Almanacco isolanoLa Maddalena Antica

La scuola mobile

Storia di una scuola a quattro ruote che girò gli stazzi della gallura per battere l’analfabetismo. Era il 1956.

Nella seconda metà degli anni Cinquanta fu avviato, nella Provincia di Sassari, un “Piano di miglioramento della Scuola”, noto come “Piano P”, che prevedeva alcune iniziative, fra le quali quella relativa alle Scuole Mobili o Paidobus, come volle chiamarli il Provveditore agli Studi di Sassari dottor Salvatore Cappai, il quale li realizzò, ideandone il disegno e l’attrezzatura interna, d’accordo con la Casa costruttrice. Il primo di essi comparve nella provincia di Sassari nel 1956, fu destinato alla zona di San Pasquale (Tempio-S. Teresa Gallura) e affidato e al sottoscritto, il secondo entrò in funzione nel 1958 nella zona di Surrau (Arzachena) e fu affidato all’insegnante Salvatore Gallo di La Maddalena, il terzo nel 1959 nella zona di Battistoni (Arzachena) nel quale si alternarono i compianti insegnanti Antonello Gosamo, Mario D’Oriano e Tullio Mamberti. Tutte le Scuole Mobili dipendevano amministrativamente dal Provveditore agli Studi di Sassari, ma erano seguite dall’Ispettore Scolastico di Tempio Pausania Prof. Luigi Fadda e dal Direttore Didattico di La Maddalena Prof. Giovanni Battista Fabio.

Il Paidobus era un piccolo pullman lungo m. 5,50, che poteva essere utilizzato come aula perché disponeva di 20 posti a sedere, con scrittoi pieghevoli sugli schienali, una lavagna girevole, che poteva sostenere una carta geografica o uno schermo per proiezioni, una radio con microfono e altoparlante, un giradischi, una piccola biblioteca, una raccolta di dischi, un proiettore sonoro e altri sussidi didattici comuni. Disponeva, inoltre, dell’attrezzatura per la scuola all’aperto, consistente in venti banchi pieghevoli in ferro e un tendone che, sistemato su appositi sostegni che si ancoravano alla fiancata del pullman, poteva proteggere gli alunni dal sole. Gli altri Paidobus ebbero, in linea massima, le stesse caratteristiche, fatta eccezione per qualche modifica interna, suggerita dalla prima esperienza. Tutti e tre i Paidobus furono destinati nella Gallura Nord Orientale, cioè in una zona a popolazione sparsa, che aveva, allora, un indice di analfabetismo molto alto.

Vi erano, allora, in Gallura, molti fanciulli che non potevano frequentare la scuola perché abitavano in zone impervie, non servite da mezzi pubblici di trasporto, a vari chilometri di distanza dai centri abitati, e altri che riuscivano a frequentare saltuariamente, a costo di gravissimi sacrifici, percorrendo a piedi quattro, cinque anche sei chilometri per raggiungere la scuola più vicina. Mentre i primi erano considerati “evasori”, anche se giustificati dalla distanza, questi ultimi erano regolarmente iscritti negli elenchi delle scuole pubbliche, ma non riuscivano quasi mai ad ottenere risultati scolastici positivi, a causa delle numerose assenze alle quali erano costretti dalla loro disagiata situazione. Occorreva, dunque, trovare una soluzione per garantire anche a questi fanciulli il diritto all’istruzione.

Il Provveditore Cappai ebbe un’idea originale: non più il fanciullo che va a scuola , ma la scuola che va incontro al fanciullo.

Fino ad allora il problema era stato affrontato con tre mezzi:

1. maestri itineranti;

2. l’istituzione di scuole fisse;

3. la raccolta dei fanciulli per condurli alle scuole fisse.

Tutt’e tre queste soluzioni presentavano, però, difficoltà notevoli.

La prima soluzione, quella dei maestri itineranti, era stata tentata fin dal secolo scorso e di essa si trovano tracce nelle cronache della vecchia Gallura. Fu ripresa dallo stesso Provveditore Cappai, il quale formò un gruppo di maestri itineranti che setacciarono le zone più impervie, ottenendo risultati parziali. Ma le difficoltà che questa iniziativa dovette affrontare furono indubbiamente superiori ai risultati, i quali non potevano superare certi limiti. L’opera dei maestri itineranti si fermava, infatti, all’ambito della famiglia. Di conseguenza, il fanciullo non aveva possibilità di maturare esperienze diverse, di allargare il suo orizzonte, di svilupparsi socialmente. La seconda soluzione, quella di istituire scuole fisse, cozzava contro una serie di difficoltà di diversa natura. La prima era di natura giuridica: la normativa vigente stabiliva, infatti, che fosse obbligato alla frequenza il fanciullo che abitasse a non più di due chilometri dalla scuola. Per garantire la possibilità di assolvimento dall’obbligo scolastico a tutti in zone a popolazione sparsa sarebbe stato necessario, quindi, costruire una scuola ogni quattro chilometri. Ma quanti alunni avrebbero potuto frequentare ciascuna di queste scuole? Certamente un numero di gran lunga inferiore al minino fissato dalla legge. Nella zona di cui si parla, in un raggio di 2 chilometri potevano esservi due o tre fanciulli soltanto, a volte nessuno, ma più di quattro o cinque. La seconda difficoltà, ammesso che si potesse superare la prima, sarebbe stata di natura economica, perché, nella zona servita dalla prima scuola mobile, ad esempio, sarebbe stato necessario istituire almeno sei scuole fisse, con un impegno finanziario sicuramente notevole. La terza difficoltà sarebbe di natura pedagogico-didattica perché scuole frequentate da pochi alunni sarebbero state asfittiche sin dalla nascita e avrebbero dato risultati molto scarsi.

III. La terza soluzione, quella “raccolta” dei fanciulli per condurli alle scuole fisse, non era diffusa, ma era già praticata in Francia (“ramassage”). Le difficoltà di questa soluzione, oltre che di carattere organizzativo, potevano essere anche di altra natura; il cambiamento troppo radicale dell’ambiente, una brusca entrata in una collettività troppo ampia, avrebbero potuto scoraggiare i fanciulli delle campagne e trasformarli in “disadattati scolastici”. Nelle scuole dei grossi centri è sempre più frequente l’imbattersi in fanciulli tristi, che non capiscono, che non si interessano alla vita della scuola, e che, in classi sovraffollate, sono destinati al soffocamento definitivo.

Contro questi mali, molto più efficace sarebbe stata la Scuola Mobile, che non si sarebbe limitata a raccogliere i fanciulli per trasportarli in una scuola fissa, ma si sarebbe curata di loro anche durante il viaggio e dopo aver ultimato il giro di raccolta si sarebbe fermata in un prato, vicino ad uno stazzo, nei pressi di un fiume, ovunque maestro e alunni avessero ritenuto più opportuno fermarsi per svolgere la lezione, all’interno del pullman d’inverno o all’aperto in primavera, sempre comunque a diretto contatto con la natura, sfruttando quanto di positivo potesse offrire l’ambiente nel quale gli alunni erano abituati a vivere, oppure scoprendo gradualmente altri ambienti con le frequenti escursioni fuori del normale itinerario.

Dalla Scuola Mobile si occupò la televisione italiana, che diffuse alcuni documentari, il primo dei quali trasmesso il 29 ottobre 1958 alle ore 22, e la televisione inglese. La Scuola Mobile fu propaganda anche della settimana Incom, che portò le immagini dei Paidobus nelle sale cinematografiche di tutta Italia; dalla Radio Italiana, che si occupò una prima volta della Scuola Mobile nella trasmissione “Ventiquattresima ora”, condotta dal compianto Mario Riva, alla quale fu invitato un alunno, Paolo Serreri (oggi professore universitario presso l’Università di Roma) e che successivamente dedicò alla scuola un documentario, a cura di Ennio Mastrostefano, dal titolo “Maestri su quattro ruote”, trasmesso su secondo programma il 19 maggio 1961, alle ore 21,55, di cui osservo la registrazione.

Dell’iniziativa si occupò in diverse occasioni la stampa nazione e internazionale. Alla Scuola Mobile accennò anche Carmelo Cottone nell’articolo “La escuela y el ambiente rural en italia” pubblicato su “Bordon” – Escuela y Cominidad-Octubre-Noviembre 1959- Madrid. Altri articoli sono apparsi sulla stampa, ma di essi non sono riuscito ad avere copia. Alcuni di essi sono stati allegati ai “Giornali di bordo” che sono stati depositati presso il Provveditorato agli Studi di Sassari, ma che, al momento, non sono responsabili perché probabilmente collocati alla rinfusa in uno scantinato dell’Archivio di Stato. La scuola mobile come mezzo di integrazione sociale. Ma, al di là delle forme di consenso sopra indicate, non posso fare a meno di ricordare la più genuina manifestazione di gradimento e di simpatia, che la Scuola Mobile riscosse, soprattutto da parte dei fanciulli e delle loro famiglie.

Il rapporto Scuola-Famiglia trovò nell’attività della Scuola Mobile la sua esaltazione. Il maestro era in continuo contatto con le famiglie, conosceva i genitori, visitava gli “stazzi”, aveva la possibilità di seguire da vicino la vita stessa delle famiglie, di prendere parte, in qualche modo, alle loro gioie e ai loro dolori. Era uno di loro, parlava il loro stesso dialetto, era conosciuto nell’ambiente. Era una persona di cui si fidavano.

Le famiglie accolsero la Scuola Mobile con grande entusiasmo: una mamma “un miracolo”, un’altra disse che era “una cosa meravigliosa”, un genitore mise a disposizione 100 mq. di terreno per impiantarvi un piccolo giardino, tutti facevano a gara a rendersi utili perché ritenevano importantissima la presenza della scuola.

Tutte le volte che il Paidobus si fermava, o per raccogliere i fanciulli o per svolgere la normale attività scolastica, c’era sempre qualcuno dei familiari degli alunni che si avvicinava per chiedere notizie, per offrire la sua collaborazione, per scambiare quattro chiacchiere sui fatti del giorno o, molto spesso, per chiedere al maestro consigli sul modo di impostare una pratica o di inoltrare una domanda. Questa continua presenza della scuola in una zona abbastanza isolata dal resto del mondo doveva inevitabilmente incidere anche nel tessuto sociale, come osservò il Provveditore Cappai: “Il Paidobus non soltanto è mezzo scolastico, ma è mezzo di integrazione sociale per quelle zone, per quelle popolazioni”. A dimostrazione dell’indice di gradimento della Scuola nella zona, voglio riportare una lettera scrittami dal sig. Raimondo Pala, cantoniere stradale, dopo il primo anno di attività della Scuola: “Dopo un breve periodo di silenzio sento il bisogno di esprimere quale sia il rammarico che ha causato la mancanza della Scuola Mobile dopo la fine dell’anno scolastico. Anch’io, come le mie bambine, mi ero profondamente affezionato e la sua mancanza ha lasciato nel nostro animo un vuoto incolmabile. Debbo sinceramente confessare che questa Scuola è stata il dono più prezioso per i nostri figli, quando questo mezzo tanto sicuro e tanto comodo arrivava come una fata alle nostre case, il sorriso affiorava sulle loro labbra e oggi ne parlano ancora cercando conforto nel caro e dolce ricordo. Voglio ancora augurarmi che quest’opera tanto bella continui nei suoi progressi e questa speranza mi farà sempre sognare e vedere questa bella Scuola camminare sicura su quattro ruote e aggrapparsi alle colline per portare ai nostri cari figli il sorriso e il conforto”.

Il superamento dello “svantaggio” della pluriclasse in una scuola organizzata come comunità scolastica.

Uno “svantaggio” della Scuola Mobile era quello di essere una scuola unica pluriclasse. Ho messo tra virgolette “svantaggio”, perché non l’ho mai considerato tale. Una certa pedagogia di alcuni decenni fa era sicuramente contraria alla pluriclasse, da qualcuno definita “una mostruosità pedagogica”. Tale sarebbe, ancora, se volessimo ritornare ai tempi di una certa educazione tradizionale, che forniva il sapere come lezione da impartire. Certamente in quel caso l’insegnante avrebbe trovato difficoltà notevolissime a conciliare le “lezioni” da dedicare ad alunni di prima, di seconda, di terza, di quarta e di quinta classe. Ma quando si considera l’educazione come conquista personale dell’alunno il discorso cambia e si può arrivare persino a considerare qualunque classe come pluriclasse perché ciascun alunno ha la propria individualità e apprende secondo le proprie capacità.

Le cause della cessazione dell’attività delle scuole mobili.

L’attività delle Scuole Mobili durò dieci anni, dall’anno scolastico 1956/57 all’anno scolastico 1965/66.

Nel 1966 le Scuole Mobili cessarono l’attività.

Perché un’attività che aveva riconosciuto tanti consensi e che sembrava destinata a perpetuarsi nel futuro fu accantonata?

Le cause furono diverse.

La prima fu di carattere generale: in presenza di una situazione di crisi economica quale fu quella che attraversò l’Italia nella seconda metà degli Anni Sessanta, si pensò che il problema della lotta contro l’analfabetismo nelle zone a popolazione sparsa, tutto sommato, potesse essere risolto col sistema degli “Scuolabus”, cioè dei semplici mezzi di trasporto, più economici, anche se meno graditi dalle famiglie e meno efficaci dal lato pedagogico-didattico.

La seconda fu di carattere locale: proprio verso la metà degli Anni Sessanta, la Gallura subì il più profondo mutamento della sua storia: l’iniziativa turistica trasformò la Gallura Nord-Orientale, provocando lo spopolamento delle zone interne e il rapido sviluppo degli insediamenti lungo la costa. Conseguenza di ciò fu che nella zona di S. Pasquale e in quella di Surrau, nelle quali operavano la Prima e la Seconda Scuola Mobile, il numero delle famiglie che rimasero in campagna diminuì notevolmente, mentre nella zona di Battistone (ribattezzata Baja Sardinia dagli imprenditori che intrapresero le loro iniziative turistiche) nella quale operava la Terza Scuola Mobile, la popolazione aumentò enormemente, sorsero villaggi e residenze, che resero necessaria l’istituzione di scuole fisse.

La diminuzione degli abitanti nelle zone interne fu facilitata dal miraggio del più facile guadagno nella attività dell’edilizia o del turismo.

Molti abbandonarono gli stazzi e si trasferirono a S. Teresa, a Palau, ad Arzachena o sulla Costa Smeralda, dove trovarono lavoro, risolvendo così anche il problema scolastico.

Anche se il problema ha trovato diverse soluzione non ci sembra che possa risultarne compromessa la validità dell’attività delle Scuole Mobili, soprattutto se la si riferisce ad una situazione socio-ambientale determinata. Anche se i tempi sono cambiati, la possibilità di avere a disposizione un mezzo come il Paidobus, rimarrà sempre il sogno di ogni insegnante che voglia evadere dal chiuso dell’aula per dare al proprio insegnamento un’impronta dinamica e moderna.

Conclusione

Alla fine degli Anni Settanta ho voluto ripercorrere l’itinerario della Prima Scuola Mobile, per raccogliere notizie sugli ex alunni.

Ho notato con piacere che la zona ha subito una notevole trasformazione: agli stazzi sono elettrificati, la viabilità è migliorata, sono sorti dei laghetti artificiali che consentono una certa irrigazione, sono più frequenti le coltivazioni foraggiere, che presuppongono l’esistenza di allevamenti di bestiame selezionato.

Su ventidue alunni di cui sono riuscito ad avere notizie, quattro hanno conseguito la laurea (Pedagogia, Agraria, Lettere, Giurisprudenza), tre il diploma (Abilitazione magistrale, Scuola Professionale Agraria, Scuola Professionale Alberghiera), cinque si sono dedicati alla conduzione dell’azienda agricola con capacità operativa e criteri moderni, due sono diventati operai specializzati, uno si è arruolato in marina, sette non sono sfuggite al loro destino di “angeli del focolare”; tutti sono diventati cittadini seri ed onesti, responsabili e consapevoli, capaci di operare le proprie scelte.

Il fatto che non pochi abbiano proseguito gli studi e che anche gli altri abbiano, in linea di massima, migliorato la propria situazione superando quell’atavico atteggiamento di rinuncia che li teneva legati allo “stazzo”, ci dimostra che questi giovani hanno saputo trasformare e migliorare l’ambiente, trasformando e migliorando se stessi.

Se il merito di ciò potrà essere attribuito, sia pure in minima parte, alla Scuola, vorrà dire che il Paidobus non avrà percorso invano le strade della Gallura Nord-Orientale.

Pietro Aresu