10 aprile 1943, un marinaio del Trieste testimone oculare di quel giorno
Mario Maffezzoni, scomparso da qualche anno, all’epoca aveva 21 anni, era un sottocapo cannoniere armaiolo del Trieste, con lui ebbi uno scambio epistolario una quindicina di anni fa. Aveva ancora seri problemi ad un braccio a causa di una ferita subita nel bombardamento del 10 aprile 1943, per una rimarginazione mai avvenuta. Mi disse che ai tempi del Trieste teneva un diario sul quale annotava ogni giorno gli avvenimenti più importanti. Mi spedì alcune fotocopie di quegli appunti scritti a matita; questa è la testimonianza di uno di coloro che si trovò sotto le bombe americane:
“…Siamo al 10 aprile 1943. Dopo il rancio del mezzogiorno ognuno torna alloe proprie occupazioni abituali. La metà dell’equipaggio è al suo posto stabilito di guardia o di manovra e l’altra metà alle sue occupazioni libere: lettura, pulizia el vestiario, hobbies o giochi con gli amici. Sono passate da poco le 14, quando dai citofoni arrivano i primi squilli di tromba, laceranti, che chiamano ai posti di combattimento, e nello stesso instante degli squilli, fanno eco i fragorosi colpi delle bombe aeree che scoppiano a bordo e nel mare vicino alle fiancate. Lo scafo sobbalza paurosamente. Le luci si spengono facendo rimanere nel buio e senza energia elettrica tutta la nave. Inizia il via vai di marinai che corrono in ogni direzione in una confusione indescrivibile. Molti raggiungono i loro posti di combattimento senza poter usare le armi. La nave, già colpita da alcune bombe sul lato destro che provocano una grande falla nello scafo, con numerosi morti e feriti.
Io salgo frettolosamente la scala che porta in coperta per prendere posto, come capo al pezzo, alla coppia di cannoni da 100/47. Mentre esco all’aperto dal boccaporto, dallo stesso entrano a flutti, giù per le scale di ferro, torrenti di acqua di mare mista a nafta. Sono vicino al complesso dei cannoni quando un ordine perentorio di un ufficiale vieta il caricamento dei cannoni, essendosi spostata la base imbullonata del pesante complesso da non permettere quindi un normale uso delle armi. In cielo, molto in alto, defilano, ben allineate le numerose fortezze volanti americane B-17 quadrimotori che giunti a perpendicolo della nave scaricano il loro micidialae carico di bombe dirompenti. E’ un infermo di fuoco, scoppi con piogge di schegge arroventate lanciate come proiettili tutt’intorno. in quel momento mi trovo riparato dietro le lamiere di protezione del complesso armiero. Vicino a me ci sono altri marinai. Ad un tratto sento una fitta dolorosa all’omero del braccio destro e subito sento un gran dolore invadermmi come fosse fuoco. Il sangue esce a flutti dalla ferita,, il braccio mi pende inerte. L’emorarragia viene fermata dal solerte intervento dell’ufficiale di guardia che, levatasi la sciarpa azzurra dalla spalla, la usa legandomi stretto il braccio (un lembo di quel tessuto era ancora conservato da Mario (n.d.r.)). Davanti a me ho il corpo di un marinaio amico, senza più il capo, staccato di netto da una scheggia di ferro. Corpi di altri marinai galleggiano nell’acqua attorno alla nave, oramai senza vita. Un altro corre saltando su una sola gamba, tenendosi l’altra, oramai inerte e a penzoloni, unita solo da un lembo di pelle che il soccorritore taglia con un coltello fasciando con una cintura il moncherino rimasto. A bordo è una carneficina, i sostegni e la plancia comando sono divelti e paurosamente penzolanti nel vuoto. La parte destra della nave squarciata in più parti dalle bombe. Gente che corre per ogni dove cercando aiuto per se o per aiutare un compagno rimasto chiuso nei locali sotto coperta.
La nave sta affondando lentamente nelle acque fredde della baia. Si piega lentamente sul lato destro, sembra voglia lasciare il tempo ai superstiti di salire a bordo dei mezzi di soccorso che arrivano numerosi dal porto di La Maddalena. Vengo accompagnato all’ospedale militare della cittadina, anche questo disastrato dalle bombe cadute sul porto e sull’Arsenale…“
Termina qui il racconto di Mario.
Gaetano Nieddu