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Giuseppe Missori

Nacque a Mosca l’11 giugno 1829 da Gregorio e da Agnese Torriani.
La famiglia, di origini bolognesi, si trasferì presto a Milano, dove nel 1848 Missori ebbe le sue prime esperienze politico-militari sulle barricate delle Cinque giornate e sui campi di battaglia lombardi. Da allora il suo nome si associò ai principali eventi del Risorgimento, nei quali esercitò un ruolo da protagonista all’interno dei ranghi garibaldini. G. Garibaldi e G. Mazzini costituirono i suoi due punti di riferimento: se al primo si legò sempre la dimensione dell’azione, quello repubblicano rimase per tutta la sua vita l’orizzonte ideale cui si mantenne fedele.
Dopo le vicende del biennio rivoluzionario, gli avvenimenti del 1859 gli consentirono di tradurre in aperta militanza la scelta politica d’opposizione che durante il decennio di preparazione l’aveva condotto a prendere parte a manifestazioni di protesta antiaustriache. Passato il Ticino per arruolarsi tra i Cacciatori delle Alpi, fu posto agli ordini di F. Simonetta, in quel corpo delle guide a cavallo, in cui combattevano tra gli altri F. Nullo ed E. Bezzi, al comando delle quali, dal 1860 in avanti, Missori avrebbe scritto alcune fra le pagine più celebri e gloriose delle campagne garibaldine.
Ma già nel 1859 sul fronte lombardo, dove strinse con i Cairoli un’amicizia destinata a durare nel tempo, Missori si era segnalato nelle principali azioni: la carica alla retroguardia nemica, il 26 maggio, al ponte sull’Olona, nei pressi di Varese, l’attacco di S. Fermo il giorno successivo, la marcia da Laveno a Como.
Promosso sottotenente alla fine della campagna, dopo Villafranca fu quello dell’Italia centrale lo scenario che sembrò aprirsi di nuovo alla sua azione: infatti, accolte le sue dimissioni il 7 settembre 1859, si spostò a Bologna per unirsi di nuovo a Garibaldi, che in quelle settimane aveva assunto la guida della divisione toscana e poi il comando in seconda dell’esercito della lega dell’Italia centrale. Si trattò di un’esperienza effimera e priva di importanti sviluppi, in occasione della quale, anzi, si manifestarono i prodromi di quelle tensioni tra Garibaldi e M. Fanti destinate a esplodere con ben altra intensità dopo l’impresa meridionale del 1860, che rappresentò la consacrazione politico-militare del Missori.
Dopo essersi dedicato, a Milano, alla raccolta dei fondi per il «milione di fucili», nel maggio 1860 Missori fu infatti tra i primissimi ad accorrere a villa Spinola, salpando per la Sicilia, tra i Mille, a bordo del «Lombardo». Al comando di una formazione, come quella delle guide, concepita proprio per svolgere un ruolo d’avanguardia, da Salemi a Calatafimi, da Palermo a Milazzo, Missori si distinse per atti di valore sulla cui base venne costruito anche il suo mito, attraverso gesti immortalati da G.C. Abba e poi celebrati negli Eroi garibaldini di G. Castellini. L’episodio più famoso si legò certamente alla data del 20 luglio, quando a Milazzo, Missori salvò la vita a Garibaldi difendendolo dai cavalieri borbonici che lo stavano attaccando. Anche la fase successiva, quella della risalita del Meridione continentale, vide Missori protagonista dei momenti di svolta più significativi. A lui e a B. Musolino, l’8 agosto, Garibaldi affidò l’incarico di varcare con un’avanguardia di circa 200 uomini, tra i quali A. Mario e F. Nullo, lo stretto di Messina per sorprendere il forte di Villa San Giovanni: il tentativo non ebbe successo, ma mise Missori e i suoi nella condizione di precedere l’esercito garibaldino nell’avanzata attraverso la Calabria proclamando la fine del regime borbonico e diffondendo la parola d’ordine della rivoluzione nazionale. Ricongiuntosi in Calabria, il 19 agosto, con Garibaldi, il Missori fu al suo fianco fino a Napoli dove, entrò il 7 settembre con il generale prendendo parte in seguito a tutte le principali azioni di guerra, tra cui lo scontro decisivo sul Volturno. La considerazione di cui godeva presso Garibaldi non era certo circoscritta al campo di battaglia, tant’è vero che gli fu affidato l’incarico di preparare l’incontro con il re, al quale Missori fu presente, lasciando poi Napoli insieme con Garibaldi il 7 novembre 1860, quando già era evidente l’emarginazione politica delle forze democratiche.
Al Missori, che visse, anche in qualità di ispettore della cavalleria garibaldina, le fasi dello scioglimento dell’esercito in camicia rossa, fu concessa la medaglia d’oro al valor militare per la sua condotta nella campagna del 1860. Riconosciutogli nell’agosto del 1861 il grado di luogotenente colonnello conquistato sul campo, nella primavera 1862 lasciò il corpo volontari italiani, proprio nella fase in cui esso veniva sciolto fondendosi con l’esercito regolare.
La prospettiva del Missori era quella di «rendersi libero» e ricongiungersi a Garibaldi: di lì a poco era di nuovo al suo fianco, salpando da Caprera verso la Sicilia, nell’impresa che si concluse il 29 agosto 1862 sull’Aspromonte. Anche in quel caso al Missori fu affidato un compito particolare, che lo condusse con un’avanguardia a Reggio, Catanzaro e Cosenza per reclutare uomini disposti a unirsi ai garibaldini che già si inoltravano in Calabria. Questa missione gli consentì di sottrarsi allo scontro con le truppe regie, sfuggendo alla cattura e raggiungendo Napoli sotto il falso nome di Esposito. In quella stessa estate, nel luglio, Missori, insieme con altri garibaldini, era stato affiliato alla massoneria, nel Supremo Consiglio Grande Oriente d’Italia di Palermo, su intervento diretto del generale.
Negli anni successivi Missori continuò a prendere parte alle iniziative democratiche anche al di fuori del campo di battaglia: se nel 1863 partecipò alla mobilitazione a sostegno dell’insurrezione polacca, il 1864, specie in coincidenza con gli sfortunati moti veneti e friulani alla preparazione dei quali contribuì, fu il momento in cui si enfatizzarono le attese che Mazzini, fin dall’autunno 1860, nutriva nei suoi confronti in vista di una ripresa dell’iniziativa democratica. Mazzini in quegli anni considerava Missori un personaggio capace di fare da ponte tra i settori mazziniani e quelli garibaldini, un uomo – allo stesso tempo «suo» e di Garibaldi – che non poteva mancare in qualsiasi impresa, ma che allo stesso tempo gli destava frequenti contrarietà per un’eccessiva cautela, facendo persino da freno, nell’opinione di Mazzini, alla mobilitazione dei reduci milanesi di cui era leader.
Nel frattempo il Missori continuò a essere vicino a Garibaldi, cui si unì anche nel 1864 per un breve periodo, durante il suo celebre viaggio a Londra e che in quello stesso anno raggiunse a Ischia, nella fase ambigua dei contatti tra il generale e Vittorio Emanuele II in vista di una mai realizzata iniziativa oltre Adriatico. In effetti Garibaldi continuò a vedere Missori un uomo di fiducia, una figura politicamente affidabile, meritevole di essere inserita senza riserve in una sorta di aristocrazia in camicia rossa, consegnata ai posteri anche attraverso le pagine de I Mille e delle Memorie.
Dopo essere stato tra i promotori, nella primavera del 1866, della mobilitazione democratica a sostegno degli arruolamenti, fu ancora una volta volontario garibaldino nella terza guerra d’indipendenza, di nuovo comandante del corpo delle guide e protagonista dei fatti d’armi di Bezzecca, guadagnandosi la croce di cavaliere dell’ordine militare di Savoia. L’anno successivo il colonnello Missori fu di nuovo in campo, nello stato maggiore di Garibaldi e al comando del III battaglione bersaglieri, per l’impresa che si concluse a Mentana, sempre protagonista negli scontri fondamentali. In quell’autunno del 1867, era spettato a lui raccogliere alla frontiera pontificia i volontari romagnoli, faentini in particolare, inviati da Mazzini; questi lo ricordò a più riprese negli anni successivi, non solo a riprova della considerazione che egli nutriva per Missori, ma allo scopo evidente di fugare le accuse a lui rivolte da Garibaldi di aver boicottato quell’impresa.
Dismessa per sempre la camicia rossa, Missori non accettò mai di tradurre la sua militanza in un impegno parlamentare che gli avrebbe imposto un giuramento alla monarchia ritenuto inconciliabile con le sue convinzioni repubblicane. Già nel 1865, del resto, aveva rifiutato la carica di deputato conferitagli dagli elettori di Napoli.
Ristabilitosi definitivamente a Milano dopo le campagne garibaldine, rimase sempre inserito nei circuiti democratici, repubblicani e radicali nazionali. Nel biennio 1869-70 fu coinvolto nelle iniziative legate ai progetti insurrezionali repubblicani e proprio nel 1869, sull’onda delle proteste antigovernative seguite al caso Lobbia, fu posto in arresto insieme con A. Bizzoni e F. Cavallotti, ai quali aveva iniziato ad avvicinarsi in particolare dopo gli avvenimenti del 1862.
Membro del comitato che promosse il patto di Roma nel 1872 e, nel 1879, della commissione esecutiva della lega della democrazia, al momento della salita al potere di A. Depretis condivise l’atteggiamento di quei settori d’opposizione che, per dirla con A. Bertani, guardavano con vigilante fiducia, presto tradotta in sostanziale delusione, all’operato della Sinistra al governo.
Per contro, anche in ambito locale la politica attiva all’interno delle istituzioni non rappresentò per lui la dimensione più naturale in cui esprimersi e solo nei suoi ultimi anni, su sollecitazione degli amici, accettò di sedere nel Consiglio comunale di Milano dal 1889 al 1894 e dal 1898 al 1902.
Ormai molto malato, Missori morì a Milano il 25 marzo 1911.
I suoi funerali videro una grande partecipazione e oltre ai gruppi politici e alla figure istituzionali si poteva riconoscere nel corteo funebre una rappresentanza dei Martinitt, l’orfanotrofio milanese di cui era stato soprintendente. Come auspicava A. Comandini nel necrologio dedicatogli ne L’Illustrazione italiana, le volontà del Missori vennero rispettate e la sua salma ebbe «la fiamma purificatrice negata a Garibaldi!». L’11 giugno 1929, nel centenario della nascita, le ceneri del Missori furono trasportate nel famedio del cimitero Monumentale che tuttora le custodisce.
Nella sua Milano la memoria del Missori si associa innanzitutto alle carte donate a quel Museo del Risorgimento che lo ebbe tra i fondatori. Ma già il 7 maggio 1916 venne inaugurato in piazza S. Giovanni in Conca, da allora ribattezzata piazza Missori, una statua realizzata da R. Ripamonti che lo ritrae immancabilmente a cavallo. In quell’occasione fu scelto come oratore ufficiale un altro garibaldino milanese, anch’egli reduce dei Mille, R. Luzzatto, figura di spicco del radicalismo e dell’interventismo democratico. Nelle sue parole la figura del Missori veniva recuperata con evidenti finalità attualizzanti: diventava non solo l’incarnazione del soldato che combatte per il popolo contro la tirannide, ma dell’uomo che prende le armi costrettovi da circostanze storiche in cui la prepotenza impone di battersi non per opprimere ma per difendere. Per Luzzatto – che interpretò il primo conflitto mondiale come compimento del Risorgimento – la storia pareva ripetersi e, per usare le sue parole, lo spirito del Missori saliva metaforicamente l’erta del Carso.