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Rapporti col fascismo di Salvatore Capula

Furono, come già accennato, rapporti corretti formalmente e prudenti, determinati dalla necessità di preservare la libertà della Chiesa e dell’Azione Cattolica e di non provocare reazioni come quelle del 1931 pur senza cedere di fronte ai principi della fede e della morale. Don Capula partecipò alle manifestazioni pubbliche, benedisse cerimonie e anniversari, presenziò durante visite e incontri ufficiali, fu zelante nel collaborare alla raccolta di fondi per il regalo ai principi di Piemonte nel 1934, fu chiamato a decidere la distribuzione dei fondi regalati alla cittadinanza da Mussolini nella sua visita del 1935, fu designato membro di vari comitati di assistenza e di protezione antiaerea, lodevolmente propose, a nome dei fedeli, l’intestazione di una via ad un cappellano delle Camicie Nere, don Reginaldo Giuliani, la cui vicenda aveva commosso l’Italia. (1) Ma si oppose strenuamente all’apertura della casa di tolleranza nel 1936, che, fra l’altro, avrebbe dovuto sorgere nelle vicinanze della chiesa, in via Agostino Mil-lelire, appoggiando la raccolta di firme dei capi famiglia; anche quando fu trasferita a Piticchia lottò perché ” nel nostro paese non sorga un caseggiato che tuteli l’immoralità” ricordando “gli inconvenienti di altra casa di corruzione tra via Balbo e in via Maggior Leggero e poi chiusa”. Ancora nel 1943 scriveva: “Abbiamo penuria di pane di abiti di scarpe di medicine di vino di tabacco forse anche di armi. Abbonderemo solo di donne. Né debbo credere che in tempo di guerra la moralità pubblica non abbia importanza poiché il principio godereccio della vita non è il clima migliore per formare dei guerrieri. Seguendo i principi della fede credo che ciò prepari piuttosto alla sconfitta. Tuttavia ritornando i tempi della moralità è ben difficile respingere ciò che si è una volta accettato.”
Con lo stesso spirito si oppose anche alla pubblicazione di volantini giudicati salaci e osceni diffusi dai giovani fascisti per propagandare dei balli nel salone comunale anche se finalizzati alla raccolta di fondi.
Attività sotterranea, tenuta discretamente e senza clamore, fu quella dell’assistenza ai poveri senza distinzione di appartenenza politica, diventati più numerosi proprio nel primo periodo del suo mandato, quando la crisi internazionale colpì duramente La Maddalena con una disoccupazione che raggiunse livelli molto alti e provocò diversi flussi di emigrazione: furono migliaia i buoni per l’acquisto di chili e chili di pane pagati dal Parroco ai forni locali in favore delle famiglie bisognose, e ancora oggi rimane la memoria di pasti e viveri portati in maniera anonima dai giovani di Azione Cattolica nella case più povere.
Percorreva instancabilmente, a piedi (la bicicletta non era considerata mezzo confacente ad un prete), le strade del paese e spesso visitava le cave di Nido d’Aquila dove la sua azione pastorale difficilmente faceva breccia malgrado il rispetto di cui godeva anche fra gli scalpellini, prudentemente critici nei confronti del regime e della Chiesa.
Ebbe rapporti formali con podestà e con alcuni funzionari.
Anche in questi casi preminente era il suo ministero e lo dimostra l’insistenza nel voler porgere il sacramento dell’estrema unzione al podestà Azara malgrado il diniego della famiglia. Col solito tono lapidario annotava il 6 gennaio 1937: “È morto il cav Giulio Azara a 76 anni, podestà dell’isola. Ho avuto difficoltà ad avvicinarlo. Si arresero alla 4 volta che mi sono presentato. Lo confesso e comunico. Faticai assai per l’estrema unzione. Aveva perduto la conoscenza. I parenti temevano di turbarlo. Pur mantenendo rispetto alla religione. Era un uomo di buon senso, non colto ma pratico“.
La sua prudenza non lo aveva messo al riparo da qualche critica, probabilmente anonima, in base alla quale, nel 1935, il segretario politico provinciale chiedeva a quello locale, riservatamente: “Comunicami con urgenza e massima precisione se il sacerdote Capula Salvatore abbia tenuto (quando e come) un contegno avverso al regime ed al Partito se ed in quale circostanza, nell’esercizio del culto, in pubblico od in privato, abbia pronunciato frasi irriverenti all’indirizzo del Governo o del Partito, o comunque abbia svolto propaganda contraria alle organizzazioni fasciste”.
La risposta di Azzena: “Non risulta che il sacerdote Salvatore Capula parroco di questa sede abbia mai tenuto contegno avverso al regime. Risulta invece, che il suo contegno nell’esercizio del culto oltre ad essere improntato ad un regime di vita molto modesto ed umile, ha dato prove luminose di essere non solo patriottico ma simpatizzante, senza restrizione, verso il Regime. In non rare occasioni, durante il culto e fuori, il rev. Capula ha esaltato la figura del Duce. Ha mantenuto e mantiene rapporti di cordialità con le gerarchie tutte e con le autorità civili e militari“. Se con le gerarchie i rapporti potevano definirsi cordiali dal punto di vista formale, quello con il dott. Aldo Chirico, podestà dal 1938 al 1940, fu più stretto, forse addirittura amichevole.
Chirico fu sempre rispettoso con don Capula, rivolgendosi a lui con atteggiamento deferente e nello stesso tempo affettuoso fin dal loro primo incontro. Gli scriveva il 9 giugno 1934, giorno in cui il nuovo parroco si presentava alla comunità: “Egregio dott. Capula. Con l’animo lieto per la festa d’oggi, che è festa di Dio e di popolo, mi permetto inviarle un modestissimo ricordo: la penna che ha suggellato la presa di possesso della parrocchia di La Maddalena. La prego di scusarmi per questo mio atto che ha solo il pregio della spontaneità e della sincerità. Voglia gradire, egregio dott. Capula, i miei fervidi voti augurali e che la benedizione del Signore possa illuminarla nella sua futura non lieve fatica”. Nel periodo in cui Chirico fu podestà, il Parroco ebbe tanti piccoli aiuti per la Chiesa e per i parrocchiani in difficoltà. Riuscì, fra l’altro, a risolvere, anche se in via provvisoria, l’annosa questione dell’orologio pubblico della facciata per la cui servitù si era sempre inutilmente lamentato. Ebbe l’appoggio per progettare un restauro completo della chiesa che, però, non andò a buon fine. Divergenze di idee politiche, anche dopo la caduta del fascismo, non cambiarono i sentimenti dei due uomini. Alla morte di Chirico don Capula scrisse degli appunti per l’orazione funebre: “Per gli anni che ha vissuto, per l’attività professionale che ha esercitato, per i compiti e gli incarichi ricevuti, possiamo considerarlo un isolano. Era isolana l’aria che respirava, il cielo che gli piaceva, il mare, le amicizie. Fu primo cittadino dell’isola e ci teneva a figurare e a rappresentarla. Gli piaceva la politica e la vita pubblica, con tratto energico e rapido, aveva intelligenza e intuizione. Era oratore e giornalista di buna fattura, e come polemista non mancava di attrattiva anche quando la passione gli prendeva la mano. Sapeva riconoscere gli errori e dimenticare i torti. Era un credente senza rispetto umano, sentiva la messa la domenica e faceva la comunione a Pasqua. Una sorella piena di virtù e morta assai giovane, con responsabilità in azione cattolica, aveva lasciato nella sua coscienza un segno profondo della sua fede. … Quella luce davanti a lui non si spense mai anche quando la tentazione lo mise alla prova”.

Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma

  1. È la via a levante del palazzo comunale già intestata all’eretico Giordano Bruno, forse non a caso scelta per la nuova intitolazione! Giuliani era un nazionalista (aveva partecipato all’impresa di Fiume) e un fascista della prima ora, cappellano delle Camicie Nere. Pluridecorato, morì in battaglia nel gennaio del 1936 in Africa Orientale, mentre, pur essendo gravemente ferito, cercava di soccorreva i suoi commilitoni. La delibera podestarile di intestazione è del 27 dicembre 1937.