Almanacco isolanoLa Maddalena Antica

La vittoria de La Maddalena nel 1793 dalla Rassegna storica del Risorgimento

La difesa della Sardegna nel 1793 costituisce nella storia scrisse Medardo Riccio nel Valore dei Sardi in Guerra il capolavoro della fierezza sarda e segna veramente il preludio alla gloriosa epopea del nostro Risorgimento perché provando alla Penisola tutta, quanto possa l’amor di Patria contro l’avversità degli eventi, rincuorò, entusiasmò e apri l’animo alle più grandi speranze.
Questa difesa fu tanto più significativa in quanto sostenuta in un momento in cui serpeggiava per l’Isola il più forte scontento per il governo Viceregio. Tutti i benefizi conseguiti sotto Carlo Emanuele III, Ministro il Conte Bogino (restauro delle finanze, risveglio agricolo con inizio di colonizzazione, istituzione dei monti frumentari, dei tribunali di commercio, riordino di tutte le pubbliche amministrazioni, sviluppo dell’istruzione pubblica dagli studi minori alle Università e, per volere esplicito del Re, la creazione del bel Reggimento di Sardegna, sicuro presidio della Dinastia, orgoglio dei sardi), parevano annientati in. sul finire del sec. XVIII, per colpa sopratutto del viceré Balbiano. Il suo contegno è stato diversamente interpretato dagli storici e dai più egli è stato scagionato dalle accuse che la voce pubblica gli aveva mosso. Comunque è certo che senza l’energico intervento degli antichi gloriosi Stamenti, i quali seppero interpretare la volontà del Sovrano e tradurla in atto in nome di tutto il popolo sardo, che amava questo suo vecchio Re e non voleva accrescergli le molte pene che già egli aveva in quel momento in cui l’Europa appariva terribilmente senza pace, la spedizione francese avrebbe trovata l’Isola impreparata alla difesa a oltranza.
È noto come in seguito al coraggioso e generoso rifiuto opposto da Vittorio Amedeo III alla Repubblica che gli chiedeva il passo nei suoi Stati per le truppe destinate all’occupazione della Lombardia, le profferte di alleanza si cambiassero in aperta ostilità e che rischiando in quel momento di perdere la Corsica sollevata dal Paoli, pensasse come già del resto in tutti i secoli precedenti avevano pensato le monarchie francesi ch’era necessario assicurarsi il possesso della Sardegna. Gli storici hanno potuto largamente ricostruire la difesa di Cagliari, militarmente di una maggiore importanza perché portò alla vittoria contro il grosso delle forze repubblicane comandate dai contrammiragli Truguet e La Touche Treville, per la copiosità dei documenti rinvenuti; ma non invece quella riguardante la parte settentrionale, cioè l’estuario de La Maddalena, che pure assumeva valore storico più che come vittoria d’armi che i sardi in tutti i tempi ne avevano conseguite! per il fatto che al comando delle artiglierie avversarie stava Napoleone Buonaparte, col duplice grado di capitano di artiglieria e di luogotenente colonnello dei volontari di Liamone. Egli aveva da poco combattuto contro la Francia in Corsica; ma poi le circostanze erano mutate. Il documento base: la relazione ufficiale del Comandante de Costantin al Viceré, non venne mai ritrovata. Fu detto che durante l’occupazione del Piemonte fosse 6tata sottratta dagli archivi di Torino, ove era stata trasmessa, per ordine dello stesso Napoleone, per non lasciare prova di quel suo sfortunato debutto. Cronisti e storici dovettero perciò contentarsi di frammenti di questa relazione, desunti da alcune delle ricompense al valore, dalla memoria degli uomini e più spesso supplire alle molte lacune con la fantasia. Come accadde al Napoli, il quale, stando al Lumbroso,s) rifece più volte con l’immaginazione, una ipotetica relazione sugli avvenimenti. Lo stesso Lumbroso però a sua volta presentò due versioni diverse del rapporto redatto per conto del Comando della Gallura, che, sebbene eguali nella sostanza differiscono nella forma da quello originale.

Il Mimaut, console generale di Francia in Sardegna, dal 1812 al 1825, il quale avrebbe potato raccogliere notizie valendosi della memoria ancora fresca dei superstiti difensori de La Maddalena, non entrò in merito ai dettagli, tenendo sopratutto a dare un quadro a tinte cariche della situazione politica, dice che i sardi nell’impossibilità di ricevere il minimo soccorso da Torino si trovarono nell’alternativa o di una resa senza resistenza o di difendersi coi soli loro mezzi: “Une résolution aussi généreuse que nationale leur fit embrasser le dernier parti” e questo dimostra come nonostante l’aspra critica che questo storico muove ai sardi per non avere ceduto alle lusinghiere promesse del Governo Rivoluzionario, da buon francese, cioè da patriota al cento per cento, provava una simpatia e un’ammirazione sincera per l’alto spirito di patriottismo di cui dettero prova. Raccogliendo l’eco di pettegolezzi da caffè e da salotto, inevitabili, aggiunge che i contrasti sorti fra i Comandanti piemontesi e sardi “les empé-chèrent de tirer tout le parti qu’ils auraient pu du désastre de l’expéditione francaise” . Li biasima insomma per non avere saputo debitamente valorizzare un fatto così straordinario come una vittoria sulla Francia, quasi che il suo amor proprio nazionale ne restasse offeso ed aggiunge come a conferma, che l’essere stata mal condotta la spedizione francese non diminuisce per nulla la vittoria del sardi. Il Mannu, che scrisse intorno al 1840, cercò inutilmente per tutti gli archivi di Cagliari e Torino i rapporti concernenti i fatti de La Maddalena, e fu egli che avanzò la supposizione, anzi la certezza” che fossero stati sottratti per ordine di Napoleone; così mentre poté fare la più estesa ricostruzione delle giornate di Cagliari, si limitò a dare solo un breve cenno intorno alla prima. La Marmora non ebbe miglior fortuna nelle sue ricerche e allora giustamente pensando che valesse meglio ricorrere alle fonti più genuine; la memoria orale, invece che agli scritti fantasiosi che frattanto erano andati moltiplicandosi si rivolse a un nipote del Millelire, il Nob. Nicolò Susini e questi ricostruì le tre giornate interrogando i più vecchi maddalenini. E questa ricostruzione acquista oggi maggiore importanza storica perché corrisponde in gran parte al rapporto che redasse immediatamente dopo la Vittoria il Comandante De Costantin; alle motivazioni delle ricompense al valore concedute dal Re ai valorosi ufficiali che diressero l’azione difensiva e controffensiva.
Gli storici moderni, nella considerazione che non essendo stato datò ai due illustri predecessori di ritrovare il famoso rapporto, tanto meno lo sarebbe stato ad essi, non indagarono neppure più. Solo uno, il Cogliani, poté finalmente dare precise indicazioni sull’esistenza di una copia del rapporto, la cui mancata conoscenza ha fatto sì che la Storia consacrasse alla gloria il nome di un eroico Nocchiero, senza però dare il dovuto risalto al nome dei Comandanti che hanno diritto almeno a parità di onori. Errore da ripararsi anche per quelle revisioni dei valori che il Duce definì la scala delle responsabilità.
E necessario premettere che l’Isola de La Maddalena non era menzionata nel trattato di cessione della Sardegna a Vittorio Amedeo II (1720), continuava ad essere abitata dai còrsi i quali trovavano nella loro isola scarsezza di pascoli per le greggi, mentre i sardi ne avevano in abbondanza. Con una lettera del 1727, il Viceré ordinava infatti ai Conservatori della sanità della marina di Tempio di fare pagare ad essi un giusto canone. Nel 1767 il Comandante de la Gallura, Albione di Brondel informava il Viceré che gì’ isolani supplicavano di essere ammessi sotto la protezione di S. M. il Re di Sardegna c< a patto però che la sottomissione avvenisse in forma militare da parte della R. Marina Sarda la qual cosa permetteva ai corsi di salvare i loro averi di Bonifacio che altrimenti sarebbero loro sequestrati dalla Serenissima Repubblica . Pochi mesi dopo, con l’autorizzazione del Ministro Bogino, il comandante di Brondel occupò le Isole Intermedie come era chiamato allora l’arcipelago de La Maddalena in nome di S. M. Appena in tempo dunque per impedire che la Serenissima Repubblica di Genova fornisse l’intero stock alla Francia !
Inoltre le condizioni degli armamenti che al momento dell’attacco erano le seguenti: La Sardegna aveva un Esercito e un’Armata. Il primo costituito da : un battaglione Piemonte (il 2, che alla rivista di Cagliari del 1791, risultò composto da quattro compagnie di fucilieri e da una di granatieri) ; due battaglioni Svizzeri, di Schimid e di Curten (ogni centuria di due compagnie tutte di fucilieri. A questi si aggiungeva mezza compagnia di granatieri). Il Battaglione di Curten era il terzo del suo reggimento, distinto in tre compagnie di fucilieri, due delle quali destinate al presidio di Sassari; inoltre due compagnie di dragoni leggeri di Sardegna; una centuria del Corpo Reale d’artiglieria; una centuria leggera ; quattro Compagnie franche di disertori graziati.
In questa povertà di truppe unico riparo scrive il Mannu era quello di ordinare a difesa e a disciplina guerresca le Milizie Nazionali, quelle che tante volte eransi cimentate vittoriosamente con gli assalitori delle loro terre. Ed a ciò indirizzavasi specialmente la sollecitudine dei magnati e dei primari ministri, tosto-chè il viceré si lasciò piegare a parlare di guerra. Erasi eziandio piegato a studiare anzi tutto questo espediente, ed a farne argomento di speciale colloquio col reggente, col generale e col segretario nel giorno 15 ottobre (1792). Ma giunto questo giorno lei non volle udirne più parlare, e le Milizie restarono per allora senza ordinamento”.

L’Armata era composta di due mezze galere, La Beata Margherita e La Santa Barbara cedute dalla Corte Napoletana nel 1782-1783; una galeotta Il Serpente , una piccola nave “Le Furet” , tre gondole. (Fin dal settembre era 6tato dato da Torino ordine al Viceré di radiarle dal quadro della marina Sarda e costruirne delle nuove in sostituzione, perché le mezze galere reggevano per prodigio alla navigazione tanto erano logore e malandate. L’equipaggio per le sette navi era di 363 uomini, ufficiali compresi. Anche a questa deficienza si suppliva con le navi mercantili e private, sempre pronte ad armarsi per la difesa del Regno.
Le torri marittime, che opponevano la prima difesa, erano 118: 49 nella parte settentrionale, 68 nella meridionale.

Le prime notizie sui preparativi che la Francia andava allestendo fin dall’estate del 1792 furono date al Viceré dal Governatore de  La Maddalena, che, per vigilare meglio sulle coste avversarie si era organizzato per suo conto una specie d’intelligent service. Egli apparteneva a una delle più antiche famiglie di Tempio, rappresentata nello Sta-mento militare all’atto del passaggio alla Casa Savoia, e che aveva già dato il più valido contributo per sostenere vittoriose difese contro i precedenti attacchi della Francia. Da giovane era stato un brillante ufficiale del reggimento di Sardegna; poi ritirato già da molti anni, nella città nativa, appunto in riconoscimento delle sue speciali benemerenze e spiccate attitudini, gli era stato affidato il governo della piccola vicina isola, considerata militarmente avamposto di primaria importanza. Nell’anno al quale ci riferiamo contava 67 anni. Epperò aveva quella gagliardia fisica e spirituale propria dei vecchi galluresi. Delle duecento e più lettere vergate con calligrafia chiara e sicura, ch’egli inviò al Viceré Balbiano per sollecitare provvedimenti atti ad alleviare lo stato di abbandono e di povertà de La Maddalena, riportiamo soltanto alcune di quelle riguardanti l’impellente minaccia: “Siccome non ai può tenere più oltre celata la dichiarazione di guerra tra il nostro Sovrano e la Francia, devo fare nuovamente presente all’È. V. le circostanze che in questa ci troviamo; vi è una forte vociferazione che li nazionali corsi devono fare una spedizione per venirsi a impadronire di quest’Isola, e se le Mezze Galere si allontanassero sarebbe molto facile”.

Era venuto infatti l’ordine di trasferire le navi nelle acque di Al­ghero e fatte presenti tutte le difficoltà che si oppongono a questo movimento, espone anche la preoccupazione che essendo gli isolani (cioè maddalenini) strettamente imparentati coi còrsi si possa contare su di loro come se si trattasse di andare contro li Barbareschi, nel qual caso (già esperimentato) potrei impegnarmi come di me stesso: “Io intanto conclude questa lettera rapporto che porta la data del 12 ottobre 1792, con quella poca truppa se si darà occasione resisteremo finché avremo sangue nelle vene, e procurerò di disimpegnarmi con onore. Sebbene la forza sia piccola il coraggio è tanto più grande”.
Il Balbiano rispose al Vecchio de La Maddalena com’egli lo chiamava, di stare tranquillo perché non c’era nessun pericolo in vista. Ma il Riccio, il 1 novembre tornò alla carica precisando: “Ieri mattina è giunto in questa da Bonifacio il Padrone Pasquale Martini, di quell’Isola, ed ha portato la notizia, e data per certissima, che nel Golfo di Santa Mausia, poco distante da Bonifacio, devono giungere giorno per] giorno 10 vascelli di linea francesi, e 20 da trasporto che portano 5.000 francesi per unirsi a 10.000 còrsi. In Bonifacio hanno già preparato li quartieri. Al più breve devono portarsi nel litorale della Gallura, a Porto Polo 3.000 sono destinati a venire a prendere quest’Isola (La Maddalena), due fregate e qualche felucone a catturare le nostre mezze galere. Essi hanno inoltre inviatone a dire che se noi faremo solamente un colpo per nostra difesa non ne sarà dato nessun quartiere, e che saremo tutti “lanternati” (impiccati) e che conducono seco il carnefice espressamente”.

Nei giorni seguenti comunicava: “Ieri sera in presenza del sig. cav. de Costantin, del sig. uff. del distaccamento Barman, e del sig. Bailo, si è presentato il sig. Padron Pietro Cogliolo per dirmi che un suo parente di Bonifacio, il sig. Mattarana, è stato avvertito che ai deve fare la spedizione fra breve”. Ieri sera si sono presentati a me due capi isolani, un consigliere, unitamente a Giuseppe Pinto, uomo di buon credito, che essendo ritornato in Sardegna da la parte del fiume Lixia ha incontrato due padroni di bastimenti bonifacini, Francesco Capriata, e Francesco Mollino, li quali li hanno data la notizia che in due giorni si attendono duemila còrsi in Bonifacio, e 42 bastimenti”-

(i rapporti del Riccio, come quello dell’ufficiale della cavalleria miliziana che vedremo in seguito sono scritti in un italiano … che risente molto del dialetto gallurese)

Il  Padron Andrea Cascinelli, genovese, ha sentito dire che nel Porto di S. Fiorenzo ci sono 10 o 12 bastimenti di linea francesi”.

Queste informazioni trovano fondato riscontro in quelle date un poco più tardi da La Gazzetta di Tonno. È arrivata nel Golfo di S. Fiorenzo una flottiglia di 16 bastimenti da trasporto con 1500 fran­cesi – “due lettere da Marsiglia, scritte da membri di quella Municipalità, assicurano che da Parigi si è ordinato a tutti i negozianti marsigliesi di armare in corso”.

Al 7 dicembre – commenta il Cogliani – La Maddalena non aveva più che sei soldati in condizioni di prestare servizio, per essere gli altri tutti ammalati e in tutta l’Isola non si trovavano più che 40 soldati atti a portare le armi. Con forze sì esigue, cui faceva riscontro una scarsezza di munizioni da bocca e da guerra, figuriamoci che sonni tranquilli dovesse fare il povero Governatore Riccio al quale continuavano a pervenire lettere dai padroni di legni mercantili di Livorno e di Corsica annunzianti che un convoglio di 62 vele francesi al comando del Contrammiraglio Truguet era pronto per la spedizione in Sardegna”.

Ma il vecchio comandante non si perdette d’animo: raccolse tutti gli abitanti e rinfiammò alla lotta. Come per vincolarli nel giuramento sacro improvvisò una bandiera votiva,  con dipinta la Maddalena, le cui pieghe del manto si stendono delineando i confini dell’ isola, nell’atto d’invocare la protezione del Cristo crocifisso e il motto Per Dio e per il Re, vincere o morire. Conferma alle ultime parole del primo rapporto e che dicono tutta la fermezza dei propositi del fiero gallurese.
Frattanto, mentre per le vie di Cagliari sfilavano le Milizie Volontarie reclutate ed equipaggiate a cura degli Stamenti è incredibile scrive il corrispondente di Cagliari in data dell’11 gennaio 1793, su la Gazzetta di Torino l’ardore che hanno di battersi: quando entrano in città si sentono gli Evviva su Rei! accompagnati con spari e in Gallura, sotto gli ordini del valoroso luogotenente colonnello Giacomo Manca venivano inquadrati i superbi cavalieri, anche a La Maddalena giungevano finalmente i rinforzi: alcuni reparti delle truppe di Curten e un centinaio di volontari galluresi. Allorché tutto parve pronto per sostenere l’attacco, il vecchio comandante Riccio cede il comando al giovane comandante de Costantin e se ne andò al Forte di S. Andrea, portandosi appresso la sua bandiera che sventolò infatti sul forte per tutti i giorni di combattimento e fino alla vittoria.
E senz’altro diamo ora il rapporto steso subito dopo la vittoria dal comandante Felice de Costantin conte di Castelnuovo che costituisce, assieme a quello redatto per conto del Comando della Gallura, il più attendibile documento sullo svolgimento dell’azione e in base al quale va fondato il sereno obiettivo giudizio della storia.

R. Archivio di Stato di Torino.
Gazzetta di Torino del 23 mazzo 1793

Dall’Isola de La Maddalena 28 febbraio. Compendio dì relazione del cavaliere di Costantin a S. E. il Viceré concernente l’assedio di quell’Isola, e i tentativi dei Francesi contro l’Isola di S. Stefano.
Sa le ore 7,30 del mattino del giorno 20 del cadente, si osservò dalla nostra guardia della montagna un convoglio di un bastimento quadro e di diverse gondole nel canale con direzione di moto a quest’Isola.
Le R. Galeotte La Sultana , la Sibilla che stavano di guardia avanzata verso l’Isola di Sparagi giunsero qui su le ore 9 a confermarmi ciò che m’aveva riferito la detta guardia. Diedi subito le disposizioni necessarie alla difesa. Stando noi in vedetta si osservò che le vele nemiche alle ore 2 dopo il mezzogiorno stavano impedite dalla calma, onde credei poterle con le galeotte attaccare con vantaggio. Veleggiammo fino all’Isola di Sparagi, ove giunti vedemmo il convoglio nemico rientrare nel seno di Bonifacio in Corsica trattane una fregata, ed un brich armato in guerra, che si trattennero bordeggiando su quelle coste. Ripiegai a La Maddalena, e pendente quella notte, e l’indomani preparai le nostre forze sul litorale.
Li 22 alle ore 9 del mattino quella fregata con tre felucconi diedero fondo tra l’Isola di Sparagi e la punta di Sardegna. Da vi con chiamate di cannone la Fregata andò successivamente radunando i legni di tutto il suo convoglio, e quindi sbarcossi il nemico in quell’Isoletta abbandonata da noi come non atta alla difesa, ove s osservò dar la caccia al bestiame lasciatovi. Su l’ora del mezzogiorno la flottiglia nemica composta di 22 bastimenti: cioè una fregata, un brich, tre felucconi, una goletta, due polacche, due tarlane, ed il resto di legni mercantili di diverse specie, si ancorò tra Mezzo Schifo, e la punta ovest di quest’Isola; in qual situazione io fui in grado di cominciare a porre in azione il fuoco del Forte Balbiano su quella squadra; al nostro terzo colpo la fregata sparò con artiglieria di 36 sul forte, e su le nostre mezze galere nella cala, una delle quali, che fu Il Serpente , ricevette un colpo.
Tre felucconi e cinque gondole alle ore due e mezzo sotto la protezione del cannonamento nemico passarono alla punta ovest di S. Stefano ove fecero sbarco, non potuto impedirsi dal nostro continuo fuoco dal forte Balbiano, comandato dal piloto Rossetti, e dalle mezze galere attesa la lontananza del passaggio di quei legni verso la detta punta. Il tenente Capitano di Milizia sig. Garzia d’Oneglia che comandava la torre più vicina a quello sbarco, fece pure vivissimo fuoco, ma 1’artiglieria dei felucconi protesse fortemente la discesa nemica.
Mi diedi allora a distribuire le nostre in tutta la circonferenza di quest’Isola per preservarla dall’aggressione col formare cinque divisioni: La prima sotto la direzione del cavalier Vittorio Porcile, la seconda del sig. Bistolfo, rispettivi comandanti de e La Santa Barbara e del Serpente , la terza del sig. Baron Galera, la quarta del sig. luogotenente Barmann del reggimento Curten, comandante il dislocamento dell’Isola, la quinta di bassi ufficiali di bordo. Il feluccone, e tutte le gondole sotto lo sparo della fregata a piene bordate tentarono un disbarco alle Tegi su le ore 4 e mezzo, ma il cav. Porcile respinse quel tentativo con sommo coraggio.
Nella seguente notte feci trasportare dalla batteria Balbiano il più grosso cannone alla punta delle Tegi per tentare con palle infuocate d’allontanare da quelle vicinanze il nemico, ed aprirmi una comunicazione con la Sardegna.
Trovavansi le mezze galere troppo esposte alla forte artiglieria della fregata, e le feci passare alla cala di Sant’Andrea meno soggetta al fuoco nemico. Li Francesi avevano già eretto le loro batterie su l’Isola di S. Stefano, e potevano di nuovo mollo danneggiare i nostri legni che perciò feci rivolgere al lato della Moneta tra Caprera e quest’Isola. In questo passaggio soffersero un nembo di fucilate da la gente sbarcata in S. Stefano, che in contraccambio ricevette dai nostri legni il maggiore fuoco possibile senza che abbiamo perduto noi un solo individuo. Nella notte del 22 il marinaio invalido La Grandeur dalla torre di S. Stefano passò intrepidamente al favor della notte in mezzo ai nemici nuotando; e venne a ragguagliarmi le circostanze dello sbarco de li francesi in quell’Isoletta. La mattina del 23 cominciammo dalle Tegi a fare uso di palle infuocate contro la fregata con l’abile direzione del nocchiero Millelire e del capo cannoniere Manran; videsi ben presto quella nave colpita da quattro palle mettersi alla vela, con l’avere lasciato quattro ancore per sottrarsi alla portata del cannone, e andarsi ad ancorare seguita dal suo convoglio all’imboccatura del Porto di Villa marina. Pendente quel giorno il fuoco delle batterie nemiche di S. Stefano, non fu mai interrotto, e noi non cessammo di serbarci nella più grande attività in tutti i casi secondo le maggiori urgenze della difesa.
Nella notte venendo al di 24 io avevo fatto alzare una batteria sulla punta nera in Sardegna, tra il Capo dell’Orso e il Parau luogo atto a tormentare la squadra francese ove erasi ancorata. Sul fare del giorno quella nostra batteria cominciò il combattimento a palle infuocate: la batteria nemica dalla Puntanella ne fece altrettanto sopra di noi. Il marinaio Joli ebbe una ferita, e il sardo Michele Degoscio ricevette una palla che gli portò via una gamba in mia presenza.
La flotta francese trovandosi tormentata dai nostri cannoni di Punta Nera con gravissimo maltrattamento della fregata disamparata di tutti gli alberi di gabbia fu astretta a coprirsi nell’interiore del Porto per ivi rassettarsi. Ciò eseguito formò due batterie all’est del Porto per offesa alle nostre di Punta Nera.
A un’ora dopo il mezzogiorno parendomi di avere qualche vantaggio sul nemico spedii un espresso al cavaliere Thiesi e al sig. Governatore di Castelsardo per avere munizioni da guerra e da bocca.
Feci pure passare due cannoni alla punta di Stintino, onde inquietare la fregata e convoglio nell’arco recesso del porto. Nello stesso tempo sbarcai 65 dei nostri marinai, isolani e sardi, e sotto il comando del valoroso Cesare Zonza, per passare a contrastare al nemico lo sbarco all’isoletta di Caprera: nella successiva notte la fregata seguita da alcuni legni s’allontanò dal porto, e alle ore due dopo la mezzanotte situatasi tra la Punta di S. Stefano e Caprera con tre lanci e, una gondola e un feluccone, tentò uno sbarco in quest’Isola cbe fu prontamente impedito dal valore di detto distaccamento.
Nel giorno 25 le batterie nemiche aumentate in ogni sito capace di offesa mi obbligarono a convocare i principali abitanti dell’Isola per determinare intorno ai mezzi da tenersi in caso che la superiorità delle forze nemiche ci obbligasse a ritirarci. Fra gli altri espedienti proposi quello di un assalto all’Isolotto di S. Stefano come il più valevole a diminuire contro di noi la violenza dell’ostilità. Questo progetto fu accolto con intrepidità da diversi e per eseguirlo mandai subito nel litorale sardo a chiedere un rinforzo.
La fregata con vari altri legni tentarono di nuovo uno sbarco alla punta di Caprera sulle ore due dopo mezzogiorno ma infruttuosamente.
Su la sera, presso alla notte, il nocchiero Milellire armò una scialuppa in guisa di lancia cannoniera e s’avanzò nel porto ove era il resto del convoglio nemico e lo attaccò così arditamente che vi gettò dentro la confusione e li costrinse a precipitosa fuga. Si spinse subito colla sua scialuppa all’Isola e vi fece 4 prigionieri non ritrovati all’imbarco dei legni fuggitivi. Mentre ci occupavamo attorno le disposizioni di detto progetto di assalto avemmo l’avviso della fuga dei nemici da Santo Stefano. Vi spedii immediatamente le galeotte le quali vi ritrovarono 4 cannoni di ferro, un mortaio da bomba, un carro con 2 cannoni sopra lasciati a mezza strada, tre cannoni su la torre in atto di servizio, tre ancore con gomene lasciate alla punta delle Tegi, e vari altri piccoli arnesi che l’equipaggio si appropriò per trionfo.
Il nemico ci ha fatto provare la più viva azione del fuoco. Ci ha tirato 1050 bombe, è incalcolabile il numero de le cannonate. Si sono fatti 17 prigionieri dei nostri nell’Isola di S. Stefano; e si sono ritrovati molti francesi, altri distesi sul terreno, altri sepolti, oltre i loro feriti trasportati,
L’Ufficiale di Milizia che comandava l’Isola presa non lasciò alcun dubbio sul suo valore mentre sofferse l’assedio.
La squadra francese la notte precedente al dì 26 si mise alla vela dirigendosi verso porto vecchio. Io tentai sul giorno coi nostri legai di fare qualche preda a quel convoglio, ma il vento fresco me lo fece sparire. Il piloto Milellire con alcuni sardi e isolani tutti pieni di coraggio si sono impadroniti di una gondola Bonifacina mentre veniva a raggiungere la squadra nemica credendo che la Maddalena fosse vinta.
Li 27 la galeotta Sultana e la gondola l’Aquila hanno predato una tartana francese diretta da Marsiglia agli scali di Barberia per portare ai rispettivi consoli l’avviso della guerra contro l’Inghilterra, l’Olanda, la Russia, la Spagna, ecc.
Mi credo in dovere di non omettere le qui appresso testimonianze. Il comandante Riccio non potendo per l’età eseguire le operazioni di corso, e di gran movimento si pose a comandare la batteria di Sant’Andrea, e l’ha regolata con tanto valore, e scienza dando l’esempio della più risoluta intrepidezza che ha sovente messo il terrore fra i nemici e sospeso il fuoco delle loro batterie.
Il cav. Porcile ha mostrato uno zelo e un coraggio sommo nel respingere il nemico dalla punta delle Tegi, in tutte le altre operazioni e nei suggerimenti da lui datemi che certamente hanno potuto contribuire molto alla nostra vittoria.
H sottotenente sig. Bistolfo comandante la goletta Il Serpente ha sopportata la destinazione più pericolosa ed incomoda pendente 4 giorni di fronte una batteria nemica per impedire un accesso d’importanza; mi ha egli inoltre seguito varie volte durante il bombardamento con la più docile bravura.
È degno di eguale elogio il sig. barone Galera, mio luogotenente. In tutte le commissioni appoggiategli si è mostrato pieno di capacità e di consumata prudenza. La sua attività e il suo coraggio lo hanno reso meritevole dei più sinceri applausi di tutti i suoi compagni e astanti.
Non potrei abbastanza lodare la bravura manifestata dal sig. Barman luogotenente del reggimento Courten e comandante una delle divisioni. Si è più volte lanciato per i bisogni della difesa sotto le grandini dei fucili nemici, e si è reso sempre più degno delle glorie del reggimento in cui serve.
Il piloto Rossetti nel comando de la batteria Balbiano è stato sempre esposto al terribile fuoco della flotta, e delle batterie dei nemici in tutto il corso delle sue azioni; ed ha sempre mantenuto quella nostra batteria nell’attività la più viva. Può andare al paro degli uomini più valorosi.
Non potrei finalmente abbastanza spiegarmi sul merito del nocchiero Milellire egli ha certamente contribuito assai con la più pronta esecuzione dei miei ordini ai nostri vittoriosi successi.
Quanto ho esposto nella mi a relazione basta a formare la lode da lui meritata. Vado a raccomandarlo con lettera a parte a V. E. acciò abbia premio di tante sue fatiche e pericoli e raccomanderò pure lo scrivano di fregata Pietro Francesco Foresta guardama gezzini in questa Isola e il timoniere Zonza e il capocannoniere Mauran, il marinaio Albertini ed altri tutti degnidi ricompensa ed elogio per la ragione da rassegnarsi. (In questo compendio di relazione il comandante de Costantini tiene a precisare con scrupolosità militare le attribuzioni e i meriti di ognuno. I preziosi suggerimenti datigli dal comandante Vittorio Porcile conte di Sant’Antioco, lasciano chiaramente intendere che fu questi a inspirargli il piano controffensivo. Questo valorosissimo ufficiale contava allora 37 anni ed aveva già riportato diverse vittorie contro i Barbareschi (Turchi). Divenuto celebre per le successive brillanti vittorie riportate sugli stessi, raggiunse il grado di generale.)

R, Archivio di Stato di Torino.
Gazzetta di Torino del 27 marzo 1793
Da Tempio di Sardegna, li 30 febbraio.

Lettera di un tempiese capitano di cavalleria miliziana (non c’è il nome ma è risaputo in tutta la Gallura che il rapporto fu redatto per conto del comando da capitano Carcupino) che si trovò alla difesa delle Isole Intermedie de La Maddalena e Santo Stefano).
Li 22 del cadente mese videsi da questo luogo avvicinarsi alle isole de La Maddalena e Santo Stefano un gran convoglio di 20 vele francesi da guerra comandate da una grossa fregata. A tal vista si fece subito in questo luogo e nelle vicine campagne, invitare a suon di tromba tutta la gente capace di porto d’arme. Radunati che fummo ci avviammo al litorale e cammin facendo, ebbimo considerevoli aumenti di forze da tutti i villaggi dei contorni. Giunti sul lido vidimo con nostro gran dispiacere, l’isola di Santo Stefano già sotto l’oppressione del nemico, a cui la poca gente che vi era di presidio non poté fare valevole resistenza. Vi fu però un bravo isolano che combattendo uccise vari francesi con coraggio singolare, e che non avendo più altro mezzo di scampare dalla folla, onde si vide circondato, sotto una grandine di palle si buttò a mare e corse nuotando alle nostre mezze galere. Trovammo alla spunta Palau tre pezzi di cannoni fatti collocare in batteria dal Costantin comandante una R. galeotta; e siccome non potevamo col fuoco dei fucili offendere il nemico, ci appigliammo a fare il maggior uso possibile di quelle batterie, al fine di porla in stato di più viva azione facemmo portare da Tempio un gran mantice per roventare le palle, e chiedemmo al detto cav. Costantin gli altri ordigni necessari all’impresa.
Li 23 cominciammo a porre in esecuzione quelle batterie con palle infuocate dirette sopra la fregata, che fu ben tosto ridotta alla necessità di allontanarsi dalla situazione in cui stava col seguito del convoglio. Non essendo più noi in grado di danneggiare il nemico fuori della portata del nostro fuoco, ed annoiati di nostra inazione, si fece la scelta, tra noi di 400 ben risoluti d’attaccare petto a petto e di rivendicare l’isoletta di S. Stefano e il Castello. Il cav. Thiesi nostro comandante, voleva unirsi a noi nell’impresa, ma le prudenti Milizie lo pregarono di non esporre maggiormente la di lui persona troppo necessaria al comando e direzione delle rimanenti truppe che restavano in guardia del litorale. Quel corpo di 400 circa nomini col mezzo di legni approdò all’Isola di S. Stefano, ove appena sbarcati dovette sostenere la più viva zuffa coi francesi e coi corsi protetti dalle loro artiglierie. Il combattimento fu ostinato e lungo poiché durò tutto il giorno 23 fino alla sera più avanzata. Nel buio della notte i nemici, che già troppo avevano sperimentata l’irresistibile intrepidezza dei nostri, stimarono di prepararsi alla fuga, e vollero eseguirla da un lato dell’isola inaccessibile al nostro fuoco: avvertiti di ciò i tempiesi accorsero a quella parte, e li assalirono con tanto furore che li astrinsero all’abbandono il più precipitoso del Castello, dell’Isola, della loro artiglieria, degli equipaggi. Il valore delle cose da essi lasciato è calcolato a 1500 e più scudi. Il mattino seguente, mentre il convoglio nemico fuggiva verso la Corsica inseguito dalle R. mezze galere, ma però il vento fresco le pose in salvo, si ebbe l’incontro di un bastimento bonifacino che volle fare resistenza con vari colpi di cannone; ma dopo la morte di 20 uomini dell’equipaggio, composto di 36, dovette arrendersi a noi.

Fra i prigionieri di quel legno se ne riconobbero due che 20 giorni prima erano stati a Tempio sotto nome di amici. Il giorno 25 fu pure predata da noi una grossa tartana francese che veleggiava verso Cagliari con carico di vettovaglie destinate alla gran flotta nemica”.

Ora, quando si scrive e si parla della vittoria de La Maddalena, si dimentica non si capisce perché di ricordare la partecipazione delle Milizie galluresi. I quattrocento volontari che col favor della notte, su leggere imbarcazioni mossero all’assalto come una fanteria, rappresentano la volontà popolare decisa a difendere con leonino coraggio i sacri diritti del Regno Sardo. E il loro intervento ebbe effetto decisivo per la messa in fuga del nemico il quale aveva ancora bastevoli forze per mantenere la sua posizione.
Ed ecco le motivazioni con cui il Re accordò ai valorosi comandanti la più alta ricompensa allora concessa agli ufficiali: la promozione per merito di guerra.

Regie Patenti e Commissioni n. 25 anno 1793 (Archivio di Stato di Torino)

Il Re (all’ufficio) Torino li 20 aprile 1793 animato dal commendevole zelo fatto mai sempre apparire in tutto il corso dei suoi servizi il capitano nelle Nostre truppe di fanteria Giuseppe Maria Riccio, comandante provvisionale delle isole intermedie del Regno Nostro di Sardegna, ce ne diede vieppiù positive riprove nell’avere colla più viva premura vantaggiosamente cooperato, in quanto poteva da lui dipendere, alla fruttuosa difesa valorosamente sostenutasi nello scorso febbraio dalle Isole della Maddalena e di Santo Stefano contro gli attacchi della nemica flotta francese. Volendo noi pertanto comprovargli la soddisfazione, che rileviamo da questi suoi portamenti, ci siamo degnati di decorarlo del grado di Maggiore nelle suddivise nostre truppe di fanteria con tutti gli onori, autorità e prerogative, che ne spettano ed appartengono.
Vi ordiniamo quindi di assentarlo per esso grado.

Vittorio Amedeo

Id. Id.

Il Re (all’ufficio) Torino li 21 aprile 1793 alla soddisfazione che ci risulta dalla zelante attività dei servigi prestati dal capitano-tenente nelle Nostre truppe di fanteria, Vittorio Porcile, nel comando che tuttora riempie nella Nostra mezza galera La Santa Barbara, aggiunse egli nuovi particolari motivi colle testimonianze di capacità e valorosa fermezza date a dividere nell’essere efficacemente concorso alla difesa de La Maddalena e di Santo Stefano nello scorso febbraio attaccate dalla flotta francese. Volendo Noi chiamarlo a parte delle Nostre grazie, onde riporti un contrassegno del gradimento, che ci risulta dai suoi commendevoli portamenti, ci siamo degnati di decorarlo del grado di Capitano.

Vittorio Amedeo

Regie Patenti e Commissioni n. 25 anno 1793 (Archivio di Stato di Torino)

Animato da commendevole zelo per il nostro servizio il cav. Giacomo Manca di Thiesi, Commissario Generale per la Cavalleria Miliziana nel Capo di Cagliari ce ne diede una nuova ben accertata testimonianza nelle sopraggiunte critiche contingenze della Sardegna, in cui, dopo avere assunto il comando statogli assegnato dal Viceré delle Milizie della Gallura, ed essersi in seguito con particolare attività fruttuosa attenzione e costante esattezza applicato all’istruzione di quei Miliziani, dimostrò quindi la sua capacità e fermezza nel reggerli, e sostenerli allorquando dovette coi medesimi concorrere alla difesa de La Maddalena e S. Stefano attaccati da la flotta francese. Volendo noi pertanto contrassegnargli lo speciale gradimento che ci risulta da queste sue benemerenze ed aggiungergli con grado militare superiore a quello di Luogotenente-Colonnello nelle Nostre truppe di fanteria, di cui lo abbiamo decorato nel maggio 1789, un nuovo onore, Ci siamo degnati di fregiarlo ora di quello di Colonnello nelle stesse truppe.

Vittorio Amedeo

Id. id.

Moncalieri 16 agosto 1796.
La gradita rimembranza che serbiamo della distinzione e prova di valore di intelligenza e di vivo zelo che il cav. Felice Costantin di Castelnuovo Capitano delle Nostre truppe di fanteria e Luogotenente di bordo, ci ha dato mentre sosteneva il comando dei Nostri legni in Sardegna, nella fruttuosa difesa de La Maddalena e S. Stefano, state in principio del 1793 investite dalla flotta francese, accrescendo in noi la soddisfazione che ci risulta dall’attività et attenzione onde ha egli fin’ora contrassegnato i suoi servigi alla Nostra marina, ci vediamo invitati, ora che dopo essere caduto nel giugno 1794, prigioniero di guerra nella nostra fregata L’Alceste , trovasi egli libero, a mostrargli il conto che facciamo delle commende voli sue prerogative e di essere perciò disposti a rendergli ragione dell’anzianità che può tornargli nelle suddette Nostre truppe di fanteria, ci siamo degnati decorarlo del grado di Luogotenente Colonnello nelle medesime.

Vittorio Amedeo

Per i sottufficiali istituì la medaglia al valore e la prima medaglia d’oro spettò a Domenico Millelire, con la motivazione: Per avere ripreso al nemico l’Isola di S. Stefano e per la sua valorosa difesa dell’Isola de La Maddalena contro gli attacchi della squadra navale della Repubblica francese.

Al lume di questi documenti la figura del più popolare eroe sardo del 1793, non risulta per nulla sminuita; al contrario balza anzi ingigantita, perché un Eroe è tanto più grande se emerge su una moltitudine di eroi invece che di inetti (come può aver fatto supporre alla credenza popolare l’avere lasciato nell’ombra le figure dei comandanti e di tutti gli altri partecipanti all’azione). E l’alto elogio tributatogli dal de Costantin assurge a maggior significato specialmente quando aggiunge pronto esecutore dei miei ordini perché dimostra l’osservanza della più salda disciplina da parte dell’allievo. Disciplina non passiva, meccanica, ma infiammata d’intelligente ardimento. E, anche per questo è bello che il nome di Domenico Millelire splenda oggi sulla prora dell’agile nave che vigila i mari dell’Italia assurta a grande Potenza in virtù dell’alto spirito di disciplina che la ferrea volontà del Capo ha dato al suo popolo.
La relazione smentisce inoltre le spiritose arguzie dello storico francese. I comandanti militari agirono con unità d’intenti, nonostante le difficoltà di mantenere il più stretto collegamento, come si può desumere dal rapporto del comando della Gallura, La decisione dei 400 volontari fu di così immediata attuazione da non consentire di prevenirne il comando de La Maddalena. Vittorio Emanuele I da prima riconfermava (il 1 aprile 1815) le ricompense istituite dal suo predecessore, ma poi quasi subito (14 agosto successivo) la soppresse creando invece l’Ordine Militare di Savoia; conferendo la qualifica di Cavaliere semplice a coloro ch’erano già insigniti della medaglia d’oro al valore e quella di Milite a chi in precedenza era stato decorato della medaglia d’argento. Il 26 marzo 1833 Re Carlo Alberto istituiva un nuovo distintivo d’onore consistente in una medaglia coniata in oro o in argento onde premiare secondo i casi, le azioni di segnalato valore militare. Di tali medaglie potevano essere fregiati ogni militare di qualunque grado sia fra li generali, uffizi ali, bass’uffiziali e soldati di qualunque corpo ed arma delle nostre Armate, tanto di terra come di mare… ed i decorati godranno degli stessi onori e privilegi stabiliti per i Cavalieri ed i Militi dell’Ordine Militare di Savoia . Questo decreto stabiliva un soprassoldo di lire 50 a per raduna medaglia d’argento e di lire 100 per cadauna medaglia d’oro ammettendo il cumulo di soprassoldi).
Devo queste notizie sulla genesi della Medaglia al Valore, al Generale Conte Nicolò Giacchi Comandante la Divisione Caprera .

Maddalena potesse ricevere soccorsi: con Fazione fulminea dai galluresi da bloccatore egli divenne bloccato.
I dissidi vi furono, ma dall’altra parte, e il peggior esempio d’insubordinazione lo dette proprio il Luogotenente Colonnello Buonaparte, redarguito per questo aspramente dal comandante la spedizione gen. Colonna Rocca Cesari. La prodezza non mancava né in lui né nei suoi compagni; mancava loro però, in quei giorni, la forza intrinseca che animava i nostri: la fede in Dio e la devozione al Re, nome che per i sardi s’identifica con anello di Patria, mentre gli altri non avevano per credo che… degli immortali principi.
Passati i primi momenti di bollente risentimento, in preda al quale concludeva un nuovo piano d’attacco contro La Maddalena con queste parole: Alla voce dell’interesse si unisce quella dell’onore. Per diverse e dissimili ragioni le armi della Repubblica Hanno subito un affronto, fatto esperto di uomini e di eventi, Napoleone mostrerà meglio di avere compreso questo principale fattore della vittoria sarda, allorché Generale dell’Armata d’Italia, pressato dal Direttorio per l’occupazione del Piemonte, scriveva a Parigi, al Ministro degli esteri, H Re di Sardegna con un suo Reggimento solo è più forte di tutta la mia armata .
Las Cases, nel Memoriale racconta che l’Imperatore aveva sempre in mente di scrivere di suo pugno un capitolo su  l’assedio de La Maddalena. È molto probabile che nella solitudine di S. Elena, nei momenti di più grande sconforto, ripensasse a quegli intrepidi sardi fedeli al loro Re in buona e in avversa fortuna. Per la vita e per la morte.