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Francesco Ornano

Figlio di Giovanni Battista e Maria Francesca Zicavo, era imbarcato, forse addirittura volontario, sul felucone “San Gavino” quando questo prese il mare per andar contro una galeotta tunisina che veleggiava nei pressi della costa maddalenina; questa fu sconfitta e catturata, ma Francesco, ferito gravemente, mori qualche giorno dopo lo scontro, il 4 novembre 1774. Sarà il primo maddalenino a morire al servizio della “nuova” patria.

Lo scontro fu con due imbarcazioni barbaresche, che fruttò la cattura di tutto l’equipaggio “turco” di 24 unità e dello scafo della galeotta nemica, ben armata ed equipaggiata, mentre una seconda galeotta sfuggì all’attacco. Fece meraviglia aver trovato a bordo dei denari, cosa insolita nelle imbarcazioni barbaresche utilizzate nelle crociere di razzia. Da subito il viceré Della Marmora, scrivendo al ministro Chiavarina, elogiò il loro comportamento in battaglia e raccomandò al re “gli isolani della Maddalena e quel meschino che resosi ferito gravemente, se pure potrà sopravvivere”. Per la verità i feriti furono due: Matteo Cogliolo e Francesco Ornano, entrambi imbarcati come volontari. Il primo non ebbe conseguenze, mentre Francesco morì appena ventenne il 4 novembre per gli esiti delle gravi ferite che aveva subito.
In questa occasione vennero ugualmente le ricompense, le cosiddette “grazie del re”. De Nobili fu promosso al grado e alla paga di capitano tenente della fanteria d’ordinanza, il suo secondo, Maistre, fu promosso luogotenente nelle compagnie di marina. L’equipaggio e i volontari ebbero un premio in denaro, mentre Matteo Cogliolo, oltre il premio, ebbe riconosciuto un indennizzo di £ 50 di Piemonte per la ferita. La madre di Francesco Ornano, Francesca Zicavo vedova di Giovanni Battista Ornano, ricevette la somma di £ 250 di Piemonte e il vitalizio di una razione quotidiana di pane. La tutela della vedova e il riconoscimento della ferita furono apprezzate dalla comunità, e rafforzò nei giovani e nelle famiglie l’orientamento a intraprendere la professione militare.

Fu sepolto a Cala Chiesa. Nei registri parrocchiali si annota che Francesco mori senza i sacramenti per morte violenta e sospetto di peste, cosa spiegabile visto il diretto contatto con i barbareschi. Era, infatti, precauzione indispensabile tenere in contumacia chiunque avesse avuto rapporti con i Turchi. Tale usanza durò almeno fino al 1833, anno in cui vi fu sepolto il marinaio Giacomo Tomasi di Capri che era stato ucciso sull’opposta sponda di Porto Pozzo ove era sceso da una barca corallina toscana diretta in Barberia.

Nel 1896, con delibera N. 660 del Consiglio Comunale, i concittadini gli intestarono una via, l’attuale via Don Minzoni.