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Giovanni Cesaraccio

Se, come dicono, c’è per ognuno di noi una stella che governa l’umana esistenza, quella che splendeva nel cielo azzurro oscurato dal sole l’11 ottobre del 1950, deve essere certamente stata un astro che emetteva poca luce. Appena nato, Giovanni dovette soffrire già da subito, il cordone ombelicale arrotolato al collo lo stava soffocando, l’ostetrica lo salvò per miracolo da quella stretta e tutto si risolse per il meglio. Alla nascita pesava 4,800 kg ed era un bel bambino bruno e paffuto. Da piccolo era molto tranquillo, bastava una piccola scatola di fiammiferi per impegnarlo, seduto in un angolo della cucina, fino all’ora del pranzo. Il primo giorni di scuola, pianse perché non voleva separarsi dalla madre, quell’ambiente sconosciuto gli creava paura e fastidio. Ci volle un po’ di tempo, ma riuscì ad inserirsi bene nella classe, anche se le sue effettive capacità (spirito di osservazione, intuito ecc.) non riuscirono ad avere uno sviluppo sul piano dell’applicazione nello studio; Giovanni in classe appariva poco motivato, poco disposto ad impegnarsi nelle varie discipline; a casa invece era senza dubbio più a suo agio. Riusciva a notare il più impercettibile segno di mutamenti del carattere di qualsiasi persona, osservava attentamente la disposizione di qualsiasi oggetto in una stanza, il movimento degli insetti nei prati ed era attratto soprattutto dal luccichio dei cristalli di quarzo che all’età di nove anni iniziò a raccogliere e catalogare.

Purtroppo il suo fisico, pur non essendo gracile, non era dei più sani; all’età di dieci anni le prime avvisaglie di come avrebbe trascorso la sua breve esistenza iniziarono a farsi sentire: una congestione polmonare lo colpì, scampando alla morte per miracolo.

All’età di dodici anni cominciò a svilupparsi quella malattia che lo afflisse fino alla morte; dolori ripetuti al fianco lo tormentavano, le radiografie misero in luce la presenza di un grosso calcolo nel rene. L’insieme di queste coincidenze sfortunate ebbero i primi effetti sul mutamento del suo carattere, passò dal brio all’ansia di non sentirsi più all’altezza degli altri, soprattutto dopo aver asportato quel grosso calcolo con l’intervento chirurgico. Dovette abbandonare lo sport e soprattutto la scuola, che in fondo non aveva mai apprezzato se non per alcune discipline quali la fisica e la matematica. Col prolungarsi delle assenze scolastiche dovette abbandonare la frequenza all’Istituto Tecnico Nautico dopo aver conseguito le licenza della terza classe. Per ovviare a questo inconveniente iniziò a frequentare la scuola per allievi operai dell’Arsenale Militare di La Maddalena, conseguendo la qualifica di carpentiere in ferro e metalli. Un altro scossone a minare il suo carattere fu dato dalla morte improvvisa del padre, avvenuta nel 1968; Giovanni diventò più sensibile ed introverso, forse fu quello della famiglia che soffrì maggiormente. Una forma depressiva lo colpì per alcuni mesi, riuscì a superarla con un maggiore impegno sul lavoro. Stimato dai colleghi di lavoro, dedica il suo tempo libero allo studio della natura; quello studio che nella scuola non aveva mai apprezzato, divenne uno degli scopi principali della sua vita. Riuscì ad intrecciare un legame con una studentessa che ebbe breve durata e Giovanni finì pertanto con l’isolarsi maggiormente. I pochi amici che aveva lo accompagnavano nelle sue ricerche nell’arcipelago alla scoperta di insetti, piante, animali, minerali ed altre forme naturalistiche; fra tutti va ricordato l’inseparabile Francesco Muzzu, fotografo naturalista che con la sua fotocamera ha immortalato tutto l’ambiente naturale con le specie rare presenti nell’arcipelago.

Giovanni inizia a riportare tutti i suoi appunti di campagna in bella copia, riuscendo a pubblicare con l’aiuto di Italia Nostra tre quaderni naturalistici sulla flora e l’avifauna dell’arcipelago oltre ad alcune pubblicazioni sul notiziario di mineralogia, riguardanti le specie minerali dell’arcipelago. Nel 1990 fonda, assieme a Tommaso Gamboni, Antonio Gamboni, Manuela Urban e Salvatore Guccini il “Gruppo Mineralogico Paleontologico Maddalenino”, col quale vengono progettati i lavori riguardanti la geologia e la mineralogia dell’arcipelago. Successivamente scrive con Gin Racheli il libro Natura, nel quale descrive con concreta comunicazione l’ambiente naturale di quest’isola definendola così: “Caprera è tra le isole mediterranee, una di quelle in cui la sacralità della natura è ancora tangibile”; principale artefice di quest’ultima opera, Giovanni Cesaraccio non vedrà il suo lavoro così pubblicato, muore infatti la mattina del 3 agosto 1992 all’età di 41 anni stroncato da un infarto, nel momento, forse, più bello e intenso della sua vita. Sono trascorsi molti anni e il vuoto che ha lasciato risulta ancora oggi incolmabile, con la sua prematura scomparsa viene a mancare il punto di riferimento per le persone che come noi si occupano di natura, ricerca e studio dell’arcipelago, ma anche per gli altri che vedevano il lui il ricercatore puro, il maestro insostituibile e il devoto studioso.

Restano i suoi lavori, tutti importanti, rivolti soprattutto ai ragazzi delle scuole e mirati verso una intensa attività educativa, affinché “l’uomo” abbia una visione ben delineata dell’ambiente naturale delle isole dell’arcipelago maddalenino. Il comune di La Maddalena gli ha dedicato una via della città a testimonianza di quanto Cesaraccio ha dato in termini di “sapere”.Nel 1993 viene intitolato alla sua memoria il Gruppo Mineralogico, nasce così l’Associazione Mineralogica Paleontologica Giovanni Cesaraccio, riconosciuta a livello nazionale e dall’Ente Parco Nazionale di La Maddalena.