Acquisto di Caprera
Le motivazioni che hanno portato Garibaldi a scegliere Caprera per la costruzione della sua dimora sono molteplici e ampiamente indagate e definite da vari autori (Guerzoni, Curatulo, Vecchi, Falconi, Corda) e a questi si rimanda nel merito. Qui si richiamano comunque alcuni aspetti. Anche se non disponiamo di documenti che lo testimonino con certezza assoluta, appare verosimile che il primo contatto con l’Isola di Caprera possa essere avvenuto nel Settembre del 1849, prima di essere condotto a Gibilterra e poi a Tangeri. Ma non è solo per un caso fortuito che Garibaldi scelse Caprera. In realtà era in questo sostenuto dai suoi amici vecchi e nuovi, primi fra tutti i Susini. Dalla lettera a Francesco Susini del 7 dicembre 1855 si apprende: “Caro amico…….. Da Porto Torres penso di percorrere la Gallura, ove sarà facile che scelga un punto di stabilimento per passare alcuni mesi d’inverno e forse abitarvi definitivamente, se ne trovo luogo adatto. Un consiglio vostro e di Pietro circa il punto da prescegliersi per lo stabilimento mi sarebbe caro, quanto lo essere vicino a voi sarebbe una delle consolazioni già predilette. Intanto sono vostro con affetto, G. Garibaldi”.
Nella testimonianza di Sir Charles McGrigor (“Garibaldi a casa, note di una visita a Caprera”, Traduzione e note di Gian Carlo Fastame, Taphros Editore, Olbia, 2007) si legge: “Una signora Inglese, del gruppo dei tre abitanti Inglesi della Maddalena, mi riferì di alcuni dei motivi che indussero Garibaldi a fissare la sua dimora nella vicina isola. Il Generale informò suo marito, il cui fratello è da poco diventato un eminente componente del Consiglio della Regina, agli inizi dell’anno 1855, che aveva stabilito di vivere a Porto Pullo, in Sardegna. Poiché Nelson apprezzò molto la situazione di quel luogo come porto per le navi, è possibile che le attitudini militari di Garibaldi possano averlo indotto a considerarlo molto favorevole come luogo di residenza. …..Si dice che durante i mesi estivi ed autunnali Porto Pullo sia soggetto a due tipi di febbre, una delle quali uccide il paziente e l’altra è pressoché incurabile, avendo un carattere intermittente”. Ed aggiunse:…… “Sto comprando Caprera, e lei può averne una parte ad un costo proporzionato, o, in altre parole, allo stesso prezzo che costa a me”.
Per Fastame “È facile identificare in mister Collins l’inglese consigliere di Garibaldi, perfettamente coincidente col gentiluomo, in ottimi rapporti col generale”.
Nelle parole del garibaldino Giuseppe Guerzoni leggiamo: “Garibaldi passò nell’isoletta ospitale, nel consorzio di quei poveri e semplici pescatori, i giorni forse più riposati e tranquilli della sua vita procellosa. Viveva di nulla, passava la giornata alla caccia e alla pesca, imparando a memoria tutte le calanche e tutte le macchie delle isole circonvicine; e cominciando probabilmente fin d’allora ad innamorarsi di quella Caprera che preferirà un giorno alle più splendide dimore d’Italia, e renderà celebre quanto il suo nome. Nessuna amenità di sito adunque, nessuna feracità di flora e di fauna; ma in cambio il mare profondo, la solitudine immensa, la libertà imperturbata; tutto quanto bastava agli occhi di Garibaldi per trasformare l’orrido scoglio in un orto d’Esperia….. Alleandosi pertanto le illusioni dell’agricoltore alla misantropia dell’uomo ed alla fantasia del poeta, Garibaldi decise di comperare la maggior parte di que’ lotti e di trapiantarvi stabilmente le nomadi tende della sua vita”.
Sempre dal Guerzoni si legge: “Nel 1855 Caprera era divisa tra due soli proprietari: il Demanio sardo che vi occupava il lato settentrionale e l’aveva già partito in piccoli lotti per metterlo in vendita, ed i signori Collins, inglesi stanziati alla Maddalena, che vi possedevano il meridionale più ad uso di caccia che per la speranza d’un frutto qualsiasi. Nel rimanente due famiglie di pastori, di cui si perdevano tra gli anfratti della valle le povere capanne; qualche branco di capre e di pecore erranti tra gli scogli in cerca di magra pastura; qualche volo di pernici e di beccacce migrate dalla vicina Sardegna annidiate tra le macchie; poche coppie di caproni selvatici inerpicati su pei greppi del Teggiolone (Tejalone): ecco i soli esseri viventi del luogo”.
“Questo innamorato delle immense solitudini oceaniche sogna ora la solitudine sulla terra. Più forte che mai sente il bisogno di un rifugio per la sua anima, in questo modo comprando un po’ di terreno dai fratelli Battista e Giuseppe Ferraciolo, un po’ dai Collins, un po’ da altri, poi comprando da questo e barattando con quello, Garibaldi fece acquisto di metà dell’isola di Caprera, firmando al 29 Dicembre 1855, il contratto.
Elettrio Corda (riportato da Fastame, in: Garibaldi in Sardegna, Rusconi, Milano, 1991), indica due documenti importanti che mettono un punto fermo: il primo è una delega notarile di Garibaldi a Pietro Susini per l’acquisto dei lotti di Caprera (29 Dicembre 1855), il secondo è l’elenco che Pietro Susini invia a Garibaldi (15 Agosto 1856) dei lotti acquistati per suo conto. Tra questi: 43 lotti dai Collins a L. 75 l’uno, parti di Giuseppe, Giulio e Battista Ferraciolo, parte di Gerante e socio, parte di Francesco Susini, per un totale di 8.850 Lire. Confermando così quanto riportato da Sir McGrigor e la disponibilità di Mister Collins.
Scrive Fastame “A questo punto ci sono state offerte molte spiegazioni della scelta di Caprera: scelta di isolamento, eremo sacro, rifugio di riflessione, investimento immobiliare, misantropia, amore per il mare, desiderio di agricoltura, necessità di casa, senso di libertà, tolleranza religiosa, salubrità, porto del suo naviglio.
Comunque sia, metà dell’Isola divenne di proprietà di Garibaldi. E’ soprattutto nella poesia “Caprera”, che ad una prima lettura potrebbe apparire enfatica e in cui echeggia quasi una rivisitazione dell’Infinito di Leopardi, si evince il profondo amore per la natura e la sua chiara concezione panteista.
Sulle tue cime di granito, io sento
Di libertade l’aura, e non nel fondo
Corruttor delle Reggie, o mia selvaggia
Solitaria Caprera. I tuoi cespugli
Sono il mio parco, e l’imponente masso
Dammi stanza sicura ed inadorna,
Ma non infetta da servili. I pochi
Abitatori tuoi ruvidi sono,
Come le roccie che ti fan corona,
E come quelle alteri e disdegnosi
Di piegar il ginocchio. Il sol concento
S’ode della bufera in questo asilo,
Ove né schiavo né tiranno alberga.
Orrido è il tuo sentier, ma sulla via
Dell’ insolente cortigiano il cocchio
Non mi calpesta, e l’ incontaminata
Fronte del fango suo vil non mi spruzza.
Io l’Infinito qui contemplo, scevro
Dalla menzogna, ed allor quando l’occhio
Mi si profonda nello spazio, a Lui
Che il seminò di Mondi, un santuario
Erger sento nell’ anima: scintilla
Vicinissima al nulla, ma pur parte
Di quel tutto supremo. Oh ! si di Dio,
Si! particella dell’ Eterno sei…………………………………………………
La concezione panteista di Garibaldi e il suo profondo amore per la natura si coglie ancora nella testimonianza del Vecchi, che ne riporta anche le parole che sembra, quasi, vogliano esplicare in prosa i versi di “Caprera”. (C. A. Vecchi, 1862. Garibaldi e Caprera).
“A Caprera il fulmineo generale demolitore di eserciti nemici mostra un volto inaspettato del suo carattere proprio attraverso l’afflato verso le piante, siano esse coltivate o spontanee.”
“Il mio Generale contempla le sabbie con emozione e guarda i nati dal suolo con rispetto fraterno. Mi si rivelò addolorato nell’osservare un ramo di fico pendente che un male accorto aveva rotto per istrapparne il frutto. Egli lascia qualunque occupazione se vede vizze e arrotolate le foglie delle piante e corre subito ad innaffiarle. Per profondare il mistero dell’azione che la natura ha sullo spirito, egli crede alla unità; cioè, che tutti gli esseri e tutte le cose sieno manifestazioni diverse, svariate di una medesima essenza”.
E riporta ancora le parole di Garibaldi: “…. La grande anima del Vivente eterno è in ogni cosa. Questi lentischi, questi ginepri, questi alberi da frutto – nuovi ospiti dell’isola. – questi macigni giganteschi per fermo hanno un’anima. Sarà rudimentale ma anima è. I geologi non parlano di affinità nei metalli? I botanici non parlano di amor tra le piante? E non le vediam noi fecondarsi, e riprodursi sotto i nostri occhi? Noi abbiam la parola. I bruti, il movimento. Sono immobili i sassi. Sono mute le piante. Ma io credo che essi parlino una lingua che noi non varremo mai a decifrare. Oh! Il piacer grande di indovinare i loro lamenti quando le loro radici hanno sete, quando le foglie hanno bisogno di respirare! Mi sento felice in Fontanaccia perché posso sollevare le piante che il vento rovescia, disporre un bastone presso le deboli. Medicare la ferita di un ramo mozzato e spruzzar polvere di zolfo sui grappoli morsicati dalla crittogama. E mal comprendo come un giovane amante possa strappar fiori e legarli per offrirli alla donna amata qual simbolo dei suoi ardenti pensieri! E non capisco come gentili fanciulle, culte della mente e del cuore possano in primavera sfogliare scherzando le margherite dei prati, per sapere se sieno amate, se poco, o se appassionatamente! Le madri, gli educatori dovrebbero sopprimere cotesti sanguinosi trastulli”.
Dal 1856 Garibaldi si organizzò per edificare la sua casa, arrivando a Caprera con il suo giovane figlio Menotti ed il fedele Origoni, adattandosi inizialmente a vivere in tenda, che per lui, guerrigliero e militare, era condizione di assoluta normalità.
Caprera è molto estesa ed occorreva scegliere in modo attento il luogo di edificazione. E’ Garibaldi stesso che ci lascia scritto di indagini preliminari, in una lettera che ora si trova nel Museo del Risorgimento di Milano, indirizzata al noto studioso francese di preistoria Jacques Boucher de Crèvecoeur.
In verità, la scelta del luogo dove edificare la casa era in qualche modo obbligata dalla necessità di essere in contiguità con la terra da coltivare e il rudere in località Pasciale Vecchio indicava senza dubbio quello più idoneo, per la presenza e della buona terra e dell’acqua che nella vallecola sottostante dava possibilità di successo. L’investimento e le migliorie apportate ai terreni avrebbero dato la possibilità di vivere in modo dignitoso ad una famiglia del tempo, ma alle persone che stabilmente stavano nel Compendio e al notevole flusso di visitatori, spesso suoi ospiti, per certo non erano pienamente sufficienti a soddisfare tutte le esigenze.
Peraltro, occorre pur dire che nonostante l’amore e gli sforzi dell’Eroe, l’attività agricola, non poteva certo costituire la sua principale fonte di reddito. In effetti, il Guerzoni, nel volume II riprende, senza citarlo, quanto scritto in merito da Franco Mistrali nel 1861 (vedi di seguito) e nel vol. III, a pag. 101, aggiunge: “Il miglioramento che Garibaldi ha introdotto nella coltura del suo terreno nell’isola di Caprera, gli frutta una rendita di quasi 3.000 fr. all’anno. Una rendita come questa non basterebbe a soddisfare un ciambellano di un piccolo stato germanico”.
Ma ciò che Garibaldi ha costruito assume rilevanza non solamente per la sua persona, ma anche per la storia dell’agricoltura di tutta la Sardegna che, nella seconda metà dell’Ottocento, stava vivendo momenti di grandi innovazioni strutturali, basti pensare alle ferrovie ed alle industrie di trasformazione che stavano sorgendo e iniziavano ad affermarsi. In questo contesto va vista e analizzata l’opera di Garibaldi nell’Isola di Caprera.