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La soluzione di compassionevole equità

A fronte dell’equità tecnica ricercata da Cochis, il vicerè registrò la rigidità di due alti funzionari cagliaritani, come il vice intendente generale e l’avvocato fiscale patrimoniale, che diedero un parere congiunto negativo sulle richieste del Dessantis. Secondo loro, il contratto del 21 giugno 1771 non permetteva di riconoscere alcunché, giacché tutto vi sarebbe stato previsto a carico dell’impresario. D’altronde, argomentarono nel loro parere, in un contratto i disavanzi di una parte sono compensati dai guadagni dell’altra parte. Piuttosto, insistettero i due, è necessario che il maestro sia obbligato ad eseguire quanto previsto nella relazione di Cochis.

La linea dura dei funzionari regi cagliaritani trovò subito dopo un contrappeso nella relazione del vassallo Marcandi, molto attesa dal vicerè per essere la voce di chi aveva conosciuto i lavori dal di dentro. Il testo del vassallo diede un argomento importante a favore della tesi della fermezza, ricordando che il contratto per la costruzione aveva la forma del contratto a corpo e non a misura. Con questo il capitano delle porte di Cagliari pensava anche di assolversi dalla responsabilità di non aver tenuto le misurazioni dei lavori, non rendendosi conto che se questo dato fosse stato preso nell’oggettiva considerazione niente avrebbe potuto essere riconosciuto all’impresario. Al contrario, lui stesso aderì alle ragioni avanzate dal Dessanti per ciascuno dei punti della sua supplica. L’unica indecisione la dimostrò quando scrisse di non ricordare se avesse mai precisato in 160 lire il costo a trabucco dello scavo del grande fosso. Altra sua autodifesa fu quella di affermare che si era “osservato appontino il disegno formato dal signor capitano ingegnere cavalier Belgrano in tutte le sue parti”. A giustificazione, invece, di aver permesso a mastro Dessantis di lasciare l’isola nonostante le imperfezioni e le lacune rilevate, e poi riscontrate dal Cochis, Marcandi scrisse che vi fu indotto dalla “evidente perdita che si scorgeva, e l’afflizione in cui ritrovavasi, accompagnata dalle promesse che fece il predetto di adempire a tutto, quallora al tempo della colaudazione l’avessero obbligato”.

 Inviando a Torino la supplica, la relazione di Cochis e quella di Marcandi, ed il parere dei propri funzionari, Della Marmora rappresentò – come già detto – la condizione di un territorio privo di impresari. A maggior giustificazione della ipotesi di tolleranza, il viceré evidenziò che Dessanti aveva risposto alle pressioni di viceré e governatore, che soprattutto aveva aderito al calcolo sulla buona fede di ritenerlo adeguato, senza la possibilità di alcuna verifica preventiva. Nella stesse nota del 5 aprile 1774, diede anche notizia del rovescio economico che risultava avesse subito il Dessanti a conclusione dei lavori.

La fase finale del processo decisionale sulla questione posta da mastro Ambrogio si avviò con una corposa e puntuale memoria torinese del 1 luglio, in cui vennero riassunte tutte le posizioni emerse e riorganizzate in tre situazioni. La prima si riferiva ai lavori non previsti e richiesti in corso d’opera, per un totale di 636 lire. La seconda era relativa a lavori previsti, ma che per imprevisti di lavorazione abbisognarono di maggior tempo e maggiori spese, per un totale di 2.420 lire. La terza, infine, riguardava le spese eccedenti sul personale e sui viveri. La memoria considerò che si dovessero riconoscere solo le spese relative alle prime due situazioni, rigettando anche l’argomentazione relativa alla compensazione della perdita con il guadagno ottenuto dalle altre voci del contratto, per l’oggettiva sottostima di tutti i costi previsti. Le spese della terza situazione erano, invece, da addossarsi interamente alla responsabilità dell’impresario.

L’adesione alle bonificazioni venne motivato anche con argomenti di equità extra contrattuali. Si trattava di un opera – si legge – che “sebbene fosse utile, non meno che necessaria, non si era presentato né eravi apparenza che si presentasse verunoper assumerla, di maniera che se si fosse dovuto eseguire in economia la regia Amministrazione avrebbe forse impiegato il doppio”. Seguendo una “linea di compassionevole equità”, suggerita da altri, la memoria finale riconobbe che Dessanti “per eseguire detta impresa si è rovinato”. Sulla base di queste considerazioni, e considerando la inopportunità di costringerlo ad un’iniziativa giudiziaria, fu definita in via equitativa la somma di lire 3000 quale “effetto delle reali grazie”. “Con condizione  però – che mediante detto pagamento non possa più l’impresaro pretendere cosa veruna sotto qualsivoglia titolo o pretesto, anzi debba tosto eseguire que’ piccoli lavori che ancora mancano”

Tra fine agosto e metà settembre del 1774 l’operazione dovrebbe essere stata finalmente conclusa, giacché si hanno notizie formali della certificazione a favore di Dessanti per il collaudo definitivo dei lavori, la liquidazione dell’ultima rata e l’erogazione della agognata bonificazione.

                                                                                                                  Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma

La torre di Villamarina a Santo Stefano pubblicato in ALMANACCO MADDALENINO n° 5 – 2007 – Paolo Sorba Editore