Accoglienza e sistemazione degli sfollati
Nei giorni successivi al 10 aprile e, quindi, al primo esodo, le amministrazioni comunali dei paesi della Gallura ebbero espressioni di umana pietà verso gli sfollati che raggiungevano con ogni mezzo i luoghi di nuova residenza. Il commissario Rocca ne rendeva merito al suo collega di Luras, Nicolino Tamponi: “Ci risulta che gli sfollati maddalenini che si sono trasferiti nel comune di Luras, da Voi amministrato, hanno ricevuto calda e affettuosa ospitalità. Ciò è dovuto al vostro personale, cortese, fattivo interessamento. Nel ringraziarvi di cuore per l’elevato vostro senso di comprensione e di umano sentimento vi esprimiamo in nostro vivo compiacimento”.
Presto, però, vennero alla luce le difficoltà prevedibili nessun paese era attrezzato per assorbire decine e decine di rifugiati, i comuni ospitanti non ricevevano le somme promesse dallo stato per far fronte alle nuove spese, le quantità di cibo contingentato diventavano insufficienti per accontentare l’aumentata richiesta. Le amministrazioni cominciarono un lavoro di controllo severo nell’intento di diminuire il loro impegno economico che si concretizzava in contributi a loro parere non dovuti. E i tre commissari prefettizi maddalenini di questo periodo, Stefano Rocca, e i militari Francesco Murzi e Candido Corvetti, si trovarono quindi nella necessità di difendere i loro concittadini di fronte alle mancate corresponsioni dei sussidi da parte dei comuni ospitanti, di giustificare le loro condizioni economiche, di pregare perché non venissero lasciati soli, di suggerire mezzi per alleviarne i bisogni senza gravare eccessivamente sulle casse comunali.
Col passare del tempo solo alcuni podestà (o commissari prefettizi) mantennero l’atteggiamento di comprensione iniziale, mentre i più mostravano insofferenza dinanzi alle obiettive violazioni degli accordi sul numero degli sfollati da ospitare e alle accresciute difficoltà economiche.
Alcuni esempi possono chiarire questa situazione.
Il 9 agosto il commissario prefettizio Corvetti doveva intervenire perché i maddalenini sfollati ad Aggius, Tempio e Calangianus erano rimasti senza carbone: essendo proibita la piccola produzione familiare e dovendo ricorrere alle assegnazioni ripartite in base alla popolazione, le riserve dei tre paesi erano state consumate rapidamente a causa dell’aumento degli abitanti e, logicamente, mentre i locali riuscivano a destreggiarsi, i maddalenini non potevano reperire neanche il combustibile indispensabile per la cucina. Di fronte all’irrigidirsi delle amministrazioni di quei paesi, solo il ricorso al prefetto, che autorizzava la piccola produzione e il prelievo a favore dei comuni interessati di maggiori quantità di carbone per garantire il combustibile degli esuli, risolse momentaneamente la situazione.
Altro caso riguarda il comune di Santa Teresa il cui commissario prefettizio, Nicolai, avendo saputo che La Maddalena aveva ricevuto una somma di lire 100.000 per gli sfollati, ne reclamava, con tono ultimativo, una parte per quelli rifugiati a Santa Teresa.
Il podestà di Arzachena esprimeva irritazione perché famiglie intere continuavano ad arrivare malgrado la segnalazione dell’impossibilità di accoglierle. Il podestà di Olbia arrivava a minacciare di rispedire indietro quelli in sopranumero, più comprensivo il commissario prefettizio di Luras, Antonio Pala Bardanzellu, avvertiva che gli eventuali nuovi arrivati sarebbero rimasti “all’aperto” perché non vi erano più: alloggi disponibili, ma, contemporaneamente, segnalava di avere richiesto al prefetto nuove requisizioni per risolvere il problema.
A questi reclami dalla Maddalena si poteva solo opporre la giustificazione che molti partivano senza il preventivo accordo con il comune e, pazientemente, si cercava di fare appello all’umana comprensione per la situazione nella quale i maddalenini si trovavano loro malgrado.
La nostra amministrazione non aveva alcuna possibilità di rimediare all’insufficienza generalizzata delle risorse, alla mancanza di fondi, al controllo dei sussidi erogati dalle amministrazioni ospitanti; queste, dibattendosi nelle stesse difficoltà, cercavano di applicare la norma in maniera restrittiva e, là dove parevano esistere situazioni economiche accettabili per gli sfollati, si precipitavano a ritirare le somme assegnate.
I giorni successivi all’8 settembre videro, alla Maddalena, la reazione contro i tedeschi che avevano occupato i punti strategici dell’Estuario per garantirsi un esodo rapido e senza ostacoli verso la Corsica. La popolazione civile era in gran pane assente e quindi solo i militari e i militarizzati parteciparono a questi avvenimenti. Il 15 settembre i funerali dei caduti delle due parti furono seguiti dalla partenza dei tedeschi e, dopo qualche giorno, dall’arrivo degli inglesi e degli americani. Alleati ormai, essi erano dotati di grandi quantità di viveri in scatola e di altra merce preziosa subito divenuta base di un curioso commercio messo su dal nulla; agli americani piacevano gli oggetti che i nostri giovani operai dell’arsenale costruivano per loro: accendini d’alluminio, anelli e bracciali di vetro sintetico colorato, pugnaletti con il manico di ebanite venivano facilmente scambiati con scatolame, giubbetti antivento, scarpe, pantaloni; qualche maddalenino portava dai paesi dell’interno uova fresche, una prelibatezza per chi mangiava sempre e solo prodotti conservati, e in cambio riceveva capi di vestiario che poi venivano barattati con formaggio, lardo, carne e latte per le famiglie sfollate.
La convivenza era abbastanza pacifica anche se non mancarono episodi di piccola delinquenza stigmatizzati dall’autorità militare italiana. Il 22 novembre 43 il contrammiraglio Bona scriveva al comando angloamericano per segnalare “con crescente frequenza casi di effrazione di abitazioni private perpetrati specie durante le ore serali e notturne da militari angloamericani”.
All’approssimarsi dell’autunno ci si preoccupava di fare un censimento delle abitazioni danneggiate durante i bombardamenti e di predisporre, ove possibile, la riparazione. Risultavano distrutti 8 appartamenti, per un totale di 19 vani.
Il ritorno ad una sorta di normalità si respirava in tutta la Sardegna con piccoli segni visibili: l’annuncio della nascita di Radio Sardegna; la concessione, da parte del comando delle Forze Armate Sarde di muli e cavalli di proprietà dell’amministrazione militare agli agricoltori per aiutare la ripresa delle semine; la richiesta, da parte del comando del battaglione costiero di stanza alla Maddalena, di avere diverse copie del giornale sardo L’Isola allo scopo di esercitare una corretta propaganda sulle mutate situazioni. A ciò si accompagnava l’eliminazione degli ultimi segni del passato regime: il 6 ottobre il prefetto chiedeva di eliminare la targa in memoria di A. Mussolini appesa all’albero che era stato piantato in sua memoria (albero che però si era già seccato da tempo a causa del vento); il 2 dicembre arrivava l’ordine del prefetto di rimuovere dagli uffici pubblici i manifesti “raffiguranti la caricatura di soldati britannici in ascolto … con la scritta Tacete”.
Persisteva la severità nell’impedire il rientro delle famiglie alla Maddalena, giustificata da qualche incursione aerea, come quella del 24 novembre, che, per quanto non avesse provocato danni se non una leggera ferita ad una donna, manteneva alta l’allerta nessuno dei civili era autorizzato a rientrare e si irrigidivano, anzi, le misure di controllo a Palau. Ciò non impediva ad una ragazza di attraversare il mare in canotto da Barca Brusgiata, vestita sommariamente da soldato per chi la scorgesse da lontano e inutile pensare a quanto poteva succedere a lei e, forse più, a chi l’accompagnava, nel caso di un controllo ravvicinato.
Un ufficiale che aveva insistito per tenere accanto a sé moglie e figlia rientrate alla Maddalena per un breve permesso, ricevette un rifiuto netto e una punizione per i modi inurbani e antimilitari usati nella richiesta.
Ancora maggiore severità veniva esercitata nei confronti degli appartenenti alla disciolta legione Milmart: Antonio M., che pure era stato comandante di una batteria antiaerea, inutilmente chiedeva di rientrare giustificando la richiesta con la necessità di curare dei terreni agricoli e a seguito di un’accurata indagine gli si comunicava un netto diniego.
Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma