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Squarciò – Capitolo VIII

Squarciò, romanzo di Franco Solinas

Passò bene il tempo di quella vacanza, e la sera prima dell’ultimo giorno arrivarono Treddenti e Santamaria con un barile di vino.

La barca era di Treddenti e aveva il vecchio motore di Squarciò. Non parlarono durante il viaggio. Santamaria era irritato e silenzioso, seduto a prua, guardando verso il mare.

Aveva ormai sessant’anni, era il più vecchio. Secco e lungo come una canna, le spalle gli si andavano curvando.

Ogni giorno di più sembravano curve le vecchie spalle di Santamaria. Sessant’anni non sono troppi, ma per Santamaria lo erano, forse perché era solo e si accorgeva di non farcela più e aveva paura. Sarebbe stato diverso se tanti anni prima non gli fosse morta la moglie, o se i suoi due figli non lo avessero abbandonato perché avevano vergogna di lui che pescava con le bombe. I suoi due figli erano adesso uomini e avevano famiglia. Santamaria era già nonno, ma gli sarebbe piaciuto esserlo sul serio. Sarebbe stato diverso perfino se Treddenti avesse accettata la società con lui. Ma invece gli andava tutto male, e Santamaria si sentiva vecchio.

Squarciò non li aspettava e fu contento di vederli.
– Perché a quest’ora? – chiese.
– Fa più fresco, – disse Santamaria – e di notte si beve meglio.

Era già il tramonto, Squarciò tornava allora da caccia.

Mostrò agli amici un coniglio dal pelo nero e lucido come le penne dei corvi.
– L’hai tinto tu – disse Treddenti.
– No, è proprio così. È proprio nero!
– Impossibile, – disse Santamaria – non se ne sono mai visti. – Eppure l’ho ammazzato così. Sentite, è ancora caldo.

Essi palparono quel pelo, che sembrava anche più morbido.
– Bianchi e rossi sì, – disse Santamaria – se ne trova qualcuno: ma neri non se n’è mai visti.

Squarciò era orgoglioso di quella caccia, ed era contento che i suoi amici avrebbero poi potuto testimoniarla.

Treddenti aveva già sbarcato il barile. Diede a Santamaria due grandi teglie con il capretto e le patate arrosto.
– Dove ci mettiamo? – chiese a Squarciò.
– Dove volete. Possiamo andare in fondo alla spiaggia, c’è un angolo a ridosso sempre caldo.

Andarono là. Squarciò corse prima ad avvertire Rosetta che quella notte sarebbe rimasto con gli amici.

Era ormai buio. Le rocce sembravano morbide e spugnose, come fatte di rena e sul punto di sciogliersi nell’acqua.

Il granito bagnato aveva invece la lucentezza pesante delle carene tinte di fresco. Cresceva la luna sul mare.

Una luna grande e tonda, a un tiro di fucile, come si può vedere soltanto quando nasce dal mare.

Treddenti aveva acceso il fuoco, e sulla brace aveva posate le teglie. Squarciò tornava con un fiasco vuoto per travasare il vino. S’udiva a tratti il frullo d’ali dei gabbiani, che cercavano, nel buio, il nido fra le rocce.

Santamaria stava seduto da una parte e non parlava.
– Novità? – chiese Squarciò.
– Le solite. Ah! – disse Treddenti – il cacaspiagge nuovo ti sta cercando.
– Gli hai detto che sono qui?
– Certo, gli ho detto di non preoccuparsi.
– E del motore glielo hai detto?
– Di quello no. Puoi sempre fargli una improvvisata.

Si sedettero in cerchio sulla sabbia, con le teglie al centro. Squarciò aveva riempito il fiasco, e l’unico bicchiere andava in giro con ordine, quasi a tempo.
– Come va la pesca? – chiese Squarciò. Treddenti disse:
– Andrebbe bene se non fosse per lui, che ti può capitare addosso da un momento all’altro. Fortuna che non sa ancora i posti!
– E il motore come ti va?
– Meglio dei remi, ma c’è da pagare la benzina.
– Tu?

Santamaria mangiava in silenzio. Bevve il vino di un sorso, poi si volse a Squarciò.
– È tanto, – disse – che non esco per mare.
– Si vede che non ce ne hai bisogno.
– No, non ne ho voglia.
– Santamaria sta invecchiando! – disse Treddenti.
– Ma non fa fesserie Santamaria… – disse Santamaria.
– Che ha fatto? – chiese Squarciò, indicando Treddenti.
– È innamorato. E indovina di chi! Diglielo Treddenti di chi ti sei innamorato!
– Perché, non ti piace?
– Certo è bella e quasi giovane, soltanto che è troppo frequentata.
– Be’? Vuol dire che ci sa fare.

Squarciò si divertiva ad ascoltare queste storie. Gli piaceva, ogni tanto, ascoltare i fatti degli altri. Se ne avesse avuto il tempo, e se lo avesse mai fatto, sarebbe stato un buon lettore di romanzi.
– Tutti i soldi che guadagna li dà a lei, una puttana! – diceva Santamaria.
– Sono tutte uguali – disse Treddenti.
– E te la sposi? – chiese Squarciò.
– Magari.
– Così vivrebbe di rendita.
– Auguri, allora!
– Grazie, sarebbe una sistemazione.

Il vino era denso e forte. Lo bevevano senza fretta, gustandone anche l’ultima goccia che rimaneva nel bicchiere.
– In fondo, si potrebbero mettere nasse e palàmiti, e prendere conigli con i lacci. Io non ci tornerei più al paese – disse Santamaria.
– Neanche per il vino? – chiese Treddenti.
– Una volta ogni tanto a farne provvista. Che ne dici, Squarciò?
– Dico che alla fine si morirebbe di noia.
– E invece è una buona soluzione per la vecchiaia.
– Sei tu vecchio – disse Treddenti.
– Perché ho cinque anni più di te?
– Sono tanti.
– Secondo per chi – disse Squarciò.
– Che ne sapete voi? Io li ho passati, e oggi come cinque anni fa è lo stesso.
– Storie, – disse Treddenti – ha ragione Squarciò. Se uno non si sente vecchio non se ne accorge.
– Quando non ci hai più niente da fare sei un vecchio – disse Squarciò.
– Quando non ce la fai più a guadagnare o a fare l’amore.
– Ricomincia con la puttana! – disse Santamaria.
– Perché non ci provi, allora?
– Possiamo scommettere. Vuoi che provi con lei?
– Basta che paghi.
– Non sei geloso? – chiese Squarciò.
– Se paga non sono geloso.
– E anche tu paghi con lei! – disse Santamaria.
– Non pago, le regalo soldi.
– E se non glieli regali, neanche lei ti dà nulla. Sei soltanto un cliente un po’ più fesso degli altri.
– Non è vero! Mi riceve anche se non ho soldi.
– Si vede che hai ormai pagato tante marchette da bastare per un vitalizio.

Treddenti terminò di disegnare sulla sabbia. Era una figura grande, con due mucchietti di sabbia come due mammelle. Intorno al viso, i capelli tutti segnati a strisce, lunghissimi. E sotto scrisse un nome, poi cancellò, poi lo scrisse di nuovo.

Cominciavano a sentirsi ubriachi. Il vino non finiva mai. Per chi è abituato a bere, essere ubriaco di vino non vuol dire dimenticarsi di tutto ciò che dà noia. Non è giusto dire che chi beve dimentica, perché neanche Santamaria riuscì a dimenticare ciò che voleva.

Allungò le braccia davanti a sé, e vide le sue mani che tremavano.
– Mi tremano le mani – disse. Ma nessuno lo intese.

Treddenti cominciava a cantare e Squarciò camminava lungo la riva.

Squarciò credeva di non aver niente da dimenticare, e pensò all’indomani quando avrebbe provato il motore nuovo. Ora i suoi piedi pestavano l’acqua, ma lui non se ne accorgeva. Camminò finché durava la spiaggia.

Tornando, udì di nuovo il canto di Treddenti che prima era andato affievolendosi. Una vecchia canzone dell’isola che anche lui conosceva bene. «È proprio innamorato!» pensò.

Quant’è bella la marina quando attracca il vapore i tuoi occhi Caterina mi hanno ormai rubato il cuore.
«Che mi importa se è una puttana!» pensò. Poi riprese a cantare.
Non ti posso mai sposare perché è robba da signori ma ti posso assicurare che se tu mi lasci muori.

Forse proprio perché non aveva più che tre denti, cantava con una voce così calda e melodiosa. Santamaria prese il fiasco ancora pieno a metà e si mosse verso Squarciò.
– Ne vuoi? – gli chiese.

Squarciò ne bevve un lungo sorso. Poi gli disse:
– Un motore nuovo, Santamaria. Quindici miglia! Quindici miglia sono tante. Un motore marino con i pezzi di rame così non si ossidano mai. Quindici miglia: lo sai Santamaria?
– Che mi frega! – disse Santamaria.
– Vuoi venirci quando lo inauguro?
– Che mi frega! Il motore è tuo. Vedi? Mi tremano le mani.
– È un grande motore. È l’ultimo motore. Un motore che fa quindici miglia a pieno carico!

Santamaria bevve il resto del vino, e barcollò un poco all’indietro, poi lanciò il fiasco sul disegno di Treddenti.
– Ecco, – disse – abbiamo finito anche il vino.

Treddenti non sollevò neppure la testa. Prese il fiasco e cercò di adattarlo al suo disegno.
– Tu te ne freghi, non io! – disse Santamaria. – Te ne freghi di tutti. Pure di Domenico. Te ne sei subito dimenticato.

Squarciò smise di pensare al motore.
– Cosa c’entra? – disse.
– Se non era per te non moriva.
– Quando uno deve morire, muore lo stesso.
– Ma non così moriva e neanche così presto.
– Sei ubriaco, Santamaria. Non c’entra niente, abbiamo fatto la colletta, abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare. Abbiamo fatto tutto, Santamaria, e nessuno lo farà mai per me. Non c’entrava niente, Santamaria.

Squarciò aveva allungate le mani, e ora gli stringeva il collo, ma non forte. Cominciò a spingerlo indietro, senza sapere ancora cosa farne, e Santamaria lo guardava con gli occhi spalancati. – Non puoi farlo, Squarciò, lo sai che sono vecchio.

Prendimi con te, Squarciò. Facciamo società noi due! Squarciò allentò la stretta.
– Vattene dai tuoi figli – disse.
– Lo sai che non posso.
– Ti aiuteranno se ci andrai. Anche i miei figli mi aiuteranno quando ne avrò bisogno. Non è vergogna, Santamaria.
– Io non posso farlo. Non posso più farlo, adesso. E non posso fare più niente. E puoi anche ammazzarmi se lo vuoi, tanto è lo stesso.

Stava per terminare la notte. La luce della luna si illanguidiva in un alone sempre più sbiadito. Una leggera brezza increspava appena la superficie del mare e annunciava l’alba.

Squarciò pensò che era ormai ora di tornare. Treddenti dormiva sul suo grande disegno. Santamaria raggiunse la barca, si sdraiò sulla prua, e si fece dondolare guardando il cielo che diveniva grigio chiaro.

I piedi di Squarciò lasciavano orme profonde nella sabbia umida. L’aria era fresca e odorava di mare. Apparve un coniglio sullo scrimolo di granito, rimase un attimo profilato nel cielo, poi andò senza correre ad intanarsi.
– Con la luna piena, i conigli mangiano di notte e di giorno dormono – disse Squarciò a voce alta.

I cannoni gli sembrarono arnesi anche più assurdi, in quella luce senza ombre. Quando entrò, vide Rosetta sveglia ad aspettarlo.
– Sei sveglia? – le chiese.
– Ho dormito fino adesso. Ti sei divertito?
– Un po’ – disse e intanto guardava Bore e Antonino, guardava Diana, tutti addormentati sui loro sacchi di sabbia.

Angelo stava supino, con le labbra socchiuse come se sorridessero.
– Fra un po’ partiamo, è quasi l’alba – disse Squarciò, e si sedette sul materasso. Rosetta sentì il suo fiato di vino, ma le piacque lo stesso avere lui accanto.
– Ti sei divertita? – le chiese Squarciò.
– Sì – disse Rosetta.
– Un altr’anno lo rifacciamo.
– Sì.
– Oggi mi danno il motore nuovo. Un motore che fa quindici miglia. Sai che vuol dire?
– Sì, quindici miglia sono tante.
Antonino si svegliò a sentirli parlare.
– È già ora? – chiese.
– Dormi, è ancora notte – disse Squarciò.

Rosetta si era messa di fianco per lasciargli il posto sul materasso. Squarciò le chiese:
– Ti puoi lamentare di qualche cosa?
– No – disse Rosetta. – Va tutto bene.

Come Squarciò le si stese accanto, Angelo cadde dall’altra parte, ma continuò a dormire senza svegliarsi.