Correva l’anno 1943
L’Ilva si ripropone con la squadra rafforzata da Elindo Balata, già in forza nelle file del Cagliari. Ritorna tra i maddalenini il grande entusiasmo per il pallone. Altre squadre, dietro alterne fortune, nascono e muoiono nel giro di pochi anni. Nel 1947 ben sei squadre si contendono il comunale. Attorno al calcio orbitano circa 300 ragazzi, tutti desiderosi di indossare la gloriosa maglia bianco-celeste e da una dura selezione proprio di quegli anni emergono giovani come Peppino Sculafurru e Giovanni D’Oriano.
“Eravamo davvero in tanti, e doveva essere un problema, in quel periodo, varare una formazione, escludendo giocatori validi e realmente attaccati ai colori sociali – ricorda Pasqualino Pais – quelli erano tempi in cui, prima di iniziare ad allenarci, a turno, tutti davamo un colpo di mano, col picco e con la mazza per far saltare le piazzole di calcestruzzo lasciate dai tedeschi, che vi avevano piazzato le tende durante il conflitto” – Tratto da “Ilva 1903 – 1993” Giancarlo Tusceri.
Tra i partigiani che fecero parte del movimento di Liberazione piemontese ci fu un nutrito gruppo di combattenti provenienti dalla Sardegna. I partigiani sardi, nella gran parte dei casi, erano militari che dopo l’armistizio dell’8 settembre si trovarono lontano dalla propria regione, inquadrati nelle varie forze armate dislocate nel Nord della penisola; in numero minore erano i combattenti immigrati (o figli di immigrati) giunti in Piemonte durante il fascismo in cerca di lavoro. Troviamo i maddalenini De Angelis Vincenzo, Mora Alfredo, Mula Agostino, Porqueddu Ottavio, Pruneddu Antonio, Serpe Giuseppe e Sorba Pasquale.
2 gennaio
In data 31 12 1942 il battello P 311, comandato dal Tenente di Vascello R. D. Cayley comunicò via radio che la sua posizione era alla latitudine di 38° 10’ N ed alla longitudine di 11° 30’ E. da quel momento, nulla più si seppe del sommergibile e del suo equipaggio. Si è pensato che il battello col suo micidiale carico di chariots sia potuto finire su uno dei numerosi campi minati posti ad inizio guerra a protezione ed in difesa della Maddalena. Questi campi minati, per le azioni di intelligence erano certamente noti agli Albionici, forse o quasi sicuramente, l’incappare sulle italiche mine, potrebbe essere da imputarsi al mare mosso, resta una testimonianza di pescatori, che nel pomeriggio del 2 gennaio comunicarono di aver udito una forte esplosione.
7 gennaio
La regia nave Bersagliere era ormeggiata nel porto di Palermo ed a seguito di un violento bombardamento da parte di 10 bombardieri della 9ª USAAF, iniziato alle 16.25, fu colpito quasi subito da due bombe e si inclinò sino ad affondare appoggiandosi sul lato dritto sul basso fondale. Parte dell’equipaggio rimase prigioniero nei locali allagati, i soccorritori videro anche qualcuno che dagli oblò chiedeva aiuto, ma non fu possibile salvare tutti quelli che rimasero intrappolati all’interno della nave. Persero la vita 59 uomini del suo equipaggio, tra cui i maddalenini Claudio Santandrea (15/09/1922 La Maddalena) e Elovaldo Stella (15/05/1913 La Maddalena).
31 gennaio
Nasce a La Maddalena il fotografo Tatiano Maiore; Nel 1973 inizia l’attività di fotogiornalista fra Roma e Milano con frequenti viaggi in paesi stranieri. Pubblica sui seguenti Periodici e Quotidiani: Il Mondo – L’Espresso – Panorama – L’Europeo – Time – L’Astrolabio-Rinascita-Tempo Illustrato-ABC-Veja-Istoè- Fin de Siglo – Vie Nuove-Pace e Guerra – Pagina – Noi Donne-Rassegna Sindacale – Città Futura-Avvenimenti – Ichnusa – La Nuova Ecologia – Umanità Nova-Conquiste del Lavoro – Il Lavoro Italiano – Cane Caldo – Il Male – Frigidaire – Umanità- Regione Informazione – IL Messaggero Sardo – La Provincia di Sassari – etc. Nel 1986 collabora, per la RAI, al programma “Mixer”. Nel 1994 pubblica, per l’Editrice “Altergrafica”, “Stazzi di Gallura nel tempo” un libro fotografico su ciò che resta di una realtà socio economica del Nord Sardegna. Nel 1994, per conto della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Sassari, illustra la “lectio brevis” di Norberto Bobbio (Laurea Honoris Causa). Nel 1994, con Paola Dessì, cura la Sezione Immagini per il “Museo della Tonnara” ideato dal prof. Salvatore Rubino e realizzato nel comune di Stintino. Nel 1995 illustra “Storia del Banco di Sardegna” a cura del prof. Gianni Toniolo dell’Università Cà Foscari” di Venezia. Nel 1996, per conto del Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari, tiene alcune lezioni su “Fotografia e comunicazione di massa”, durante un corso di giornalismo per giovani laureati. Nel 1998, per conto di “Giulio Einaudi Editore”, collabora all’illustrazione del volume della “Storia d’Italia” dedicato alla Sardegna, redatto dal prof. Luigi Berlinguer e dal prof. Antonello Mattone. Nel 1999 pubblica “Metamorfosi-La Maddalena 1973-1986” con l’editrice Taphros. Nel 2002 collabora alla realizzazione del libro Time in Jazz-Il giro del festival in 80 fotografie- l’editrice Taphros. Alcune sue foto sono effetto d’intervento grafico da parte dell’artista Leon Ferrari, e sono state esposte nella sezione “Braille” a La Recoleta-Buenos Aires.
10 febbraio
Palau è nuova parrocchia e don Andrea Usai suo primo parroco pleno iure; (bolla di erezione del vescovo Mons. Albino Morera e riconosciuta civilmente con decreto del 31 maggio 1945 registrato alla Corte dei Conti in data 23 luglio 1945).
19 marzo
Riprende le pubblicazioni ‘‘L’Unione Sarda’’, che le aveva interrotte il 26 febbraio. Le interromperà nuovamente l’11 maggio.
28 marzo
Alle ore 12.00 il Comando Militare Marittimo in Sardegna fu infatti inserito “operativamente” nel Comando della Sardegna del Regio Esercito, che venne ad assumere la denominazione di “Comando Forze Armate della Sardegna”.
In quei la vita scorreva normalmente a La Maddalena, quanto poteva essere normale la vita di una base militare. Le notizie dei bombardamenti subiti da Cagliari, esaltati nella loro tragica realtà dalla necessità propagandistica di fare degli aggressori delle “...belve umane che si vorrebbero strozzare con le proprie mani…“, non preoccupò particolarmente i maddalenini. Poche famiglie avevano aderito agli inviti a sfollare. Le attività commerciali si svolgevano pressoché normalmente, così come le lezioni scolastiche nei vari istituti. La cronaca, addirittura, registrò, che “Nel salone della G.I.L. il Dott. Antonio Gana ha parlato ai giovani ed ai fascisti, commemorando il XIII marzo, la fondazione dei fasci di combattimento”. Nessuno riteneva possibile un attacco alla base. La presenza del Trieste e del Gorizia, piuttosto che un incentivo, era ritenuto un elemento di dissuasione, unito alla errata convinzione di essere protetti da un sistema difensivo insuperabile.
10 aprile
Tra le Unità della nostra Marina che hanno avuto una storia amara quella del Regio Incrociatore Pesante Trieste, appartenente alla Classe Trento, merita una particolare attenzione. Fu la prima unità tipo Washington realizzata nel nostro Paese, veloce ma non particolarmente manovriera e scarsamente armata per proteggersi dagli attacchi aerei d’alta quota, subì un bombardamento da parte di velivoli statunitensi nella rada di Mezzoschifo, in posizione Latitudine 41°11’204” Nord; longitudine 009°22’193” Est.
Nella battaglia che seguì l’attacco trovarono la morte quattro Ufficiali, sei Sottufficiali e sessantasette tra Sottocapi e Comuni, più un palombaro che era stato inviato da La Maddalena per un recupero.
Il relitto fu recuperato negli anni cinquanta e, opportunamente messo in grado di galleggiare, fu ceduto alla Reale Marina spagnola che intendeva trasformarla in una portaerei, progetto che però non ebbe seguito per cui, alla fine, fu demolita
Ancora oggi è chiaramente visibile sul fondale il solco lasciato dalla Nave e numerosi sono i rottami sparsi e semisommersi dal fango, tra i quali è attualmente ancora distinguibile la manichetta del palombaro, un vestito da palombaro con resti umani e numerose ossa sparse sul fondo, presumibilmente appartenenti ai numerosi dispersi. “Arrivarono alti nel cielo, alle 14,45 in una giornata che sembrava estiva, cielo terso, sole caldo e mare calmissimo da sembrare uno specchio. Era il 10 aprile del 1943 e nel primissimo pomeriggio, a bordo degli incrociatori Trieste e Gorizia, i primi barconi che trasportavano i franchi nella vicina cittadina di La Maddalena erano già con i diesel ronfanti di fianco ai barcarizzi; molti marinai si preparavano per la franchigia e dopo gli ultimi “ritocchi” di pettine e brillantina, stavano per accingersi alla libera uscita pregustando l’incontro di calcio che doveva disputarsi in quella calda giornata di aprile tra marinai delle due navi e la locale squadra di calcio. Gli 84 quadrimotori B 17, le famose “fortezze volanti”, arrivarono quasi improvvisamente, come se fino a quel momento fossero rimasti nascosti chissà dove, ed il frastuono di 248 motori irruppe nella silenziosa quiete della baia e subito il fischio assordante delle bombe da 1000 libbre, sganciate da 5000 metri, trasformò la calma giornata in un inferno dantesco. La potente formazione si divise in tre gruppi: 24 bombardieri sganciarono le loro bombe sul Trieste, 36 sul Gorizia ed i restanti 24 sull’Arsenale della Regia Marina dove parte del 7° gruppo sommergibili con altri battelli di altre basi quel giorno erano agli ormeggi nelle banchine dell’Arsenale, erano il Topazio, l’Aradam, il Sirena, il Dandolo ed il Mocenigo. Il potente sistema difensivo della base, composto da fortificazioni e batterie antiaeree ed antinave armate dalla 3° Legione Milizia Artiglieria Marittima ed elementi della stessa Regia Marina, non solo non furono in grado di avvistare per tempo l’incursione ma non riuscirono neanche a contrastarla dato che i velivoli operavano ad una quota che, per le difese antiaeree esistenti era irraggiungibili. I B 17 operarono quindi indisturbati e riuscirono ad assestare colpi mortali al Trieste che ripetutamente centrato in più punti non riuscì a sparare neanche un colpo di cannone; alle ore 16,00, constatato il pauroso sbandamento a sinistra il suo comandante Viola, dopo aver riunito il poco personale rimasto ed avergli chiesto un “evviva il Trieste”, ordinò l’abbandono della nave che, alle 16,15, dopo essersi capovolta, affondò. Miglior sorte non toccò al Gorizia che però riuscì a difendersi ed a sparare qualche inutile colpo all’indirizzo dei B 17, anch’esso fu pesantemente centrato dalle bombe ma, grazie alla maggiore resistenza del suo ponte corazzato, pur inclinato a dritta, riuscì a restare a galla. C’è da dire che anche se non affondato, il Gorizia non fu più in grado di intervenite nel conflitto in corso.” “Bombardamento dell’Arsenale”; Alle due meno un quarto di quel sabato pomeriggio calmissimo, arrivarono da sud, inaspettati, i bombardieri alleati: l’allarme si fece udire quasi contemporaneamente al rumore degli aerei che, indisturbati dalla nostra contraerea, bombardarono l’Arsenale, il Trieste nella rada di Mezzo Schifo e il Gorizia a Porto Palma. La base che si riteneva imprendibile, super-difesa, subiva per la prima volta l’attacco diretto e i Maddalenini entravano drammaticamente in contatto con la guerra: il Trieste affondò, inutilmente protetto dalle ostruzioni retali. A Moneta la posta, situata nell’ala meridionale della Disciplina, fu colpita in pieno. All’interno dell’Arsenale il caos: le bombe avevano la caserma dei carabinieri, l’officina motori, dei magazzini, l’hangar dei siluri, i depositi di carbone. La popolazione civile non aveva subito danni, grazie ai rifugi facilmente raggiungibili. Dopo il bombardamento ci fu un periodo di forzata inattività (da aprile a luglio) durante il quale i reparti dell’Arsenale che erano stati distrutto o danneggiati furono trasferiti utilizzando anche locali privati requisiti. Arrivo intanto la nave officina Pacinotti che, protetta dalle solite ostruzioni retali anti-siluro, stazionava alle Saline garantendo gli interventi indispensabili.
Vedi Video: 1943 bombardamento La Maddalena
Il carrolante Giovanni Demuro aveva, nei pressi dell’entrata all’arsenale, un carretto con il cavallo che fu colpito dalle schegge. L’animale rimase a terra agonizzante per ore, perché nessuno dei carabinieri di guardia riuscì a centrare l’animale con un colpo di grazia: “le mani dei militi tremavano tanto che ci fu bisogno infine che qualcuno di loro ponesse la pistola dentro l’orecchio dell’animale per finirlo!”
I caduti civili in seguito alle incursione aeree furono: Raimondo Altea, Domenico Bargone, Salvatore Brianda, Rosario Caucci, Nunzio Di Fraia, Margherita Ferraro, Raimondo Laconi, Oscar Mameli, Anna Mascia, Antonio Nieddu, Giosuè Orlando, Nunzio Peana, Agostino Spanu e Stefano Uccioni.
12 aprile
Il Gorizia, lascia con i propri mezzi La Maddalena per La Spezia e nella stessa serata, un ricognitore inglese apparve in cerca dell’incrociatore per finirlo; non avendolo trovato si “limitò” a mitragliare di sfuggita alcuni barconi ancorati davanti santo Stefano.
26 aprile
Già dal primo dopoguerra La Maddalena era classificata Base Navale di 2ª categoria. Per tutto il periodo bellico fu sede di uno dei Comandi costieri metropolitani della Regia Marina Militare. Denominato inizialmente “Comando Militare Marittimo in Sardegna”, diverrà “autonomo” nel maggio del 1943, ma solo sulla carta da lettera. Infatti, al messaggio di Maristat del 25 maggio di quell’anno, con cui si annunciava la determinazione ministeriale e si avviava il nuovo status del Comando, non seguì l’emanazione del provvedimento formale. Il Comando aveva assegnata la giurisdizione sulle coste della Sardegna, sulle sue isole adiacenti e su una fascia costiera e marittima di 40 miglia all’intorno dell’isola. Posto alle dipendenze di Maridipart Napoli, era retto – come oggi – da un Ammiraglio di Divisione che assommava in sé anche il Comando della Piazza Marittima. Solo il 26 aprile del 1943, infatti, fu creato il “Comando Piazza Marina Militare di La Maddalena”, affidato ad un Contrammiraglio. Questa novità durò solo quattro mesi, giacché la “Nuova organizzazione dei comandi periferici costieri della Regia Marina” abolì, a partire dal 28 agosto 1943, anche la Piazza marittima di La Maddalena, e la sostituì con l’istituzione della Base Navale e dell’apposito Comando Militare Marittimo Locale. Come per tutti i similari Comandi costieri, dipendevano da Marina/Maddalena Enti e servizi analoghi a quelli dei Comandi di Dipartimento, seppure di rango inferiore. Ad essi era affidata la gestione del Genio Militare per la Marina, delle Armi navali, della Sanità, del Commissariato, dei fari e segnalamenti marittimi, e quant’altro. Erano altresì alle dipendenze di Marisardegna vari Enti territoriali della Regia Marina dislocati in tutta la Sardegna, come il Comando Settore Marittimo di Cagliari, i Comandi Servizi della Marina (Mariser) di Porto Torres, di Olbia e di S.Antioco. Così come erano alle sue dipendenze le unità dipartimentali assegnategli ( 7ª Grupsom, 2ª e 9ª Squadra torpediniere, 5ª Flotmas) e quelle aeree di Ricognizione Marittima. L’evoluzione negativa per le forze dell’Asse delle operazioni militari nel teatro mediterraneo, e la eventualità di un attacco diretto alle isole italiane ed alla Corsica, determinò la decisione di unificare la struttura di Comando tra le Forze Armate dislocate nelle isole, almeno per quel che riguardava la difesa territoriale. Fu per ciò che alle ore 12.00 del 28 marzo 1943 il Comando Militare Marittimo in Sardegna fu “operativamente” inserito nel Comando della Sardegna del Regio Esercito, che venne ad assumere la denominazione di “Comando Forze Armate della Sardegna”.
14-17 maggio
La Sardegna fu attaccata in più punti e La Maddalena ebbe un’incursione che per la prima volta si scaricò anche su obiettivi non militari. Il messaggio del Prefetto di Sassari è, tra le varie fonti che ne riferiscono, il più preciso e ricco. “Incursione odierna su Maddalena avvenuta ore 15.00 ad opera 2 formazioni aeree nemiche ha causato lesioni abitazioni civili et sede Comune punto Risultano bombardate isola S. Stefano, Caprera punto Nave mercantile e naviglio militare alla fonda non sono stati colpiti punto Finora accertati due morti civili et uno militare punto Danni non gravi”. Questo attacco ebbe un’ampia ribalta nazionale perché l’Ente Stampa ne fece oggetto di un “Servizio Particolare”, che fu pubblicato su tutti i giornali del Continente, e che stranamente il quotidiano fascista di Sassari, “L’Isola”, pubblicò solo il 23 giugno: “Gesta dei banditi dell’aria. Bombe sganciate nel cielo di Caprera a 20 metri dalla tomba di Garibaldi”. Si tratta di un articolo enfatico sulla guerra continuazione del Risorgimento, e sul “gangsterismo aereo” americano che profana anche la tomba di Garibaldi. “Nel corso di due incursioni avvenute il 10 aprile ed il 24 maggio sono state sganciate ben 8 bombe: 3 alla distanza di 50 metri, 4 alla distanza di 40-50 metri ed una alla distanza di 20 metri in linea d’aria dalla tomba…… Per precisare meglio la responsabilità dei gangster si nota che le tombe sono chiuse da un muro di un candore abbagliante, che non può non essere visibile agli aviatori nemici”. Radio Londra non tardò a replicare argutamente in una rubrica in lingua italiana, “Free Italy Talks”, curata da Calosso ed andata in onda il 20 giugno. “I giornali fascisti cercano truffaldinamente di aggregarsi Garibaldi, dopo aver ben controllato che egli è morto e che non può alzarsi in piedi nella tomba e dar mano alla spada”. Calosso concluse il suo pezzo ricordando che Caprera fu donata a Garibaldi da alcuni suoi ammiratori inglesi.
24 maggio
La tragica esperienza del bombardamento si ripeté: “dopo circa un’ora dal suono dell’allarme arrivarono gli aerei; un numero enorme di bombe fu sganciato sull’isola. “alle 14:30 una bomba di grosso calibro cadde fra le vie Garibaldi e via Bixio, sventrando un’ala delle abitazioni Ferrigno e Raffo e causando la distruzione del bar Milano, la distruzione di tutti gli infissi del palazzo comunale e scheggiando le due colonne di granito che reggono il balcone. Lo spostamento d’aria mandò in frantumi l’orologio della facciata della Chiesa. Proprio poco prima era arrivata nella vicina banchina una motolancia dalla quale era sbarcato un militare, il fante Arturo Tanda imbarcato sulla nave appoggio sommergibili A. Pacinotti, fu invitato a fermarsi sotto le arcate dell’atrio comunale da Lino Grondona, ma questi prese a correre. Uscito nella via venne colpito in pieno ed i poveri resti furono poi rinvenuti tutt’intorno, una scarpa con un pezzo di piede davanti l’ex forno Maruseddu. Posti i resti su di una persiana fu traslato al cimitero“
25 maggio
Con una lettera di MARISTAT in attesa dell’emanazione del provvedimento formale che poi non fu mai emanato, il Comando Militare Marittimo in Sardegna fu dichiarato “autonomo” dal Dipartimento del Basso Tirreno di Napoli, mantenendo però la dipendenza operativa dal Comando FF:AA. della Sardegna per l’impiego dei mezzi difensivi. Tutto fu rimesso in discussione il 28 agosto 1943 quando la “Nuova organizzazione dei Comandi periferici costieri della Regia Marina” aboliva, fra le altre, la Piazza Marittima della Maddalena. Al suo posto istituiva una “BASE NAVALE”, contro l’apposito Comando Militare Marittimo Locale.
25 maggio
Nasce a La Maddalena, Gino Vitiello, giocatore simbolo dell’Ilvarsenal. Tra i tanti calciatori che hanno scritto la storia dell’Ilva, Gino si distingue per alcuni “numeri” che lo rendono veramente un esempio unico per longevità e attaccamento alla maglia. Straordinario il suo record di presenze, con oltre 510 partite disputate nel corso dei 19 campionati consecutivi giocati con la maglia bianco-celeste, unica maglia indossata in carriera (altro primato assoluto). In oltre 100 anni di vita della società nessuno ha fatto meglio di lui.
Vitiello esordisce giovanissimo a Nuoro il 28/2/1960 (Attilia-Ilva 1-0) e dall’anno successivo è il terzino destro titolare della Grande Ilva, squadra che vince due campionati sardi, conquista il secondo posto nella finale nazionale del Flaminio e poi disputa un brillante ma sfortunato torneo di Serie D con in campo stabilmente almeno otto “isolani”. Gino prosegue il suo percorso esprimendosi costantemente su standard molto elevati, per anni è considerato uno dei migliori difensori sardi e viene spesso selezionato nella rappresentativa regionale. Con un fisico asciutto ma coriaceo, possiede elevate doti di tecnica, tempismo e combattività; fortissimo nel gioco d’anticipo opera molto bene anche in fase di costruzione. L’eccezionale continuità di rendimento e la capacità di adattarsi a soluzioni tattiche diverse ne fanno un punto fermo della squadra, nella quale occupa tutti i ruoli della difesa. Viene infatti schierato in marcatura (terzino e stopper), da mediano di contenimento e impostazione ed infine negli ultimi anni da libero, ruolo che interpreta con grande autorevolezza.
A lungo capitano della squadra, è stato un esempio anche per serietà e impegno; in allenamento sempre in testa a guidare il gruppo e nello spogliatoio di poche parole ma molto rispettato: un vero leader silenzioso, in grado di trasmettere la giusta carica attraverso l’esempio positivo, l’inossidabile impegno e la volontà incrollabile.
Dopo una lunga e brillante carriera gioca l’ultima gara il 5 marzo 1978 a Ittiri (Ittiri-Ilvarsenal 1-2). Rimane nell’ambiente e per alcuni anni allena i ragazzi del Settore Giovanile, ovviamente dell’Ilva. Gino Vitiello è da ricordare anche come capostipite di una famiglia che tanto ha dato all’Ilva: al suo fianco e dopo di lui si sono infatti succeduti i fratelli Gian Piero, Aldo e Tonino, i figli Silvio e Gianluca ed ora il nipote Luigi. (Gianni Vigiano)
26 maggio
Ancora incursione aerea alleata, colpirono le strutture arsenalizie e la nave A. Pacinotti. Da Marina-Maddalena a Supermarina si informava “Ore 12.30 numero 14 apparecchi nemici del tipo Lockeed P38 provenienti greco et maestro sorvolano estuario bassa quota lanciando bombe che colpiscono abitazioni civili diroccano 4 case presso cimitero vecchio , l’isola S.Stefano colpendo un serbatoio nafta scoperto incendiando residui acqua et nafta fondo serbatoio semialt Bombe cadute altresì prossimità piroscafo Monte Santo ormeggiato at boa rada S. Stefano sfondando stiva 2 et causando allagamento per il quale unità è stata portata poggiare sul fondo presso stessa isola semialt Riservomi precisare altri dannisemialt Mitragliaito sommergibile all’ormeggio Porto Palma senza danni semialt Mitragliato semaforo Capo Ferro senza danni alt Da notizie non accertabili comunicate da motoveliero alla fonda porto Pevero risulterebbero 3 aerei caduti in mare durante fase allontanamento“. In questa occasione perirono tra gli atri anche una civile, Margherita Ferraro. “Costei, appena più che giovinetta, era in casa (via Maggior Leggero) di fronte all’ex cinema Splendor, ed al suono delle sirene cercò, assieme ad una sorella, di sfuggire alle bombe, ma sfortunatamente una di queste colpì proprio la sua abitazione passando attraverso il camino della cucina. La poveretta perdette la vita sotto le macerie, mentre la sorella, si salvò riparandosi sotto il letto“.
giugno
Nasce una sezione clandestina del PCI, fondata da un gruppo di antifascisti: Salvuccio Magnasco, Costante Castelli, Tomaso Palitta, Giuseppe Rassu, Nuccio Pinna, Francesco Cotroneo e tre giovani diciottenni: Antonio Conti, Fulvio Palitta e Novaro Sorba. Il primo incontro ebbe luogo nel mese di giugno del 1943 all’ultimo piano di un palazzo nella piazza S. Maria Maddalena.
3 giugno
Comincia a circolare il primo numero dattiloscritto del giornaletto clandestino antifascista ‘‘Avanti Sardegna!’’, redatto da Mario Berlinguer. Ne usciranno altri 4 numeri, sino al 21 agosto.
3 luglio
Un aereo americano arrivò sui cieli isolani e subì un attacco da parte della contraerea. Cadde il località Vigna Grande. “I tre membri dell’equipaggio morirono e furono sepolti al civico cimitero. I resti dell’aereo restarono parecchio tempo sul posto e tra i maddalenini, in tanti, andarono a prelevare qualcosa.” Il 19 Settembre i resti dei tre furono trasferiti al cimitero internazionale di Cagliari.
7 luglio
Il governo riconosce a La Maddalena, con decreto n. 652, il diritto di fregiarsi del titolo di “Città”. Lo stemma araldico (Leone sullo scoglio, con motto Erois Cineres Oras Tutorque Latinas = Difendo i lidi latini e le ceneri degli eroi”, per rammentare Garibaldi e pure l’eroismo degli isolani nel difendere queste terre di confine) risale invece al 18 giugno 1893.
13 luglio
Il 10 luglio, il Regio Sommergibile Acciaio partì da La Maddalena, al Comando del TV Vittorio Pescatore, per portarsi presso la costa nord Siciliana. Dopo la partenza l’unità non diede più notizie. Fonti Inglesi riportano l’affondamento del battello il 13 luglio nelle acque dello Stretto di Messina per opera del sommergibile britannico Unruly. Non vi furono superstiti.
15 luglio
Arrivano alla caserma Regina Elena, di passaggio diretti ad altra destinazione in continente, alcuni prigionieri inglesi, australiani e americani provenienti dall’Africa. Erano stati sistemati all’interno di un casermone privo di luce, in condizioni disagiate accentuate dal fatto che la maggior parte di loro era affetta da malaria e reclamava un trattamento più umano. Lorenzo Grondona, allora ufficiale richiamato, in assenza del comandante Guccini che in quei giorni si era sposato e godeva del congedo matrimoniale, li aveva fatti visitare dal dottor Dettori che aveva confermato le precarie condizioni di salute. Intorno a questi prigionieri si favoleggiava di una articolare carta topografica, ritrovata, si diceva, da un sottotenente siciliano, stampata su un quadrato di seta impermeabilizzata e gommata ai bordi, che rappresentava da un lato il golfo di Policastro e dall’altro la Sardegna. Le ipotesi sul significato di questo ritrovamento si diffondevano enfatizzandosi. Qualcuno azzardava che potevano essere tutte manovre dei servizi di intelligence per far credere che si stesse preparando per la Sardegna l’invasione che invece doveva avvenire altrove, ma la maggior parte vedeva, nell’improvviso accentuarsi , per numero e gravita, dei bombardamenti, una preparazione degli Alleati con la distruzione preventiva di obiettivi militari importanti delle zone da occupare. Del resto le notizie che filtravano dagli ufficiali superiori non facevano che confermare tali supposizioni, avvalorate all’arrivo di una compagnia di genieri, ospitati nella caserma Regina Elena, col compito di minare le banchine di tutto l’Estuario. Vedi anche: Il 1943, l’anno della fame e della paura
20 luglio
La nave da carico Silvia Onorato, partita da Bastia e diretta a La Maddalena, viene colpita e affondata da un siluro lanciato dal Saphary, nella circostanza perì anche un grande uomo di mare, Silverio Onorato. Giuseppe Conte era nato a Ponza nel 1895, ma i genitori si trasferirono presto a la Maddalena. Quando scoppiò la prima guerra mondiale aveva giusto 20 anni, per cui la chiamata alle armi fu immediata. Da giovane marinaretto della Regia Marina venne imbarcato su una delle più potenti corazzate, la “Regina Margherita” ex ammiraglia della flotta, lunga circa 140 metri ed armatissima. A bordo Giuseppe vi trovò una piccola comunità isolana, erano infatti addirittura 12 i marinai dell’equipaggio che provenivano da La Maddalena.
Nella notte dell’11 dicembre, la nave salpò dal porto di Valona, il vento era molto forte, pioveva e faceva freddo e finì su alcune mine posizionate dagli austriaci. Due forti esplosioni e velocemente colò a picco. Gran parte delle oltre 700 persone che si trovavano a bordo non ebbero scampo ed anche 11 dei 12 marinai maddalenini rimasero imprigionati nella nave. Giuseppe Conte fu l’unico a salvarsi ed a rientrare nell’isola. Ma il suo appuntamento con il destino era solo rimandato.
La sua carriera di marinaio proseguì in ambito civile e divenne “Padrone”, ovvero comandante di imbarcazioni. Nel 1925 Vincenzo Onorato che aveva appena acquistato un piccolo mercantile a cui aveva dato il nome “Silvia Onorato” gli assegnò il comando della sua priima nave mercantile.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale il mercantile venne requisito dalla Regia Marina, rinominato F-50 ed il suo equipaggio fu militarizzato.
L’F-50 si trovò così a svolgere un ruolo pendolare di trasporto militare tra La Maddalena e Bastia.
Il 20 luglio del 1943, il capitano Lakin, dalla torretta del suo sommergibile inglese “Safari”, avvistò il piccolo mercantile isolano mentre da Bastia, rientrava lentamente a La Maddalena. Senza indugiare lanciò una doppietta di siluri che centrarono in pieno il bersaglio. Le due potenti esplosioni squarciarono il “Silvia Onorato” che scomparve in fondo al Tirreno. Nessuno dell’equipaggio sopravvisse, dopo 23 anni il mare aveva chiuso il suo conto con Giuseppe Conte, unico maddalenino sopravvissuto alla tragedia della Regina Margherita. (Gaetano Nieddu)
23 luglio
In una lettera al generale Basso, Mussolini scrive: “Ognuno sappia che la Sardegna è un bastione della Patria”. Due giorni dopo sarà arrestato e costretto alle dimissioni.
25 luglio
La destituzione e l’arresto di Mussolini, non suscitano in Sardegna significative reazioni, salvo qualche manifestazione isolata di giubilo. Mussolini venne arrestato e trattenuto per tre giorni nella caserma Allievi Carabinieri di Roma, di cui era Vice Comandante di cui era Vice Comandante un cugino, del Podestà maddalenino, dott. Chirico, il Ten. Col. Ettore Chirico. Il 28 luglio, accompagnato dall’Ispettore di P.S. Polito (lo stesso che presiedette allo sfollamento obbligatorio dei civili di La Maddalena nel giugno del 1940) Mussolini venne trasferito in auto da Roma a Gaeta, dove era atteso dall’Ammiraglio Maugeri. Imbarcato sulla Corvetta “Persefone”, giunse all’isola di Ponza lo stesso giorno.
26 luglio
All’indomani dell’arresto di Benito Mussolini, i tedeschi hanno cominciato a prepararsi per l’occupazione dell’Italia, ancora formalmente alleata. Due Gigant sono partiti da Grosseto per atterrare a Olbia, dove hanno imbarcato 83 soldati feriti, da portare via dall’isola. Alle ore 11.50 i due esamotori Messerschmitt Me 323 Gigant della 3° Staffel del I./Transportgruppe 5 (3a Squadriglia del Quinto Stormo da Trasporto della Luftwaffe) contrassegnati dalle matricole militari n. 1267 e 1270 decollano dall’aeroporto di Venafiorita (Olbia), diretti a Pistoia. Alle 12:10 sono intercettati da una formazione di otto Beaufighter inglesi dello Squadron N° 144 della RAF. Attaccati simultaneamente, il primo, colpito alla coda, riesce ad ammarare seppur in fiamme, e alcuni soldati riescono a salvarsi gettando in mare un gommone di salvataggio prima che l’aereo affondi con gran parte degli uomini a bordo. Il secondo aereo cerca la fuga verso terra, esplodendo nell’impatto al suolo a Mongiardino sull’isola della Maddalena. Si salvano solo 10 uomini, mentre gli altri muoiono carbonizzati. Tutti i feriti che sopravvissero a quell’abbattimento, per gran parte con ustioni di I, II, e III grado in tutto il corpo, il giorno dopo, e cioè il 27 luglio, per decisione del Comando tedesco, vennero trasferiti sulla nave Ospedale “Virgilio”, fatta arrivare appositamente. Probabilmente per essere trasferiti n qualche struttura ospedaliera tedesca più attrezzata. Considerando e poi che il giorno prima, 25 luglio, era caduto il fascismo e forse i tedeschi non si fidavano più degli alleati italiani.
Vedi anche: 1943 – Battaglie aeree nei cieli della Maddalena
31 luglio
Il periodo era molto critico per tutti e anche i mesi seguenti furono pieni di novità che annunciavano solo guai. Il 31 luglio il Comando Militare Marittimo Autonomo ordinava ai Comandanti di sospendere tutte le licenze, anche per gli operai militarizzati. La presenza tedesca che fino a quel momento era stata irrilevante, si era fatta più evidente e il Comando Tedesco chiedeva, nei mesi di luglio e agosto, consistente assistenza per dragamine, motovedette, motozattere e manteneva drappelli in alcune batterie e officine.
6 agosto
Il 5 agosto la corvetta C20 Gazzella, partita dalla Maddalena assieme alla corvetta gemella C42 Minerva, è diretta a Porto Torres per una missione di caccia anti sommergibile (compito principale di queste unità), al largo dell’isola dell’Asinara. Le corvette vengono autorizzate dal Comando Marina a rientrare alla Maddalena. L’appuntamento con il destino è alle 05:08 del mattino del 6 agosto. Il Gazzella incappa in una mina di un nostro sbarramento, l’unità si spezza in due ed affonda in meno di un minuto. Al comando della corvetta in quel momento c’è il comandante in seconda dell’unità, che secondo le testimonianze del comandante Arrigo Montini classe 1912, intervistato dagli alti comandi della Marina Militare nel 2002 e dal Mondo Sommerso Explorer Team nel 2005, ha dichiarato che il comandante in seconda finì con la nave sullo sbarramento posato qualche giorno prima dai posamine Pommern e Branderburg, perché era volontariamente voluto uscire dalle rotte sicure imposte dal comando Marina della Maddalena, condannando cosi l’unità a morte certa. Nella sua testimonianza il comandante Montini ha dichiarato di aver tenuto, prima di ritirarsi nella sala nautica, un briefing in plancia (con il secondo, alla presenza dell’ufficiale di rotta GM Ricciotti e il direttore del tiro), sottolineando al comandante in seconda la necessità di seguire le rotte di sicurezza, sicuramente più scomode rispetto al tagliare il golfo e dirigere direttamente verso La Maddalena.
7 agosto
Il caccia “Pantera” gettò le ancore nella rada prospiciente la ex Batteria Padule, ad un chilometro dal centro abitato, arrivò in Sardegna, sull’isoIa della Maddalena, un prigioniero molto speciale: Benito Mussolini, che fu incarcerato presso Villa Webber, dove erano state preparate per lui due sole stanze: la prima era munita di un lettino di ferro, una piccola poltrona, due sedie e una scrivania, una radio e un telefono collegato direttamente con l’ammiragliato; la seconda aveva solo quattro sedie e un tavolo; entrambe avevano le pareti spoglie, prive perfino del crocifisso. Mussolini non giunse inaspettato a La Maddalena: buona parte della cittadinanza era venuta a conoscenza del suo arrivo almeno 24 ore prima, ed in modo molto semplice. Gli operai della rete telefonica avevano ricevuto ordine dal Comando Marina di installare d’urgenza una linea telefonica diretta tra Villa Webber e l’ufficio dell’ Ammiraglio, senza deviazione alla cabina centrale come avveniva per tutte le linee di piazzaforte. Da questo ordine “Particolare” di lavori, la cui anormalità non poteva sfuggire ai telefonisti, alla convinzione del prossimo trasferimento di Mussolini da Ponza a La Maddalena il passo fu breve; e la previsione ebbe immediata conferma.
8 agosto
Veniva diffuso in tutte le postazioni militari l’ordine del giorno dava l’ordine di togliere dalla camera di Mussolini il telefono e la radio, aboliva “il saluto romano, gli emblemi del littorio aggiunti allo stemma dello stato dal passato regime, frasi e motti esistenti negli uffici e nelle caserme, superate da nuove situazioni storiche”. Della stessa data, nelle opere di Nido d’Aquila e Cava Francese l’ordine del giorno “da non esporsi”, prevedeva nei minimi particolari l’autodistruzione e doveva essere conosciuto solo dai militari responsabili e da un unico civile. Le notizie sulla guerra arrivavano distorte e la grande confusione nella quale tutta l’Italia si trovò l’otto settembre e nei giorni immediatamente seguenti, fu vissuta a La Maddalena tragicamente, complicata dalla presenza dei tedeschi, dalla contraddizione negli ordini dello stato maggiore, dalla incapacità degli ufficiali preposti al comando nel gestire una situazione complessa, sfuggita di mano dal primo momento: tutto ciò paralizzò una piazzaforte munitissima consegnandola nelle mani dei Tedeschi.
10 agosto
La cronistoria del giorno 10 registra le peggiorate condizioni di salute, tantoché il Comando Marina invia il Maggiore Medico Stefano Castagna il quale dopo una visita accurata, prescrive le relative cure. Da quel giorno il Maresciallo infermiere Savarese si recherà quotidianamente presso il “Prigioniero” per praticare le iniezioni prescritte dal Castagna. Pare che Mussolini in poco più di due settimane abbia perso più di dieci chili! Nonostante le cure assidue le condizioni del malato non migliorano; aggravate anche dalla quasi assoluta mancanza di appetito e dalla modestia degli alimenti: frutta, qualche uovo, pomodori, latte.
11 agosto
Mussolini esprime il desiderio di fare in bagno nelle acque prospicienti la Rada di Padule. La risposta del Col. Meoli (che si diceva allora fosse rigorosissimo) fu negativa ed in contrasto con quanto era avvenuto a Ponza; dove Mussolini poté fare un bagno in quel mare.
12 agosto
Le condizioni di salute sono ancora stazionarie: le crisi dolorifiche si ripetono con frequenza, compromettendo l’alimentazione ed accentuando lo stato depressivo. E’ di questo giorno il documento storico più importante della prigionia. Alla Pedoli che gli aveva inviato un libro per bambini perché egli esponesse la sua firma, Mussolini scrive nella seconda pagina di detto libro: “Su questo libro posseduto dalla ignota che ha ripulito i miei stracci, scrivo il mio grazie e il mio nome. Mussolini defunto”.
13 agosto
In una lettera alla moglie, Mussolini scrive: “vivo da 20 giorni in isolamento totale”.
14 agosto
Scrive Mussolini “Nel pomeriggio è venuto a visitarmi il Col. Medico Direttore dell’Ospedale Militare, Dott. Mondini, da Cerea (Verona). Un uomo simpatico, colto, veneziano nel senso migliore della parola; uno di quei veneziani (della provincia veneta) che ho sempre considerato come la miglior stirpe italiana. Mi ha prescritto varie medicine, fra cui iniezioni, Vitamine C, Carbonati e gocce. Gli ho chiesto: “Ne vale ancora la pena?”. Mi ha risposto: “come uomo e come medico dico di si”. La stessa domanda l’avevo rivolta alcuni mesi fa al professor Frugoni che mi dette la stessa risposta. I fatti mi hanno dato ragione. Forse no ne valeva la pena“.
15 agosto
Le condizioni del prigioniero, in data 15 agosto, sono sensibilmente migliorate, ma lo spirito è sempre depresso: l’isolamento continuo, o meglio, l’internamento nelle due “celle di rigore”, da cui esce saltuariamente il primo mattino ed il tardo pomeriggio per la classica boccata d’aria. Le giornate trascorrono nella lettura di vecchie riviste e di libri, alternate con le visite così dette ufficiali, come quelle dell’Ispettore Polito. Una notizia forse più tranquillante per il Prigioniero: parte il Ten. Col. Meoli, “l’uomo duro” e prende le consegne della guardia il Ten. Taiolo, “Latino di Segni”. Pensiamo che anche il maresciallo Antichi abbia tirato un sospiro di sollievo, in quanto potrà usare nei confronti del prigioniero comprensione ed umanità.
16 agosto
Mussolini scrive alla Pedoli il seguente disegno a matita: “Non prendetevi altra pena per me. Vi ringrazio di quanto fate e me ne ricorderò. Poiché malgrado le promesse il mio isolamento morale continua, vi prego di farvi dare dal Dott. Chirico una relazione di quanto è accaduto dal 25 luglio in poi in Italia. Naturalmente se egli è disposto a farla ed ha le notizie. Voi me le mandate con la solita biancheria. Scusate della noia che vi arreco e stracciate questo biglietto sul quale vi ripeto il mio grazie”. Il giorno appresso Dott. Aldo Chirico, scrive a Mussolini una relazione dettagliata degli avvenimenti posteriori al 25 luglio, su quattro fogli protocollo. Io penso che il 16 agosto sia stato il giorno più triste della prigionia di Mussolini; a tal punto che egli non sorrideva nemmeno alla piccola di tre anni, figlia della Pedoli; l’unica creatura non soggetta a continue vigilanze e che giocando di fronte al ballatoio della villa riusciva ad interessare lo sguardo del prigioniero ed a fargli scambiare qualche parola. Quel giorno Mussolini non degnò invero di uno sguardo i giochi innocenti della piccola.
17 agosto
Mussolini: “Verso le 17 di oggi 17 agosto è venuto – da me cercato – il parroco di La Maddalena, don Capula – da dieci anni qui, circondato da unanime rispetto e come sacerdote e come italiano. Egli mi ha detto che aveva pensato a me e che l’altro giorno vistomi al terrazzo mi aveva fatto un cenno di saluto. Io gli ho accennato succintamente ai miei casi, e gli ho detto che le sue visite mi avrebbero aiutato a superare la grave crisi morale determinata dall’isolamento più che da tutto il resto. Egli mi ha risposto che si metteva a mia disposizione e che lo avrebbe fatto con la massima discrezione. “lasciate” egli ha detto “che vi parli sincero: non sempre siete stato grande nella fortuna, ora dovete essere grande nella sventura. Il mondo vi giudicherà più da quello che sarete d’ora in poi, che da quel che eravate fino a ieri. Dio che vede tutto vi osserva e sono sicuro che voi non farete nulla che possa ferire i principi religiosi cattolici ai quali vi richiamate, anche se altre sventure sopravvenissero. Gliel’ho promesso. Ritornerà giovedì nel pomeriggio. Ha detto anche “molti che furono da voi beneficati, lo dimenticarono; altri hanno oggi per voi ilo rispetto che si deve a un caduto e forse un secreto rammarico”.
18 agosto
Non appena il capitano Skorzenj venne a sapere che Mussolini era a La Maddalena decide di partire subito per la Sardegna. Giunto a La Maddalena il 18 agosto, accompagnato dal Capitano di fregata Hvais e da un tenente del suo reparto che parlava correttamente l’italiano, si imbarca su un Dragamine tedesco ed effettua un giro di ispezione nel porto e lungo la costa; scattando diverse fotografie tra cui alcune di Villa Webber. Il suo Tenente si traveste da marinaio tedesco e si aggira tra i bar e le osterie di Bassa Marina, bevendo e tentando di attaccare discorso con i pochi presenti. Come per caso il discorso lo fece cadere su Mussolini affermando che l’ex Duce era morto. I presenti alla conversazione asseriscono il contrario, tanto che uno si dichiara disposto a scommettere. Il Tenente Marinaio, viene condotto nelle vicinanze della Villa e può vedere Mussolini passeggiare sul terrazzino del fabbricato.
19 agosto
L’Ufficiale di Skorzenj torna sul luogo, e riesce a conoscere il numero dei componenti della guarnigione, l’orario dei turni di guardia, le postazioni delle mitragliatrici, ecc. Occorre ora studiare un preciso piano che consenta di rapire Mussolini. La Maddalena è una piazzaforte in cui è impossibile muoversi. Skorzenj decide di volare sulla cittadina e di fotografarla dall’alto, per rendersi conto con esattezza di quello che sara il teatro sua azione. Saranno necessarie forze considerevoli. Skorzenj chiederà l’aiuto dei reparti di WAFFEN SS che si trovano in Corsica. Il volo su La Maddalena ha poca fortuna. Dapprima un attacco di due caccia inglesi, poi un guasto, che manda l’apparecchi in acqua. Skorzenj, il pilota, i due uomini dell’equipaggio si salvano per miracolo. Vengono raccolti da un incrociatore ausiliario italiano. Nell’incidente Skorzenj si è rotto tre costole. Inconvenienti del mestiere. Non è motivo sufficiente per interrompere i preparativi. L’incrociatore sbarca Skorzenj e i suoi a Terranova (Olbia). Di qui il nostro va a Palau e poi in Corsica. A Bastia si abbocca con il Comandante delle SS. Il 20 agosto e di nuovo a Roma e getta i primi particolari del piano. Ma ecco un ordine dal Quartier Generale del Fùhrer: “Il Quartier Generale ha ricevuto dai servizi segreti dell’esercito un rapporto secondo il quale Mussolini si trova in un isolotto vicino all’isola D’Elba. Il Capitano Skorzenj prepara immediatamente un attacco contro l’isolotto, con truppe aerotrasportate, e ci indicherà il giorno in cui sarà pronto ad agire, avendo cura di accelerare il più possibile i preparativi. Il Quartier Generale del Fùhrer fisserà allora il momento dell’azione”.
19 agosto
Mussolini scrive sul Diario: “Stamane è tornato da Roma l’Ammiraglio Brivonesi che ha interrotto il mio isolamento, poiché mi ha portato una lettera di mia moglie in data 13 agosto”. Ma sappiamo anche che l’Amm. Brivonesi recò al prigioniero, in occasione del suo 61° compleanno, il dono di Hitler: Le opere di Nietzsche in 24 volumi con dedica dello stesso Hitler. La cronaca della stessa giornata registra anche il fermo di due militi della Milmart che, introdottosi nel recinto della Villa, si informavano con troppa curiosità, del numero degli uomini di guardia.
20 agosto
“Come mi aveva promesso, nel tardo pomeriggio di oggi è venuto a trovarmi Don Capula. Mi ha portato un’opuscolo religioso ed ha avuto per me delle buone parole. La sua visita mi è stata di grande conforto. gli ho aperto il mio animo depresso. Mi ha ascoltato in silenzio; poi mi ha fatto un lungo discorso, che è valso a risvegliare in me una fede sopita da tempo, quella in Dio, ed a sollevare il mio morale. Mi ha detto che ritornerà. Lo spero! perché ho bisogno di intrattenermi, almeno di tanto in tanto con qualcuno che non sia il mio carceriere”
22 agosto
La terza visita di Capula a Mussolini, avvenne la domenica 22 ed in quella occasione il Duce ascoltò la messa in suffragio del figlio Bruno, che il sacerdote officiò per lui nell’interno della villa. Le altre due visite avvennero il 23 e il 25. Alla sorella Edvige scrisse il 31 agosto dalla sua nuova località di prigionia (Gran Sasso): “In un isola aveva incominciato, dopo 40 anni, il mio avvicinamento alla religione, se ne occupava un Parroco di fama ottima. Poi sono partito e la di lui fatica rimase interrotta”.
24 agosto
Scrive Mussolini: “Il 24 agosto sono compiuti otto anni da quando si recarono in Africa (allude ai figli N.D.A) Il maresciallo Badoglio li lodò e li promosse. Erano gli anni 35-36, gli “anni del sole”, della storia d’Italia e del Regime. Vale la pena di averli vissuti, anche se oggi siamo circondati da polvere e da macerie ed anche se oggi tutte le autorità di Roma non sono in grado di darmi notizie di mio figlio e di mio nipote”
25 agosto
Mussolini scrive: “Oggi è un mese che sono prigioniero, 18 giorni che mi ritrovo a La Maddalena. Il mio spirito è distaccato da tutto e sereno”.
26 agosto
La sera del 26 il Ten Faiola che aveva sostituito il Col. Meoli annunziò al prigioniero: “Domattina si parte”
27 agosto
Alle sei del mattino un idrovolante con le insegne della Croce Rossa si presenta nel breve tratto di mare di fronte a Villa Webber, un modesto elegante edificio tutto bianco nel verde di un piccolo bosco, nell’isola della Maddalena. Un’ora e mezzo dopo l’idrovolante ammara a Vigna di Valle: ne scende Benito Mussolini, il passeggero-prigioniero per il quale l’isolamento alla Maddalena è stato ritenuto insufficiente. Verrà custodito sul Gran Sasso, e di li liberato dai tedeschi subito dopo l’8 settembre. La «villeggiatura» maddalenina di Mussolini era durata una ventina di giorni, da quando, la notte fra il 6 e il 7, era stato imbarcato in tutta fretta sul cacciatorpediniere «Pantera» e portato via da Ponza. Ponza (subito dopo l’arresto a Villa Savoia si era addirittura pensato a Ventotene) ospitava ancora alcuni confinati antifascisti. Tra gli altri Pietro Nenni, che scriveva nel suo «Diario»: «Dalla finestra della mia stanza, col cannocchiale, ora vedo distintamente Mussolini: è anch’egli alla finestra, in maniche di camicia e si passa nervosamente il fazzoletto sulla fronte». Alla Maddalena Villa Webber (si chiamava cosi da un originale personaggio inglese che l’aveva costruita e vi aveva abitato alla fine dell’Ottocento) era sicuramente molto più isolata: ma l’isola pullulava di marinai italiani e di soldati tedeschi, anche perché era il punto obbligato di passaggio per i trasporti fra Palau e Bonifacio. Non per niente, al momento di abbandonare la Sardegna dopo l’armistizio, i tedeschi avrebbero occupato l’isola armi alla mano proprio per garantirsi meglio quella posizione-chiave. I tedeschi, quando Mussolini arriva alla Maddalena, hanno già dato il via all’operazione «Eiche», che ha per obiettivo la liberazione dell’ex-duce. L’ex-duce sembra non abbia gran voglia di essere liberato. E’ un uomo fisicamente deperito e moralmente distrutto. Nelle sue tre settimane maddalenine gli accadrà di firmare alcuni suoi biglietti con l’espressione «Mussolini defunto».
“Mussolini lasciò la Maddalena alle 6 del mattino del 28 agosto. Con lui presero posto sull’aereo il tenente Faiola ed il maresciallo Osvaldo Antichi. Assonnato, la barba lunga e gli occhi infossati, appariva assai depresso. “Dove mi conducete questa volta?“, chiese il Duce al Faiola. “Non posso dirvelo“, fu la risposta del tenente. Mussolini non insistette, si aggiustò sul sedile e pochi minuti dopo dormiva profondamente. Motivi di sicurezza vollero che nei serbatoi dell’aereo fosse versato il carburante strettamente necessario per raggiungere l’aeroscalo di Vigna di Valle, sul lago di Bracciano. Occorreva evitare il rischio che il pilota, non si sa mai, prendesse un’altra direzione. L’accorgimento, per poco, non provocò una disgrazia. Prima di lasciare l’Isola per il Gran Sasso (destinazione a lui ancora sconosciuta), Mussolini volle rivolgere il suo pensiero al dottor Chirico, col cui nome chiuse il suo diario, alla donna che gli aveva lavato i panni ed era stata complice dei suoi contatti clandestini, e alla custode di Villa Webber: “Alla vigilia di lasciare La Maddalena per ignota destinazione – scrisse – il mio pensiero va con riconoscenza a tre modeste persone che hanno reso meno pesante la mia prigionia: il dottor Chirico, la brava Maria e la buona Marianna”. Non fece cenno a don Capula, al quale, però, avrebbe indirizzato un biglietto, usando stavolta l’inchiostro e non la solita matita con la quale scriveva i suoi messaggi ad Aldo Chirico e alla Pedoli. “Reverendo, il mio cuore esprime profondo ringraziamento per le visite fattemi durante questa mia lunga prigionia. Voi avete risvegliato in me la fede in Dio in un momento di disperazione e di solitudine. Non so se verrete ancora a farmi visita ma, vi chiedo come ultima cosa di pregare per me, per i miei peccati e per il popolo italiano. Vi ripeto ancora il mio grazie di cuore“
3 settembre
Dopo laboriose trattative veniva segretamente firmato a Cassibile dal Gen. Smith in nome del generale Eisenhower e dal Gen. Castellano in nome del Maresciallo Badoglio il così detto armistizio breve (Short Military Armistice), che al punto 4° faceva cenno alle condizioni a cui doveva sottostare la nostra flotta. Il punto 4° enunciava: “Trasferimento immediato della flotta italiana e degli aerei italiani in quei luoghi che potranno essere designati dal Comandante in Capo alleato per supplire alle necessità del suo programma militare-navale”. A questo armistizio breve era annesso un promemoria, conosciuto col nome di “documento di Quebec” con vari suggerimenti circa il modo come l’Italia avrebbe dovuto affrontare l’armistizio e collaborare alla causa alleata. Per quanto riguarda la Marina (e l’Aeronautica) era scritto: “Il Governo Italiano deve al momento dell’armistizio dare ordini alla flotta italiana di salpare per porti alleati… “. In conseguenza il Comando Supremo il 6 Settembre diramò ai Capi di S.M. delle forze armate le disposizioni che riportiamo: “d) Unità da guerra italiane: debbono uscire al più presto in mare tutte quelle in condizioni di navigare, per raggiungere i porti della Sardegna, della Corsica, dell’Elba oppure di Sebenico e Cattaro; tutte le unità non in condizioni di muovere, oppure che in uno dei porti di rifugio di cui sopra verranno a trovarsi in condizioni di cadere in mano germanica, dovranno essere auto-affondate “.
5 settembre
Il Capo di S.M. Generale Ambrosio accenna a de Courten che la conclusione dell’armistizio e la sua dichiarazione è prevista fra il 10 ed il 15 settembre, probabilmente il 12 o il 13 e che con ogni probabilità la flotta dovrà dislocarsi a La Maddalena, dove è possibile che il Re voglia recarsi con la famiglia reale ed una parte del Governo.
6 settembre
L’Ammiraglio De Courten e l’Ammiraglio Maugeri si recarono a Palazzo Vidoni per gli accordi alla missione “Ibis” (lo sgombro della famiglia reale via mare alla Maddalena, proprio per scortare la famiglia reale era stato ordinato da de Courten ai Ct Vivaldi e Da Noli di trovarsi nel porto di Civitavecchia, pronti a trasportare il governo e il re nella fortezza dell’isola della Maddalena.). De Courten riceve conferma da Ambrosio che tale intenzione sarà portata a termine nel caso la situazione renda precario il funzionamento del Governo a Roma e che i Capi militari lo seguiranno. L’Ammiraglio De Courten, da parte sua, credendo che l’armistizio non era ancora stato firmato (per forza non glie lo aveva detto nessuno – NdR) disse che avrebbe esaminato il documento e che avrebbe espresso, per iscritto, le sue decisioni (considerando l’armistizio non firmato e quindi le condizioni negoziabili). De Courten rispose scrivendo che riteneva che la flotta dislocata a La Spezia si recasse a Maddalena, che le navi basate nei porti adriatici si trasferissero a Taranto e quelle dell’Egeo a Lero. Concludeva De Courten scrivendo: “Reputo assolutamente necessario che delicate trattative di questo genere siano effettuate con l’assistenza di esperti navali, i quali siano in grado di tutelare le esigenze della Marina e di tenere conto delle peculiari necessità’ delle Forze Navali, tanto più’ che la questione Flotta, come già’ messo in rilevo, ha nelle presenti circostanze un’importanza assolutamente preminente”
7 settembre
De Courten convoca una riunione presso il Ministero, presenti i vari Capi di Stato Maggiore, tra cui l’Amm. Carlo Bergamini. Nella riunione non ritiene opportuno dare ai presenti notizie in merito alle trattative in corso per l’armistizio perché ricevute sotto il vincolo del segreto. Stabilisce con loro il segnale convenzionale che sarà usato in caso di ordine di autoaffondamento.
7 settembre
Alla vigilia dell’armistizio, il regio sommergibile Topazio lascia La Maddalena per andare a formare, con altri nove battelli, uno sbarramento nel Tirreno meridionale (“Operazione Zeta”) per contrastare le ormai prevedibili azioni degli Alleati.
L’8 settembre coglie il battello in quelle acque. Lo stesso giorno il Comando dei Sommergibili (Maricosom) ordina a tutti i battelli di cessare ogni ostilità, di immergersi subito a 80 metri e di riemergere alle 08.00 del giorno 9, rimanendo poi in superficie con la bandiera nazionale a riva e un pennello nero al periscopio, in attesa di ulteriori ordini; ordini che diranno di dirigere verso Bona (Algeria), avendo sempre ben visibili i segnali di riconoscimento. Cosa che, insieme con altri tre battelli (Diaspro, Turchese e Marea), il Topazio esegue puntualmente nei giorni 9 e 10, come risulta dalle testimonianze rese dai comandanti degli altri sommergibili. Poi, dalla sera del giorno 10, il battello non dà più notizie di sé.
Nel dopoguerra, dalla documentazione inglese si è appreso che il giorno 12, a circa 28 miglia a sud-ovest di Capo Carbonara (Sardegna), un aereo britannico ha attaccato, colpito e visto affondare rapidamente (nel punto di latitudine 38°39’N e longitudine 09°22’E) un sommergibile che navigava in superficie senza alcun segno di riconoscimento e non in rotta per Bona. Nessun superstite, anche se nel rapporto inglese si riferisce di aver visto alcuni naufraghi in mare. La fine del Topazio resta incerta. La cosa più probabile è che l’aereo inglese non abbia visto i segnali di riconoscimento, nonostante questi fossero esposti come prescritto, e abbia così commesso un tragico errore. Ma se il rapporto fosse corretto, perché il battello avrebbe ammainato i segnali e cambiato rotta – E perché dalla sera del 10, per due giorni, avrebbe rotto ogni contatto anche con gli altri tre battelli- D’altra parte, quand’anche avesse deciso, ad un certo punto, di non ottemperare agli ordini di Maricosom, perché si sarebbe fatto sorprendere in superficie – Il dubbio rimane.
Nel corso della sua vita operativa il regio sommergibile Topazio ha compiuto 41 missioni di guerra, percorrendo quasi 26.000 miglia.
8 settembre
De Courten va dal Capo di S.M. Generale Ambrosio il quale gli comunica che gli angloamericani hanno respinto la proposta di concentrare la flotta a La Maddalena, consentendo di lasciare a disposizione del Re 1 incrociatore e 4 cc.tt. di scorta. Tuttavia soggiunge che egli continuerà ad insistere per La Maddalena e che spera ancora di riuscire a convincere gli angloamericani. Gli dice, infine, di attendere ordini prima di far partire da La Spezia la FF.NN. da Battaglia e de Courten dà allora l’ordine all’Amm. Bergamini di passare all’approntamento in 6 ore. Radio Algeri alle 18,30 da notizia al mondo dell’armistizio. Nemmeno il comandante, Ammiraglio Carlo Bergamini, era stato messo al corrente degli sviluppi della situazione politica. Il segreto più ermetico, per volere del capo di Stato Maggiore generale Vittorio Ambrosio aveva avuto i suoi effetti. Il Gen. Ambrosio assicura d’aver chiesto agli angloamericani che la Flotta per motivi tecnici possa trasferirsi alla Maddalena e che a La Maddalena tutto è pronto per l’ormeggio delle navi. La formazione che dirigeva intanto per Maddalena era composta da:
9^ Divisione navale: Roma – Vittorio Veneto
7^ Divisione navale: Eugenio di Savoia – Duca D’Aosta – Montecuccoli
8^ Divisione navale: Duca degli Abruzzi Garibaldi – Attilio Regolo
12^ squadriglia cacciatorpediniere: Mitragliere – Fuciliere – Carabiniere – Velite
14^ squadriglia cacciatorpediniere: Legionario – Oriani – Artigliere – Grecale – Libra.
L’Ammiraglio Bergamini a questo punto si è reso protagonista di una lacerante crisi di coscienza: tenuto all’oscuro, come tutti gli altri comandanti, delle dure condizioni dell’armistizio che prevedeva la consegna delle navi agli Alleati, di fronte alla notizia della resa aveva manifestato al governo l’intenzione da parte della flotta di auto-affondarsi. Aveva obbedito all’ordine di partenza per La Maddalena e stava ottemperando, al momento dell’attacco, a quello ancora più gravoso di dirigersi verso un porto alleato, rendendosi conto che lo scopo preminente era non permettere che le navi da battaglia italiane cadessero in mano ai tedeschi: quello di Bergamini e dei suoi uomini è dunque un atto di rifiuto della collaborazione e della resa ai tedeschi, che precede di pochi giorni l’altro, più noto e non meno tragico, della divisione di fanteria Acqui nell’isola greca di Cefalonia. Vedi anche: Settembre 1943 a La Maddalena
9 settembre
I tedeschi occupano con un colpo di mano i punti vitali della base militare: vogliono avere la certezza che le batterie dell’estuario non spareranno sui convogli che abbandonano la Sardegna passando in Corsica. Nel primo tentativo di contrastarli muoiono due marinai.
Diretta alla Maddalena la Squadra partì alle ore 3. Non inalbera i segni neri della resa. Alla stessa ora ha inizio nel golfo di Salerno l’Operazione angloamericana Avalanche. Escono da La Spezia tre corazzate: la ROMA, con a bordo lo stesso ammiraglio Bergamini, Vittorio Veneto e Littorio (Italia dal 25 luglio 43) con l’ammiraglio Garofolo, seguite da tre incrociatori (Eugenio di Savoia, con l’ammiraglio Oliva; Montecuccoli e Regolo) e da otto cacciatorpediniere (Legionario, Grecale, Oriani, Velite, Mitragliere, Fuciliere, Artigliere e Carabiniere). La Flotta si mantiene a una ventina di chilometri dalle coste occidentali della Corsica, velocità 22 nodi. All’alba la Flotta è avvistata da un ricognitore alleato. Alle 8 della mattina l’amm. Meendsen Bohlken, comandante tedesco a La Spezia, dà l’allarme a Berlino: “La flotta italiana è partita nella notte per consegnarsi al nemico”. A mezzogiorno del 9 la Flotta è in vista delle Bocche di Bonifacio. Le navi avanzano in linea di fila. Bergamini accosta di 90 gradi a sinistra e punta verso La Maddalena. Ma alle 13.40 giunge l’allarme che La Maddalena è stata occupata dai tedeschi. Senza indugi, Bergamini inverte la rotta di 180 gradi. Alle 14 Bergamini è in vista dell’Asinara. in cielo vengono avvistati ricognitori. All’improvviso da cinquemila metri, gli aerei lanciano poche bombe sulle navi, ma nessuna di esse viene colpita. Da lstres (Marsiglia) si era levato in volo Terzo Gruppo del 100° stormo, 15 bimotori DO 217 KII Gli apparecchi trasportano ciascuno una bomba del tipo FX-1400. La bomba era stata progettata, nel 1939, dal dott. Kramer e il suo primo nome era stato FritzX. L’FX-1400, che veniva anche indicata come SD1400, consisteva in una bomba da 1400 chili con alta capacità di penetrazione, alla quale erano state aggiunte quattro alette, un motore a razzo e piani di coda. In prossimità di questi ultimi era sistemato il radiocomando. La guida era assicurata dall’aereo che l’aveva lanciata. La bomba, con un carico esplosivo di 300 kg, era lunga m. 3,30. Alle 15.30 la prima bomba è diretta contro la Littorio (Italia dal 25 luglio 43) e piomba nelle vicinanze della corazzata immobilizzandone temporaneamente il timone; la nave viene governata con gli “ausiliari”. Il punto è pressappoco a 14 miglia a Sud-ovest di capo Testa. Le bombe razzo costituivano una sorpresa, non soltanto per la stupefacente precisione, ma anche per il fatto che erano sganciate verso il sito 80° anziché 60° come i Comandanti supponevano. Questa nuova tattica ingannò i nostri Comandanti. Superato il sito dei 60° senza nessuno sgancio di bombe si suppose che non esistessero intenzioni ostili. I Comandanti Italiani avevano ordine di rispondere al fuoco e di non attaccare se non attaccati. E questo fu fatale. Solo dopo una manifestazione di ostilità così evidente da parte dei tedeschi, sulla ROMA fu dato il segnale di “allarme aereo”. Le batterie, prima a dritta, poi a sinistra, aprirono un fuoco celerissimo. Ma ormai era troppo tardi! Gli aerei erano sulla verticale delle Navi e in quella posizione erano al sicuro. Alle 15.45 la ROMA viene colpita sul lato destro. La bomba scoppia in mare dopo aver attraversato tutto lo scafo e la velocità si riduce a 10 nodi. Alle 15.50 la ROMA viene nuovamente colpita da una seconda bomba. Esplode nei depositi prodieri dei complessi di grosso calibro. La Nave Ammiraglia è ferita a morte. Una colonna di fiamme e fumo si eleva per un migliaio di metri. La torre di grosso calibro n. 2 (1.500 tonnellate) insieme a tutti i suoi occupanti viene proiettata in alto Il torrione di comando si inclina sul lato destro avvolto dalle fiamme. E’ la fine per Bergamini e tutto il suo stato maggiore. La Nave inizia ad inclinarsi sul fianco destro. È uno spettacolo orrendo di morte e distruzione. La maggior parte degli Uomini muoiono bruciati vivi. Alle 16.12 la ROMA si capovolge. Si spezza in due tronconi e affonda. Si trascina per sempre in fondo al mare due Ammiragli, 86 Ufficiali e 1264 Uomini di equipaggio.
9 settembre
Alle 12,30 del 9 settembre un ufficiale germanico, il comandante Unes, si presenta al circolo ufficiali dove i suoi “colleghi” italiani si sono appena seduti a tavola dopo un rapporto tranquillizzante tenuto dal comandante della piazza, l’ammiraglio Bruno Brivonesi, e con la pistola in pugno, affiancato da due soldati armati di Machinepistolen, li dichiara tutti prigionieri. Inizia una vicenda in cui incomprensione, tendenza al compromesso e viltà dei capi si mescolano con l’eroismo di uomini che non vogliono arrendersi. A capo dei “ribelli” si mette il capitano di vascello Carlo Avegno, già comandante dell’Accademia Militare di Livorno. È Avegno che tesse la trama dei contatti, tenuti da portaordini e messaggeri anche occasionali fra i diversi reparti di stanza nell’isola, molti dei quali non sono concentrati nell’abitato di La Maddalena, ma sono dislocati lungo gran parte del perimetro costiero. Avegno e il suo braccio destro, l’ufficiale Rinaldo Veronesi, raccolgono attorno a sé un manipolo di coraggiosi, in cui, insieme con alcuni civili, sono marinai (tre plotoni, un centinaio di uomini), soldati e il reparto speciale dei carabinieri della Stazione Marina, una trentina di uomini per due terzi sardi, comandati dal maresciallo Antonio Ledda. Vedi anche: 9 settembre 1943
9 settembre
I tedeschi si impossessano della polveriera di Stintino e di Punta Nera, dove approda il cavo telefonico. Scontri con i militari italiani. La batteria di Baragge viene abbandonata dalle truppe italiane.
9-17 settembre
Lo sgombero dei tedeschi dalla Sardegna avviene soprattutto dal porto di Santa Teresa. La popolazione ha in gran parte abbandonato il paese. Nei giorni del trasferimento delle truppe tedesche da Santa Teresa verso Bonifacio, viene gettato a mare il corpo del capo di stato maggiore della Divisione Nembo Giovanni Alberto Bechi Luserna, ucciso presso Macomer mentre tentava di bloccare la sedizione del suo reparto.
10 settembre
I cacciatorpediniere Vivaldi e Da Noli partono da Genova e La Spezia la notte dell’8 settembre 1943 con l’ordine di fare rotta per Civitavecchia dove si suppone che imbarchi la famiglia reale. Il giorno dopo, durante la navigazione, ricevono l’ordine di ricongiungersi alla flotta dell’ammiraglio Carlo Bergamini già partita da La Spezia e di attaccare tutti i mezzi tedeschi tra la Sardegna e la Corsica. I primi scontri con le unità tedesche avvengono a largo dell’isola di Razzoli, poco a nord de La Maddalena. I due caccia italiani affondano alcune motovedette e ne costringono altre alla fuga ma vengono fermati dal fuoco delle batterie costiere. Il Vivaldi riporta gravi danni allo scafo e alle caldaie, inoltre finisce su un campo minato a sud di Capo Fenu e lì si ferma. Il Da Noli, stando al rapporto del Capitano di Vascello Camicia, comandante del Vivaldi, “ha preso parte al tiro contro le unità e le batterie dal lato della Corsica, sembra anch’esso colpito; si allarga dalla costa, mi sopravanza, in velocità verso sud-ovest e fa molto fumo. Alle 17.50 una grande colonna d’acqua biancastra, come di esplosione di mina, avvolge il Da Noli che spezzato in due al centro affonda. Si vede molta gente in mare e poco dopo anche una motolancia in moto vicino alle zattere di salvataggio”. Nel disastro trovano la morte Valdambrini, comandante del cacciatorpediniere, e tutti gli uomini presenti sul ponte di comando. Il Vivaldi riesce a proseguire precariamente la navigazione quando viene attaccato tra le 19.00 e le 20.00. Con una sola caldaia in funzione la nave riesce a spingersi al di là dell’Asinara fino ad arrestare la sua corsa intorno alle 05,30 del 10 settembre, quando il comandante Camicia dà l’ordine di auto-affondare e abbandonare la nave. In quel momento trovano la morte il Capitano di Corvetta Alessandro Cavriani e il Capo Meccanico Virginio Fasan che dalle scialuppe si gettano in mare e, a nuoto, ritornano a bordo del Vivaldi per velocizzarne la fine. Per il loro eroismo sono stati insigniti della Medaglia d’oro al Valor Militare alla Memoria. Dall’equipaggio del Vivaldi muoiono 58 uomini e ne sopravvivono 240. Del Da Noli ne muoiono 218 e se ne salvano 39, che riparano in Corsica dopo il naufragio. Vedi anche: 10 settembre 1943
11 settembre
Alcuni comandanti militari, fra i quali emerge la figura del maggiore Renato Barsotti, predispongono una reazione armata prescindendo dagli accordi assunti dall’ammiraglio Brivonesi con i tedeschi. 11 settembre 1943
12 settembre
13 settembre
Scontro a fuoco fra tedeschi e marinai, soldati e carabinieri italiani: i reparti interessati, provenendo dalla periferia, convergono verso il lungomare di via Mirabello, le banchine militari e il porto commerciale per scacciare gli occupanti. Il capitano di vascello Carlo Avegno cade in combattimento. Restano sul campo 8 tedeschi e 25 italiani.
“Avegno e i partigiani maddalenini”; Mentre Avegno e i suoi uomini presidiano la porta di ponente dell’Arsenale, un commando di carabinieri, guidato dal vicebrigadiere Enzo Mazzanti, aggira le posizioni tedesche e raggiunge un reparto di fanteria dislocato al lato opposto dell’isola; un commando di marinai, guidato da un sottufficiale esperto in telecomunicazioni, porta via dall’isola Chiesa una ricetrasmittente con cui si lanciano messaggi in Corsica e a Malta alla ricerca di Supermarina: da Malta si limitano ad accusare ricevuta, dalla Corsica si ordina di attaccare i tedeschi ad ogni costo. Questa è, a quel punto, anche la decisione del gen. Basso, che soltanto la sera del 12 ha finalmente capito il senso della Memoria O.P. 44, anche perché ha ricevuto l’ordine “5V” che dice: “Urge attuare con massima decisione la memoria 44, facendo fuori rapidamente comando e reparti tedeschi che si trovino ovunque in Sardegna et Corsica alt a tale scopo si rende indispensabile impedire passaggio 90.ma divisione dall’una all’altra isola”. Ma Basso, in quel momento, era ancora a Sassari, dove inutilmente un gruppo di antifascisti, capeggiati da G. Dessì, gli aveva chiesto che si dessero armi ai civili per partecipare alla lotta contro i tedeschi. E intanto aveva fatto rispondere al Comando Supremo che nessun attacco sarebbe stato possibile prima del 17, data nella quale – guarda caso – sarebbero scaduti gli otto giorni di tempo assegnati a Lungerhausen per portare i suoi uomini fuori dalla Sardegna. Alle nove e trenta scoppia la battaglia. Per reagire a un gruppo di tedeschi che si è impadronito di una motozattera italiana, la batteria di Punta Tegge apre il fuoco su di loro. Avegno porta i suoi fuori dalle caserme e punta sul comando, dove sono prigionieri Bivonesi e l’ammiraglio Bona. Lo scontro dura cinque ore. Alle 17 i tedeschi chiedono la tregua, con l’impegno di liberare Bivonesi e gli altri ufficiali. Ma 24 italiani sono già caduti in battaglia: fra questi, a Villa Bianca, cade il carabiniere Giovanni Cotza, di Muravera; accanto a lui cade Avegno, colpito a morte da una raffica di mitraglia – sarà decorato di medaglia d’oro al valor militare (VM) – al suo fianco muore Veronesi, e, tra gli altri, cadono i sardi Giovanni Serra, caporale, di Aggius, e Vittorio Murgia, caporalmaggiore, di Cagliari. tedeschi avevano avuto nella battaglia 8 morti. 46 i feriti fra gli italiani, 24 i feriti fra i tedeschi: “questa giornata – ha scritto in un suo memoriale inedito un ufficiale medico sardo che partecipò alla battaglia, Giommaria Dettori – assunse la fisionomia non di uno scontro contro soldati, ma quella di una battaglia tra dei soldati e dei gruppi di insorti, tanto la condotta finì per polarizzarsi sulla buona volontà e sull’entusiasmo dei singoli in contrasto con la perfetta inquadratura delle truppe tedesche”. Nelle cupe giornate dell’8 settembre, anche in Sardegna, come ha scritto Dettori, “l’unico sprazzo di luce sono loro: i morti, i poveri ragazzi che ho visto soffrire e morire e di cui un ufficiale scrisse su un rapporto: il merito di quello che è stato fatto, almeno di quello che ho visto, è tutto unicamente della gente che ha trovato da sé la strada della dignità e dell’onore”. Vedi anche: 13 settembre 1943
14 settembre
14 settembre
I magazzini di Montiggia a Palau sono saccheggiati. Militari e civili asportano soprattutto generi alimentari. Violenze da parte dei tedeschi e dei paracadutisti della Nembo, che uccidono bestiame e asportano armi e altro materiale.
15 settembre
L’ultimo tedesco lasciava La Maddalena. Il giorno prima, a Tempio, Basso e Lungerhausen avevano pranzato insieme, ribadendo i termini del “contratto” precedente: per quel “contratto” Basso sarebbe stato accusato di “omessa esecuzione di incarico”, arrestato nell’ottobre del 1944 e, dopo una lunga detenzione, assolto il 28 giugno del 1946 da un Tribunale militare. Tale episodio non fu mai ricordato né celebrato dalle autorità locali civili e militari negli anni del dopoguerra. Con i fatti del settembre del 1943 terminò, sostanzialmente, la guerra in Sardegna. A La Maddalena la popolazione civile, precedentemente evacuata, ritornò alla ricerca delle proprie case e dei propri affetti dopo tre anni di sfollamento. Dalla frenetica attività dell’Arsenale Militare si passò alla sostanziale inattività. Dopo la fine della guerra gli accordi di pace imposero, per volontà della Francia, lo smantellamento della base maddalenina. Questo avrebbe portato a sopprimere ciò che per due secoli aveva dato motivo di esistenza alla comunità dell’arcipelago. La base navale andava via, ma la comunità rimaneva. Tutte le attività lavorative di La Maddalena furono chiuse comprese le cave di granito trascinando la popolazione in una crisi profondissima. Vedi anche: 15 settembre 1943
17 settembre
Subito dopo l’annuncio dell’armistizio il comando tedesco in Sardegna aveva deciso di far passare in Corsica e da qui nel continente la 94a divisione di stanza nell’isola agli ordini del generale Lungershausen; i porti designati per l’imbarco delle truppe erano quelli di Palau e di Santa Teresa Gallura. Le operazioni di sgombero erano state concordate col comandante militare della Sardegna generale Basso che aveva avvertito il comandante della piazzaforte marittima di La Maddalena di non opporre resistenza e di non ostacolare il transito dei tedeschi. Il messaggio del generale Basso giunse però al contrammiraglio Bona in quanto il comandante della piazza, Brivonesi era stato chiamato a Roma dove aveva ricevuto segreti ordini da consegnare all’ammiraglio Bergamini che era salpato con la flotta alla volta di La Maddalena. Molto stranamente Brivonesi, durante la sua visita nella capitale, non fu messo al corrente del fatto che l’armistizio, già concordato a Cassibile, era stato definitivamente sottoscritto: lo apprese al suo rientro a La Maddalena alle 20.15 dell’8 settembre quando fu informato sulla banchina che alle 19.45 radio Roma aveva diffuso la notizia. Successivamente, come lui stesso annotò nel suo diario, seppe che nel volo di ritorno da Roma aveva viaggiato con un ufficiale che era a conoscenza dell’avvenuto armistizio ma che non gliene fece parola nella convinzione che lui lo sapesse. Lungershausen, frattanto, appreso che la flotta italiana era in navigazione e che si dirigeva nell’arcipelago, di concerto con il comandante Uneus a La Maddalena e con il colonnello Almers a Palau, temendo episodi di resistenza, specie da parte delle batterie costiere, decise di neutralizzare le installazioni militari di Palau e la piazzaforte isolana con un colpo di mano che mise quasi tutti i comandi nell’impossibilità di agire. All’arrivo dei tedeschi a Palau, avvenuto nella mattinata del 9 settembre, il comandante del presidio, colonnello Ciro Marchitto, si trovava a La Maddalena ove era stato convocato dal contrammiraglio Bona per essere messo al corrente degli accordi presi dal generale Basso e degli ordini da questi diramati. A Palau era rimasto il suo aiutante maggiore, capitano Cocco, che, non avendo ancora avuto alcun ordine sul comportamento da tenere nei confronti dei tedeschi, mise in atto un tentativo di reazione che diede luogo ad una breve sparatoria subito interrotta per il preponderante sopraggiungere delle forze nemiche. I tedeschi, occupato il posto di guardia della polveriera di Stintino e neutralizzato il cavo telefonico di Punta Nera, non ebbero difficoltà ad intimare la resa e a disarmare i militari italiani. In serata, il comandante Marchitto, ritornato da La Maddalena, diramò l’ordine di non far uso delle armi e di cessare ogni ostilità; il mattino successivo venne ordinato lo sgombero dei militari e dopo la partenza delle truppe, concentrate quasi tutte ad Arzachena, nel centro di Palau, oltre a pochi carabinieri e guardie di finanza, rimasero di presidio dieci fanti, al comando del maggiore degli alpini Aldo Venchi e del capitano Castellani, con l’incarico di far la guardia ai magazzini di viveri e di vestiario. Il 13 settembre, subito dopo le nove e fino a mezzogiorno, si accese la battaglia a La Maddalena. Dalle batteria dell’isola venne iniziato un intenso cannoneggiamento contro i mezzi che trasbordavano le truppe al quale i tedeschi riposero da Palau con i pochi cannoni rimasti in loro possesso. I nostri comandi, infatti, prima di far ritirare i loro uomini, avevano dato ordine di disattivare i pezzi di tutte le batterie. Numerosi colpi raggiunsero l’abitato procurando pochi danni e senza fare alcuna vittima. Ma l’azione di resistenza dei soldati italiani creò subito nei tedeschi un atteggiamento ostile che provocò un clima di tensione nei confronti dei carabinieri, dei finanzieri e dei pochi militari rimasti di presidio. Ai numerosi episodi di aperta ostilità fecero seguito vandalismi e razzie. I tedeschi ed i paracadutisti italiani della divisione Nembo, che si erano schierati dalla loro parte, intimarono a militari e civili l’immediata consegna delle armi penetrando nelle case incustodite dopo aver scardinato porte e finestre. L’obiettivo principale era però costituito dai magazzini di viveri e di vestiario che non dovevano cadere nelle mani degli anglo-americani il cui arrivo era imminente. Essi vennero totalmente depredati non solo dai soldati tedeschi e dai paracadutisti italiani, ma anche dalla popolazione civile, che da loro stessi favorita, era accorsa o addirittura trasportata con mezzi militari dai centri vicini. Lo scopo era evidentemente duplice: da un lato evitare che le scorte cadessero in mano nemica, dall’altro accattivarsi il favore della popolazione per evitare ostilità e resistenze. Vennero sottoposti a saccheggio non solo i magazzini della caserma di Montiggi, ma anche il deposito di lubrificanti della Capannaccia, i magazzini della Tirrenia, stracolmi di zucchero e di altri generi, il deposito merci della stazione ferroviaria e persino l’ambulatorio comunale. Ed ecco come il comandante della stazione carabinieri di Palau, maresciallo Sebastiano Broccia, riferiva gli avvenimenti in un rapporto diretto ai suoi superiori: “Il giorno 12 andante i militari tedeschi con la partecipazione di una compagnia di militari paracadutisti della divisione Nembo, armati di fucili mitragliatori e bombe a mano, si impossessavano del deposito lubrificanti posto in località Capannaccia. Il lubrificante asportato veniva avviato a S.Teresa Gallura diretto in Corsica. La polveriera di Stintino e il casotto del cavo telefonico di Punta Nera venivano presidiati da soldati tedeschi; la stessa sorte toccava alla batteria di Monte Altura e ad altre batterie di difesa di questa giurisdizione. La batteria di Monte Altura venne abbandonata dai militi che la presidiavano e prima che essa fosse abbandonata gli stessi uomini provvedetelo a rendere inefficaci i pezzi della difesa. Il giorno 14 verso le ore 9.30 militari tedeschi e paracadutisti della divisione Nembo, associatisi ai primi, armati di fucili mitragliatori e bombe a mano, sfondavano le porte dei magazzini viveri e vestiario di Palau e penetrati in questi si abbandonavano al saccheggio al quale si associavano gli abitanti di Palau, di Arzachena, Luogosanto, Luras, Calangianus e da altre frazioni della Gallura. Il detto saccheggio aveva fine il giorno 15 dopo avvenuto il totale svuotamento del materiale ivi esistente. Il pronto intervento di quest’Arma rimaneva senza effetto anche perché i militari erano sprovvisti di armi e non in numero tale da poter mettere a confronto con quelli tedeschi e paracadutisti italiani. I civili erano spalleggiati a compiere il saccheggio dai militari tedeschi e l’intervento dei carabinieri veniva ostacolato dai detti militari i quali sotto la minaccia delle armi impedivano ai carabinieri di compiere il loro dovere. Pur tuttavia molti carri agricoli dei civili, carichi di coperte e cassette di gallette, vennero accompagnati in questa caserma ma ciò venuto a conoscenza dei tedeschi, questi sfondavano il portoncino che immette nell’alloggio del comandante della stazione e fatta irruzione in questa caserma costringevano sotto la minaccia delle armi lo scrivente e gli altri militari di questa stazione a lasciar liberi i civili con tutto il loro carico”. Ad impedire il saccheggio, oltre ai carabinieri, concorsero i pochi finanzieri rimasti a Palau, ma anche loro dovettero desistere perché fatti segno a raffiche di mitra e lanci di bombe a mano. Fortunatamente non ci furono vittime e solo il giovane finanziere Giovanni Naseddu rimase ferito alla mano da una scheggia. A reprimere ogni azione da parte delle forze dell’ordine, davanti alle due caserme, quasi attigue fra loro, fu posto un carro armato. Oggetto di razzia furono anche numerosi pacchi postali diretti ai militari di La Maddalena che qualche giorno prima, per precauzione, erano stati depositati nella caserma dei carabinieri; se ne salvarono solo alcuni che il maresciallo Broccia aveva fatto nascondere fra la paglia del fienile. Non sfuggì all’attenzione dei tedeschi il giubbotto lasciato incustodito dal carabiniere Giovanni Ivaldi, dal quale furono sottratte 3.500 lire, e peggior sorte ebbero cinque galline che i carabinieri tenevano nel cortile della caserma. Come in tutte le guerre a farne le spese sono anche le galline. Le razzie dei tedeschi e dei paracadutisti italiani, alla ricerca di cibo fresco, proseguirono però nelle campagne. Numerosi furono i capi di bestiame uccisi e macellati sul posto. I fratelli Antonio e Sebastiano Cudoni, recatisi nel loro stazzo in località Scopa, a quattro chilometri dall’abitato di Palau, avevano sorpreso i tedeschi che, immobilizzato il guardiano Ilario Lentischio, dopo aver ammazzato un giovenco stavano macellando un maiale destinato all’ingrasso; un altro maiale al pascolo, inseguito a colpi d’arma da fuoco, era riuscito a sfuggire alla razzia nascondendosi tra i cespugli. Furono inoltre trafugate due damigiane di vino e versati per terra 400 litri di mosto, frutto della recente vendemmia. Alle proteste e alle richieste risarcitorie dei fratelli Cudoni, rivolte a un ufficiale tedesco presente al fatto, questi, dopo aver fatto puntare le armi contro di loro, rispose: “Noi siamo in guerra con Italia, perciò mangiare bere pagare niente”. Peggior disavventura occorse però al parroco di Palau don Andrea Usai che sebbene febbricitante per un attacco di malaria era uscito allo scoperto e si era prodigato per dissuadere gli abitanti dall’abbandonarsi ai saccheggi. Due giovani tedeschi delle SS, dopo aver fatto irruzione nella canonica chiedendogli se aveva delle armi, alla sua risposta negativa lo malmenarono strappandogli di dosso il colletto di celluloide; poi si lasciarono andare ad ogni vandalismo. Don Usai, sebbene febbricitante, fu tenuto in ostaggio senza cure e senza cibo dalle 17.30 del 14 settembre alle 11 del giorno 16 ora in cui i due soldati lasciarono la canonica per imbarcarsi su una delle ultime motozattere dirette in Corsica. Il malcapitato parroco, nel rimettere a posto le poche cose lasciate dai tedeschi, trovò un quadro del Cuore di Gesù trafitto con tredici pugnalate. Il giorno dopo, cessata la battaglia alla Maddalena, gli ultimi tedeschi lasciavano l’isola concentrandosi a Palau. Alle ore 15 del 17 settembre Palau veniva abbandonata e alle sei del mattino successivo, dal porto di Santa Teresa Gallura, partiva l’ultima motozattera diretta a Bonifacio. I tedeschi, ai quali oltre ai paracadutisti della divisione Nembo si erano aggregati a Santa Teresa Gallura i militari del Gruppo Ovest della Milmart sotto il comando del seniore Belloni, abbandonavano definitivamente l’isola: alle loro spalle solo distruzione e tanta paura. Gli alleati erano ormai alle porte e l’incubo della guerra, almeno in Sardegna, era finito. Altrove il peggio doveva ancora arrivare. Ma i grandi enigmi storici di quei giorni sono però ancora da sciogliere. L’arrivo del Re, della corte e del governo a La Maddalena con al seguito la flotta, avrebbe creato favorevoli condizioni per il libero esercizio dei compiti istituzionali e avrebbe forse mutato il corso della storia e salvato l’istituzione monarchica. Si sarebbero rivissuti, con precisa cadenza vichiana, i giorni dell’esilio dei reali piemontesi in Sardegna del 1799. Mussolini sarebbe stato consegnato agli alleati, anche noi avremmo avuto la nostra Norimberga e la riconquistala libertà non avrebbe esordito con quell’indecoroso spettacolo di Piazzale Loreto che nessuno ci ha mai perdonato. La precipitosa fuga da Roma e le defezioni dei vertici militari crearono invece solo il caos. Ma condizione essenziale perché il Re e la flotta arrivassero a La Maddalena era quella di tenere i tedeschi lontani dall’isola tanto più che in quel momento le nostre forze di terra in Sardegna, unite a quelle della marina, erano superiori a quelle tedesche. Ed il Sanna commenta: “La Sardegna avrebbe offerto le condizioni ideali per un’azione di governo a piena sovranità, a differenza di quanto fu possibile a Brindisi, Grande e grave fu, quindi, la responsabilità di Basso che accettò la richiesta dei tedeschi di evacuare pacificamente l’isola quando ancora era in programma il trasferimento a La Maddalena del Re e del Governo, e l’acquiescenza di comodo di Brivonesi. Questa decisione partecipò a rendere impossibile l’attuazione del progetto e a determinare una situazione di confusa emergenza in cui improvvisazione, incapacità e quant’altro trasformarono la sconfitta in una vera e propria disfatta nel giudizio degli italiani”. Forse ha ragione Montanelli quando dice che quello dell’8 settembre è uno dei “ribaltoni” da dimenticare “…perché venne affidato a gente non del mestiere quali sono i militari, ai quali in realtà non dovrebbe essere affidato nulla, nemmeno le guerre”. E l’aforisma, come confessa lo stesso Montanelli, non è suo, ma di Clemenceau. (A. Ciotta) Vedi anche: 17 settembre 1943
17 settembre
Le operazioni di sgombero dei tedeschi finiscono: molto materiale non imbarcato rimane nel porto e i civili si impossessano soprattutto dei generi alimentari abbandonati. Dopo qualche giorno i Carabinieri di Santa Teresa effettuano controlli a tappeto nelle case per recuperare quanto è stato sottratto.
20 settembre
Inizia il riarmo delle batterie della Piazza con personale della Marina.
20-30-settembre
Arrivano gli anglo-americani per sopralluoghi e accordi con il Comando Militare. Si nota subito il diverso atteggiamento dei due alleati. Scrive l’ammiraglio: “…Improntate a formale cortesia i rapporti da parte degli Inglesi, e maggiore cordialità da parte degli Americani” (Comando Militare Marittimo Autonomo in Sardegna, Relazione cronologica, anno 1943).
20 settembre
Arriva al porto di Santa Teresa un motoscafo tedesco, proveniente da Bonifacio, con trenta prigionieri italiani da scambiare con altrettanti tedeschi rimasti sul territorio sardo. Nei giorni successivi si ripetono le richieste attraverso volantini, lanciati da aerei che sorvolano l’abitato, con i quali si ripropongono scambi.
21 settembre
Muore Guglielmo Pantano; Figlio di Alvise un bersagliere di stanza nell’arcipelago, era nato a La Maddalena nel 1914, capitano di Fanteria della Divisione Aqui, fu uno dei comandanti della Resistenza italiana a Cefalonia. Fu fucilato con tutti gli altri ufficiali il 21 settembre 1943 dopo la resa alle truppe tedesche ed è decorato alla memoria con Medaglia d’Argento al Valor Militare.
24 settembre
24 settembre 1943, salvato dalla prigionia
22 ottobre
Nell’ottobre del 1943, dopo la liberazione dai tedeschi, La Maddalena viene occupata dalle truppe “alleate”. Americani ed inglesi si insediano soprattutto all’interno dell’ex Arsenale della Regia Marina, dove sono ancora ben visibili le ferite causate dai loro stessi bombardamenti; officine crollate con tetti scoperchiati che mostrano grandi travi bruciate, macerie dappertutto. Ferve però un’attività intensa da parte dei soldati alleati, grandi navi ausiliarie si ormeggiano alle banchine e da esse vengono scaricate e disposte sui moli, enormi casse di ogni genere di materiale, armi, munizioni, viveri di conforto e quant’altro possa essere necessario alla installazione della base.
Giunge anche una intera una squadriglia di PT, le veloci siluranti della USNavy, le equivalenti dei nostri MAS. E’ la 15^ squadriglia, composta da sei battelli che prende posto nelle banchine “a pettine”, fino a meno di due mesi prima occupate dai battelli del 7 Gruppo Sommergibili della Regia Marina.
Nell’ampio banchinamento che si trova di fianco ad esse (di fronte all’ex centrale elettrica) viene installata una postazione antiaerea circondata da sacchetti di sabbia. Sempre a guardia dell’Arsenale, una seconda postazione antiaerea viene installata di fronte, nell’isola di Santo Stefano, in posizione sopra elevata. Altre postazioni sparse si trovano a bordo di alcuni natanti della USNavy ormeggiati nelle banchine adiacenti.
Da questa base le PT potranno pattugliare le coste dell’isola del Giglio e della stessa Toscana, nei pressi delle quali le navi tedesche transitano per rifornire le truppe che sul fronte terrestre cercano a fatica di fermare l’avanzata anglo-americana.
La sera del 22 ottobre, nell’Arsenale riecheggiano ordini e c’è gran concitazione, tre PT della squadriglia della USNavy, mollano gli ormeggi dalle banchine, sono la PT 206, la PT 212 e la PT 216, la loro missione è quella di intercettare una nave tedesca partita da Livorno, comandante della PT 216 e della missione è il comandante Dubose.
La nave nemica è la “Juminda”, una nave posamine che i tedeschi avevano sequestrato alla Regia Marina dopo l’8 settembre. Nell’ultimo mese e mezzo ha svolto diverse missioni come posamine ed ora in quella notte del 22 ottobre sta svolgendo quella che secondo i comandi tedeschi dovrà essere la sua ultima missione, in quanto giudicata troppo vecchia per essere ancora impiegata in compiti operativi. Prima della partenza da Livorno ha caricato 62 mine, che sta silenziosamente depositando lungo un tratto di mare vicino alle coste toscane, dove spesso transita naviglio alleato.
Al comando della nave si trova il quarantacinquenne Capitano di Corvetta Karl Friedrich Brill, un ufficiale pluridecorato che proviene dal fronte del Mar Baltico. Oltre lui, fanno parte dell’equipaggio, altri 70 marinai, tra i quali Karl-Heinz Waack un ragazzo che si è appena sposato.
Intorno alla mezzanotte, nei pressi dell’Argentario, le PT, partite da La Maddalena, vedono comparire negli schermi dei loro radar la sagoma di una nave, si tratta della “Juminda”.
DuBose da immediatamente l’ordine di attacco, le PT 206 e PT 216, da una distanza di circa 800 metri, lanciano due primi siluri uno colpisce il bersaglio a poppa e la nave comincia subito ad affondare. Il comandante Brill fa suonare la sirena di abbandono nave e proprio mentre tutti i marinai stanno gettandosi in acqua un secondo siluro centra in pieno la nave, uccidendo gran parte degli uomini in mare. La Juminda in meno di un minuto scompare inghiottita dal mare.
E’ l’alba, quando le tre siluranti fanno rientro nelle banchine dell’Arsenale di La Maddalena, per loro è gran festa! Il comandante Brill invece è tra le vittime, insieme ad altri 63 marinai, il suo corpo viene recuperato due giorni dopo, mentre galleggia in superficie insieme a quello di Karl-Heinz Waack e di altri sfortunati marinai. (G. Nieddu)
24 ottobre
I principali avvenimenti occorsi a La Maddalena nel 1943 sono ben noti a tutti: l’affondamento dell’incrociatore Trieste, la prigionia di Mussolini a villa Webber, il mancato arrivo del Re e della flotta italiana, l’affondamento della corazzata Roma e degli incrociatori Da Noli e Vivaldi, l’occupazione dell’isola da parte dei tedeschi e la loro ritirata in Corsica, l’eroismo e il sacrificio di tanti uomini culminato con il conferimento a Carlo Avegno della prima medaglia d’oro della guerra di liberazione, ed anche il comportamento di tanti altri che non seppero scegliere la via giusta o quella maestra del coraggio. Ma gli eroi non sono solo quelli delle medaglie: con Carlo Avegno c’erano anche gli operai dell’arsenale e gli scaricatori portuali improvvisati a fucilieri dei quali non ci sono giunti neppure i nomi a riprova che all’ombra dei grandi eroismi vi sono sempre tanti piccoli episodi e tanti modesti personaggi rimasti sconosciuti il cui valore non fu certamente meno fulgido. Ed è proprio uno di quei tanti episodi che queste note vogliono rievocare. Le truppe tedesche avevano lasciato l’arcipelago e la Sardegna il 18 settembre 1943, subito dopo erano arrivati gli alleati: prima gli inglesi e poi gli americani. Alla fine di settembre Napoli era insorta ed il 13 ottobre il Governo del Sud aveva dichiarato guerra alla Germania iniziando ufficialmente a combattere a fianco degli anglo-americani: l’Italia era divisa in due. Alle 13.30 giungeva nel porto di Cala Gavetta, proveniente dall’isola del Giglio, il motopeschereccio toscano Maria Teresa condotto dal capitano Sirio Scotto di Porto Santo Stefano; gli uomini a bordo, stremati da una lunga navigazione, concludevano la loro avventura e trovavano felice riparo ai pericoli corsi. L’episodio, di cui si è perso il ricordo ed i cui protagonisti sono certamente quasi tutti scomparsi, ci viene narrato in una relazione del vicebrigadiere dei carabinieri Ferranti della stazione del Giglio, redatto al suo arrivo a La Maddalena; “Il 21 ottobre 1943, verso la ore 10, da pescatori dell’Isola del Giglio venivano sbarcati 4 ufficiali e 6 militari specializzati dell’aviazione americana rimasti in mare a seguito della distruzione, avvenuta per avaria, della fortezza volante su cui si trovavano a bordo. Il 23 ebbi l’ordine di avviare alla compagnia di Orbetello i prigionieri e lo stesso 23, vero le ore 18, a bordo del motopeschereccio Maria Teresa, con i carabinieri Merlina Agostino, Salamida Ambrogio e Casalucci Antonio, della stazione del Giglio e dei carabinieri Giampaoli Lelio e Fasano Cosimo della stazione di Orbetello, con i dieci prigionieri salpammo per Orbetello”. L’ordine pervenuto al comandante della stazione maresciallo Salvatore Luchini era perentorio: avviare i prigionieri al vicino comando di Orbetello perché fossero consegnati ai tedeschi e con l’occasione trasportare le armi e le munizioni che i militari italiani avevano abbandonato dopo l’8 settembre e che il presidio tedesco dell’isola aveva preso in custodia. Ma tanto il Ferranti, quanto il maresciallo Luchini avevano già maturato l’intenzione di portare in salvo gli americani. Il capitano Scotto, incaricato del trasporto col suo motopeschereccio, si mostrò favorevole e suggerì di far rotta verso l’isola di La Maddalena ove erano già arrivati gli alleati. Per non insospettire i tedeschi tutti i documenti relativi all’operazione furono predisposti regolarmente per la destinazione di Orbetello e gli americani vennero imbarcati in ceppi. Subito dopo la partenza, quando il motopeschereccio si era convenientemente allontanato, la rotta fu invertita e la prua rivolta verso la Sardegna. Ma il sopraggiungere di alcune unità tedesche in perlustrazione o dirette in Corsica costrinse lo Scotto, praticissimo dell’isola, a riaccostare e a nascondersi in una cala per riprendere la navigazione a luci spente sul far della sera. La presenza del motopeschereccio e forse le intenzioni del comandante dovevano però essere trapelate. Durante quella sosta, infatti, l’imbarcazione era stata raggiunta dai soldati Alfio Silvani e Rosario Germanà del 6° reggimento costiero, datisi alla macchia dopo l’armistizio, e dal dott. prof. Ugo Balducci, medico, che per la sua posizione politica rischiava la deportazione. L’intesa fra il capitano Scotto e il vicebrigadiere Ferranti fu immediata, anche costoro furono imbarcati per essere portati in salvo. Ed ecco come il Ferranti, tacendo del tutto l’iniziativa del comandante la stazione Luchini e l’immediata accondiscendenza del capitano Scotto, e vedremo perché, proseguiva nel suo racconto: “…dopo aver percorso circa due miglia, ed aver preso accordi col comandante dl peschereccio, feci invertire la rotta per la Sardegna. Dopo circa mezz’ora avvistammo sette motozattere e tre Mas tedeschi il che ci consigliava di approdare all’isola del Giglio in attesa che si allontanassero i mezzi nemici. Alle 21.30 riprendemmo la navigazione ed alle ore 13,30 del 24 successivo raggiungevamo La Maddalena”. Si concludeva così grazie alla determinazione del vicebrigadiere Ferranti e del capitano Scotto la disavventura dei dieci prigionieri americani che raggiungevano a La Maddalena i loro commilitoni. Di essi il rapporto del Ferranti riporta i nomi e i numeri di matricola:
Richard M. Singler – 2 and Lt. 0-531338
Robert F. Murphy – S/agt. II-0-84959
Myronn Nemmsingen – 2 and Lt. 0-729663
William F. Rosler – SR.S./agt. 35313714
Warren L. Smith – T/agt. 37302653
Robert A. Owen – T/agt. 15370673
Walter F. Zmuda – T/agt. 31138587
Samuel W. Hines – S/agt. 34338428
Darrel E. Johnston – 2 and Lt. AG. 0-680776
Miller Daniel G. – 2 and Lt. AG. 0-678937
Al loro arrivo a La Maddalena i due soldati, con le armi e le munizioni trasportate, venivano consegnati al comando del presidio e il prof. Balducci al comando militare marittimo che, dopo averlo interrogato, lo rimetteva in libertà. A conclusione del suo rapporto il Ferranti aggiunse: “…gli americani, avuta da me comunicazione del proposito di raggiungere la Sardegna si dimostrarono entusiasti; avevano in animo di sopprimersi pur di non cadere in mano dei tedeschi”. Due settimane dopo il suo arrivo, il Ferranti, che aveva taciuto l’iniziativa e l’assenso del maresciallo Luchini al compimento dell’impresa, resosi conto che ormai era tutto tranquillo e che non si correvano più pericoli, si presentò al comandante della tenenza per modificare la versione dei fatti esposta nella sua prima relazione e il tenente Salvatore Genco, nel riferire ulteriormente al suo comando, precisava: “La divergenza fra la dichiarazione del vicebrigadiere Ferranti, trascritta con nota di questa tenenza del 6 novembre scorso, ed il contenuto del presente foglio, non devesi attribuire al fatto che il sottufficiale volesse far risultare il suo spirito di iniziativa. Egli ebbe a contenere l’esposizione dei fatti nei termini della discrezione per evitare al proprio comandante di stazione, rimasto all’isola del Giglio, possibili rappresaglie da parte dell’autorità tedesca”. (A. Ciotta)
26 ottobre
Dopo la sua liberazione, la base militare di La Maddalena si trovava in una posizione strategica di notevole importanza per le forze Alleate. Innanzi tutto era all’interno di una regione, la Sardegna, già completamente liberata e geograficamente più a Nord di quanto non fosse il fronte in quel momento. Dal suo porto, veloci siluranti (PT), avrebbero potuto raggiungere il Giglio e la Toscana e quindi il “retro-fronte” tedesco. Questo sarebbe stato di grande utilità per azioni di spionaggio e per avviare contatti con esponenti della resistenza italiana.
Furono queste le ragioni per cui, nell’ottobre 1943, venne creato un Comando OSS (Office Strategic Service) ovvero un servizio di spionaggio. Uomini pronti a tutto.
Il 26 ottobre il nucleo sbarcò nell’isola, si trattava di un gruppo composito, formato da due ufficiali e 9 uomini perlopiù arruolati nelle carceri americane ed a cui veniva data la possibilità di redimersi. Si trattava essenzialmente di gangster della malavita americana degli anni 30. A capo di questo nucleo è l’Ufficiale Wayne Nelson.
Faceva parte di questo “allegro” gruppo e girava tranquillamente per le strade della nostra città, Joe Sicalzi, guardia del corpo di Al Capone e suo autista personale di fiducia! E’ il suo comandante che lo descrive: ” un ometto di 48 anni, ma sempre pronto ad uccidere. Nei momenti di noia mi chiede di dargli qualcuno da eliminare”.
La loro base operativa si insediò nell’albergo Ilva, al secondo piano, in alcune stanze le cui finestre si affacciavano su Piazza Garibaldi.
Nell’ex arsenale intanto si ormeggiavano 6 siluranti della 15^ squadriglia PT di cui si potrà disporre per le missioni in territorio “italiano”.
In quel momento la forza americana nell’isola ammontava a circa 800 uomini, tra addetti della 15^ Squadriglia PT, il Battaglione Antiaereo e tutti i servizi connessi.
Il 27 ottobre, giornata bellissima, Wayne con uno dei suoi uomini guida una jeep per le strade dell’isola. Queste sono le sue prime impressioni: “… colline irsute si inclinano fino ad arrivare nell’acqua e c’è roccia, roccia e ancora roccia. Il verde qui è ricco, un verde intenso e l’acqua è limpida e blu. I tramonti, come ovunque, sono belli, ma qui lo sono di più. Possiamo vedere la Sardegna, ovviamente, e più a nord-ovest, in lontananza grigio-marrone, c’è la Corsica. I colori sono tutti ad olio, al contrario dei colori di altri posti.. sulle colline ci sono postazioni armate e fortini con tanti soldati italiani, ci fermiamo e subito ci circondano numerosi, scherziamo un poco con loro. Questa città è stata colpita piuttosto gravemente dai nostri aerei. Intorno ai moli ci sono crateri di bombe nelle strade quasi tutti gli edifici hanno almeno qualche danno. Dentro e intorno alla base PT (arsenale n.d.r.) il danno è più evidente. Nell’hotel che abbiamo preso, la mia camera è al terzo piano e posso vedere i tetti delle altre abitazioni, che hanno una sorta di muschio che cresce su di loro e quindi, dal rosa terracotta originale, sono diventati gialli e rossi…”. (nella foto l’ex albergo Ilva. Le finestre del secondo piano sono quelle della sede del Comando OSS dei Servizi Segreti USA a La Maddalena nel 1943) Le informazioni che gli uomini dell’OSS raccolgono nelle bettole e per le strade vengono registrate regolarmente da Wayne, le sue relazioni parlano di abitanti del posto che pensano che i tedeschi si preparano a riconquistare l’isola e che la stessa è ancora piena di fascisti che li hanno in simpatia. Soprattutto, secondo quanto segnalato al Comandante e confermato dai Comandi superiori, quando i tedeschi abbandonarono l’isola, lasciarono 200 loro uomini vestiti da italiani che parlavano bene la nostra lingua. Questi ragazzi dovevano fare sabotaggio e operazioni di spionaggio. A questo punto il collegamento con i “Brandenburger” diventa inevitabile, questo corpo d’élite era proprio specializzato nell’assumere identità diverse. Furono proprio loro ad occupare i centri vitali dell’isola il 9 settembre (rimando alla lettura di un mio precedente post sull’argomento) e probabilmente, almeno 200 di loro, non lasciarono l’isola con il resto dei tedeschi, ma si dispersero in parte con abiti civili, in parte vestiti da marinai e soldati italiani. Ricordo anche che La Maddalena nel novembre 1943 venne attaccata e bombardata per ben due volte da aerei tedeschi, che cercarono di colpire la stazione radio di isola Chiesa, le siluranti USA nell’arsenale e forse l’albergo Ilva. Il sospetto di aiuto da terra, potrebbe certificare la mano dei Brandenburger.
Difficile, se non impossibile, asserirlo però oggi, considerando che le missioni di questo gruppo erano talmente segrete che anche per gli storici tedeschi è stato impossibile ricostruirne i dettagli. Ma a livello di opinione personale gli indizi mi porterebbero proprio a questa conclusione.
L’ufficio OSS di La Maddalena oltre che raccogliere informazioni, compiva svariate missioni, assai rischiose sul territorio peninsulare ed all’isola del Giglio, dove addirittura riuscì ad approntare una stazione radio clandestina per fornire informazioni circa i movimenti dei tedeschi e del loro naviglio. Informazioni che furono molto utili alla squadriglia PT dell’Arsenale che, riuscì anche ad affondare un posamine tedesco, (di questo vi parlerò in un futuro post). Dopo ogni missione gli uomini rientravano sempre all’Albergo Ilva.
Particolare il profilo che viene tracciato da Wayne dell’ammiraglio Brivonesi:
“…si vanta di avere fregato gli americani. Abbiamo sentito che è un fascista e probabilmente è ancora in contatto con Roma, ma la politica dell’Alto Comando Alleato è di mantenere i fascisti al potere finché cooperano: la domanda è, come si può dimostrare che collaborano se sono intelligenti e scaltri da nascondere una eventuale strategia contraria? Comunque il nostro comandante vuole sapere se abbiamo qualche prova sull’ammiraglio italiano in modo da forzare la questione”
Un’altra particolare annotazione sul diario di Wayne riguarda quello che ritengo possa essere un medico locale che occupò posizioni di rilievo nella vita politica e sociale della nostra comunità: dottor Aldo Chirico. Non ho indubbiamente alcuna prova che si tratti di lui, ma considerando la tipologia del personaggio, non lo si può escludere.
“Abbiamo scoperto che un certo dottore dell’isola aveva informazioni su due nostri aviatori abbattuti nei pressi e condotti al Giglio da mas italiani. Chiedo all’Ammiragliato di avere notizie sul medico e un comandante mi dice che me lo avrebbe presentato se fossi andato al Circolo degli Ufficiali italiani. La sera stessa, al circolo, un ufficiale di collegamento mi presenta il dottore. Gli dico che, dalle tante informazioni raccolte, ho motivo di credere che alcuni tedeschi siano ancora nell’isola, ma il dottore non la pensa così. Dice però che sembra accertato che visitino frequentemente l’isola, sebbene a intervalli irregolari. Pare siano venuti nell’isola anche la settimana scorsa per prelevare alcuni ostaggi e che le (ex) camicie nere della Milizia fascista mantengano con loro contatti radio. Per questo motivo i due aviatori erano stati immediatamente trasferiti al Giglio.
Nella notte tra il 9 e 10 novembre La Maddalena è attaccata da 16 Junkers88 tedeschi, aerei bimotori da bombardamento, decollati da aeroporti del Nord Italia.
In merito a questa azione tedesca, che poi, come vedremo verrà duplicata, non si parla quasi mai, forse per scarsità di informazioni, ma il rapporto di quella che era la 3° Legione Milmart, registra che quel giorno, 10 novembre, l’esplosione di ben 366 colpi di artiglieria contraerea e 1983 colpi di mitragliera. Stranamente non sono mai riuscito a reperire molte informazioni su questi bombardamenti tedeschi dell’isola per cui è l’occasione di sentire il resoconto di Wayne:
“…Avevo appena trascorso circa un’ora in un sonno relativamente comodo quando alle 2:00 del mattino. suonò l’allarme. Solo quindici secondi dopo, potevo sentire la gente correre per strada per recarsi al rifugio antiaereo. Avevamo le finestre e le persiane chiuse, quindi non vedevo nulla. Frank finalmente si alzò dopo che i cannoni iniziarono a sparare, e sentimmo un paio di bombe in lontananza.
Volevo restare a letto, ma una decina di minuti dopo una esplosione fu così vicina da scuotere forte le finestre, così mi alzo…
Indosso pantaloni, scarpe, camicia e soprabito, indosso l’elmetto e con Frank scendiamo al piano di sotto, al buio. La maggior parte dei nostri ragazzi va al rifugio (pensiamo che alcuni di loro lo facciano perché le prostitute della casa su per la collina a circa tre isolati di distanza saranno probabilmente lì) ma io e Frank e altri cinque restiamo nel piccolo ingresso vicino alla porta davanti alla strada. Il fuoco cessa. La maggior parte delle esplosioni è avvenuta verso Caprera intorno alla base delle PT. Dopo circa cinque minuti ricomincia. Questa volta i cannoni antiaerei della collina vicino a noi sparano subito, ma la direzione del fuoco non è verso o sopra il nostro edificio.
… Il fuoco cessa di nuovo per alcuni minuti. Quindi si riapre nuovamente e lo ascoltiamo avvicinarsi a noi. Sentiamo i motori degli aerei: sentiamo chiaramente che volano bassi, mi sento un po inquieto, soprattutto sapendo che siamo solo ad un isolato, dai moli. Vado alla porta (su largo Matteotti n.d.r.) e sbircio. La linea di fuoco dell’Antiaerea sta arrivando al centro direttamente sopra l’edificio, il rombo dei motori degli aerei si mescola al suono del fuoco. L’edificio trema leggermente. Deve essere una bomba o due a circa un quarto di miglio di distanza. Non riesco a distinguere il numero di aerei. Sento cadere altre bombe prima che si allontanino molto oltre il nostro edificio. Sento di nuovo i motori passare sopra la casa, la linea di fuoco Antiaerea li segue. Sia Frank che io tratteniamo il respiro per cinque o dieci secondi in attesa di quello che accadrà, ma non accade nulla. Il fuoco cessa. C’è silenzio. Rilasso il respiro e mi dirigo verso il punto in cui Frank si trova, in un piccolo arco interno (atrio dell’ingresso dell’albergo? n.d.r.), dice nell’oscurità: “Immagino sia tutto finito. Vado a letto.” Si muove verso le scale e il fuoco ricomincia. Torna alla sua posizione velocemente. Quindi i bastardi ricominciano. Ora stanno insistendo nella nostra parte dell’isola. Seguono altre tre fasi di questo raid, e poi si fermano. Queste ultime fasi sono state sufficienti per farmi trattenere il respiro. Quando senti un aereo volare a bassa quota nelle vicinanze, non è piacevole… Tutto si è concluso.
Salgo di sopra e prendo un cracker con burro di mele e burro di arachidi, fumo una sigaretta con Frank e andiamo a dormire. Sono le 3:30 del mattino.”
Nel primo pomeriggio del giorno dopo un ricognitore tedesco sorvola l’isola per constatare i danni dell’azione della notte precedente. L’albergo Ilva non ha più ne elettricità ne acqua, le linee elettriche sono danneggiate. Solo gli uffici militari italiani hanno la corrente elettrica perché possiedono una loro centrale elettrica. Nei momenti in cui non è occupato ad organizzare qualche missione in Continente o a redigere rapporti informativi, il comandante Wayne Nelson passa un po di tempo alle finestre dell’albero Ilva ad osservare la gente del posto ed il suo comportamento. Da buon osservatore qual è, presta molta attenzione anche ai dettagli che scrupolosamente annota. Come in questo giorno di ottobre, in cui, dall’alto osserva piazza Garibaldi:
“È divertente stare vicino alla finestra del nostro hotel che si affaccia sulla piazza e sugli edifici danneggiati e demoliti. I tedeschi non sono ancora venuti a fare il vero lavoro, ma probabilmente lo faranno quando avremo sufficientemente riparato i danni dei nostri stessi bombardamenti.
Stavo guardando dalla finestra un militare italiano. La sua uniforme è vecchia e strappata, ha una toppa nera su un occhio e tiene un braccio rigido. È con una donna, probabilmente sua moglie, il suo vestito è vecchio e logoro, ma indossa una pelliccia che è piuttosto bella. È un ufficiale, lo noto mentre avanzano attraverso la piazza. Lui le sta indicando gli edifici bombardati e danneggiati. Poi ecco che arrivano due ragazze dall’altra parte della piazza e due uomini in abiti civili che sembrano volti nuovi. Gli abiti che indossano sono un chiaro segno di benessere, i civili stanno tornando alle loro case, ma in quel momento scatta un allarme aereo, la sirena, aspra, sfacciata e minacciosamente piagnucolante, spinge le persone che si muovono rapidamente. Non corrono, ma vanno “frettolosi”, attraverso la piazza, verso il rifugio antiaereo. Quando sembra che tutti siano andati al rifugio, arriva altra gente da dietro gli angoli. C’è una donna di circa 30 anni – non ha nient’altro che una pelliccia – come si può notare quando corre e il suo cappotto si apre un po’. Probabilmente viene dal bordello su per la collina. (Anche alle due del pomeriggio!)
Un bel giorno Wayne coglie l’occasione per una visita a villa Webber, conosce bene la storia della prigionia di Mussolini e quindi è animato da una certa curiosità. Ecco il suo racconto:
“L’altro ieri Tom e io abbiamo preso un tè piuttosto interessante. Siamo andati il 15 novembre a fare una passeggiata fino a Villa Weber, la casa dove Mussolini era tenuto quando era qui. Un tenente della marina italiana ci aveva incontrato nel lungo viaggio verso la casa e dopo un po ‘di educata conversazione ci aveva chiesto di venire per il tè il pomeriggio seguente.
Quindi l’altro ieri, su per la collina, ci siamo andati alle quattro del pomeriggio.
Questo tenente (Sansonetti, che comanda i MAS italiani – l’equivalente italiano delle PT – dorme nella stessa stanza in cui Mussolini era detenuto. Abbiamo visto la stanza e la casa; molto bella. Si trova proprio sotto la cresta di una collina rocciosa. Ci sono molti alberi e un ruscello scorre attraverso i terreni. La casa si affaccia sulla Sardegna, visibile dalla casa e dai terreni. Sopra la casa ci sono solo rocce spoglie e nude, ma giù per la collina e tutt’intorno gli alberi si mescolano con le rocce. Il bellissimo verde intenso degli alberi contrasta con le rocce sbiancate.
Sansonetti ha parlato della battaglia di Matapan, alla quale ha partecipato e in cui suo padre era un ammiraglio della Regia marina italiana”. (ricordo che nella battaglia di Capo Matapan gli inglesi affondarono 3 incrociatori pesanti, 2 cacciatorpediniere e 2330 marinai italiani morirono).
Ogni giorno un ricognitore tedesco sorvola l’isola, è sempre abbastanza puntuale e diventa così familiare il suo passaggio nei cieli di La Maddalena che gli americani della contraerea gli hanno assegnato un nomignolo: “Photo Joe”. Pare che questo ricognitore prenda foto di tutti gli spostamenti di naviglio da e per il porto e dei lavori effettuati. Allora la contraerea gli spara contro, non permettendogli di avvicinarsi troppo e pare che da terra c’è sempre qualcuno che gli urli “Ciao Photojoe, Buona foto!”
La vita dei maddalenini e delle truppe militari è sempre movimentata dagli allarmi aerei, più delle volte fasulli o solamente preventivi. Un giorno di novembre l’ennesimo allarme e la gente corre ai rifugi. Il frastuono degli aerei proviene dalla zona di Caprera e si distinguono velivoli che volano in maniera longitudinale all’isola. Le contraeree si mettono subito in azione e i fiocchi neri delle esplosioni si aprono nel cielo. Gli attaccanti però non virano verso il paese, ma proseguono lungo la rotta originale, finché scompaiono. Evidentemente il loro obiettivo si trovava nell’isola maggiore.
Alle 19 circa del 24 novembre una forza di ben 25 bombardieri tedeschi Junkers88, in una giornata con nuvole basse e pesanti, arrivano sull’isola. Leggiamo il racconto di questo raid direttamente dal diario di Wayne:
“Il raid dura circa un’ora. Erano partiti in 50 da aeroporti del Nord, poi si sono divisi in due gruppi da 25, uno con obiettivi in Corsica l’altro sull’isola. Uno stormo di 25 aerei, non sono tantissimi per una grande città, ma moltissimi per un piccolo centro come La Maddalena. Un proiettile ha colpito il muro del nostro posto, a soli 20 piedi dalla finestra da cui stavo guardando. Una cannoniera britannica è colpita ed affondata nel porto qui vicino. Un PT molla gli ormeggi cercando di scappare a tutta forza da terra e viene colpita”.
Dopo questo ennesimo attacco tedesco il colonnello, diretto superiore di Wayne, comprende che sarebbe troppo rischioso mantenere l’ufficio OSS ancora a La Maddalena, era evidente l’accanimento dimostrato da parte tedesca nei confronti dell’isola ed allora, probabilmente anche in considerazione dei mutamenti del fronte terrestre, ordina il trasferimento dell’Ufficio nella vicina Corsica, a Bastia.
Così, dopo solo circa un mese e mezzo le stanze del secondo piano dell’albergo Ilva vengono liberate dagli agenti e le finestre che davano sulla piazza, chiuse.
Cala il sipario sull’Ufficio OSS di La Maddalena.
Per fortuna Wayne Nelson mantenne un diario, pubblicato negli Stati Uniti da qualche anno, ma, purtroppo, mai tradotto e pubblicato in Italiano. Questo libro ci ha consentito di conoscere avvenimenti che, altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti ai più. Questo il motivo per il quale ho deciso di farlo conoscere ad un numero maggiore di persone. Sono piccoli spaccati di storia, locale certamente, ma inquadrati in un contesto mondiale e drammatico quale è stato la seconda guerra mondiale. (Gaetano Nieddu)
14 novembre
Riprende le pubblicazioni ‘‘L’Unione Sarda’’, sotto il controllo del Comitato di concentrazione: la dirige l’avvocato Jago Siotto, socialista. A Sassari ‘‘L’Isola’’ defascistizzata sarà diretta da Arnaldo Satta Branca, già direttore de ‘‘La Nuova Sardegna’’ 1923-26.
24 novembre
Per la seconda volta dopo l’armistizio, aerei tedeschi sorvolano l’arcipelago. Mentre il primo attacco non aveva avuto conseguenze, questo provoca l’affondamento di una motosilurante inglese con tre morti e cinque feriti.
3 dicembre
Nei pressi dell’arcipelago di La Maddalena, fu bloccato un Mas che stava facendo rotta verso le coste della Toscana. A bordo il Maggiore di Fanteria ed ex console generale della milizia Giovanni Martini. Non sappiamo come il Martini si fosse impossessato del mezzo navale, né chi fosse con lui a bordo. Fatto sta che gli fu trovato addosso: un verbale di seduta, datato 18 Settembre, per la costituzione in Sardegna del Partito Fascista Repubblicano, sottoscritto da 15 firme; una lettera del comitato del Partito Fascista Repubblicano sardo diretta al segretario del P.F.R. Pavolini, con la quale si delegava il console generale Martini quale rappresentante del fascismo sardo; un cifrario per giornale radio e appunti vari. I carabinieri arrestarono in tutto, oltre al Martini, ben 18 persone di cui 12 militari: Martino Offeddu, ex federale di Nuoro e Sassari nonché ispettore del P.N.F., il Capitano Antonio Maccari, ultimo federale di Sassari, il Tenente Colonnello Luigi Penso, giudice istruttore presso il tribunale militare di Ozieri, il Tenente Colonnello Felice Chiama, il Capitano Mario Giua, il Tenente di Marina Raffaele Merella, i seniori della milizia Gustavo Scanu e Francesco Bertolotti, i centurioni Dario Lay e Emanuele Tola e il capo-manipolo Livio Matzè. I civili erano invece: Giovanni Mannuzzu impiegato, Giovanni Pirisino industriale, Dino De Martis ex direttore della cassa mutua commercianti. Degli altri conosciamo solo i nomi: Giovanni Sechi, Guglielmo Loru, Antonio Cau e Vittorio Savino. Furono tutti incriminati per “cospirazione politica mediante associazione”, “delitto di associazione antinazionale”, “concorso nel delitto di aiuto al nemico”, “abbandono del corpo per combattere contro lo stato” (solo per i militari), “concorso nel delitto per alto tradimento”. Tutta roba da fucilazione.
Vedi anche: Lo sfollamento del 1943