Co.Ri.S.MaIl mondo della pescaLa Maddalena Antica

Pescatori già presenti a La Maddalena

La pesca in Sardegna era di tipo stagionale (usualmente da aprile ad ottobre).
Con le reti da posta si pescavano soprattutto scorfani, dentici, occhiate, triglie, cernie e merluzzi mentre con le nasse di giunchi si pescavano aragoste, murene, gronchi e polpi. Inoltre, in particolari fondali, si prendeva il corallo utilizzando uno specifico attrezzo chiamato “ingegno” (u’ ngegno in dialetto ponzese). Prima della inizio della Seconda Guerra mondiale come pure immediatamente dopo, si usavano anche i “palangari” o “palamiti”, chiamate “coffe” dai pescatori ponzesi, per la pesca di spigole, orate, saraghi e soprattutto di naselli e pesce spada. Verso il 1945-46 cominciò a diffondersi la pesca di pesce azzurro di superficie (castardelle) utilizzando reti a circuizione che si tiravano a bordo della barca e nello stesso tempo iniziò la pesca di pesce azzurro di fondale (sardine, alici o acciughe, lacerti o sgombri, sauri o sugherelli o saurielli, palamite e tonni) con l’impiego di “lampare”, barche da pesca che utilizzavano reti a circuizione e lampade per attrarre il pesce.
Qualche anno dopo le barche da pesca chiamate Cianciole o Saccalene (in Toscana) cominciarono ad utilizzare tecniche avanzate di pesca con reti a circuizione molto lunghe e alte e l’ausilio di due barche piccole con luci potenti per attrarre il pesce. Nei primi anni la rete si tirava a bordo “a mano” mentre successivamente fu installato sulla barca-madre un sistema automatico con l’uso di verricelli. Poi dal 1980, vengono utilizzate moderne tecnologie per individuare il pesce. Bisogna comunque precisare che le varie tecniche di pesca che prevedono l’impiego di palamiti, nasse e reti sono ancore utilizzate nella moderna pesca nel mare .

Acciaro Giuseppe, nato nel 1847.

Acciaro Nicola, nato nel 1814.

Antonetti Antonio, nato nel 1846, residente in “via Castello”.

Atzeni Pasquale “Musumartè”.

Aversano Claudio

Avolio Pasquale “Calino”.

Avolio Giovanni

Avolio Giuseppe “Capurà”.

Caucci Nunzio, nato nel 1882, ebbe 5 figli.

Colonna Antonio, nato nel 1895, morto nel naufragio della S. Giuseppe del 1910.

Conti Gennaro, nato nel 1873.

Conti Raffaele, nato nel 1847, ebbe sei figli.

D’Agostino Ercole

D’Agostino Salvatore “”Cinghià”.

D’Agostino Luigino “Barbò”.

D’Agostino Raffele “Fiarè.

D’Agostino Giovannino “Padana”, morto dilaniato da una bomba.

D’Arco Giuseppe “Pallecchia”.

D’Arco Gabriele

De Giovanni Antonuccio, il padre veniva da Ponza, ma era contadino, come molti conterranei, e lavorava nella zona a nord-est della Peticchia, chiamata Punti Russi. Antonuccio morì sulla sua barca, nel 1947, mentre cercava di aprire un bossolo per ricavarne esplosivo, fortunatamente il resto dell’equipaggio rimase illeso.

Demeglio Pietro

Demeglio Antonio “Ciommu”

Di Fraia Francesco

Di Fraia Giuseppe

Di Fraia Pasquale “Scialò”, nato nel 1891.

D’Oriano Gaetano

D’Oriano Procolo

D’Oriano Gennaro

D’Oriano Pasquale

D’Oriano Nardellu

D’Oriano Andù, tutti figli di Procolo.

Ferracciolo Salvatore “Pasedda”

Giudice Giovanni “Pallottì“, abitante in via Balbo.

Giudide Giuseppe “Stacchiò”

Giudice Silverio “Siluè”

Grieco Gennaro, segretario della Società dei Pescatori, nonchè consigliere comunale nelle elezioni del 1920.

Grieco Emilio

Lubrano Salvatore

Meloni Teramo, abitante in via Cristoforo Colombo.

Morello Gaetano

Morello Giovanni “Minchianera”, per chi non lo sapesse, è stato il maddalenino più longevo, avendo raggiunto la bellissima età di 105 anni, trascorsi per la maggior parte in mare. A soli otto anni riesce a costruire le nasse meglio del padre. Molto intelligente e determinato a 12 anni diventa capobarca e con quattro padri di famiglia si dedica alla pesca con le nasse e con le coffe (palangari). Giovanissimo partiva da La Maddalena con la sua Aurora a vela e con un piccolo motore ausiliario verso Castelsardo per pescare, spingendosi fino a Cala Gonone.
Lo ricordiamo lucido e sempre arzillo anche se nella sua lunga vita di pescatore di momenti terribili ne ha passato. Uno di questi è quello che si potrebbe definire alla deriva.
Siamo negli anni 30, Giovannino giovane e fresco sposo decide con il suo equipaggio di andare a gettare le nasse in Corsica, per poter prendere un bel po’ di pesci dato che il mare lì è sempre stato molto pescoso. Arrivati dopo ore di vela e motore nei pressi di Santa Manza cominciano a calare le nasse.
Passate alcune ore improvvisamente si alza un forte vento di ponente con onde altissime sempre più minacciose. Giovannino ordina al marinaio più giovane di riempire il serbatoio di gasolio e mettere subito in moto per tornare indietro.
Ma il giovane, forse impaurito dal vento che nel frattempo era aumentato di intensità, fa cadere il bidone sul serbatoio, che così si rompe bloccando il motore. Disperazione a bordo. Vento sempre più forte. Nel tentativo estremo di issare tutte le vele l’albero si rompe, lasciando così la barca che senza governo va alla deriva in un mare sempre minaccioso. L’equipaggio assiste impotente le onde e le correnti spingono la barca sempre più lontano, sempre più verso l’ignoto. Dopo alcuni interminabili giorni, il vento sembra placarsi. Miracolosamente il vento cambia spingendo così la barca, verso terra, verso casa. In paese le donne già si vestono a lutto. La disperazione aveva preso il sopravento, ormai erano passati molti giorni senza notizie dei propri cari. Passano altri interminabili giorni. La barca senza governo prosegue la sua corsa. I poveri marinai ormai allo st remo non hanno più forza, sono al limite. Lontano Giovanni vede qualcosa a lui familiare: l’imboccatura del ponte di Caprera. Era la salvezza con un ultimo sforzo getta l’ancora per fermare la corsa della barca aspettando così la salvezza.
La barca semi distrutta con i poveri marinai ormai privi di forze, viene avvistata da alcuni pescatori che si trovavano nei pressi del ponte. Vengono soccorsi e portati nel vicino ospedale militare per essere curati; all’ospedale arrivano anche i famigliari, che ormai avevano perso ogni speranza e sono abbracci e lacrime per lo scampato pericolo. Tutto ciò accadde negli anni 30.
Passano molti anni ancora, Giovannino continua a pescare con le nasse sulla sua Aurora, ma ancora il mare voleva metterlo alla prova, voleva vedere il valore di questo uomo, che già aveva lottato contro di lui e l’aveva sconfitto.
Anni 50 si decide con l’equipaggio di andare a gettare le nasse dietro Caprera, dove si diceva si potesse fare una buona pesca. Dopo aver calato due partite di nasse (part ita sta per un gruppo di 10 o 15 nasse), il mare si accanisce nuovamente contro gli uomini. Il motore si ferma, alzano le vele e Giovannino mette al timone un suo uomo con la raccomandazione di non forzare molto per evitare di romperlo.
Uno sbaglio e il timone si spezza gettando tutti nella disperazione. A questo punto esce il coraggio e la forza dell’uomo di mare che lotta contro di lui sapendo di trovarsi lontano dalla costa. Si trovavano nella zona denominata Sperduti di Caprera e vi era il rischio che il vento li portasse in canale verso il continente. Giovannino, uomo forte, decide di fare una cosa rischiosa che richiedeva forza di volontà e forza di braccia.
Con gli uomini ai remi, Giovannino prende l’ancora che aveva a bordo e comincia a lanciarla verso la costa. Una volta toccato il fondo la issava a bordo facendo così avanzare lentamente la barca, che gli uomini cercavano di aiutare con la vogata ai remi.
Un operazione ripetuta numerose volte tanto da ottenere l’effetto desiderato.
Arrivare a terra, arrivare al riparo dal vento, così da poter attendere con tranquillità che il vento si placasse e poter tornare in porto. Forse stanco della vita a mare e dopo averne passato per oltre un ventennio, decide che era giunto il momento di stare sulla terraferma. Farà il fanalista altro lavoro a contatto con il mare. Avendo famiglia assai numerosa, dopo aver espletato le sue mansioni di fanalista, lui buon conoscitore dei post i più pescosi con la sua barca usciva in mare per pescare qualcosa così da incrementare gli introiti. La vita trascorre tranquilla al fanale, ma sta per accadere qualcosa che lascerà il segno nel cuore dell’uomo che aveva sfidato il mare.
Giovannino arriva a casa portando con sé un bel po’ di cozze che forse gli sono state regalate; decidono di cucinarle, tutti in tavola cozze per tutti, adulti e bambini. Si mangia in allegria. Dopo alcune ore, mentre Giovannino era ritornato a pescare, due suoi figli Angelo e Anna ed un figlio del fratello Domenico, Mario, cominciano a star male. Una parola aleggia nell’aria Tifo!
Siamo nel 1942; se non curato si muore.
Purtroppo ancora una volta il destino si accanisce contro. Il piccolo Angelo morirà quasi subito, mentre la piccola Anna, dopo una lunghe sofferenze, raggiungerà il fratellino in cielo; il cuginetto Mario lotterà con tutte le forze e riuscirà a sopravvivere. Superata anche questa prova drammatica Giovannino attorniato dai suoi numerosi figli continuerà il suo lavoro di fanalista fino a raggiungere l’età della pensione. Ancora oggi viene ricordato per la sua memoria e la sua capacità di ricordare tutto della sua lunga vita.

Murasso Giò Battista, nato nel 1864.

Orlando Pietro di Giosuè.

Piras Battista

Pirino Antonio “U’ Portotturesu”. Nel panorama maddalenino del mondo della pesca una piccola parte spetta a Antonio Pirino noto come U’ Portotturesu per le sue origini. Nasce infatti a Porto Torres nel 1912. Il suo arrivo a La Maddalena ha delle date contrastanti tra loro; da un documento ci risulta residente fin dalla nascita, ma la chiamata alle armi gli viene trasmessa a Porto Torres nel 1930, anno in cui servirà la Marina con il grado di marò. È un abile uomo di mare, come si evince dal suo libretto di navigazione in cui figurano numerosi imbarchi sia su barche da pesca sia su barche da traffico (la mitica Rondinella) poi come capo barca in vari pescherecci come Mariella, Santo Padre, Rutenio, Medusa e Giorgione. Fino al 1970 solcherà il nostro mare con varie fortune. Dai pescatori che frequentavano il molo (Cala Gavetta) era conosciuto per la sua allegria e per la capacità di capire e conoscere i posti.
Personaggio simpatico, ha al suo attivo alcune comparse in film girati nelle acque dell’Arcipelago. Con le sue barche porterà i sub a fare immersioni e pesca subacquea; numerose foto lo immortalano mentre issa dei grossi pesci pescati dal suo equipaggio. Il suo ultimo imbarco terminerà nel 1972 al comando del Giacomo padre un imbarcazione per traffico locale (trasporto di persone e cose da La Maddalena a Palau e viceversa). Anche da anziano continuerà a frequentare Cala Gavetta per dare consigli ai giovani pescatori. Si addormenterà nel sonno dei giusti nel 1977 lasciando un dolce ricordo a tutti quelli che lo hanno conosciuto.

Scotto Michele (Zì Christu), è forse uno dei più famosi uomini di pesca della nostra isola, nacque a La Maddalena il 15 maggio 1815 da Vincenzo e Firmina Scotto entrambi provenienti da Procida Era riconosciuta a lui la devozione alla Madonna, tanto da far portare al collo di ogni figlio la medaglia della Madonna. Si racconta che un giorno mentre rientrava da una giornata di pesca all’improvviso scoppiò un temporale con forte vento di maestrale e grosse onde, che rendevano la barca ingovernabile, esponendo lui e il suo equipaggio a un grave pericolo. Zi Christu comincia a pregare invocando con fervore la Madonna del Carmine. Dopo immani sforzi riesce come per miracolo a salvare barca e t ut to il suo equipaggio. Essendo sicuro dell’intervento della Madonna, in segno di devozione ricava una nicchia nella roccia a mo’ di grotta, vi colloca un quadretto della Madonna del Carmine ed ogni venerdì lui o uno dei suoi figli va ad accendere un lumino. Ma il tempo e la salsedine rovinano il quadro, così la famiglia Scotto lo sostituisce con una piccola statua della Madonna, che diverrà oggetto di culto dei pescatori della zona. Ogni pescatore che passava davanti alla Madonnetta, nei pressi di Cala Francese, faceva il segno della croce verso la chiesetta che era stata eretta nel 1923 grazie all’interessamento del signor Giovanni Maria Pitturru, capoposto della batteria Ermanno Carlotto.

Semeria Pasquale

Spinelli Luigi “Magrò”, di Francesco, velaio di Oneglia.

Zonza Sebastiano, morto nel 1866 a Porto Pidocchio, a causa del vento che fece rovesciare la barca.

Rivieccio Pasquale “Squarciò”, morì a 47 anni nel 1951, mentre cercava di aprire un bossolo, insieme a Cosimo Carta.

Parzialmente tratto da “Il mondo della pesca” – Co.Ri.S.Ma – Giovanna Sotgiu e dal libro “Storie di mare” di Vincenzo Del Giudice – Per acquistare il libro contattare delgiudicevince@libero.it