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Gianmaria, Franco e La Maddalena

Verso la fine degli anni ’60 ad una ventina di chilometri da Roma sul litorale, al Villaggio dei Pescatori di Fregene, iniziarono a trasferirsi diversi autori e personaggi del mondo del cinema. Gruppi famigliari (più o meno integri) vivevano a pochi passi uno dall’altro. In quella comunità anche mio padre, Gianmaria Volontè, e Franco Solinas consolidarono la loro amicizia. Noi figli, all’epoca, avevamo dagli otto ai dodici anni. Non esistevano confini tra le case, passavamo dall’una all’altra crescendo tutti insieme. Riferendosi a quel periodo Gianmaria ha scritto: ”Franco di storie dell’Arcipelago di La Maddalena ne sapeva tante. Ne raccontava a chi gli stava vicino, le voleva scrivere e sullo sfondo di quelle storie c’era sempre quella natura aspra e splendida della Sardegna che gli aveva formato il carattere. “Anche per questo, incapace di vivere la città, di accettarla, s’era rifugiato a Fregene, cercando di ricostruire li un angolo di mare e di vento maddalenino. Lavorando dietro una gran vetrata che guardava nel Tirreno, ha concepito e scritto le sue grandi epopee cinematografiche. La sua memoria e le sue opere rimarranno nel tempo: a testimonianza di una stagione ricca del cinema ma anche della sua vita.”Avevo circa nove anni quando sbarcai per la prima volta all’isola di La Maddalena, ospite dei figli di Franco e Giovannella Solinas. Era Pasqua e tanto per cambiare anche quel giorno il vento soffiava da Ponente. Mi aggrappai ad un lampione di Cala Gavetta per non volar via e mentre scongiuravo l’ignoto di non farmi mollare la presa, mi dichiarai vinta alla magia di questi luoghi. Vi ritornai l’anno successivo in barca, con Gianmaria. Da allora in poi, entrambi, non siamo più riusciti a liberarci dall’incantesimo. Ritornavamo sempre più spesso e i miei progressi marinari mi avevano concesso la promozione da Mozzo a “Giovannotta di Bordo”. Sono felice di aver detto Grazie a mio padre, di una cosa sopra ogni altra: di avermi insegnato ad “andar per mare” e di avermi portata soprattutto da queste parti. Le vent se leve il faut tenter de vivre, questa frase di Paul Valéry, prima di esser trascritta sul granito a forma di vela che indica il sepolcro di Gianmaria nel cimitero di La Maddalena, fu incisa all’interno di un Camper & Nicholsons 35, la barca più amata e vissuta da Gianmaria: l’Arzachena. L’aveva chiamata cosi in memoria di una disavventura a lieto fine, vissuta nell’omonimo Golfo durante un corso istruttori al Centro Velico di Caprera. Interpretare la volontà di chi non c’è più, districarsi tra testimonianze di un passato remoto e affermazioni del presente non è compito facile. Gianmaria è scomparso nel 1994 e abbiamo letto un suo documento olografo in cui esprimeva un desiderio: “Le ceneri del mio corpo-idea al mare, tra la Pecora e Caprera”. Lo aveva scritto nel 1982 e nel frattempo tanti fatti erano cambiati e altre storie si accavallavano nella memoria di chi gli era stato vicino. La più recente di queste raccontava di averlo visto stendere un fazzoletto bianco sotto un ginepro e di aver indicato quel pezzetto di terra nel cimitero di La Maddalena come sua ultima dimora. Abbiamo voluto credere all’ultima storia perché comunque non ci sarebbe stato luogo al mondo in cui ricordarlo meglio. Cosi non esiste luogo a me caro come quest’Arcipelago dove Gianmaria, in qualche modo, ha scelto di riposare e io, per quanto mi sarà possibile ancora,di vivere.