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Giacinto Bruzzesi

Nato a Cerveteri il 17 dicembre 1822 da Lelio e Barbara Ponziani, trascorse la fanciullezza a Civitavecchia e a Torrita, dove il padre amministrava i beni del principe Massimo. Trasferitosi a sedici anni a Roma, aiutò nel commercio una sorella sposata e divenne esperto incisore in pietre e cammei. Entrò così in un ambiente di artigiani e di artisti, dove conobbe anche patrioti che lo iniziarono alle società segrete: prima carbonaro, aderì successivamente alla Giovine Italia.
Durante la prima guerra d’indipendenza, si batté nel Veneto, a Comuda (9 maggio 1848) e a Vicenza (10 giugno), volontario della prima legione romana. Al ritorno coadiuvò il colonnello Grandoni a organizzare i reduci in un battaglione, in cui militò col grado di tenente. Dopo la fuga di Pio IX fu inviato a Terracina e quindi a presidiare Corneto. Quando i Francesi sbarcarono a Civitavecchia si portò con rapida marcia nella capitale, ove prese parte ai combattimenti del 30 aprile 1849. Combatté il 19 maggio a Velletri e si distinse, soprattutto, nella difesa dei Monti Parioli con una coraggiosa sortita che gli valse l’unica medaglia d’oro data a un cittadino dello Stato romano.
Caduta la Repubblica romana, andò esule in Grecia con un gruppo di centoventi patrioti italiani e polacchi, condotti dal colonnello Milbitz, con il proposito di raggiunger l’Ungheria per sostenervi l’insurrezione, ma il cattivo esito di questa l’indusse a desistere. Bruzzesi proseguì per Costantinopoli, dove mise a profitto l’arte dell’incisione, e col cognato Adriano Lemmi intraprese attività commerciali, in particolare per forniture al corpo di spedizione francese per la guerra di Crimea; fece anche un viaggio a Odessa. Soccorse così gli amici e i parenti che lo avevano seguito, e giovò alla causa mazziniana con contributi finanziari, sia propri sia raccolti tra gli Italiani di Turchia.
Ebbe anche parte nella funzione d’intermediario, tenuta dal Lemmi, tra Mazzini e Kossuth.
Entrato infatti nel 1851 nella fortezza di Kutaja, col pretesto di effigiare in un cammeo l’esponente ungherese lì relegato, gli portò un messaggio di Mazzini con istruzioni per l’evasione. Dal canto suo il Kossuth dettò in quel tempo un proclama ai connazionali militanti nell’esercito austriaco perché fossero solidali con la rivoluzione italiana. I mazziniani se ne valsero nel moto milanese del 6 febbraio 1851, cui Bruzzesi partecipò, forse in connessione con tali rapporti italo-ungheresi curati in Oriente.
Tentò poi un’attività marittima, presto troncata dall’affondamento, al largo del Portogallo, della nave “Adria Dorica”, fatta costruire in Ancona. Passato per affari a Londra, frequentò spesso Mazzini; quindi tornò a Costantinopoli, ove si trattenne fino al 1857. Compromesso nuovamente nei moti mazziniani di quell’anno, riparò a Parigi e a Londra. Rientrò in Italia nel 1859 per arruolarsi, col grado di capitano, tra i cacciatori delle Alpi. L’anno successivo curò la selezione dei Mille e partecipò all’impresa come secondo capo di Stato Maggiore.
Sbarcato a Marsala, occupò porta Palermo e l’ufficio postale; il 15 maggio si batté a Calatafimi, il 25 si distinse nella geniale manovra di Garibaldi a Marineo e, nella battaglia per Palermo, guidò una delle tre masse d’attacco, rimanendo ferito al ponte dell’Ammiragliato (27 maggio). Passato sul continente, si batté al Volturno e sotto Capua, conseguendo il grado di tenente colonnello di Stato Maggiore e la croce di Savoia per meriti di guerra.
Coadiuvò G. Sirtori nella formazione dell’esercito meridionale, in cui militò fino all’aprile 1862, allorché, salito al potere Rattazzi, si profilò quella spedizione garibaldina per Roma – finita tragicamente ad Aspromonte – di cui Bruzzesi, sottocapo di Stato Maggiore, fu uno degli uomini di punta, dall’inizio della preparazione all’arresto, condiviso con Garibaldi.
Così, tra le fonti più importanti per la conoscenza della fallita spedizione, figurano i suoi documenti al riguardo, conservati al Museo Centrale del Risorgimento in Roma e il diario, interessante tra l’altro per la conoscenza della personalità e dell’ideologia di Garibaldi in quella critica fase. Imbarcato col generale e gli altri suoi ufficiali di Stato Maggiore sul “Duca di Genova”, venne poi rinchiuso, con B. Corte, E. Guastalla e altri, nel forte di Fenestrelle. Amnistiato nell’ottobre 1862, accorse di nuovo presso Garibaldi alla Spezia e lo seguì a Pisa e a Caprera, svolgendo in questo periodo, con altri esponenti democratici, un’influenza moderatrice, che rimosse il generale da posizioni anticostituzionali e dalle suggestioni di un colpo di Stato regio. Provvide, per esempio, al ritiro di un articolo di Garibaldi, orientato in tal senso, dal giornale genovese Il Movimento, diretto da A. G. Barrili. Recatosi in seguito in Inghilterra, fu richiamato in Italia in vista di un programma insurrezionale per Roma e nominato dal comitato apposito delegato per i contatti coi territori pontifici. Stabilitosi a Firenze per dirigere tale attività, documentata dalla folta corrispondenza degli anni 1863-67, si recò spesso clandestinamente nel Lazio, dove era conosciuto dai patrioti col nome convenzionale di “Emilio” o, talora, di “Fabrizio”. Tra l’altro, in una villa del cognato G. Pastorelli, sita fuori porta S. Pancrazio, fece stampare il foglio Roma o morte. Fu posto inoltre da Garibaldi, nel 1867, a capo del Centro dell’emigrazione romana.
Quanto agli affari, impiantò in Milano un’azienda per l’importazione e la vendita di prodotti inglesi, e diede il suo aiuto all’iniziativa di L. Luzzatti per la fondazione di banche popolari in Lombardia. Frattanto Bruzzesi si era impegnato col Guerzoni in un nuovo intermezzo orientale. storicamente interessante nel contesto dei rapporti risorgimentali italo-polacchi.
Scoppiata in Polonia nel 1863 l’insurrezione contro i Russi, si strinse un’intesa tra le ali mazziniana e garibaldina del movimento democratico italiano ed emissari polacchi, per una raccolta di armi e di uomini in Turchia, donde si sarebbe penetrati, attraverso la Romania, in territorio polacco. Gli Italiani, a parte le ragioni della solidarietà patriottico-democratica internazionale, si ripromettevano dal successo polacco migliori opportunità per la liberazione del Veneto.
Ritenuto l’uomo adatto per la sua conoscenza di quel teatro d’azione e delle lingue, Bruzzesi, chiamato convenzionalmente “Devoto”, il 14 maggio partì con G. Guerzoni alla volta di Costantinopoli, ove giunse il 21.
Si trattava anzitutto di saggiare la tolleranza del governo ottomano al passaggio dei volontari e di prender contatti col movimento polacco, che però, forse a causa dell’orientamento politicamente moderato impressogli da Czartoryski, parve meno interessato alla partecipazione italiana. Si aggiungano, per spiegare il fallimento della spedizione, le complicazioni diplomatiche emerse dalla scoperta di un’ingerenza di Vittorio Emanuele II nei piani per l’Oriente, la conseguente opposizione dell’ala mazziniana di fronte a una tale eventualità, la mancanza di mezzi, le dolorose prove dei pochi patrioti già affluiti in Polonia e in particolare l’impressione destata dal vano sacrificio di Francesco Nullo.
Ma prima che se ne chiarisse il fallimento Bruzzesi cercò di portare avanti la preparazione di quell’impresa, della quale pure le sue brevi memorie inedite costituiscono un’importante testimonianza. Si tratta di un quaderno di quarantasei carte, con fodera di cartoncino rossa, delle quali sono scritte le prime undici e le ultime due, con uniti alcuni foglietti sciolti.
Rientrato a Costantinopoli, ricevette, insieme con Guerzoni, un attestato polacco di lode per l’operato svolto e di giustificazione per il fallimento dell’iniziativa.
Richiamato con l’amico in Italia il 12 luglio, Bruzzesi, durando la guerra di secessione americana, progettò una coltivazione di cotone, con finanziamento di capitale britannico, per sopperire alla crisi dell’importazione dagli Stati Uniti. Andò a questo scopo a Londra per accordi, ma la soluzione del conflitto americano fece frattanto cadere il progetto. Riprese allora l’attività commerciale in Milano, finché, scoppiata la terza guerra d’indipendenza, accorse al comando del 3º reggimento garibaldino, col quale combatté a monte Suello (3 luglio 1866), al Caffaro, e sostenne la ritirata in Sant’Antonio, guadagnandosi una seconda medaglia d’oro al valor militare.
Meno entusiasta Bruzzesi appare, dalla corrispondenza, di fronte all’impresa nel Lazio del 1867, cui tuttavia partecipò, seguendo il generale G. Acerbi nella conquista di Viterbo.
Nel 1868 incrementò gli affari, impiantando a Milano una fabbrica di calzature, che, costituita in società per azioni con capitale di cinque milioni, nel 1872 prese il nome di Compagnia lombarda per la fabbricazione di calzature. Fu anche attivo nelle iniziative sociali del partito repubblicano, figurando nel 1871 tra i sette membri del comitato direttivo per la preparazione del congresso delle società operale, e fu dignitario massone col grado di 33. Nel 1881 organizzò la mostra campionaria all’Esposizione di Milano, e ad ambienti finanziari settentrionali prospettò possibilità di investimenti nel Lazio per il risanamento dell’Agro romano. Pensò inoltre, più di una volta, a porre la candidatura per l’elezione al Parlamento nel collegio di Civitavecchia, dove godeva di una particolare popolarità, ma fu ostacolato da rivalità politiche negli ambienti della Sinistra.
Garibaldi, dopo l’unità d’Italia, amava trascorrere brevi periodi al mare a Civitavecchia in uno degli stabilimenti balneari messi su da “Bruzzesi” e realizzato su un isolotto da Giuseppe, zio del colonnello garibaldino. L’Eroe dei Due Mondi vi sostava volentieri, con la figlia Clelia avuta da Francesca Armosino infervorandosi anche in qualche conversazione politica.
Cosi dal racconto di Clelia Garibaldi che era stata col Padre a Roma all’apertura della sessione Parlamentare “Prima di tornare a Caprera, ci fermammo per breve tempo a Civitavecchia, perché papà desiderava che io imparassi a nuotare. Il mio maestro fu un suo caro amico, il colonnello Giacinto Bruzzesi, il quale era proprietario in Civitavecchia di stabilimenti balneari. Non furono necessarie molte lezioni per farmi diventare una brava e veloce nuotatrice.
Nel 1879, tormentato dai reumatismi, vi cercò di nuovo sollievo nelle sabbiature. Clelia diede anche prova di coraggio nel salvare una giovine donna dall’annegamento. Da un giornale dell’Epoca: “Un giorno il 3 agosto 1879, stava ella facendo il solito bagno (aveva 12 anni), e già si era allontanata dalla riva lanciandosi arditamente al di la della corda che segnava la zona pericolosa, quando vide, a notevole distanza da lei una donna in procinto d’annegare. Senza ritardare un attimo e senza pensare al pericolo della vita, Clelia raggiunse velocemente il luogo dove , intanto la donna era scomparsa. Si tuffa e la ripesca sott’acqua, ma deve sostenere una lotta per vero miracolo non riesce fatale a tutt’e due. Finalmente con una mossa da vecchio lupo di mare, Clelia può afferrarla alla nuca e sospingerla alla superficie. Era tempo, perchè la donna, una popolana di 20 anni, stava già perdendo i sensi (raggiunse poi la riva fra l’ammirazione della gente)”.
Nel 1897, con G. Candiani e A. Amati, fondò a Milano la Casa dei veterani e degli invalidi, eretta in ente morale con decreto 23 giugno 1898, e fu quella l’ultima iniziativa di una vita tanto combattiva ed operosa. Morì a Milano il 25 maggio 1900.
Fu amico fraterno di celebri personalità del Risorgimento, tra le quali B. Cairoli e il poeta P. Giannone. Fedele all’idea repubblicana, accettò per spirito di concordia e amor di patria l’istituto monarchico. Oltre ai citati diari, ricordiamo un suo breve scritto polemico, rivolto a G. Bandi (Una parola sulle molte storie garibaldine,Milano 1882), in cui confutò le inesattezze di recenti resoconti sulle spedizioni cui aveva partecipato, esaltando, in particolare, contro asserzioni pessimistiche, il contributo delle popolazioni siciliane alla liberazione dell’isola nel 1860. Tra le opere si ricorda ancora Dopo 25 anni. Il 5,11 e 15 maggio dei Mille, Arona 1885.