Cultura

La Maddalena Cultura

La popolazione maddalenina era cresciuta dalle 185 unità del tempo dell’occupazione sabauda (1767), alle 2.000 dell’anno in cui Des Geneys e il comando della Marina si trasferirono a Genova, distribuite in 425 famiglie. Il trasferimento ebbe, come è naturale, un effetto di contrazione sul numero degli abitanti, che si mantenne sotto tale cifra praticamente fino alla fine dell’ottocento.

Al ceppo originario corso andarono unendosi con gli anni varie componenti, di cui quella sarda è l’unica che si trasferì nelle nostre isole attratta principalmente dalle attività pastorali e agricole, dopo la conquistata sicurezza, dovuta alla presenza della Marina e al coraggio degli isolani, aveva reso agibile ed affidabile l’Arcipelago, per millenni pressoché radiato dalla mappa geografica dei sardi. Venivano prevalentemente da Tempio, Castelsardo, e Sassari. Tutte le altre componenti vi giunsero per il richiamo diretto o indiretto delle attività marinare; pesca e Marina mercantile e da guerra.

Eccellenti pescatori, specialmente di corallo, erano i campani provenienti dall’isola di Ponza e Procida, da Napoli, Torre del Greco e Resina. Noi abbiamo visto le loro baracche già presenti a Cala Gavetta nei secoli XVII e XVIII, quando si trattenevano a La Maddalena per la sola stagione di pesca; essi vi trasferirono fissa dimora attraverso matrimoni con donne del posto, specie quando i pastori corsi scesero alla marina. Pescatori e marinai dovevano essere gli immigrati che giunsero dalla Toscana isola di Capraia in buon numero.

Tutti gli altri: liguri, toscani, piemontesi, nizzardi e maltesi, arrivarono a La Maddalena arruolati sulle navi di sua maestà e finivano per stabilirvisi per la bellezza del luogo, ma più ancora per la serenità e l’ospitalità della popolazione, fino a finire a sposare le bellissime ragazze locali, così dolci e capaci delle interminabili attese delle donne dei marinai. Partita la gran parte della flotta, il mare continuò ad essere il motivo della vita. Le molte provenienze si erano fuse mirabilmente in un ceppo solido unito da quella forza potente e plasmante che domina incontrastata il mondo delle bocche.

E il mare ne plasmò un unico dialetto che faceva spazio a tanti idiomi diversi; ne plasmò il carattere, un carattere individuale, capace di eroismi eccezionali, di tempestose irruenze e di gentilezze trasparenti come l’acqua delle loro cale quando sorride. Erano così forti e assolute le prove cui il vento e le onde li tempravano fin da adolescenti, che uomini e donne che uomini e donne crescevano con l’impronta della disponibilità all’imprevisto, della sensibilità alle traversie e quindi ospitali, solidali, provvidi.

Allora e fino a pochi anni or sono, a La Maddalena non si è mai chiusa a chiave una porta di casa, non si è mai prolungato un diverbio, non si è mai avuto un povero al di sotto della povertà di tutti, non si è mai negata la solidarietà a chi cadeva in disgrazia. Ma c’è di più. Questa popolazione composita era capace di afferrare chissà come, delle fluttuanti voci che i naviganti coglievano in mare e riportavano all’Isola dopo mesi, anni, ogni più labile indizio evolutivo, sia sotto il profilo del costume, sia sotto quello della politica, e di farlo proprio con un’innata capacità di scegliere il meglio. Due esempi per tutti: la moda e le nuove idee di unità nazionale.

Uomini e donne dovevano vestire con proprietà e anche le fonti di approvvigionamento dimostrano come fossero aggiornati sulle mode del tempo: giungeva nell’isola una notevole quantità di calze e calzette di seta nera per le donne, colletti per gli uomini, guanti di seta, nastri di vari colori, pezze di vellutino, ventagli di carta, bretelle, fazzoletti di tela e seta di ogni colore, profumi e “acque d’odore”, pettini da donna, berrette, tela di Chiavari, terra di Varallo, ombrelli, scarpe da lavoro e di panno, canapetta, tela di Ischia, stoffe indiane.

Diversi autori, che intorno alla metà del secolo visitarono La Maddalena per incontrare Garibaldi, scrissero delle donne di qui, sia per la loro eleganza, sia per la loro grazia e bellezza. Ma ancora più incisiva è la descrizione che Antonio Balbiani fece nel suo monumentale libro “Storia illustrata della vita di Garibaldi” del 1860, di Agata, la giovane figlia della proprietaria dell’unico albergo di La Maddalena.

Agata era cosi bella che il pittore Zuccoli volle farne il ritratto. Scrive il Balbiani: “Alta e spiccata la persona, il collo di cigno; ovale il viso contornato da una profusa e nerissima capigliatura. Aggiungasi un profilo di meravigliosa venustà nella singolare armonia delle curve; pupille velate, dal vivacissimo fuoco; labbra di corallo, denti di avorio, color bianco alabastrino della carnagione, e avete un’idea, sebbene imperfetta,dell’originale in cui Zuccoli ha nel suo portafoglio la gentilissima copia“. E’ più oltre aggiunge che nelle donne di quest’Isola rifuge un tipo italo-greco, il più puro. Ma queste donne erano anche dotate di grande energia e robustezza: le abbiamo già viste portare le anfore per l’acqua e la calce per la costruzione della chiesa; si aggiunga che a La Maddalena non esisteva il mulino, ed esse usavano macinare il grano sulla soglia di casa con pesanti macine, lavoro durissimo; dovevano provvedere a conservare il poco che la terra dava e quindi preparavano marmellate di fichi, uva e fichi d’india; sapevano seccare piselli, fave, fagioli,fichi, pesce (perfino i polpi e le razze); conservavano sott’olio peperoni, melanzane e carciofi.

Poi ogni anno la casa veniva completamente imbiancata a calce e poiché gli uomini erano quasi sempre in mare, questo lavoro era svolto dalle donne. Inoltre sapevano cucire gli abiti propri e dei figli, tutte si cucivano il corredo, molte filavano la lana e la gnacchera, cioè il prezioso bisso che si ricavava dalle grandi conchiglie chiamate appunto gnacchere o pinne, facevano e riparavano reti da pesca.

I guanti confezionati dalle maddalenine erano usati in tutta la Sardegna. Sempre più numerose erano le famiglie che contemporaneamente vivevano di pesca o marineria e di una modesta agricoltura: assente l’uomo, era ancora la donna che portava avanti la cura del bestiame, del frutteto, della vigna. Inoltre essa si trovava per mesi ed anni a dover reggere da sola la famiglia, ad allevare i figli, a curare i vecchi. Intorno alla metà del secolo, già La Maddalena non contava più un solo analfabeta, quando ancora in Sardegna superavano largamente il cinquanta per cento della popolazione: infatti appena fu istituita la scuola elementare, che non era nè obbligatoria ne gratuita, tutti la frequentarono. Nei registri di dogana degli anni 1815 – 1820, si notano molti arrivi di carta per scrivere, di penne, di pacchi di libri.

I bambini venivano allevati soprattutto dalle mamme e dai vecchi e spesso conoscevano ben poco il padre, quando questi navigava. Comunque i maschi, giunti all’età di 11 – 12 anni, venivano perlopiù imbarcati a loro volta o sulle navi militari o su quelle mercantili ed era frequente il caso in cui non tornassero nell’ Isola se non uomini fatti, a volte dopo la quarantina. Eppure dovevano tenere una regolare corrispondenza con le famiglie e queste tra di loro combinavano i matrimoni tra gli assenti e le ragazze. Sempre più spesso, col passare degli anni, invalse l’uso dei fidanzamenti in cui i due promessi sposi non si erano mai visti, almeno in età adulta, e dei matrimoni per procura: in tal caso, un messo del fidanzato si recava a casa della ragazza e trattava le nozze con la famiglia di lei; veniva quindi steso un regolare contratto o celebrato il matrimonio per procura.

Poi lo stesso messaggero accompagnava la sposa nella città di residenza del marito, recando con gran pompa il corredo lungamente preparato. Altri maddalenini preferivano sposarsi tardi, dopo aver navigato per più di trent’anni; tornavano ormai anziani alla loro isola tanto amata e tanto lungamente desiderata e lì sceglievano tra quelle belle figliole la moglie. Esistono alcune testimonianze di scrittori del tempo che sottolineano la frequenza di tali matrimoni tra ultracinquantenni e giovinette e di bimbi con madri giovanissime e padri anziani. Parecchie erano infine le donne che in mancanza di coetanei a La Maddalena, finivano pr sposare giovani sardi o corsi e ciò non faceva che intensificare i vincoli di parentela con queste zone già vicine per antichi rapporti e geograficamente.

Una passione dei Maddalenini era la caccia. Nei nostri registri di dogana compare un’incredibile quantità di canne da “schioppo” e pallini; facevano battute di più giorni in Gallura, ospitati da quei pastori e ne tornavano carichi di prede che erano altrettante occasioni per far festa. L’arrivo di un ospite era un avvenimento per tutta l’Isola , e questi si trovava ben presto in una calorosa e accogliente rete di inviti, da una casa all’altra, dalla più ricca alla più modesta; e veniva accompagnato a caccia, a pesca, in campagna; e tutto gli era offerto con un signorilità e una grazia di cui restano decine e decine di testimonianze scritte.

Ne si badava da quale parte del mondo l’ospite venisse e quale lingua parlasse: era ospite benedetto, e basta. Perfino la morte era occasione di incontro e nell’Arcipelago era invasa l’usanza di Gallura di preparare, dopo le esequie un solenne pranzo in onore del defunto e degli ospiti intervenuti. Così come negli stazzi dei pastori di Gallura, anche qui si uccideva una bestia e la si cucinava destinandone meta agli ospiti e metà ai poveri che venivano invitati. Questa usanza è seguita ancor oggi in Sardegna.