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Giovanni Battista Ferracciuolo

Mentre la vita scorreva tranquilla e serena a La Maddalena, la fine della pirateria e le vicende politiche avevano fatto sì che qualche anima scegliesse anche le Isole minori per camparvi. Se ancor oggi esse sono disabitate a causa dei rigori del mare e della scarsità o assenza di acqua dolce, si può immaginare cosa esse offrissero oltre un secolo fa, quando non v’era barca che potesse osare di uscire in mare col maestrale o la tramontana o il ponente scatenati, ne esisteva mezzo di comunicazione per altre vie.
La più agibile tra le Isole era Caprera che, pur non essendo ancora unita alla maggiore dal ponte, ne era tuttavia separata dallo stretto Passo della Moneta, basso e irto di scogli ma abbastanza agevole per i piccoli navigli a remi. Ai tempi di Des Geneys, Caprera era rimasta disabitata perché i pochi pastori che vi si erano stanziati avevano preferito trasferirsi a La Maddalena e servire nella Marina. Tuttavia proprio in quegli anni si rifugiò nell’Isola un bandito corso, Giovanni Battista Ferracciulo, perseguito in Corsica non si sa per quali reati; aveva con se la moglie e non possedeva nulla. o forse quel poco con cui acquistare dal demanio un pezzetto di graniti ai piedi di Monte Tejalone: mancano notizie certe in tal senso.
Doveva essere un uomo chiuso e poco comunicativo, tanto che non si conobbe mai il suo segreto; ma poiché non faceva male ad alcuno, nessuno lo disturbò. Si costruì una casupola ai piedi del Monte, non lontana da una purissima fonte che i pastori chiamavano Capriona, attribuendo miracolose virtù alle sue acque.
Ferracciuolo visse con sua moglie in estrema povertà o, per meglio dire, in quello stato selvaggio che non realizza alcun valore monetario dai suoi beni: capre, cacciagione, legname, qualche ortaggio, pesca. Nel 1839 la donna gli diede un figlio, Pietro (nella foto, vedi anche Correva l’anno 1932) che crebbe libero come le capre e gli uccelli dell’Isola, non si sposò e superò i 93 anni di età. Garibaldi fu forse l’unico uomo che ebbe con i Ferracciulo buoni rapporti: dapprima Trattò col padre uno scambio di terreni, poi acquistò da Pietro l’intera proprietà , ma gli concesse di vivere tranquillamente nella sua casa; e questi gli sopravvisse di molti anni. Ad est del Tejalone, verso Cala Coticcio, sul Piano delle Spugne, si era costruito una casetta di due stanze il pastore De Pietri, mentre poco distante dal luogo ove Garibaldi costruì la sua casa si erano insediati gli Zonza e i De Paoli. La zona di Stagnali era diventata proprietà di cinque famiglie: Zicavo, Serra, Tartaul, Pistoli e Ornano, che ne avevano coltivato il terreno con grandi fatiche a vigneto e frutteto.
Verso lo Scabeccio infine, all’Arcacciu (1), si era costruito la poverissima dimora Andrea Di Giovanni, esule da Napoli non si sa per quale motivo. Per tutti la risorsa principale erano le capre e le pecore, ma forse non disdegnavano un moderato contrabbando.
Tra i prodotti migliori di questa piccola comunità caprerina v’era la ricotta butirrosa, considerata superiore perfino a quella Gallurese, che i pastori confezionavano a forma di cono a spirale.

1) Arcacciu – Caprera, costa esposta a occidente, verso il passetto della Moneta. In altri tempi (qualche migliaio di anni fa) la roccia più elevata, che vediamo nella foto, costituiva uno dei riferimenti per l’attraversamento più o meno sereno, (a seconda della marea) del tratto di mare tra Caprera e La Maddalena, costellato di secche e di bassi fondali sabbiosi. Il toponimo Arcacciu , per la perdita del suono iniziale, equiparabile al digamma greco e medio orientale, dove essere Varcacciu , quindi passaggio possibile ma comunque periglioso. Per questo i Romani, accampatisi in zona, dopo la seconda guerra punica, al fine di combattere i legni corsari barbareschi, dedicarono probabilmente il canale di passaggio tra La Maddalena e Caprera a Giunone Moneta, dea addetta alla protezione dei percorsi “militari” sia a terra che a mare. Non esistendo altri riferimenti naturali, è possibile che il Varcacciu iniziale sia stato dotato di allineamenti aggiuntivi, come qualche colonna di granito (di cui almeno un troncone sarebbe stato avvistato ancora conficcato nel fondale marino). Nonostante questi accorgimenti, tuttavia, spesso per non restare incagliari, i bastimenti avevano necessità di alleggerire il carico di bordo, scaricando in mare anfore, piatti di ceramica e vasellame. Per questo motivo lungo tutta la costa dell’Isuleddu ancora oggi si vedono migliaia di frammenti di ceramica con incrostazioni marine. Mentre lungo il canale, ai tempi d’oro del Club Mediterranée si raccoglievano numerosi reperti, tra cui appositi piombi per la misurazione del fondale, utilizzati e pure persi man mano che la chiglia del bastimento avanzava. (Giancarlo Tusceri)