15 settembre 1943
Il 15 mattina, prima di mezzogiorno si svolsero i funerali delle vittime. Delle salme erano state portate alla chiesetta della Trinita e alcune donne vi si erano recate per rendere omaggio ai morti; fra queste Nanda Sechi che, raccontando, rivedeva nella memoria le tristi scene di quel giorno: le povere bare fatte nella falegnameria di Ornano per i tre mitraglieri di Abbatoggia; il momento in cui, mentre il piccolo funerale era pronto a partire, suonò l’allarme aereo; il triste corteo con una delle donne che vide gocciolare sangue da una bara; i camion militari che arrivavano al cancello del cimitero portando avvolti in semplici sacchi, i cadaveri dei soldati.
Subito dopo la cerimonia funebre, anche il piccolo distaccamento tedesco, che era rimasto a La Maddalena per presenziare all’inumazione, partì per Palau: rimasero solo, fino al giorno seguente gli ufficiali responsabili del servizio al semaforo e i feriti che, ricoverati presso l’ospedale della Marina Militare per le prime cure, erano stati giudicati trasportabili con il resto della divisione ed erano stati imbarcati per Bonifacio. Ma nell’ospedale maddalenino rimanevano ancora tre feriti intrasportabili perché in condizioni gravissime: erano due sergenti e un soldato di 19 anni, che erano stati colpiti al torace e rischiavano la vita. Don Capula si prese particolare cura di loro: aveva ottenuto, sebbene a fatica da un immemore ammiraglio Brivonesi che pure qualche favore gli doveva, il permesso di assisterli e lo ottenne ma contingentato. Don Capula, malgrado la sua estrema prudenza nei giudizi, fa trapelare l’egoismo di Brivonesi: racconta infatti nel suo stile lapidario che, quando l’ammiraglio e Bona erano rinchiusi all’ammiragliato sotto stretto controllo tedesco, egli era riuscito, “con rischio e dopo insistenza a convincere i tedeschi di permettere un colloquio con i due prigionieri”. A questo punto della pagina don Capula mette dei puntini di sospensione come se non volesse rivelare cosa avrebbe potuto fare o cosa fece per loro. Eppure, continuava scrivendo, “quando fu la volta di alcuni tedeschi ad essere ricoverati all’ospedale” e chiese di poterli visitare, ne ebbe “il permesso ma per poche volte”. Non si fece spaventare dalla restrizione e si accordò con la suora Angela Valle per poter assistere meglio i tre tedeschi inviando loro qualcosa in più da mangiare rispetto alla dieta prevista, finché i superiori non intervennero. La suora ne scrisse sconfortata a don Capula dicendo che “con ordini severissimi” le avevano imposto di non fare più “nessuna preferenza ai tedeschi che sono qui ricoverati e mi hanno pregato di avvertire Lei affinché non mandi più nulla esclusivamente per detti ammalati” che venivano nutriti “con vitto ordinario”. Fortunatamente, assicurava la suora, i feriti stavano meglio. Riamassero qui fino al 21 novembre e, una volta superato il pericolo, furono trasferiti all’ospedale della Marina di Arzachena per la continuazione della cura. Si salvarono tutti e tre. Il 10 dicembre scrissero una lettera da don Capula nella quale esprimevano gratitudine e la speranza di tornare presto a casa:
“Distinto Cappellano, prima di tutto la ringraziamo per tutto il bene che ci ha fatto. Noi tre stiamo bene, ma non rimarremo qui a lungo, grazie a Dio la guerra sta per finire ed ognuno di noi ritornerà in Patria. La ricorderemo spesso ed anche tutti quelli che sono stati così gentili con noi. I nostri più cordiali saluti, Johann Hummer, Karl Ackenhausen e Johann Schmidt”.
In realtà le previsioni ottimistiche sulla fine della Guerra dovevano rivelarsi illusorie. I tre giovani furono dimessi dall’ospedale di Arzachena il 16 dicembre, non per essere liberati, ma per essere internati in un campo di concentramento dove avrebbero atteso la fine della guerra.
Giovanna Sotgiu – CO.RI.S.MA
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