Alcuni protagonisti
Furono, nel periodo di massima espansione dell’attività oltre cinquecento gli operai che quotidianamente lavoravano a Cava Francese. Suddivisi quasi per casta; forgiatori. manovali. fuochini e minatori, trasportatori (padroni di carri a buoi), conducenti del trenino (dal 1927 quando fece il suo esordio in cava la locomotiva Jung acquistata in Germania per l’utilizzo della quale venne costruita una rete di binari collegata alla cava madre, quella principale), falegnami e scalpellini. Quest’ultima nella gerarchia della cava occupava il primo posto. Secondo quanto scritto da Giovanna Sotgiu Battaglia nella pubblicazione della sezione maddalenina di Italia Nostra, due fra i tanti personaggi di Cava Francese meritano una menzione particolare in quanto i loro nomi sono tramandati dalla memoria popolare e fanno ormai parte della leggenda.
Si tratta di Merlo e Tugnì: entrambi veri artisti, virtuosi della punta e della mazzetta, abilissimi nella loro professione tanto da essere unanimemente considerati i migliori, autentici maestri, rimasti ineguagliati. Il primo era genovese. A La Maddalena trascorreva parte dell’anno, il resto con la famiglia nel capoluogo ligure. Il secondo era lombardo, milanese ed anche lui, finita la stagione, trascorreva una parte dell’anno con la famiglia rimasta a Milano.
Ecco cosa si è scritto di loro: “Merlo lavorò alla colonna Garibaldi. al monumento di Santos, alla tomba Grondona (proprietari di Cava Francese); realizzò alcuni lavori finissimi come cornici per i ritratti e un piccolo calamaio decorato. Si racconta di lui che, una volta trasferitosi in Corsica, nel primi anni Venti, realizzò una croce scavata all’interno con doppio bordo che nessun altro sarebbe riuscito a fare, tanto che, questa croce. costituì una specie di sfida per chi si riteneva abile.
Uno scalpellino che volle imitarlo, raccontano, dovette tentare
sette volte rompendo la pietra durante la lavorazione prima di riuscirvi, allora soddisfatto dell’opera dopo averla mostrata agli amici, la distrusse con un colpo di mazza, per dimostrare che non gli interessava l’oggetto, quanto la soddisfazione di averlo realizzato imitando un maestro come Merlo.
Antonio Margutti (Tugnì), ha lavorato al monumento Santos e alla tomba Grondona. Subito dopo il suo arrivo a La Maddalena, sembrava cosi inesperto e poco volenteroso che i compagni scherzando, proposero di fare una colletta per rimpatriarlo col vapore quindicinale. Ma quando, poiché si attardato nel lavoro che gli era stato affidato (una banchina), fu bonariamente ripreso dal signor Grondona, presa una scaglia di granito, realizzò in breve tempo
una cornice, la portò al padrone dicendogli che poteva mettervi la sua foto, perché lui voleva essere pagato ed andarsene.
ll Grondona, che conosceva fin dove poteva arrivare uno scalpellino, se lo tenne ben stretto, quella cornice rappresentò per il Margutti la chiave di volta, ciò che non era riuscito a far capire con le parole lo gridava ora con l’opera realizzata. Da quel giorno, si racconta, gli venne consentito di dedicarsi ai lavori più impegnativi, ed entrò a far parte di quella élite quasi irraggiungibile cui aspiravano tutti gli allievi.
Dopo l’orario di lavoro (mai inferiore alle dieci ore) Tugnì, come era stato soprannominato dai compagni, si dedicava, seduto sulla randa con il fiasco di vino accanto, alla scultura, così come omaggio per la maestra milanese della figlia, scolpì un libretto da messa decorato con una piccola rosa sulla copertina, e in seguito un quadro rappresentante Garibaldi sullo sfondo del nostro mare, sul quale un veliero spiegava le sue vele.
Al signor Grondona che gli illustrava i particolari della tomba di famiglia sulla quale doveva scolpire due musi di leone con degli anelli decorativi chiese se doveva realizzare gli anelli senza appoggi, liberi cioè di girare nel loro alloggio, perché si riteneva in grado di farlo.
Trasferitosi a Milano lavorò in proprio al frontale della stazione ferroviaria e ad alcuni monumenti su uno dei quali scolpì un’aquila che si reggeva su una sola zampa.