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Squarciò – Capitolo XI

Squarciò, romanzo di Franco Solinas

La casa di Treddenti era chiusa. In osteria non c’era, e neanche allora Santamaria seppe dire a Squarciò dove poteva trovarlo. La casa di Giannina era un po’ fuori paese, una casetta a un piano dipinta di rosa pallido. Squarciò andò là, e dovette aspettare prima che Giannina venisse ad aprirgli.

Poteva avere quarant’anni, ma aveva la faccia ancora fresca, e poteva averne anche di meno. Le mani, invece, erano tozze e ruvide, con le unghie tutte mangiate. Aveva solo un’ombra di rossetto e poca cipria. I suoi capelli rossi erano neri per un centimetro dopo la radice, ma erano bei capelli, lunghi e sottili, e Giannina sapeva che stava bene a tenerli scarmigliati e sciolti sulle spalle. Portava una camicetta scollata sul petto largo e bianco. Era più alta di Squarciò, e quando camminava era bella.

Aprì e sorrise subito come se Squarciò fosse stato un vecchio amico.
– Come mai, Squarciò? – gli disse.
– Mi conosce? – chiese Squarciò meravigliato.
– Ti conosciamo tutti, almeno di lontano. Entra. Ci ho pensato qualche volta che potevi venire a trovarmi.
– Sono venuto per Treddenti – disse Squarciò, guardando con impaccio il letto a una piazza e mezza.
– Lui non ce l’avrebbe a male. Siamo d’accordo così, fino a sposarci.
– Sì, ma io voglio vedere Treddenti. Com’è che non si fa più vedere?
– Io lo vedo sempre. Sempre ogni notte. E di giorno lavora.
– A pesca?
– No a pesca, per finire come uno s… Vende il formaggio, adesso che ha il tuo motore. Lo va a comprare dai pastori, e lo vende all’isola. – Formaggio? – a Squarciò veniva da ridere. – L’hai convinto tu?
– Certo, se mi vuole sposare. Lui fa il suo mestiere, io il mio. Quando abbiamo soldi abbastanza, vendiamo anche casa, barca e motore, e ci sposiamo. Non ti piace?
– Regolarissimo, se piace a voi.
– A me piace, e deve piacere anche a lui se mi vuole sposare.
– Va bene. Io volevo parlargli, a Treddenti.
– Non rompergli i c…, Squarciò. Lascialo in pace. Ho faticato tanto a trovarne uno!
– Puoi stare tranquilla, gli chiedo solo un favore.
– Vuoi soldi?
– No, un favore.
– Se hai soldi da darmi, puoi chiederlo anche a me un favore.
– No, devo vedere Treddenti.
– Va bene. Ma se volevi, guarda che lui non se l’ha a male, basta che paghi.
– Non mi piace pagare in queste cose. Dove posso trovarlo?
– Sarà al mercato a quest’ora.
– Allora a rivederci.
– Non romperci i c…, Squarciò.
– Stai tranquilla.

Giannina lo guardò andar via, ma non ne considerò la faccia, o le spalle, o il modo di camminare, come avrebbe fatto un’altra donna. Perché, se non pagava, neanche Squarciò poteva interessarla.

Squarciò trovò Treddenti, che pesava forme di formaggio.
– Ciao – gli disse.
– Ciao, – disse Treddenti – eri sparito.
– Tu sei sparito. M’ha detto Giannina che stavi qui.
– L’hai vista?
– Sì, sono andato a casa sua, poco fa. – È bella, no?
– Una bella donna.
– Hai visto? Vendo formaggio.
– M’ha spiegato tutto lei. Senti…
– Perché ci dobbiamo sposare. Poi smette anche lei.
– Me l’ha detto. Senti…
– Sembra quasi che ti dispiaccia.
– Non me ne frega niente, puoi crederci. Volevo chiederti un favore.
– Non ho un soldo, Squarciò.
– Non te li ho chiesti. Voglio la barca per un giorno.
– Così ti prende cacaspiagge, e la sequestra.
– Non ci vado a pescare. Mi serve soltanto.
– Ti posso accompagnare io.
– No, serve a me. Vuoi darmela? Soltanto per un giorno. Domani solo.
– Non ti serve per pescare?
– Ti ho detto di no.
– Va bene, allora prendila. Ma restituiscimela domani.
– Domani notte.
– Va bene. Come ti vanno le cose? Ho saputo che non ti vanno bene.
– Ho fretta, Treddenti. Ci vediamo domani notte. Grazie.
Squarciò se ne andava, mentre Treddenti gli disse:
– Non dire niente a lei. È meglio non dirglielo.
Squarciò trovò ormeggiata al molo la barca di Treddenti.

Controllò che tutto fosse in ordine. Poi diede l’incarico a un ragazzo di comprare una latta di benzina. Non mandò né Bore né Antonino, e non ci andò personalmente, perché nessuno doveva sapere che si preparava a partire.

Altrimenti il maresciallo Riva avrebbe potuto immaginare la sua intenzione.

Restò in osteria fino all’ora della chiusura. Riva lo vide là, e gli disse passando:
– Il tuo amico, Squarciò? Non è ancora tornato?
– Uno di questi giorni, maresciallo – gli rispose. Santamaria era ubriaco, e Squarciò lo dovette portare a dormire quasi di peso.

Era ormai tutto buio il paese, e la piazza e il molo erano deserti. Squarciò trovò Bore e Antonino già pronti. Attesero ancora, poi andarono ad imbarcarsi. Non accesero il motore finché non furono molto al largo. Non parlarono per tutto il viaggio. Squarciò pensava solo a una cosa, e si chiedeva se ce l’avrebbe fatta.

Passarono l’ultimo stretto dell’arcipelago che era già l’alba. Il sole era appena sollevato sul mare, quando giunsero all’insenatura.

Squarciò mandò Bore e Antonino di vedetta sulle due punte, poi si ancorò dove aveva affondata la barca. Squarciò si ricordava bene il posto. Si tolse la camicia e la maglia, si levò le scarpe. Non sapeva se ce l’avrebbe fatta.

A cinquant’anni non si hanno più i polmoni d’una volta, e neanche allora sarebbe stato facile. Erano venti metri di fondo, ma Squarciò doveva farcela per forza.

Prese una corda e ne fissò un capo a un galleggiante di sughero. Mise l’altro capo fra i denti, e si tuffò la prima volta.

Scese dritto verso il fondo, ma non arrivava mai. Scese ancora, guardando bene intorno finché vide la barca.

Allora nuotò verso di lei, mentre sentiva la pressione contro le tempie e il fiato venirgli meno. Si attaccò con una mano al motore, e con l’altra gli passò sotto la corda due o tre volte.

Non ce la faceva più, ma doveva fissare la corda, e fece un doppio nodo, usando anche l’altra mano, mentre emetteva tutta l’aria che aveva nei polmoni per guadagnare qualche secondo. Tornò su. Nuotò verso la barca di Treddenti, e si appoggiò alla murata per riposarsi. Per una volta ce l’aveva fatta. Ma ora era più difficile. Ora doveva scendere a svitare i bulloni del motore. Erano quattro i bulloni, e doveva scendere almeno quattro volte. Nuotò verso il galleggiante di sughero e tesò bene la corda che aveva fissata al motore. Fece scorrere il galleggiante finché fu al punto giusto per tenere la corda verticale.

Così aveva anche segnata la strada più breve per scendere fino al motore, e non rischiava di sprecare niente più del necessario.

Accelerò la respirazione per qualche secondo in modo da rendere agili i polmoni e poterli poi dilatare il più possibile.

Respirò profondamente e scese di nuovo. Arrivò, seguendo la corda che scendeva verticale, fino al motore.

Cercò a tastoni uno dei quattro bulloni che aveva allentati prima di affondare la barca. Erano bulloni di rame, e il mare non aveva potuto ossidarli. Faticò lo stesso per svitare il primo bullone. Pensò che avrebbe potuto portarsi una pinza, ma era difficile lavorare con un arnese qualunque senza vedere niente e a quella profondità.

Gli occorsero due immersioni per ogni bullone. I polmoni si rifiutavano di allargarsi, le tempie gli martellavano, le orecchie sembravano strette in una morsa. Ma doveva farcela. Era la sua ultima possibilità e non gli restava più niente se non riusciva a farcela. Ancora due bulloni.

Dalle punte dell’insenatura, Bore e Antonino guardavano il mare tutto intorno, e poi guardavano Squarciò, sulla barca di Treddenti, sdraiato per riposarsi. Squarciò tremava dal freddo e aveva la mano rattrappita per lo sforzo.

Ma doveva sbrigarsi. Antonino gridò qualcosa che Squarciò non sentì. Antonino voleva provare lui, anche se era assurdo che potesse farcela.

Squarciò si era tuffato di nuovo. Gli occhi gli ballavano come se stessero per saltare via dalle orbite. E la testa la sentiva vuota, vuota e pesante. Faceva tutto meccanicamente, non pensava più, non sapeva più nulla.

Ancora un bullone.

Gli occorsero altre tre immersioni. Quando tornò a galla l’ultima volta, sentiva in bocca un sapore dolce e viscido che non era saliva. Sputò sangue, quando salì a galla, e sporcò il mare verde e calmo. Bore e Antonino videro allargarsi quella macchia rossa e si tuffarono anche loro e nuotarono verso di lui temendo di non arrivare a tempo.

Lo aiutarono a risalire sulla barca. Squarciò poté stendersi sul fondo. I polmoni gli dolevano e restavano ancora tesi, rifiutandosi di respirare. Il pollice e l’indice della destra gli erano rimasti contratti nel gesto di svitare i bulloni.

Ma, poco alla volta, il sangue riprese a scorrere. C’era un’immensa quiete, e la barca dondolava appena. Doveva essere mezzogiorno. Le nuvole si spostavano pigramente e, quando lasciavano libero il sole, Squarciò sentiva il sangue tiepido scorrere nelle vene.

Squarciò cominciava a riprendersi. Si alzò in piedi. Il galleggiante di sughero distava pochi metri dalla barca.

Lo avvicinò con un remo. Squarciò non ricordava con quale nodo aveva fissata la corda al motore. Non ricordava niente, prima dell’ultima volta che si era immerso, e ora temeva che quel nodo cedesse. Sarebbe stato tutto inutile. Mai più, per tutti gli anni che gli restavano da vivere, avrebbe potuto rifare quello che aveva fatto. Strinse forte la corda con la sinistra, perché la destra quasi non poteva usarla. Anche Bore e Antonino afferrarono la corda, e puntarono i piedi contro il bordo della barca.

La corda cominciò a tendersi fin quasi a spezzarsi, poi cominciò a cedere lentamente, un palmo dopo l’altro.

Man mano che usciva dall’acqua, stillava gocce luminose.

Chissà con quale modo era stata fissata al motore. Il motore apparve in trasparenza, largo e pesante. Nessuno disse niente, per paura che qualcosa accadesse all’improvviso e quello si inabissasse di nuovo. Il motore salì in superficie, salì su dondolando, e allora la corda stette per cedere. Le mani di Squarciò si tesero verso il motore, mentre Antonino aveva fissata la corda a uno scalmo. Il motore venne tirato sul bordo, poi appoggiato sul rialzo di prua. Squarciò corse a toccarlo da ogni lato, e sentì quasi disciogliersi e tornare viva la mano che era rimasta rattrappita.

Arrivarono all’isola di notte. Lasciarono il motore nel magazzino del grossista, e Antonino corse a cercare il meccanico.

Per tutta la notte ci fu luce nel retro del magazzino, dove Squarciò stava seduto a guardare il suo motore che tornava nuovo e veloce sotto quelle mani esperte.

L’indomani, il proprietario della bettola disse a Santamaria che non gli avrebbe più fatto credito. Santamaria si era venduto tutto quello che aveva, ma ormai non aveva più soldi per il vino. Qualche volta riusciva a farselo offrire: ma non sempre, e non quanto ne aveva bisogno. Anche da Gaspare provò una volta a farsi offrire da bere. Ma Gaspare gli disse che per qualsiasi altra cosa gli avrebbe dato mille lire, ma non per bere.

Santamaria non era più un uomo e neanche un vecchio.

Era uno che voleva soltanto bere per non pensare ai suoi figli. Ciò che restava del suo carattere serviva solo a impedirgli di presentarsi a loro. I suoi figli, Santamaria li vedeva qualche volta attraversare la piazza, o sulla barca mentre rientravano da pesca. In osteria mai, perché là essi non andavano per non incontrarlo. Erano sani e robusti, erano figli in gamba, pensava Santamaria, e sentiva ancora più voglia di bere.

Quella mattina, la sua barca veniva messa all’asta, ma Santamaria era lo stesso seduto a un tavolo della bettola.

Tutti i pescatori, invece, erano andati nel locale della Finanza dove l’asta avveniva. Squarciò era passato prima dal grossista, perché adesso aveva una garanzia e una buona proposta da fargli.

La sala era piena di pescatori, tutti fumavano, e l’aria era densa e pesante.

Non c’era neanche un forestiero, e nessun altro avrebbe fatto un’offerta perché sarebbe stato come rubare a Santamaria. Anche se era stato un bombardiere, nessuno lo avrebbe fatto. Non era mai accaduta una cosa del genere.
Il banditore chiese cinquantamila. Nessuno disse niente.

Squarciò e Treddenti stavano in fondo alla sala. Il maresciallo era accanto al banditore. C’erano anche i due figli di Santamaria, ma neanche loro dissero niente. Il banditore disse quarantamila, che era la penultima proposta.

Treddenti disse a Squarciò:
– Ad avere soldi, c’era da comprargliela, povero Santamaria.
– Non gli servirebbe a niente – gli rispose Squarciò.

Il banditore disse trentamila, ed era pochissimo per quella barca. I battellini dei villeggianti non costano meno.

Squarciò aveva sollevato il braccio. Ma, prima di lui, lo aveva sollevato il figlio maggiore di Santamaria; e soltanto questo aveva visto Treddenti. Corse subito fuori perché sapeva che Santamaria ne sarebbe stato contento.
Il banditore diceva:
– C’è un’offerta a trentamila!
– Trentacinque – disse Squarciò. Tutti si volsero verso di lui. I figli di Santamaria lo guardarono. Poi parlarono un poco fra loro mentre il banditore ripeteva la cifra.
– Trentasette! – dissero, ed erano tutti i soldi che avevano.
– Quarantamila! – disse Squarciò. Guardava Riva negli occhi, e nessuno dei due abbassò lo sguardo. Per quanto lo facesse lentamente, il banditore ripeté per tre volte l’offerta, senza che i figli di Santamaria parlassero di nuovo.

Tutti si scostarono davanti a Squarciò, che andava verso il banditore con quattro fogli da diecimila.

Santamaria arrivava che tutto era ormai accaduto e i pescatori stavano sfollando. Seppe come era finita, e non gliene importò. Ora sapeva cosa dire, avvicinandosi ai figli.
– Grazie – disse.
– Non ne avevamo di più, – disse il figlio maggiore – ci dispiace. – Non importa! – disse Santamaria. Il più giovane disse:
– Hai visto che figlio di puttana? Fra gente come noi non sarebbe successo.

In qualsiasi altra occasione, Treddenti sarebbe intervenuto.

A costo di prenderle, non avrebbe mai permesso che si parlasse male di Squarciò. Ma ora era diverso, e Treddenti si allontanò senza dire una parola. Voltandosi dopo qualche passo, vide che Santamaria camminava insieme ai suoi figli.