Il Cimitero Vecchio - La demolizione - epitaffi e tombeLa Maddalena Antica

Tombe di Eroi alla Maddalena di Raffaele Rossi

Questo articolo, pervenuto su foglio dattiloscritto e conosciuto dagli appassionati di storia maddalenina, forse pubblicato su un giornale sardo, ci offre una interessante descrizione del Cimitero Vecchio cosi come doveva trovarsi tra il 1920 ed il 1930. Fu scritto da Raffaele Rossi, nato a Senigallia (Ancona) i 24 maggio 1865 e deceduto a La Maddalena il 16 ottobre 1930. Coniugato con Concetta Bargone, Raffaele Rossi fu per molti anni disegnatore del Genio Marina. Secondo la testimonianza di una nipote, sarebbe stato il progettista dell’Istituto San Vincenzo e del Palco della Musica in piazza Umberto I. E’ documentato che sovraintese alla costruzione della chiesa di Moneta. Raffaele Rossi era padre di Costantino, pioniere dell’aeronautica.

“Il vecchio cimitero di Maddalena è situato sulla cima di un piccolo poggio, presso l’abitato. Nel modesto recinto dall’aspetto misero e triste, dalle mura screpolate e dalla vegetazione scarsa, niente di notevole si osserva a prima vista che possa impressionare chi vi entri per una breve ed affrettata visita. Per chi voglia però soffermarsi in ogni sua parte, leggere tutte le sue pietre sepolcrali, indagare la vita ed il passato di quelli che vi riposano, l’osservatore minuzioso e paziente insomma, vi troverà molte cose interessanti e degne di considerazione. L’ingresso si apre a sud verso l’abitato, e a destra entrando trovasi la piccola camera mortuaria. Sul lato nord, di fronte all’ingresso, è costruita una cappelletta per le funzioni religiose, una misera cella senza alcun ornamento e decorazione, eccettuato un piccolo altare sul quale ogni anno, nel giorno 2 novembre, si celebra l’ufficio dei morti. A destra dell’altare una porticina mette in un altro recinto rettangolare, di ampliamento del primitivo cimitero; ampliamento resosi necessario prima della costruzione del nuovo camposanto alla Trinità, per il rapido aumento della popolazione avvenuto in seguito all’avere il governo dichiarato La Maddalena piazzaforte e l’avervi costruito e presidiato numerose opere militari. Dentro la cappelletta a sinistra, si vedevano, sino a questi ultimi tempi, due grossi ingombranti sarcofaghi in muratura, nei quali erano custoditi le salme del prode colonnello Agostino Azara e della nobildonna Santa Chiozzi, sua moglie, che recentemente vennero riesumate e definitivamente tumulate in un sepolcreto fatto costruire dagli eredi nel nuovo cimitero comunale. Il colonnello Azara fu valoroso combattente della guerra di indipendenza e venne orribilmente ferito alla faccia nella battaglia di San Martino, da giovinetto aveva prestato servizio nella Regia Marina. Morì in quest’isola ove erasi ritirato in pensione, ed ove possedeva un notevole patrimonio. Oltrepassato l’ingresso del cimitero si trova sulla sinistra una piccola edicola, arieggiante il gotico, nella quale riposa insieme alla sua consorte, Pietro Susini, che ebbe tanta parte nel convincere Garibaldi a stabilirsi a Caprera, e molto gli fu utile nella fuga del 1867, che preluse Mentana. Il Susini fu padre di due valorosi: Francesco, capitano marittimo, spentosi parecchi anni or sono, decorato per atti eroici compiuti a Lissa, sulla nave comandata da Saint Bon; Pompeo, volontario garibaldino, poi generale dell’esercito, ora in pensione a Milano. In una tomba appresso, due amici intrinseci e figli entrambi della vecchia Inghilterra che, nella quiete ristoratrice di questa loro patria d’elezione, erano venuti a trascorrere gli ultimi anni della loro esistenza operosa e nobilmente spesa. Sono essi: Daniel Roberts, intrepido ufficiale della marina britannica, amico di Byron, ed il colonnello della fanteria inglese Riccardo Collins. Poco più oltre, in un cantuccio romantico ombreggiato da una acacia, si osserva la tomba del maggiore Luigi Gusmaroli dei Mille, che da giovane vestì l’abito da prete e che come dice l’epitaffio “Giunto in età di ragione se fè uomo e milite”. Sempre nello stesso viale si innalza un elegante monumento formato da un bel dado di marmo di Carrara, sormontato da un vaso pure di marmo; su tre delle facciate del dado sono ricordate le principali gesta del prode che vi riposa sotto, e cioè Nicolò Susini, un altro di questa famiglia di valorosi, fratello di Pietro sullodato, che spegnevasi appena quarantenne dopo aver combattuto quale volontario dei cacciatori delle Alpi, nel 1848 in Lombardia, e come capitano nell’eroica difesa della repubblica Romana. Fu pure maggiore dell’esercito italiano, decorato al valore nella campagna 1859-60. Quasi dirimpetto si nota la sepoltura di Francesco Millelire, che per atti di coraggio nelle guerre del nostro risorgimento raggiunse l’ambio grado di ammiraglio, e venne insignito di alte onorificenze, italiane e straniere, compresa la legion d’onore francese. Apparteneva il Millelire ad una famiglia di illustri marinai che, assieme alla famiglia Albini, son vanto e gloria della marineria italiana e di questa isoletta che fu cura dei loro avi. E’ il nostromo Domenico Millelire, infatti, che nel febbraio del 1793, con pochi compaesani mette in fuga un drappello di artiglieri francesi comandati dallo stesso Napoleone Bonaparte, che subì perciò il suo primo insuccesso militare. E’ Agostino Millelire, fratello del prelodato Domenico, che segnalatosi in arditissime imprese guerresche, da semplice pilota delle mezze galere sarde, salì al grado di capitano di fanterie leggere, per raggiungere poi quello supremo di comandante delle isole Intermedie (Maddalena, Caprera e minori), nei primissimi anni del secolo XIX, quando appunto Nelson, che lo ebbe carissimo, stazionava colla sua formidabile flotta negli ancoraggi di questo estuario…… Benché nessuna epigrafe e nessun cippo lo rammenti è sepolta qui dentro anche la salma travagliata e mutilata di Battista Culiolo: “Maggior Leggero”, per la prontezza e l’audacia con cui affrontava le imprese più arrischiate e temerarie. Da giovane aveva servito nella marina sarda, pugnò a fianco di Garibaldi in America e lo seguì in tutte le battaglie d’Italia ove perette un braccio ed alcune dita dell’altra mano. Scampato miracolosamente all’inseguimento austriaco lungo i lidi di Romagna insieme a Garibaldi e Anita morente, fu il confortatore dell’eroe in quei terribili e dolorosi momenti. In altra parte è tumulato Cuneo Antonio, nocchiere della regia marina, per nome di guerra “Cloro”, uomo di straordinaria forza muscolare, un vero Ercole redivivo. Anch’egli tutto ardente d’amor patrio, espose molte volte la vita in difficili e pericolose imprese, meritando onorificenze e ricompense per la sua condotta eroica……. Tanti altri prodi, eroi umili e oscuri, ricoprono queste aride zolle baciate dalla brezza marina che, vibrante e sonora, sale da Cala Gavetta, il vecchio porto da quale questi discendenti degli arditi Liguri e dei Còrsi tenaci, partirono quasi fanciulli, e la cui vita, così strettamente legata alla storia della nostra marina, è tutta una leggenda gloriosa e di virtù eroiche. Oltre gli Albini, i Millelire, i Susini, i Cuneo, gli Alibertini, i Variani e i Zonza, consacrarono tutta la loro nobile esistenza alla grandezza della Patria. Rammento per primi quattro dei gloriosi avanzi della spedizione di Tripoli del 1825, che 60 anni dopo, nel marzo del 1885, ancora superstiti, Re Umberto volle di Motu proprio, nominare Cavalieri. Erano essi il timoniere Ornano Giuseppe (Diligente), Tanca Antonio (Fioravanti), Zicavo Marco Maria (Calaì), Volpe Nicolò (Rosmundo), conosciuto ancor meglio col soprannome di Macacciò. E nominò ancora i fratelli Giuseppe ed Antonio Varriani, il primo commissario generale della regia marina, decorato al valore, il secondo volontario garibaldino, pilota del “Washinton”, ove dopo Milazzo si era imbarcato il generale Garibaldi coll’idea poi abbandonata di tentare direttamente uno sbarco a Napoli.; il modestissimo Domenico Polverini (Parnaso), sul cui petto brillavano tre medaglie d’argento al valore, caso poco frequente da riscontrarsi tra i combattenti delle prime guerre della nostra indipendenza; e Cuneo Giuseppe, intimo di Garibaldi, che con Pietro Susini efficacemente lo aiutò nella fuga di Caprera nel 1867. Citerò per ultimo il marinaio Antonio Alibertini che, per essersi segnalato nel glorioso combattimento del 1793 contro Bonaparte, fu nominato cavaliere, promosso ufficiale all’ancora e decorato ala valore. L’Alibertini fu quegli che ebbe la sorte di impossessarsi di un quadrante di legno e di altri instrumenti abbandonati nella fuga dal Bonaparte e dei quali, il futuro arbitro dei destini d’Europa, si era servito per dirigere il tiro di un mortaio di nuova invenzione nel violento bombardamento della Maddalena. Molti altri audaci e fieri isolani però, che tante imprese ardite compirono nella marina da guerra e nelle fila garibaldine, si spensero lontano dalla cara terra nativa e riposano perciò lungi da questo silenzioso e mesto recinto ……”

Parzialmente tratto da “Il Cimitero Vecchio” di Claudio Ronchi