La Maddalena AnticaSovranità e Giuristizione sulle Isole Intermedie (1767-1793) Carlino Sole

La spedizione contro le Isole Intermedie (1793)

L’esito infausto della spedizione franco-còrsa contro La Maddalena, e le circostanze che segnarono il «battesimo di fuoco» del giovanissimo Bonaparte, determinando la prima sconfitta della sua luminosa carriera, sono talmente noti, che non occorre discorrerne qui se non per brevissimi cenni riassuntivi.
Tra le fonti sarde e quelle francesi corre un grande divario. Stando ai pochi documenti degli Archivi di Torino e di Cagliari, parrebbe che il merito della sconfitta degli assalitori sia da attribuire al valore dei difensori sardi, che con ben assestati colpi di cannone e di archibugio dalle postazioni della Maddalena e del litorale gallurese ridussero a mal partito le truppe nemiche fino a costringerle a una fuga precipitosa. Le testimonianze dei comandanti francesi ( ), invece, attribuiscono il mancato successo dell’attacco all’ammutinamento dell’equipaggio della corvetta «La Fauvette» e all’ordine di ritirata impartito per necessità di cose dal Colonna-Cesari.
Nella impossibilità di conciliare le opposte interpretazioni dei fatti, crediamo utile riportare per intero, a titolo indicativo, le relazioni dei protagonisti della singolare vicenda: del cavalier Costantin, comandante del «regio armamento» preposto alla difesa dell’arcipelago, e del generale Colonna-Cesari.
Scrisse il Costantin il 19 marzo 1793 al Governatore di Sassari: «Occupandomi a ricevere il nemico convoglio di 23 bastimenti, consistenti in una fregata, una goletta, tre feluconi di guerra, una galeotta, due polacche, due tartane, ed il rimanente in gondole da trasporto mercantili, che già ancorato avevano nell’isola di Sparges, tra la Sardegna e la Maddalena, la mattina de’ 22 andato mese, non ebbi tempo di prevenire V. S. 111.ma come avrei desiderato, né poté passare la valigia in detto giorno: mi lusingai per altro che il signor cavaliere di Thiesi, il quale dalle marine stava per passare in questa detta mattina, le avrebbe rassegnato l’avviso d’essersi detta squadra al mezzodì ancorata tra Mezzoschiffo e quest’isola, e che ben poco dopo gli diedi il combatto dalla batteria Balbiano più vicina. Non fu mal servita la fregata, sebbene facesse uso d’una artiglieria di libbre 36 di palla; avevano scalato sull’isola di Sparges per la distruzione del bestiame, ove non si poteva avere mezzi di difesa, e malgrado il vivo fuoco della nostra batteria, delle mezze galere e del forte Sant’Andrea, comandato dal signor comandante Riccio, non riuscì di impedire lo sbarco sull’isola di Santo Stefano effettuato da tre feluconi e varie gondole, sotto la protezione del cannonamento della fregata, coll’artiglieria di detti feluconi, sebbene vari individui comandati alla torre portatisi alla sponda gli opponessero la più vigorosa resistenza, non parati da detta torre non visibile loro.
«S’impadronì dell’isola il nemico, e la mattina del 23 della torre, dopo varie cannonate della fregata. Nella stessa sera, per tentare di sloggiare la fregata e il convoglio, per procurarmi la comunicazione del litorale, e per liberarmi il passo tra questo e la Sardegna, feci portare di notte il più grosso cannone da 15, che avevo sulla batteria Balbian alla punta detta Li Tegi di questa, e dirigere la forgia per roventare le palle.
L’attività di questo al far del giorno 23 produsse veramente il desiderato effetto, poiché stata detta fregata per quattro volte colpita a palla infuocata, fu obbligata a tentare la ritirata più alla parte della Sardegna per ben due volte, ed infine a lasciare le ancore e accorrere nel porto di Santo Stefano, ciò che mi fece giudicare la resa della torre, avendo lì continuato il più vivo cannonamento nel suo passaggio.
«Di questa giornata portò il nemico una batteria alla sponda di Santo Stefano dirimpetto a questa, malgrado che dai forti Sant’Andrea e Balbiano siasi tentato di fargli cessare col cannone più volte il lavoro, e la sera verso le ore dieci cominciò il bombardamento e cannonamento, parte a palle infuocate su detti forti, e sulle abitazioni, che continuò per due giorni e notti consecutive. Nella sera di detto giorno 23, osservando il regolare assedio che il nemico mi formava con apparati superiori alle nostre forze diretti per uffiziali ingegneri ed eseguiti da brava truppa regolata, essendomi stato esposto trovarsi i nostri forti pressoché sprovvisti di munizioni da guerra per la consumazione fattane nei due giorni, e non avendo che per giorni quattro di vino e dieci di biscotti d’Alghero della più pessima qualità, mi appigliai a far passare due cannoni in Sardegna tra il Capo dell’Orso e il Parau per formare una batteria di .fronte e battere la fregata e convoglio ancorati avanti l’imboccatura di Villamarina egualmente a palle infuocate. Mi riuscì mediante il passo procuratomi: il nocchiere Millelire ne eseguì la commissione; il bravo Zonza scortò la lancia portante li detti cannoni, e la mattina de’ 24, montata dal Millelire pendente la notte detta batteria, il bravo capo cannoniere Mauran applicò fruttuosamente i suoi spari sulla fregata, che fu costretta a ritirarsi dentro il porto per mettersi al coperto e riattarsi dal danno ricevuto a Li Tegi. Venne per altro disimparata de’ suoi alberi di gabbia anche che in porto dal continuo cannonamento, il quale la obbligò a battere la generale per formare due trincere opposte, una sulla punta di levante, e l’altra tra il magazzino e la torre da ponente, la quale per altro non bastava ad intimorire la nostra come neppure quelle, da una delle quali fece uso delle bombe pendente che continuava il bombardamento eziandio dalla sponda sulla popolazione.
«Avendomi lasciata qualche speranza sul nemico la suddetta operazione, spedii in fretta al signor cavaliere Thiesi un espresso, richiedendo di procurarmi munizioni da guerra e da bocca, e gli indirizzai una lettera per il signor governatore di Castelsardo per lo stesso fine. Intanto continuava il nemico da questa parte il suo bombardamento e cannonamento, non meno che i nostri forti sul medesimo.
In vista del buon effetto di quella della Sardegna, feci passare nuovamente al nocchiero Millelire quella sera altri due cannoni per formare altra batteria allo Stentino del Capo dell’Orso per battere allo scoperto la fregata e convoglio ritiratisi dalla prima posizione, e spedii nuove munizioni da guerra al cannoniere Mauran, che prelevai dalle mezze galere, non essendo il caso di somministrarne più i forti.
«Pendente la notte stavasi erigendo la nuova batteria; la fregata ne approfittò per uscire di porto, ove era molestato il capitano, ed in pena di perdervela, comparve alle ore due e mezza dopo la mezzanotte tra il passaggio della Caprera e Santo Stefano, e tentò per mezzo di un felucone, di una gondola e due lance uno sbarco sulla detta isola Caprera, alla quale trovandosi il bravo Cesare Zonza con un distaccamento di marinari col suo equipaggio, diversi isolani e Sardi di rinforzo, in tutto 65 persone, respinsero detto sbarco, al quale si accinsero nuovamente i nemici l’indomani 25, ma infruttuosamente.
Sebbene potesse sperare di rovinare il nemico da questa parte le abitazioni già in parte danneggiate colla continuazione delle sue bombe e cannonate a palle infuocate anche in detto giorno, non gli riusciva però di far cessare il fuoco delle nostre batterie, che vigorosamente gli opponevano; le batterie alla Sardegna misero nella maggior confusione il rimanente del convoglio, che cercava di uscir di porto da Villamarina.
«Non vedendosi cessare il bombardamento sulla popolazione, e non restandomi grande speranza di avere pronto soccorso delle chieste provvigioni sì da bocca che da guerra, e temendo che un più largo indugio non avesse potuto vincere lo sbarco sulla Caprera, e che venisse all’armamento chiuso il passo della Moneta per la fregata, come dimostrava la sua navigazione, deliberai di appigliarsi all’ultimo spediente di assalire il nemico a mano armata sull’isola di Santo Stefano all’indomani malgrado la sua superiorità di forze consistenti in 1500 uomini di truppa tra miliziana, e regolata di 200 circa, secondo la relazione avutane in seguito, non compresa la marineria. Mi occupava di quella sera alle disposizioni del predetto assalto, quando il cannonamento della Sardegna, e forse anche penetratogli il mio progetto per la vicinanza da una sponda all’altra, come ho luogo a presumere per la sua precipitazione, si diede il nemico alla fuga da detta isola col rimanente del convoglio, alla quale contribuì molto una scialuppa che il nocchiere Millelire da quelle batterie armò di un cannone a guisa di lancia cannoniera, con cui si instradò sotto la protezione delle prime verso l’isola, essendo usciti due feluconi per attaccarlo e lasciatigli avvicinare, e sparare le loro artiglierie, al primo colpo di cannone di detta lancia troncò ad uno di essi l’albero ed antenna di maestra, che gli obbligò a ripiegare verso la fregata senza più entrare in porto per cercare il convoglio, ebbe quindi il coraggio di portarsi sull’isola con detta lancia armata di 15 uomini, e mandato sul litorale di Sardegna a prendere un rinforzo di Sardi, percorrette l’isola e fece quattro prigionieri non trovativi all’imbarco.
«Il nemico nella sua precipitosa fuga ha lasciato in istato di servizio li tre cannoni che esistevano su la torre prima della preda, quattro altri suoi propri, due de’ quali gli strascinarono sino a mezza strada con un gran carico lasciato all’imbarco, e un grosso mortaio da bomba, tre ancore e vari arnesi che gli equipaggi si appropriarono per trionfo. Le bombe sparate giusta la relazione dei prigionieri è di 1.050, di cui una parte è stata qui raccolta intera; non si può computare il numero delle cannonate, che non è indifferente.
«Altro danno non abbiamo noi avuto che un marinaro ferito ed un Sardo con una gamba troncata da una palla; molti morti ha avuto il nemico, alcuni cadaveri essendosi ritrovati seppelliti sull’isola, e non pochi feriti osservati dai nostri prigionieri.
Diciassette prigionieri ha fatto su di noi nella torre il nemico, ed otto salvatisi nella fuga.
«Credeva Bonifacio presa la Maddalena nel momento all’apparire della squadra, ma molto più dopo un cambatto di quattro giorni, sapendo ben egli le nostre forze ed artiglieria, e quella della superiore nemica squadra coi generi d’armi di cui faceva uso a questo luogo ignoto. Me lo dichiarò una gondola bonifacina predata la mattina de’ 26 con sette persone d’equipaggio e cinque miliziani che tranquillamente rendevansi alla squadra. Una tartana francese predata dalle nostre galeotte la notte dei 26 ai 27, procedente da Marsiglia, portava i dispacci dell’amministrazione della Sala provvisionale di Commercio e Municipali di Marsiglia in data de’ 14 febbraio ai Consoli ed Incaricati d’affari ai scali di Malta e Barberia per l’avviso della dichiarazione di guerra contro la Francia dell’Inghilterra, Olanda, Russia, Spagna e della probabilità con Venezia.
«Non mi asterrò dal prevenire la V. S. 111.ma che in caso di una seconda spedizione nella forma che è stata fatta la prima, non mi comprometto di sostenere l’impegno sia per non mettere in rischi l’armamento, dovendo l’equipaggio incessantemente custodire il litorale coll’abbandono del bordo, come perché non li avvi molto a contare su la disciplina de’ Sardi e di vari degl’isolani per l’eseguimento delle operazioni. Le nostre batterie sono munite di artiglieria di piccolo calibro, le munizioni da guerra non meno che quelle da bocca non ci assicurano di tenere molto tempo, e la vita durata in quest’azione, essendi stata alli uni e alli altri sensibile, non costumati all’obbedienza militare, è stata causa che nel maggior numero sonsi partiti i Sardi, per cui mi trovo ora in tenue forza. In questa resta necessaria una competente forza di truppa, abbondanza di viveri e di munizione, e che l’isola sia custodita senza obbligare a squarciare l’armamento» ( ).
Anche se i fatti esposti dal Costantin non collimano pienamente con quelli riportati nella relazione del cav. don Giaime Manca di Thiesi, comandante delle truppe della Gallura, e nella lettera di un ufficiale tempiese, capitano della cavalleria miliziana sarda ( ), si potrebbe considerare sostanzialmente veritiera la sua esposizione, nella quale, per altro, non è detto chiaramente per quale ragione i franco-còrsi si dessero inopinatamente e precipitosamente alla fuga. Le cause della ritirata sono invece esposte nella giustificazione che il Colonna-Cesari presentò all’Amministrazione Superiore della Corsica e al gen. Paoli «per essere trasmessa a chi di diritto e manifestata alla Nazione» ;
«Cittadini, vengo a manifestarvi la mia condotta e a sottoporla alla vostra censura.
Qualunque sia il vostro giudizio, egli mi sarà sempre grato. Anelo di metterla a giorno, perché, geloso del mio onore, e nello stesso tempo per disingannare quelli che tutt’altra opinione accordar mi volessero, abbandono ogni riflesso perché amareggia il mio cuore e usurpa il tempo ch’io debbo agli interessi della Repubblica.
«Altre penne, altri ingegni per commuovervi, spiccando voli più sublimi, meglio ornar potrebbero la storia della mia avventura e renderla più interessante ancora; ma lasciando da parte l’oratore, col semplice carattere di veridico cittadino e di patriota senza macchia, ve ne abbozzerò il ritratto.
«Destinato pel contrattacco della Sardegna, benché poco adagiato, sospiravo i momenti per volare alla gloria dell’acquisto. I venti nemici, le piogge, i tempi burrascosi congiurarono per lungo pezzo, e fecero argine ai miei desideri. Questi calmati, sprezzai il mare anche agitato, ed impaziente partii nella notte de’ 18 in 19 del detto mese di febbraio sopra la corvetta « La Fauvette » colla piccola armata e convoglio. La mattina eravamo alla vista della Sardegna, e la calma non permise alcun proseguimento. Tramontato il sole, corrucciossi il tempo. I piccoli legni rientrarono nel porto di Bonifacio e la corvetta si tenne alla cappa.
«Due giorni passarono in questa situazione. La mattina del 22, secondando il tempo, proseguimmo unitamente al convoglio il viaggio verso l’isola della Maddalena. Alla sera fu da noi occupata, malgrado la resistenza nemica, l’isola Santo Stefano, dove campammo la piccola armata. Fu bloccata la mattina seguente la torre, e dopo due ore di vivo fuoco fu resa con i magazzeni adiacenti all’armi della Repubblica, in cui trovammo tre cannoni ed altri effetti.
«Nel giorno 23 con ordine fu bombeggiata dall’isola di Santo Stefano quella della Maddalena, con danno sommo dei fabbricati e degli abitanti, ma con resistenza di questi e senza discontinuazione del fuoco di bombe e di cannone dalle loro batterie. Si continuò col fuoco di bombe e di cannone la notte ed il giorno successivo, e verso la sera convocammo nei magazzeni dell’isola Santo Stefano generale consiglio di guerra, nel quale intervennero anche il comandante della corvetta ed altri ufficiali del suo bordo, ove, in seguito delle ferme nostre risoluzioni, fu determinato l’assalto a vivo fuoco per la mattina seguente. Istruitane la piccola armata, giubilò e con coraggio invitto ne sospirava il momento.
«Nella notte usammo vigilanza e ci occupammo dei necessari preparativi, ed indi passammo sul bordo della corvetta per prevenire i clandestini progetti dell’equipaggio, che voleva abbandonarci, e prendere le prudenziali precauzioni pel successivo attacco.
Fatto il giorno, ci sentimmo sibilare all’orecchio un ammutinato sussurro e un dibattimento alternativo fra l’equipaggio. Verso le ore sette di mattina ecco una fatale chiamata da parte di questo, che, postosi in insurrezione, e colla più alta insubordinazione, tronca il filo della quasi afferrata vittoria.
«Giudicate, cittadini, da quanto v’abbiamo ragguagliato e da quanto vi rapporteremo, qual fosse in quel momento la nostra situazione. Vedersi isolato in mezzo d’una truppa d’ammutinati e preoccupati di sinistri disegni, chiamato imperativamente e con disprezzo sul ponte della corvetta, ed ivi sentirsi intimare una crudele partenza!
Cercammo di esaminare distintamente l’animo dell’equipaggio, e per più vie tentammo d’indurlo alla gloria, e sul sentiero della ragione di farli conoscere l’oltraggio alla Nazione e l’offesa alla Repubblica. I codardi erano già atterriti; nulla giovò e tutto fu vano.
«Sarebbe troppo doloroso per noi il richiamare, cittadini, alla vostra considerazione i savi riflessi e i patriottici sentimenti che suggerimmo all’insubordinato equipaggio. Ci contenteremo soltanto di trascrivere la dichiarazione che fa il capitano della corvetta e i suoi uffiziali in tal proposito, e solo vi pregheremo di pesarne scrupolosamente le circostanze, per internarvi nei disgustosi dettagli. A questa dichiarazione, che pienamente giustifica la nostra condotta, con quel che segue, uniremo la lettera da noi scritta nelle critiche circostanze nelle quali eravamo al cittadino Quenza, comandante delle guardie nazionali sotto i nostri ordini, colla quale ordinammo, nostro malgrado, la ritirata, che fu per noi ad un tempo stesso un crudo arresto di morte. Più che mortale fu da noi sentita la stolta ritirata sul riflesso che ci vedevamo traditi da quegli stessi ai quali avevamo profuso la nostra confidenza. Fu questa precipitosamente eseguita colla perdita di alcuni effetti, cagionata dal perentorio termine della ritirata, e col convoglio che raggiunse la corvetta la sera, navigando la notte e giorno seguente, approdammo nel golfo di S. Amanzia, distante poche miglia da Bonifacio, ed indi ci restituimmo in questa città.
«Ecco in succinto, cittadini, la nostra condotta, senza diffonderci in altri dettagli, qui limitandoci per la scarsezza del tempo. L’onore fu ed è sempre per noi il principale oggetto delle nostre cure. Egli è leso dall’indegna condotta dell’equipaggio suddetto, e troppo sensibili al vostro cuore sono i suoi oltraggi.
«Che ne risulti del male agli insubordinati, non lo chiediamo. Lasciamo alla legge la vendetta de’ torti fatti alla Repubblica. Bramiamo solo, cittadini, di essere giustificati agli occhi della Nazione. Rendiamo grazia al magnanimo coraggio della piccola armata, e aneliamo di vedere senza ritardo il ricupero dell’interrotta vittoria. Questi sono i sentimenti del patriota comandante della spedizione del contrattacco della Sardegna».
Il fallimento della spedizione segnò per gli abitanti di Bonifacio e per gli Amministratori della Corsica la definitiva rinuncia alle loro pretese sull’arcipelago. A Torino e a Parigi non si parlò più di «sovranità e giurisdizione» sulla Maddalena, ne lo stesso Napoleone, negli anni della sua rapidissima ascesa, sembrò ricordarsi dell’infausto arcipelago, quando dettò le condizioni dell’armistizio di Cherasco. È bensì vero che, assunto ai fastigi del trono imperiale, egli si propose più volte di inserire la conquista delle Isole Intermedie nei suoi grandiosi disegni di dominio marittimo; ma già gli approdi della Maddalena erano diventati una base navale di primissima importanza nel sistema strategico del Mediterraneo e il sicuro rifugio della flotta di Orazio Nelson, che nel 1803 così scriveva: «La Sardegna è la più importante posizione del Mediterraneo, e il porto della Maddalena il più importante dei porti della Sardegna. Vi è un rada che vale quella di Trinquemalé e che dista solo 24 ore da Tolone. Così la Sardegna, che copre Napoli, la Sicilia, Malta, l’Egitto e tutti gli Stati del Sultano, la Sardegna blocca nello stesso tempo Tolone. Malta non vale la pena di essere nominata dopo la Sardegna… ».

Introduzione di Sovranità e Giuristizione sulle Isole Intermedie (1767-1793) Carlino Sole

Precedenti della “Questione”

I rapporti con la Repubblica di Genova (1767-1768)

Le relazioni Franco-Sarde al momento della cessione della Corsica (1768)

Le rivendicazioni della comunità di Bonifacio (1768-1777)

L’azione diplomatica del governo francese (1778-1784)

La replica della corte di Torino (1785-1787)

Le ultime rivendicazioni dei corsi (1788-1792)

La spedizione contro le Isole Intermedie (1793)

Sovranità e Giuristizione sulle Isole Intermedie (1767-1793) Carlino Sole 1959