr. Enciclopedia Universale dell’arte, XV voll., Novara, 1984.
7 AA.W., Roma 1911, Roma 1980, pag. 234, g. 14; cfr. anche F. Borsi- M. C. Buscioní, Manfredo Manfredi e il classicismo della Nuova Italia, Milano 1983, pag. 181-186. Per un confronto sarà interessante vedere anche il progetto elaborato nel 1900 da Giuseppe Sacconi, la “Cappella Espíatoria” di Monza: cfr. P. R. David, Giuseppe Sacconi architetto restauratore, Roma, 1990.

8 Erika Garibaldi (a cura di), Qui sostò Garibaldi, Fasano di Brindisi 1982, pag. 422; G. Iacobucci, Giovanni Jacobucci Architetto (1895-1970), Roma 1996, pag. 37.

9 I cosiddetti fuochi di Sant’Elmo sono le scariche elettriche luminescenti che si creano durante i temporali, provocate dai campi elettrici e dalla forte ionizzazione dell’aria. Nel 1749 Benjamin Franklin osservò che si trattava di un fenomeno di natura elettrica; si manifesta con un bagliore brillante, bianco-bluastro, che appare talvolta come un fuoco, in getti anche doppi o tripli. In genere si determina in cima a strutture alte e appuntite, come gli alberi maestri delle navi, le guglie dei campanili, sopra le ciminiere, ma anche tra le punte delle corna degli animali. Nell’antica Grecia la comparsa di un singolo fuoco veniva chiamata Elena, se invece il fenomeno era doppio veniva detto Castore e Polluce. Il fuoco di Sant’Elmo prende il nome da Erasmo da Formia, detto anche Sant’Elmo, il santo patrono dei naviganti che consideravano la sua comparsa di buon auspicio. Secondo la leggenda, quando il Santo venne arso vivo, forse sotto Diocleziano, sulla cima della pira del rogo si vide comparire una fiamma bluastra, ritenuta dai presenti l’anima del Santo che si innalzava al cielo. Diversi riferimenti al fuoco di Sant’Elmo, spesso detto anche “corposanti” o “corpusanti”, dallo spagnolo Cuerpos Santos, si possono trovare nelle opere di Giulio Cesare, di Plinio il Vecchio, nel diario di Antonio Pigafetta, scritto durante il suo viaggio con Ferdinando Magellano, e nell’opera di Herman Melville.

10 C. Manfredini- A. W. Pescara, Il libro dei fari italiani, Milano 1985, pagg. 7 – 24; A. Ferrari, voce Leandro, in Dizionario di mitologia, vol. 2, Novara 2006, pag. 19; G. Paduano (a cura di), Ero e Leandro, Venezia 1994.

11 Presso i Romani l’importanza dei fari diviene fondamentale, tanto che alla realizzazione di ogni porto si accompagnava sempre la costruzione di un faro. Con la caduta dell’impero romano si determina un fenomeno di grave crisi dei commerci e dell’attività di navigazione, a cui fa seguito il rapido smantellamento delle flotte e la decadenza dei porti e dei fari. Durante l’epoca delle repubbliche marinare nel bacino del Mediterraneo si affaccia l’esigenza di garantire una navigazione senza pericoli per le navi e la necessità di individuare nuove basi sicure, dotate di adeguati impianti di segnalazione. A partire dall’epoca moderna i fari assumeranno progressivamente una particolare importanza all’interno di un più ampio e articolato sistema di segnalazioni marittime, portuali e costiere.

12 AA.W., Necropoli di Porto Isola Sacra. Itinerari, Roma, 1966, pag. 114-115.

13 Un altro esemplare di uguale carattere è la colonna di Yaat, in Siria, con fusto liscio e capitello corinzio.

14 Dal latino cochlea, “chiocciola”, è detta in genere una colonna che ha all’interno una scala a chiocciola o che ha il fusto decorato con una fascia continua a spirale scolpita in rilievo.

15 Sull’argomento cfr. H. von Hesberg, Monumenta. I sepolcri romani e la loro architettura, Longanesi, Milano, 1992.

16 La chiesa di San Carlo Borromeo (Karlskirke) di Vienna rappresenta il capolavoro dell’intera attività di architetto di Fischer von Erlach; si tratta di un edificio del tutto originale, che non conosce precedenti né riprese. In questa opera è evidente un esplicito riferimento all’influenza dell’esperienza architettonica in Italia e specialmente durante il suo soggiorno romano al fianco del suo maestro Carlo Fontana (1638-1714) a partire dal 1674. A Roma von Erlach sviluppò una raffinata e personale sintesi della monumentalità dell’architettura antica e del barocco romano che si rispecchia nella soluzione della facciata della chiesa di San Carlo, costituita da un portico sul tipo di quello del Pantheon, inquadrato da una coppia di colonne simili a quella di Traiano a Roma. La costruzione della chiesa, iniziata negli anni tra il 1716 e il 1722 venne ultimata, dopo la sua morte, dal figlio Iosepf-Emanuel von Erlach (1693-1742) tra il 1724 e il 1739.

17 Gli edifici di piazza Vendôme erano stati in parte realizzati dall’architetto Iules-Hardouin Mansart (1645-1708); in origine al centro era collocata una statua equestre di Luigi XIV, opera dello scultore François Girardon (1628-1715). La colonna che occupa attualmente il centro della piazza venne fatta erigere da Napoleone I in onore della Grande Armée e delle sue vittorie sugli austriaci e sui russi nel 1805. Si tratta di una imitazione della colonna di Traiano di Roma e venne realizzata da Dominique-Vivant Denon (1747-1825), da Jacques Gondouin (1737-1818) e da Jean-Baptiste Lepère (1761-1844). Il monumento è rivestito con lastre di bronzo, quelle del fusto formano una spirale lunga 273 metri, vi sono rappresentati gli avvenimenti memorabili della campagna del 1805. Il bronzo venne ricavato dalla fusione di 1200 cannoni austriaci e russi. Sulla sommità si erge una statua di bronzo di Napoleone I, opera dello scultore Antoine-Denis Chaudet (1763-1810).

18 Si tratta di una colonna alta 60 metri, sormontata da una fiamma di bronzo dorato, alta 13 metri, realizzata per commemorare il grande incendio del 1666.

19 In quella occasione Nelson sbaraglio i francesi rimanendo tuttavia ucciso sul ponte della sua nave. Nel 1843, al centro della piazza, venne costruita una colonna alta 55 metri, sormontata dalla statua dell’ammiraglio e decorata con rilievi di bronzo che rievocano le scene delle sue principali vittorie.

20 F. Giovanetti, La sistemazione di piazza Colonna, in AA.W., Roma Capitale 1870-1911. Architettura e urbanistica. Uso e trasformazione della città storica, Venezia, 1984, pagg.379-405.

21 G. C. Abba, Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille, Milano 1997, pagg. 9-10; pag. 50.

22 AA.W., Garibaldi. Arte e Storia, vol. l Arte, p. 257, scheda 163.

23 Divinità della luce, i Dioscuri sono gli astri del mattino e della sera e attraversano il cielo infaticabili sui loro cavalli divini, come cavalieri del cielo. Affini, ma non identici, possiedono entrambi la virtù cavalleresca di intervenire in soccorso di quanti invochino il loro aiuto, in particolare i combattenti. Sotto la forma astrale personificano anche le divinità protettrici dei navigatori e dei naufraghi. I Dioscuri erano spesso invocati dai naviganti nell’effige di cavalieri che attraversavano l’aria per soccorrere gli uomini in pericolo.

24 L’iconografia di questa stampa, purtroppo non datata, è riconducibile a quella del progetto elaborato da Guidini, nel quale ricorre, con stringente analogia, la stele funeraria impostata su un basamento parallelepipedo sul quale è disteso un vecchio leone dormiente.

25 E. Kauffmann, l’architettura dell’Illuminismo, Einaudi, Torino 1966; E.Kauffmann, Tre architetti rivoluzionari. Boullée, Ledoux, Lequeu, Franco Angeli editore, Milano 1979; P. Collins, I mutevoli ideali dell’architettura moderna, Il Saggiatore, Milano 1973; L. Patetta, L’architettura dell’Eclettismo. Fonti, teorie, modelli, Maggioli editore, Milano, 1975.

26 Tutti conosciamo dalle Sacre Scritture le descrizioni del Paradiso ma non sappiamo nulla di come fosse e dove si trovasse la casa di Adamo, esemplare costruttivo primordiale. Cfr. I. Rykwert, La casa di Adamo in Paradiso, Adelphi, Milano 1977.

27 G. Garibaldi, I Mille, Bologna 1933, pag. 345. Nel 1844, in occasione del concorso per il monumento a Garibaldi sul Gianicolo, l’architetto A. Guidini e lo scultore E. Ximenes, nell’elaborazione del proprio progetto, traendo spunto dalla descrizione di Garibaldi, proposero la realizzazione di una piramide tronca di notevoli dimensioni, davanti alla quale doveva sorgere una statua equestre del Generale. La forma piramidale, tuttavia, non venne accettata in quanto ritenuta più adeguata ad un monumento sepolcrale. Cfr. Monumento a Garibaldi sul Gianicolo, in AA.VV., Roma Capitale 1870-1911, op. cit., pagg. 227-228.

28 Il principale sostenitore dell’idea della necessità di uno stile nazionale fu, attraverso i suoi numerosi scritti, Camillo Boito (1836-1914).

29 Nel 1882, in occasione del primo concorso per il monumento a Vittorio Emanuele, vennero presentati 315 progetti difficilmente paragonabili tra loro. In molti di questi il tema progettuale era quello della colonna onoraria, come nei progetti Sacconi, Pieroni, Roselli-Lorenzini, Pericci, Galletti e in quello che vinse il I premio, pecuniario, dell’architetto francese Henri Paul Nénot, che lo stato tuttavia decise di non realizzare. Cfr. G.Accasto-V.Fraticelli-R. Nicolini, Architettura di Roma Capitale, Roma 1971, pagg. 72-85; P. Acciaresi, Giuseppe Sacconi e l’opera sua massima, Unione Editrice, Roma 1911; AA.W., Il Vittoriano, 2 voll., Roma 1986; M. Venturoli, La Patria di marmo, Nistri – Lischi ed., Roma, 1995; A. M. Racheli, Sintesi delle vicende urbanistiche di Roma dal 1870 al 1911, Roma 1979, pagg. 69-145. Per comprendere il ritardo culturale che l’Italia viveva in questo periodo rispetto agli altri paesi europei si veda l’esempio della Tour Eiffel di Parigi che non celebra e non commemora alcun passato ma inneggia al presente e annuncia il futuro. Una concezione tutta retrospettiva è invece la concezione del “Vittoriano” di Roma, simbolo del pesante conservatorismo del potere burocratico. A Per riscontro si veda infine la Mole Antonelliana di Torino dove l’intento urbanistico è simile a quello della Tour Eiffel, ma la realizzazione avviene con tecniche costruttive tradizionali; un significativo compromesso tra monumentalità e funzionalità tecnica. Cfr. G. C. Argan, L’arte moderna, op. cit., pagg. 100-101.