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Pompeo Susini

Poco si sa di questo personaggio che visse quasi tutta la vita lontano dalla Maddalena. Figlio di Pietro e di Maria Zonza, era nato il 12 novembre 1844; fu battezzato dal torinese Pompeo Plovano e questo può spiegare il nome attribuitogli, inusuale nella famiglia Susini. (Il nome completo è Pompeo Giovanni Battista, ma fu sempre indicato, anche nei documenti ufficiali che lo riguardavano, come Pompeo)

Non aveva nemmeno 16 anni quando partì per raggiungere Garibaldi impegnato in Sicilia nella spedizione dei Mille. Non era estraneo a questa decisione lo zio acquisito Agostino Nicolari, che, infatti, lo aveva accompagnato all’imbarco a Genova, il 10 luglio 1860, con la comprensibile soddisfazione di vedere i giovani della famiglia della moglie partecipare vivamente alle lotte per l’unificazione e con la punta di preoccupazione per l’età del ragazzo che, confuso con i circa 1500 volontari in partenza, si affrancava all’improvviso da qualunque protezione per affrontare, da solo, situazioni incerte e pericolose.

Pompeo aveva lasciato alla Maddalena una famiglia certamente orgogliosa ma trepidante alle notizie degli scontri che segnavano l’avanzata dei garibaldini. L’eco della battaglia di Milazzo del 23 luglio era arrivata anche all’isola: si sapeva che i garibaldini, pur avendo avuto ragione dei borbonici, avevano subito molte perdite, quantificate, in seguito, in 800 fra morti e feriti; si sapeva pure che l’ultimo contingente di volontari partiti da Genova non aveva fatto a tempo neanche a sbarcare sul suolo siciliano perché, trasbordato su un’altra nave, era stato portato sul fronte a rinforzo delle truppe impegnate presso la città.

Il 27 luglio ancora nessuna notizia: si pensava al peggio. Anche Nicolari, che si sentiva responsabile della incolumità del suo giovane nipote, si mostrava “inconsolabile”. Il 7 agosto il suo amico Giorgio Asproni, che a Palermo aveva cercato inutilmente tracce del giovane, pregava Crispi di “spedire un telegramma a Messina per avere notizie di Pompeo Susini, che dopo la battaglia di Milazzo non scrisse più e si dubita se sia vivo o morto”. Dalla Maddalena Anna Maria Susini scriveva a Menotti Garibaldi pregandolo di informarsi sulla sorte delle due persone che in quel momento le stavano più a cuore: il giovane fratello Pompeo e il fidanzato Augusto Fortuna, anche lui in Sicilia a combattere. Menotti rispondeva da Villa San Giovanni il 24 agosto 1860: “Gentilissima signora – Ho ricevuto con piacere la sua gentile lettera, solamente la prego a non usar con me tanta etichetta; del signor Fortuna non saprei dargliene notizie perché non so se sia con noi. Non dubiti che gli scriverò subito appena ne abbia notizie; io ne farò tutte le indagini possibili. Suo fratello non ho ancora avuto la fortuna di incontrarlo; ma credo che avrà in me un’amico che gli sarà utile in tutto ciò che potrà. Alla famiglia Susini noi siamo debitori di tante cure che hanno avute in 49 per nostro padre! Tanti saluti da parte mia a tutta la sua famiglia. Addio. Mi creda sempre il suo servo ed amico, Menotti Garibaldi. La prego a salutarmi la famiglia Bottini e tutti gli amici della Maddalena e di Caprera“.

Non sappiamo niente di quei mesi, ma non c’è dubbio che Pompeo abbia avuto un ruolo non di secondo piano nei combattimenti vittoriosi contro i borbonici, perché, malgrado la giovanissima età, quando finalmente si rifece vivo tranquillizzando quanti erano stati in pena per lui, aveva i gradi di sottotenente che mostrava, fin da ottobre, a Palermo, all’amico Asproni: nel primo assalto era stato ferito ad una gamba e ricoverato in ospedale: la stampa locale si era interessata di lui pubblicandone brevemente la vicenda. In seguito, entrato nell’esercito regolare, fece una brillante carriera arrivando al grado di colonnello.

La prima decorazione ricevuta, da volontario, fu la medaglia in rame concessagli per i “fatti avvenuti per la liberazione della Sicilia nel 1860”, alla quale seguirono quelle conseguite nell’esercito regolare. Nel 1865, da sottotenente del 15° Fanteria, ricevette la medaglia commemorativa delle guerre combattute per l’indipendenza e l’unità d’Italia per gli anni 1860-61. Nel 1891, da capitano del 10° Reggimento Fanteria, fu nominato cavaliere dell’ordine della corona d’Italia; quindi, nel 1900, cavaliere dell’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro e, nel 1901, dopo 40 anni di servizio, fu autorizzato “a fregiarsi della croce d’oro sormontata dalla corona reale”. Collocato a riposo con la posizione di colonnello, il 20 dicembre 1905, gli fu attribuita l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia.

Muore a Genova il 26 maggio 1921.