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La scuola dei fari – Capo d’orso

Al faro di Capo d’Orso, terra dei Lestrigoni, l’insularità non c’è più, ma l’isolamento però resta, eccome, con tutti i suoi problemi. E le note dolenti e le difficoltà che già conosciamo, si ripetono: identiche. Qui il maestro, sotto la pioggia, arriva in motoretta “la pioggia benché lenta scende interrottamente dal cielo interamente coperto di nuvole bagna il ciuffo dei miei capelli, che fa capolino da sotto il cappello impermeabile, bagna il mio viso, qualche goccia scende sugli occhi rendendomi impossibile la vista della strada. Sono costretto a rallentare, asciugarmi alla meglio ed evitare le pozzanghere infinite che di tanto in tanto fanno sobbalzare la mia moto”.

I futuri alunni si mostrano alquanto diffidenti: “vedo i miei alunni che dalla finestra mi seguono con lo sguardo. Mi studiano con attenzione, nel loro sguardi si legge l’ansia e la curiosità di sapere con chi avranno a che fare”, mancano i sussidi didattici: “mi reco anche a La Maddalena, qui il Direttore mi dà tra le altre cose una cartina geografica dell’Italia”. La preparazione degli alunni non è delle migliori: “sono quattro in tutto: Antonietta Filigheddu, che frequenta la prima classe, Anna Filigheddu e Tomaso Scolafurru che frequentano la terza classe, e Gabriella Scolafurru che frequenta la quinta classe. Sono tutti in condizioni disastrose”. Le lezioni, quando è possibile, si svolgono all’aperto, e le difficoltà di raggiungere la sede di lavoro, seppure in condizioni mutate, restano tutte.

Gli esami poi, per i ragazzi, sono sempre un’angoscia: “Dover rispondere a delle persone sconosciute non é per loro un piacere, ma mi hanno promesso di essere calmi e di non piangere, come qualche volta fanno con me”. Infine, di nuovo il problema di come fare arrivare la Commissione ? “Ed ecco il giorno degli esami. Devo fare due viaggi con la moto per portare sul luogo della scuola, due miei colleghi, componenti la commissione”.

Si chiude qui, la storia della scuola dei fari, cosi come l’hanno narrata i maestri, con le parole delle ultime pagine del registro di cronaca del maestro Mannoni: “Oh come farei volentieri altre docce sotto la pioggia, volentieri cadrei dalla moto, pur di ritornare tra quei banchi e quei bimbi che sempre mi sorridono nel ricordo”. Le microstorie di questi anni all’arcipelago lasciano la bocca amara, serra la gola una muta nostalgia per mondi d’incanto: noi lo sappiamo ora, ma loro, gli isolani isolati, l’avevano capito già allora, eccome, che niente più sarebbe stato come prima. “Posso dire che tutte le persone che vi sono giunte ne sono rimaste entusiaste e molti yachts ritornano tutti gli anni quasi come una visita di obbligo. Ho sentito – scrive da S. Maria Titti Ugazzi – molte persone fare delle grosse offerte per un pezzo di questa isola per potervi costruire una casa, ma per quanto queste offerte siano state vantaggiose non sono state accettate perché i proprietari sono molto gelosi della loro isola e non vogliono estranei”.

Ma se guardi bene, li vedi: sotto una ponentata terribile, il mare e in fumo, nell’aula il maestro è alla lavagna. Sono ancora là, tutti quanti. “Tira un vento furioso; tutto il mare intorno al faro è in subbuglio. La scogliera sottostante infrange il mare con suono che ripercuote l’ardita potenza del mare. La scuola di Punta Filetto è in attività”. Nessuno conosce bene il finale, ma intanto la favola bella è finita.

Andrea Mulas

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