Antonio Addis
Articolo della ricercatrice e scrittrice maddalenina Giovanna Sotgiu
La situazione venutasi a creare a La Maddalena doveva preoccupare non poco le autorità della Curia che, in sostituzione di Pischedda e Balistreri, entrambi coinvolti in quei disordinati avvenimenti, inviarono due sacerdoti aggesi: Antonio Addis, (era nato ad Aggius nel 1782 da Pietro e Maddalena Piga) già parroco di Nuchis, e Michele Mamia Addis come vice. Il primo, nella sua iniziale condizione di viceparroco, aveva suscitato “la benevolenza del pubblico” e del Consiglio che ne chiese la conferma come vicario perpetuo con una descrizione che appare sincera: “uomo dotto, morigerato e prudente. Come tale venne questi riconosciuto nell’isola con la sua plausibile condotta e portamento, col suo zelo e attività nei ministeri della chiesa, con la sua indefessa fatica a prò delle anime, colla sua attività ed esattezza in tutte la attribuzioni che gli concernono e colle sue pacifiche e dolci maniere”.
Eppure l’accoglienza, a luglio del 1831, non era stata splendida e, anzi, aveva provocato una sostanziosa reprimenda da parte dell’Intendente Provinciale nei confronti del Consiglio Comunitativo che aveva ignorato completamente l’arrivo del povero Addis, senza fargli, come da tradizione, una visita di benvenuto. E il Consiglio aveva dovuto scusarsi in maniera maldestra e ingenua con il Vicario capitolare dicendo di non avere avuto notizia dell’arrivo del sacerdote e che, non appena era stato informato dal delegato consultore di Gallura abitante a La Maddalena, che, evidentemente aveva maggiori informazioni, “il sindaco immantinenti tuttoché malaticcio, perché d’alcuni giorni attaccato d’intemperie radunato il consiglio si portò con questi indilatamente all’abitazione del nuovo Provicario ed adempì ben volentieri a quanto era di civiltà e di dovere“. Il che, tradotto in parole povere, significava che il delegato aveva strapazzato i consiglieri annunciando strigliate da parte dell’intendente di Tempio, strigliate che arrivarono puntuali e il Consiglio dovette scusarsi anche con il Vescovo sostenendo che qualche “maligno che tramava nell’ombra” aveva voluto interpretare una semplice ignoranza della cosa come uno sgarbo voluto. Non erano queste buone premesse per una convivenza, ma Addis con il suo comportamento aveva smontato qualunque malignità dedicandosi con passione e umiltà al suo mandato. Non bisogna credere, però, che fosse a tutto disponibile quando si trattava di difendere il bene e la dignità della Chiesa: mostrò un rifiuto netto e senza alcuna possibilità di marcia indietro quando il Comune pretese di far portare l’ombrella ai consiglieri durante le celebrazioni solenni del Natale. Considerando la richiesta come pura volontà di esibizione, si oppose fermamente ottenendo un perentorio ordine delle autorità governative che costrinsero il Consiglio a recedere dalla richiesta. Nel mese di dicembre dello stesso anno 1831 ricevette l’atto di nomina a parroco conferito dal canonico Giorgio Scano dopo un “esame” dinanzi a tre esaminatori sinodali. Tutto ciò che la Curia gli assegnava erano 50 scudi sardi “per il giusto sostentamento, con gli altri emolumenti che volgarmente sono chiamati frutti di stola o di altare“. E iniziò, per il nuovo parroco una vita all’insegna della povertà sopportata serenamente fino a che non scivolò nell’indigenza. Gli anni quaranta furono, non solo per La Maddalena, un periodo di crisi economica che non poteva garantire, con il magro intervento della curia e i frutti di stola ridotti all’osso, una vita dignitosa a un parroco che non avesse beni personali. Basta vedere i resoconti delle offerte registrati dal fabbriciere Millelire in quegli anni per rendersi conto che soldi non ne giravano e al Parroco non ne arrivavano. Nel 1842, con una supplica, Addis chiese al Re un sussidio che gli fu accordato prelevando la somma di 200 lire dal Monte di riscatto. Si era illuso di poter avere anche per gli anni a seguire tale sussidio che, invece, si interruppe dopo la prima erogazione.
Nel 1843 il re Carlo Alberto visitava la Sardegna accompagnato dal figlio Vittorio Emanuele e dal viceré De Launay. Era un’occasione importante per la Maddalena, prima tappa del viaggio, che cercò di accogliere degnamente il sovrano, pur nelle ristrettezze economiche aggravate dalla carestia che costrinsero poi il Consiglio a vendere tutti gli oggetti usati per l’occasione (perfino i chiodi serviti per innalzare l’arco di trionfo), senza peraltro ripianare le spese.
Dopo qualche mese, ad ottobre, Addis si fece coraggio e scrisse ancora al sovrano. La lettera esprimeva con semplicità e sincerità la situazione penosa del sacerdote: “Lo scorso anno ebbe dal monte di riscatto lire nuove 200 in ottobre dietro l’esposto che egli ne fece a V SA M fecendole conoscere l’annuale stipendio di cui gode dalla mitra di tempio di 50 scudi sardi. Stante che la medesima tiene molti pesi non sarebbe idonea a procurargli la necessaria sussistenza ed indumenti tanto più dovendo da questi sottrarre scudi 30 per il Viceparroco e sei per l’ecclesiastico donativo. A lungo giro d’anni è stato costretto a soffrire la massima ristrettezza non potendo calcolare su proventi di stola in paese ove da molti anni languisce il commercio unica risorsa di questi popolatori, né sui prodotti di questo cumulo di scogli ove il contadino è impossibilitato a sperarne vantaggiosa raccolta vi si può nulla calcolare massime che non si paga decima di alcun genere. L’umile rassegnante che ebbe nello scorso maggio di quest’anno l’immortale gloria d’inchinarsi profondamente alla reale preziosa vista di VM offerendole con l’aspersorio l’acqua benedetta entrando in questa parrocchiale chiesa e quindi ordinò l’applicazione della santa Messa e benedizione, non volle ardire di dar pena in quella fortunata epoca di consegnarle l’attuale rasse-gnanza sulla speranza che le sarebbero in quest’anno continuate almeno le suddette lire nuove 200″. Chiedeva, se pure non fosse possibile “considerarlo allo stesso stipendio di cui gode il parroco di Capraia, almeno compartirle un’annua agiata sovvenzione”. Addis, “stante le sue strette circostanze” appoggiava la supplica al Viceré che ebbe l’onore di conoscere durante la visita di Carlo Alberto. Malgrado la decisione del Re di assegnargli 300 franchi, la Divisione Feudi incaricata del versamento non provvide celermente costringendo il povero Addis a riproporre la lettera con qualche altra notizia per noi interessante: vi diceva che “oltre alle spese straordinarie … soggiorna in uno scoglio ove li viene indispensabile l’ospitalità ai sacerdoti e religiosi che fanno continuamente il tragitto dalla Sardegna al Continente o arrivano dal continente per recarsi nella Sardegna“. In realtà la mancata corresponsione dell’assegno non era da addebitare a quell’ufficio, ma al Consiglio Comunitativo al quale era stato girato l’ordine di provvedere con una pensione annua definitiva per il Parroco di lire 300: le solite lamentele di difficoltà di cassa ottennero solo il seccato e minaccioso intervento dell’Intendente provinciale.
Rimaneva il problema di garantire entrate certe per la chiesa e il culto, problema risolto, almeno in parte nel 1843, all’atto della concessione delle terre demaniali con l’assegnazione alla Chiesa dell’Isuleddu, un isolotto brullo e non certo adatto alle colture, anche se l’atto deliberativo lo definiva, “di starelli cagliaritani 14 e imbuti 5 a seminerio di grano”. Comunque era meglio che niente e, poiché il priore e il Parroco, con successivo atto di concessione del 6 maggio 1845, ottenevano la facoltà di affittarlo o di sfruttarlo direttamente per dedicarne i frutti alla Chiesa, si provvide subito a darlo in affitto a allevatori di bestiame che si alternarono nel tempo fino a che, nel 1910, subentrò in maniera definitiva, grazie ad una enfiteusi perpetua, Ricciotti Garibaldi. Il canone riscosso era, inizialmente, di 10 scudi.
Non si poteva certo scialare e, infatti, le spese erano ridotte al minimo anche nelle giornate di festa della Santa patrona, in cui, per il falò della vigilia, si spendevano solo 4 reali per 4 botti vecchie di catrame, non si comprava la polvere da sparo per i mortaretti e, per reperire i soldi per rifare “il sacro legno“, fu necessario liquefare diversi cuori d’argento del tesoro della Santa.
Don Addis morì a La Maddalena il 6 febbraio 1852.
Tratto dal libro “Santa Maria Maddalena faro di fede tra Corsica e Sardegna” – Paolo Sorba Editore – La Maddalena