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Zuppa cuata

Parzialmente tratto dal libro “Cucina isolana. Un arcipelago di sapori mediterranei” a cura di Giovanna Sotgiu e Antonio Frau – Paolo Sorba Editore – La Maddalena

La zuppa gallurese, o in dialetto sardo suppa cuata, è un piatto tipico del nord della Sardegna. Diversi studiosi hanno cercato di individuare le origini della zuppa gallurese denominata “suppa cuata” (letteralmente zuppa nascosta). Uno studioso veneto, Giuseppe Maffioli, nel ricercare la fonte della zuppa trevigiana chiamata “sópa coàda” (zuppa covata), non esclude che i suoi natali si possano ritrovare nel percorso della pietanza gallurese. Di entrambe le preparazioni non si hanno notizie certe o citazioni precise sulla loro origine. Qualche gastronomo riferisce che sia nata in Gallura, senza una data precisa; e c’è chi riporta sia originaria della Gallura verso la fine del ‘700. Concetti senza riflessione seria.

Il nome “zuppa o suppa cuata” significa letteralmente zuppa nascosta. Si dice che il nome derivi dall’antica usanza di cuocere la zuppa poggiandola sulla brace e ricoprendo la teglia con altrettanta brace ardente (facendole avere una cottura simile a quella del forno) e quindi nascondendola.

E’ entrata nella cucina maddalenina portata dai tanti galluresi che all’isola sono arrivati nel tempo: ma anche per questo piatto di realizzazione solo apparentemente facile, ci sono varianti che l’isola ha assorbito e tramandato.

Ingredienti: brodo di pecora, formaggio pecorino grattugiato, prezzemolo fresco, pane raffermo di grano duro; non si possono usare i panini o il pane a focaccia, e neanche la fresa che ne trasforma completamente l’aspetto e il sapore: s però non si ha altro e ci si vuole accontentare …. In alcune zone si usa la saporita (miscuglio di cannella e altre droghe) da aggiungere al formaggio grattugiato, ma attenzione: la zuppa acquista un sapore particolare non da tutti gradito.

Il brodo classico è quello di pecora, ma anche di pecora e manzo, con un pomodoro secco e una cipolla; altri odori sono facoltativi perché non aggiungono molto al sapore forte del brodo.

Tagliare il pane a fette, mischiare il pecorino grattugiato con abbondante prezzemolo tritato: non fatevi convincere da altri formaggi perché nella Gallura del passato c’era solo il pecorino stagionato da grattugiare; comunque, se si vuole, si può mischiare pecorino e parmigiano.

Disporre le fette di pane in una teglia alternandole con formaggio grattugiato e prezzemolo e con la zucchetta fresca tagliuzzata: è fondamentale tagliarla a pezzetti molto piccoli e non a fette perché non deve impedire al brodo di penetrare nel pane. Alla fine dell’operazione mettere piano piano, con un mestolo, il brodo caldo controllando che venga assorbito nella giusta dose: non si deve eccedere perché in tal caso la zuppa rimarrebbe umida e molliccia all’interno, o lesinare perché allora il pane non sarebbe intriso bene; punzecchiando con una forchetta ci si accerta del giusto grado di assorbimento. Prima dell’ultimo mestolo di brodo mettere abbondante formaggio e prezzemolo sulla superfice.

Infornare a 180°, far asciugare bene: la zuppa deve prima gonfiarsi e poi fare una bella crosta dorata.

La zuppa cuata era il piatto dein pranzi di nozze: un suprastanti vegliava alle varie fasi della sua confezione e alla preparazione del ghisatu, un sugo con carne in umido che la arricchiva una volta cotta e pronta ad esser portata in tavola: il termine ghisatu viene allo spagnolo giusado.

Nel rinascimento i banchetti delle varie corti erano una cosa seria con moltissime portate: fra i piatti più gettonati c’erano le frattaglie cucinate in varie modo e si mangiavano con gusto le teste degli animali (compreso muso e occhi). Si mangiavano anche animali oggi non più di moda a tavola come aironi, gru e pavoni. Era anche uso presentare la selvaggina viva in tavola (che svolazzava in giro per il divertimento degli astanti) per poi consumarla in un secondo momento. La carne però era appannaggio quasi esclusivo dei ricchi.