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La scuola dei fari – Santa Maria

Camera del maestro

La mia casa ha ottocento trent’anni, è costruita vicino alla spiaggia. Anticamente ci abitavano i frati. Era una chiesa“.

Ha ‘inizio di una favola, la “relazione” di Antonuccio Viggiani, classe IV elementare, alunno della Scuola di Punta Filetto, a Santa Maria. A partire infatti dall’anno scolastico 1956-’57, dopo tante richieste degli abitanti delle isole di Razzoli, Santa Maria e Spargi, viene istituita la Scuola popolare volante per i figli dei fanalisti e dei pastori che la vivono. Vi insegnano giovani maestri, di solito non di ruolo, alla loro prima nomina. Questo registro di cronaca, come recita il titolo manoscritto in copertina, raccoglie appunto

Le difficoltà, logistiche, didattiche, umane, di alcuni di essi, La loro solitudine, il loro incanto, la loro noia, interrotta per fortuna da qualche momento di notorietà: “sono stato, nientemeno, intervistato dalla radio squadra della RAI, che gira per la Sardegna. Durante l’intervista ho cercato di fare un quadro esatto della scuola e de|l’ambiente senza gonfiare o minimizzare niente. Chissà che fine ha già fatto quell’intervista!”, scrive il maestro Masia.

A compilare il registro di cronaca sono i maestri Franco Masia (aa.ss. 1956-’57; 1957*58); Roberto Mongia (a.s. 1959-’60); Virgilio Titti Ugazzi, (a.s. 1960-’61); Armando Naitana (a.s. 1960-’61). L’aula di Santa Maria è un locale del faro, un tempo adibito a magazzino, tanto piccolo da non poter contenere neppure quattro banchi, che perciò dovranno essere sostituiti da un tavolo da rancio della Marina, meno ingombrante, però sta ancora all’isola di Razzoli e bisogna andarlo a prendere laggiù.

Manca il materiale didattico necessario, quaderni e cancelleria, che il maestro cerca di ottenere dalla Marina, la lavagna e vecchia e rotta, il maestro tuttavia non dispera di farla rifilare da qualcuno per ricavarne una più piccola, ma da chi? L’arredamento e scarno, manca il lume, ma soprattutto la stufa, che il maestro rimedierà soltanto a gennaio, a La Maddalena, e una stufa, si sa, non e bene voluttuario nelle invernate fredde alle isole, sempre battute dai venti: “iI vento e in camera mia”, annota ai primi di gennaio del ’57, il povero maestro intirizzito dal gelo della tramontana. E quando poi la trova, questa benedetta stufa non la si può neanche accendere, perché mancano tubi e gomiti: altra tribolazione.

II locale, insomma, non e pronto e, anche a causa del maltempo che impedisce di raggiungere le isole, l’anno scolastico tarda ad iniziare, con disappunto del Direttore del Circolo didattico di La Maddalena, professore Giovanni Battista Fabio, da cui le scuole dipendono. Come il tempo vuole, il 9 gennaio 1957 il maestro Masia sbarca a Santa Maria, e con il primo giorno di lezione l’avventura della Scuola dei fari può finalmente cominciare, ma non sarà una romantica avventura in una landa trasognata. Certo molte cose la rendono assolutamente unica e irripetibile altrove: qui, intanto, e la meteorologia e non scarne circolari ministeriali a stabilire l’inizio delle lezioni, che non avviene praticamente mai prima del mese di gennaio, quando tutti gli altri scolari invece vi tornano, dopo le vacanze natalizie. La stessa attività didattica ha come laboratorio en plein air l’isola tutta, un po’ perché non esiste biblioteca né altro sussidio didattico, molto per la particolare sensibilità e Io spirito innovatore e pionieristico del maestro: “seguo il programma, lasciando che ogni iniziativa che può suggerirmi l’ambiente, dia i suoi frutti”, annota.

E cosi e il mare il maggiore campo di studio e di ricerca, per la flora e la fauna, le attività che vi si svolgono, la storia dei fari e della navigazione: si allestisce un piccolo “museo di classe” che raccoglie insetti e minerali dell’isola, si appendono alle pareti dell’aula cartoncini sul quali sono incollati i vari tipi di conchiglie raccolte dai ragazzi e da essi stessi illustrati con brevi note. Si parte dall’osservazione di una rana pescatrice, catturata con la nassa, per stendere una breve relazione e arrivare ad apprenderne anche la denominazione scientifica, laphius piscatorius; si studia con curiosa attenzione il paguro Bernardo e se ne ricostruiscono vita e abitudini.

Purtroppo non e possibile fare lo stesso con le diverse specie della vegetazione marina, non per cattiva volontà o mancanza di interesse: e che dopo un po’ puzzano, peccato! E in questa sorta di insegnamento globale Io stesso docente apprende realtà a lui sconosciute, “e stato portato anche un crostaceo di natura che non avevo avuto modo ancora di notare”: ora e il maestro che impara. Molto importanti e impegnative anche le attività manuali e pratiche, come si diceva un tempo: si costruiscono minuscole nasse, strumento di lavoro dei padri, cesti di rametti di mirto intrecciati, ma soprattutto un gozzo di piccole dimensioni (50,5 cm di base x 85 cm dl altezza), che riproduce quelli in uso localmente.

E’ lo stesso Direttore didattico a sostenere e caldeggiare questo tipo di attività, e anche il maestro dell’isola di Razzoli, Sergio Maestrale, sbarcato a Santa Maria, darà il suo qualificato contributo di maddalenino conoscitore delle tradizioni e della nomenclatura locale. Accanto a questa attività di mastri d’ascia in erba, i ragazzi, che restano pur sempre scolari, fanno ricerche sui diversi tipi di imbarcazioni a partire dall’antichità, illustrandoli con una serie di acquerelli. I ragazzi hanno piantato anche un orticello e ne godono i primi frutti: “sono state raccolte, infatti, le patate e patatine che rosolate già sono diventate un piatto saporito”, dice il maestro soddisfatto. Ma siccome non c’è aula migliore di quella che non c’è, le lezioni più interessanti e più partecipate sono in una spiaggetta, i”diversi chilometri di sentieri ” percorsi per raggiungerla non sono più neppure un ricordo, e quanto è triste il giorno di pioggia che impedisce l’uscita i ragazzi sono svogliati, delusi, non seguono, chiusi tra poche mura.

Ma la scuola è la scuola, comunque, il maestro non lo dimentica mai, e l’isola non è il mondo: i ragazzi devono sapere che oltre il mare c’è una realtà che bisogna conoscere perché pur sempre li riguarda, anche se è distante molte miglia, che tuttavia li raggiunge, anche quando il rimorchiatore non arriva perché non può uscire per il mare grosso. Che lo si voglia ammettere o negare, il faro è però fuori dal mondo, lontano assai più delle miglia che lo separano dai modesti comodi di un’ordinaria, banale vita “civile”. Se per il mare grosso il rimorchiatore non arriva, e può capitare anche per quindici giorni e oltre, i viveri scarseggiano, e allora neppure si pesca: questo vuol dire, se non fame fame, qualcosa che le somiglia molto, per tutti, maestro compreso, si capisce.

E tra un viaggio e l’altro del mezzo della Marina, quand’anche il tempo è buono, tornare a La Maddalena, per qualsiasi necessità, non è impresa facile: fatti molti chilometri, s’arriva in puntata, e lì si aspetta che passi il gozzo di qualche pescatore uscito magari a salpare nasse: Musu Marté (Pasqualino Atzeni), Magrò (Luigi Spinelli), ‘U Punzisiellu (Salvatore De Meglio), Tatò (Salvatore Giudice), di solito sono loro. Si accende un falò per segnalare la propria presenza, come fanno gli abitanti dell’isola, e si aspetta. Altro che mondo incantato: è dura la vita al faro, dura per tutti! Si, certo gli accenti fiabeschi non mancano: i membri della Commissione esaminatrice, (il Direttore Giovanni Battista Fabio, i maestri Mario D’Oriano e Romolo Bombagi), che arrivano in barca; i ragazzi che avvertono il maestro come un taumaturgo dotato del potere di far piovere per ridare cosi serenità e benessere ai loro genitori, la stessa cosa che i contadini chiedono al prete, lui che ha studiato e chissà quante magie conosce; e si potrebbe continuare. Tutto questo pero non deve trarre in inganno e dare una percezione falsata ad usum civis della vita nei fari: qui l’esistenza è difficile, difficile per tutti, nessuno escluso. E non solo per le difficoltà ambientali e logistiche che abbiamo già visto: c’è dell’altro, evidentemente.

Qui tempo è spazio, le nostre nozioni di tempo e spazio, sono stravolti sino a non sussistere quasi più: non solo il faro è la casa e la casa il faro, la stanza del maestro è l|’aula e viceversa (“ho visto la mia cameretta, nonché aula scolastica”), ma il faro, il faro vero, è la scuola, è il maestro la sua luce, la vera luce del faro, e questi ragazzi che ora non intendono bene il senso di un giornata di classe che guarda troppo lontano per loro, lo capiranno meglio quando frequenteranno il Palazzo scolastico di via Giosuè Carducci, e io li avrò, compagni di classe, i Giulio Palomba, alle elementari, i Gennaro Morlé alle medie.

Gli spazi dunque sono quello che sono, “qui nessuno vive in casa propria” lamenta il maestro, tutti sono costretti ad una coabitazione forzosa, privati di libertà e persino di intimità. Di giorno magari, tra la scuola, qualche passeggiata, una lettura, l’esame magistrale da preparare, una totanata, un’uscita in barca a salpare le nasse a zerri, il tempo ti passa, ma la sera? Dove vai la sera? O chiacchieri, alla luce del lume a petrolio, di tempaccio e nasse e rezzi perduti, oppure l’infili con qualche discussione di argomento sociale, e allora ti accorgi che viene fuori sempre un sordo disprezzo verso tutto quello che è lontano da qui, che loro sanno cos’è giusto e cosa no. O sè no, ti parlano di storie di litigi e di maldicenze tra famiglie, o di interessi, storie che non hanno mai fine né inizio. Solo quando gli spieghi i misteri dell’Universo o i progressi della Scienza ti ascoltano incantati, più dei loro ragazzi, che quasi non gli sembra vero. E allora capisci che sei maestro di tutti, a tutte le ore, e l’isola è la tua aula, e certo non solo per le 15 ore settimanali di lezione che fai coi ragazzi: a volte nè fai pure più di 24! Ma al faro gli avvenimenti non sono molti: la visita ufficiale di autorità; la festa grande per la prima Comunione e Cresima di due figli dei fanalisti; l’arrivo inaspettato del maestro dell’altra isola, col quale finalmente discutere di argomenti non banali. Poi l’inseguimento delle capre fuggite e la cattura di una di esse che, lanciatasi a mare, viene recuperata dal maestro, la cui considerazione cresce perciò oltre misura.

E’ il grande spavento per inspiegabili, improvvisi rumori fantasmi? No, una bimba che gioca; i terrificanti lamenti lontani e le inutili ricerche: un povero naufrago o magari un fuggiasco oltre confine? E se fosse invece una berta maggiore? La baldoria di un memorabile pranzo a mare; il ricevimento dato dal giovane fanalista, sposino fresco, al ritorno dal suo paese: quattro ore di festa quattro! mica una, quattro! e lo sposino mezzo cotto, tanti bicchierini rotti, evviva gli sposi!. La sorpresa infine della visita inaspettata di cari amici venuti con una barca a motore: che domenica. Ci rivedremo presto, promesso? Promesso! No, non è facile la vita ai fari: certo è vero che “il diretto contatto con la natura fa si che il fanalista sia schietto”, che a causa delle difficoltà di una vita isolata “la psiche di questa gente acquista delle caratteristiche spiccatamente individualistiche”, va tutto bene.

Neanche il rapporto coi ragazzi pero è tanto facile: “con gli estranei sono molto riservati quasi selvatici, questo perché durante l’anno avvicinano pochissime persone”e i più piccoli “si nascondono e se un estraneo riesce ad avvicinarli si mettono a piangere”. “Poari ziteddhi! ghi nn’è ancora pe’vvoi a Santa Maria, i maschi a salpare nasse, per aiutare i genitori (e pure questo sarà argomento di lavoro a scuola, con studi e disegni); a Spargi le femmine a dare una mano in casa, a governare il bestiame, ed “è curioso vedere bambine di 7 e 8 anni trattare con grande confidenza delle bestie grandi come i buoi”.

Perché a Spargi il faro non c’è, e perciò pure i fanalisti: sono pastori, con una cultura e un’economia tutte differenti dalle altre due isole, ma il maestro è il loro maestro, e, a tempo perso (pieno?), pure dei loro genitori. Solo che si tratta di cercarsi un passaggio per tornare a La Maddalena, poi da qui trovarsi qualche pescatore che va a Spargi, uno scherzo da niente ! Scrive il maestro che agli alunni dell’isola “si terranno lezioni saltuarie, da farsi 1 o 2 volte alla settimana, a S. Maria o a Spargi, secondo le possibilità”, ma ‘ che “causa il tempo e la disponibilità dei mezzi, i ragazzi di Spargi non hanno mai potuto raggiungere S. Maria e che solo una volta, nel mese di marzo, mi fu possibile visitare quel nucleo scolastico. Non si poteva pensare che mi recassi colà una settimana ogni mese non esistendo in tale località la benché minima possibilità di vita per l’insegnante. Il nucleo scolastico di S. Maria rimase praticamente l’unico centro di attività per me; e posso garantire che fu più che sufficiente ad assorbire il mio lavoro”.

Andrea Mulas

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