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Giuseppe Nuvolari

Da un’agiata famiglia di grandi proprietari terrieri di Barbassolo, piccolo borgo nei pressi di Roncoferraro, nel Mantovano, il 27 febbraio 1820 (ma il giorno è controverso), da Gaspare e Francesca Mantovani, nasce Giuseppe Antonio Maria Nuvolari. Le origini familiari sono antiche e dai registri parrocchiali risulta che i Nuvolari fossero residenti nel borgo sul Mincio già dal Seicento e che avessero aumentato negli anni la loro ricchezza con acquisti di terre molto fertili, risaie e fittanze di fondi da coltivare.
Nato in una famiglia molto coesa, di stampo contadino e cresciuto in un’area geografica di rilevante valore agricolo e proto industriale, Giuseppe Nuvolari forma il suo carattere nella cultura dell’austerità, dell’autodeterminazione, dell’impegno e dell’amministrazione efficiente: principali capisaldi della mentalità produttiva degli imprenditori in Lombardia e in tutte le regioni del Nord Italia.
In quegli anni di inizio Ottocento, l’aristocrazia lombarda, anche se non aveva perso le terre, aveva altresì perduto gran parte degli atavici privilegi giuridici del censo, mentre l’alta borghesia agraria, diventata latifondista, stava crescendo in parallelo, sia per forza economica che per rinnovata identità sociale. Tra le due classi sociali comincia a profilarsi un vero conflitto di interessi.
La nuova élite ha raggiunto uno stile di vita in consonanza con il proprio florido benessere finanziario, e pertanto la famiglia Nuvolari gode di quell’allure socioculturale che una volta apparteneva solo ai nobili. Come scrive Stefano Jacini nel suo libro sulla proprietà fondiaria in Lombardia “se il lusso era sconosciuto” almeno si doveva “nuotare in una certa abbondanza”.
Come tutti i giovani rampolli dei ricchi possidenti in Lombardia, anche i Nuvolari frequentano, se pure con diverso successo, le migliori scuole del Regno e svolgono le più qualificate professioni del tempo (medici, avvocati, ingegneri, ufficiali, notai), consapevoli di rappresentare le nuove, emergenti, classi dirigenziali del Paese. Ma l’Italia di questi anni difficili del nostro Risorgimento è una nazione divisa, occupata militarmente dall’Austria. Il Maresciallo Radetzky, dal 1831, è governatore della Lombardia.
Parte del ceto intellettuale e borghese è per l’indipendenza e i Nuvolari sono tra questi esponenti politici, difensori della libertà nazionale.
Ma le repressioni nel Lombardo-Veneto dei primi moti rivoluzionari del 1848 e 1849, con la schiacciante sconfitta dei patrioti italiani nella Prima guerra di Indipendenza, offre agli Austriaci una rinnovata forza di attacco e di difesa nelle aree occupate.
Proprio a Mantova, nel castello di San Giorgio, viene allestita una delle carceri di massima sicurezza più dure dell’Italia del Nord. Il cancelliere dell’Impero, Felice Schwartanberg, consiglia alla polizia di effettuare “salutari impiccagioni”: solo in quei terribili mesi di rappresaglie vengono comminate ben 961 condanne a morte.
Giuseppe Nuvolari, nonno di Tazio Giorgio Nuvolari, il pilota leggendario del Novecento, il 28 febbraio 1848 è arrestato per motivi politici, insieme ai cugini Gaetano, Bartolomeo e Giovanni.
In carcere restano pochi mesi, ma successivamente, Giovanni e suo cugino Giuseppe, di quindici anni più giovane, sono condannati a morte perché sono state trovate le prove della loro cospirazione.
Al primo, la pena viene commutata in 12 anni di reclusione, mentre il secondo riesce a fuggire e in clandestinità si adopera come può per raccogliere fondi a favore dei comitati mazziniani.
Ha 28 anni Giuseppe Nuvolari, Giuspin, come lo chiamano parenti, amici e compatrioti, quando assaggia il carcere austriaco, e cerca la fuga, per non essere impiccato come cospiratore contro l’Impero.
Cinque anni dopo, il 19 marzo del 1853, il barone Carlo Culoz, comandante della fortezza di Mantova, lo condanna a morte in contumacia, con l’accusa di alto tradimento per essersi affiliato alla Società mazziniana della città. Il 3 marzo 1853, a Belfiore, sono impiccati tanti patrioti suoi amici.
Dopo un esilio di quasi quattro anni, il 10 gennaio 1857, Nuvolari viene graziato dal governo austriaco e l’anno successivo ritorna nella sua terra a Carzedole. E’ lo stesso anno della sfortunata spedizione a Sapri di Carlo Pisacane.
Ma Giuspin è uomo di azione e di grandi abilità fisiche, non ha solo ambizioni personali limitate alla conduzione delle cospicue proprietà di famiglia (quasi 680 biolche), la cui gestione affiderà, infatti, a suo fratello Antonio.
Il suo impegno politico, il 28 aprile 1859, lo spinge a ripartire per nuove avventure militari.
Si arruola volontario nel corpo dei Cacciatori delle Alpi, nello squadrone delle Guide a cavallo, e, insieme ad altri 5000 uomini, combatte a Varese contro gli austriaci.
Qui la situazione è critica perché ai volontari garibaldini non difetta certo l’ardimento personale, ma manca concretamente il vantaggio dell’artiglieria per sferrare l’attacco definitivo alle equipaggiate truppe del tenente maresciallo Urban.
La vittoria dei Cacciatori delle Alpi a Varese e a Magenta, nonostante le numerose azioni di coraggio dei soldati, è infatti merito dell’intervento strategico di Garibaldi, che, scacciati gli Austriaci da Lecco, Bergamo e Brescia, è pronto ad invadere anche il Veneto.
Ma l’impresa, dopo le vittorie strepitose di Solferino e San Martino, viene improvvisamente bloccata dall’armistizio di Villafranca, firmato tra l’esercito alleato francese e quello austriaco.
Garibaldi, amareggiato ma convinto nelle sue idee, non si arrende e si mette alla testa delle truppe della lega militare dell’Emilia e della Toscana, pronto ad invadere lo Stato pontificio nelle Marche e a liberare Ancona.
Ricostituitosi a Bologna il corpo dei Cacciatori delle Alpi, Giuseppe Nuvolari si arruola nuovamente con il grado di sergente agli ordini di Nino Bixio. Anche l’impresa di liberare le Marche è bloccata da un perentorio ordine di Cavour che obbliga “a sloggiare, entro 24 ore”, come scrive lo stesso Nuvolari nel suo infuocato pamphlet, pubblicato a Genova venti anni dopo, nel 1879, che gli creerà un mondo di nemici e determinerà la definitiva rottura della lunga amicizia con lo stesso Giuseppe Garibaldi.
Scrive di sé Nuvolari: guida semplice, caporale, sergente – il cavallo e le armi erano di mia proprietà, ero libero; ma mi sentivo ancora soldato e senza intendermi di politica, così all’ingrosso capivo che tutto non doveva essere finito a Villafranca e che perciò i volontari dovevano tornare in scena.
Presentato dall’amico conterraneo Luigi Gusmaroli, Giuseppe Nuvolari finalmente conosce a Bologna il Generale Garibaldi. Da quell’incontro vitale nascerà un legame di stima e amicizia che durerà fino alla fine, ma che sarà profondamente ferito dall’amarezza di dolorose delusioni provate nella lettura delle Memorie dello stesso Eroe dei due mondi, nonché dalla conoscenza degli avvenimenti che si susseguirono durante il Risorgimento nazionale.
Nuvolari si sente tradito nell’amicizia, nella stima, negli ideali e nei traguardi sperati.
Tradimento di una vita, che Giuspin consegnerà al pubblico come testimonianza personale e come testamento morale nella pubblicazione di Come la penso: un memoriale politicamente scorretto se consideriamo la folta galleria osannante di memorialisti garibaldini che ci ha lasciato la storiografia ufficiale del Risorgimento italiano.
Il libro controcorrente di un Nuvolari bastian contrario, pubblicato nel 1879, non fu per nulla apprezzato dal Generale, che ne fece per contrappasso nei suoi ricordi del 1887 una damnatio nelle sue Memorie. Infatti di lui, quelle pagine scritte e purgate per la Storia non parlano, così come tacciono di Luigi Gusmaroli e di Pietro Poltronieri che, insieme a Giovanni Basso, erano stati per oltre vent’anni gli amici, i soldati ed i compagni più fedeli di tutta l’esistenza di Garibaldi, soprattutto negli anni più difficili della sua lunga permanenza nell’esilio sardo a Caprera.
Una vita sodale, interamente dedicata ad un uomo-mito, ripagata con un assordante silenzio, che in Nuvolari scatenò l’indignazione e l’invettiva, tipica dei reduci che, delusi nelle passioni, si sentono sconfitti non solo dalla decadenza morale legata ad obiettivi spesso opportunistici dei protagonisti, ma anche offesi dagli avvenimenti che la storia di regime si impegna velocemente a censurare, smussandone angoli e contrasti.
Lavoro di revisione operato per poter costruire una immagine patinata di una epopea che, al contrario, ha avuto nel suo svolgersi aspetti poco luminosi e spesse ombre in chiaroscuro molto difficili da ripulire nel tempo, serrate come sono entro il celebrativo medaglione ufficiale della memoria storica.
E la Storia che sta per passare al Mito, vede Nuvolari imbarcato nella notte del 5 maggio 1860 tra i Mille garibaldini volontari che partono da Quarto alla volta della Sicilia, insieme ad altri 26 conterranei del Mantovano ed a suoi quattro intrepidi nipoti: Cesare Donzellini, figlio della sorella Maria; Attilio Rizzotti, figlio dell’altra sorella Barbara; Rinaldo e Gaspare. Nuvolari, Garibaldi e le altre Camicie rosse sbarcano a Marsala l’11 maggio 1860. A lui il Senato della città di Palermo consegnerà una medaglia ed un diploma per commemorare la leggendaria impresa.
Nominato, con decreto dittatoriale dell’11 giugno 1860, sottotenente dello Stato Maggiore della 1^ divisione della Fanteria nazionale, Nuvolari entra da ufficiale a far parte del Quartier Generale di Garibaldi. Poco dopo entra anche nello Stato Maggiore della Divisione Turr per andare incontro agli uomini di rinforzo della spedizione del generale Medici e del generale Malenchini: quasi 2500 volontari giunti a Castellammare del Golfo per liberare dai Borboni non solo la Sicilia e il Napoletano ma anche il resto d’Italia. Tutto doveva dimostrare un’espressione garibaldina, perciò ogni persona portava all’occhiello un segno rivoluzionario, una cocarda, un nastro tricolore; perfino i preti avevano un nastro rosso nel cappello e le donne o un fazzoletto rosso al collo o un nastro in testa… Da tutte le abitazioni sventolava la bandiera italiana con lo scudo dei Savoia. [Memorie inedite del garibaldino Francesco Parodi. Manoscritto di Francesco Parodi, 14 giugno 1905]
Il 20 giugno dello stesso anno, dopo il successo nella valorosa battaglia di Milazzo, a Palermo il luogotenente Giuseppe Nuvolari viene destinato al Corpo delle Guide a cavallo, quale aiutante di campo del Generale Nino Bixio.
Alla liberazione della Sicilia segue a settembre quella di Napoli. Ma – racconta Nuvolari nelle sue memorie destinate a restare inedite – l’esercito garibaldino, composto di 21.000 uomini e con poche munizioni, deve fronteggiare a Maddaloni un esercito di 40.000 borbonici perfettamente equipaggiati e assai bene informati della disparità di forze.
Nuvolari riferisce che fu proprio Luigi Gusmaroli, inviato dal Generale Garibaldi a Napoli a trovare le munizioni necessarie, a scovarle, anche se stranamente nascoste, a Castel dell’Ovo e ne trovò tante da fare la guerra per dieci anni!
La violenta battaglia al Volturno, del 1° ottobre 1860, segna la vittoria dei garibaldini ma lascia sul terreno oltre 300 morti, più di mille feriti e molti prigionieri tra le camicie rosse.
Per le numerose azioni di coraggio attestate durante gli scontri, Giuseppe Nuvolari è insignito di onore sul campo e nominato luogotenente aiutante del generale della 18^ divisione.
Nascono, in queste controverse circostanze militari, molte delle perplessità e degli interrogativi che, negli anni successivi, Nuvolari annoterà nelle sue scomode pagine di ricordi.
C’è di mezzo l’ambiguità della politica nazionale e internazionale che tutto stravolge, usando cinicamente uomini e mezzi per mutare anche slealmente il corso degli eventi: una politica che Nuvolari giudica, in fondo, senza né trasparenza né etica, compromessa negli interessi e nelle finalità.
Il periodo di tregua dalla lotta armata avviene dopo il 1860, quando Nino Bixio, nel gennaio 1861, chiede all’amico Giuspin di accompagnarlo a Caprera a trovare Garibaldi. E gli amici di tante battaglie ripartono insieme verso l’arcipelago de la Maddalena. Ma come è cambiata l’atmosfera da quel primo incontro con l’isola avvenuto alla fine di dicembre del 1859.
E l’isola del Generale – scrive Nuvolari – in quell’epoca offriva l’aspetto di una isola sacra, meta al pellegrinaggio d’ardenti fedeli. Ma non tutti invero erano dei ferventi pellegrini, mentre non pochi approdavano per sollecitarvi la conferma di un grado, o un certificato per ottenere un impiego o una efficace raccomandazione…
In Sardegna e a La Maddalena, Nuvolari tornerà ripetutamente per oltre vent’anni, anche dopo aver ristabilito nel 1866 la sua residenza a Roncoferraro e aver conseguito il grado di capitano e aiutante di campo di Garibaldi a seguito di importanti azioni di guerra.
Sappiamo che per alcuni mesi, nel 1875, Nuvolari ormai già anziano, vive a Caprera quasi da solo, come custode della Casa bianca, in assenza dello stesso Garibaldi che glielo aveva chiesto come favore personale.
Purtroppo fu una esperienza umana molto negativa che lo segnerà profondamente per le troppe amarezze vissute e le tante incomprensioni mai dissolte. Una forma di ingratitudine ricevuta da Garibaldi e dai suoi familiari che Nuvolari non riuscirà a dimenticare. L’amicizia, la stima e la dignità sono state ferite.
Il privato di un uomo importante spesso contrasta con la sua immagine pubblica e Nuvolari coglie con dolore questo aspetto poco lusinghiero nel vissuto quotidiano dei grandi protagonisti della storia, da lui così tanto venerati.
Ciò che colpisce il lettore sono inoltre le sue attente osservazioni sui costumi e sui caratteri degli abitanti non solo di La Maddalena ma di molte altre aree della Sardegna, che egli descrive in un linguaggio colorito , senza né enfasi né piaggerie retoriche, disegnandone il profilo con sorprendente lucidità e irriverente franchezza.
Le sue annotazioni e le sue accese polemiche sono conservate in due scritti: in Come la penso. Al pregiatissimo Signor Leonardo Bargoni. (Leonado Bargone) Sindaco del Comune dell’isola La Maddalena in una prima edizione del 1879 e in una seconda con aggiunte importanti del 1881 (in cui con un escamotage letterario indirizza al Sindaco Bargone una lettera di fuoco nella quale rileva con veemenza le molte diseconomie amministrative riscontrate nel Comune e le gravi disorganizzazioni presenti nell’isola) e nelle Osservazioni ed aggiunte alle Memorie di Garibaldi per Giuseppe Nuvolari dei Mille lette all’amico Carlo Ezechielli, e pubblicate solo a stralci su vari numeri del “Mendico” di Mantova dal 1889 al 1890.
Soprattutto questo ultimo manoscritto di 163 pagine, rimasto inedito per tanti anni, determina la definitiva rottura dei rapporti con Garibaldi e con i suoi familiari. Troppi omissis di avvenimenti e troppe manipolazioni per un testimone oculare che si vede cancellato anche nel nome e non solo nel ricordo!
Nel 2005, per merito del Museo del Risorgimento di Bologna, che ne conserva la copia originale, è stata realizzata una edizione trascritta a cura di Mirtide Gavelli e Otello Sangiorgi, con il sottotitolo: Dai campi di battaglia a Caprera.
In una lettera ad Adriano Lemmi del 16 novembre 1888, Nuvolari precisa che, in caso di una pubblicazione del manoscritto, i proventi dell’opera dovessero essere destinati all’Istituto Garibaldi di Mantova.
In Come la penso feroci sono le critiche contro la neghittosità dei sardi e contro la megalomania dei governanti succedutisi dopo l’Unità d’Italia, accusati di mostruosi sprechi di denaro pubblico e di gravi diseguaglianze fiscali che penalizzano il Nord produttivo a favore del Sud parassitario, indolente e poco dignitoso, abituato soprattutto ad autocommiserarsi con continue richieste di aiuto economico.
Una polemica certamente antimeridionalista che ha avuto altri sostenitori negli anni successivi all’Unità, soprattutto a causa del fenomeno del brigantaggio. Si propugnano anche idee di una colonizzazione delle stesse terre meridionali, assecondando il diffuso pregiudizio etnocentrico di un Nord culturalmente superiore al Sud.
Risultano perentorie e negative le valutazioni e le analisi di Nuvolari su tutta la Sardegna; esse servono certamente da stimolo alla conoscenza delle altre diversità culturali presenti nel Paese, ma nella forma aspra della invettiva nella quale sono state espresse, intaccano lo stesso principio di solidarietà e di fratellanza civile che era alla base della condivisa idealità risorgimentale, per altro appena consegnata dagli stessi protagonisti alle pagine della nostra storia nazionale.
Ma ormai il XIX secolo volge alla fine portandosi dietro le sue luci e le sue ombre. Ha 76 anni Giuseppe Nuvolari quando una grave paralisi lo colpisce a Roma. A Carzedole, il 17 luglio 1897, nella villa di famiglia, oggi Villa Garibaldi, Giuspin muore. Da anticlericale e massone come aveva vissuto, i funerali sono semplici e lontani dal clamore.
Le sue ceneri sono conservate sotto il monumento in bronzo nel giardino che lo raffigura vestito da garibaldino.