Bassa Marina e Piazza Comando
E’ uno spazzo fra i più ampi esistenti in Sardegna, che ha visto scorrere gran parte della storia di queste Isole, specialmente da quando, alla fine del secolo scorso, venne scelta come “cuore” dell’edificanda cittadella militare,: qui la sede del Comando Militare Marittimo, l’alloggio dell’Ammiraglio, gli alloggi degli ufficiali, gli uffici del Genio Militare. Si questa piazza si aprono alcuni dei più belli edifici di stile umbertino presenti in città, qui avvenivano le parate militari, i cambi dei comandanti, qui si presentarono al pubblico i reali d’Italia, Umberto I e Margherita, Vittorio Emanuele III ed Elena, qui approdò due volte Benito Mussolini.
E’ stata la piazza sulla quale i maddalenini impararono a giocare a pallone prima del lastricamento e dell’elevazione, scalzi sulla sabbia che le piccole onde recavano nella rada di Cala Mangiavolpe (o meglio Cala Magnaurpi), e per questo era semplicemente la spiaggia nota come “a Reneddha”. Hanno continuato a fare le esercitazioni paramilitari quando erano chiamati “Figli della Lupa” o “Piccole Italiane”, hanno visto passarci i camion tedeschi, le dimostrazioni dei Radicali, gli striscioni degli antimilitaristi, ed infine i cambi dei vari Commodori americani. Una storia insomma. Nel 1972 cambiò faccia. Era la prima amministrazione Deligia.
Arrivarono gli “amici” americani e c’era una voglia di svecchiamento, di stile di avanguardia, di architettura tutta curve e cerchi, funzional-popolare, e si apparecchiò una piazza lontanissima dalla precedente che era stata rettangolare, geometrica, ordinata, rettilinea. Era stata fascista e post fascista allo stesso tempo, aveva assistito al balzo in avanti degli anni ’60 ed all’inizio dello stravolgimento causato dall’ondata turistica. Era stata così dagli anni ’30.
Dopo trent’anni non aveva più una sua identità architettonica specifica: le cerchiature di mattonelle sono state cancellate, il cemento devastato dalle radici dei pini, il problema del traffico proveniente da via Dandolo irrisolto. Nella primavera del 1966 la giunta Serra decide: si rifà tutto da capo. Come un tempo o quasi. Ma i tempi sono cambiati. Né la piazza né noi torneremo quelli che eravamo allora, quando la piazza rettangolare, geometrica, ordinata, rettilinea, raccoglieva fra una “vasca” e l’altra i sogni di tanti giovani maddalenini, quando lo “zampillo” gorgogliava sommesso e tutta, tutta la spianata della “Reneddha” si lasciava abbracciare dallo sguardo tutta, da Punta Nera a Via Garibaldi, dal Molo Ammiragliato al Palco della Musica, senza gli sbarramenti di ferraglia automobilistica, immolata sull’altare del Dio progresso.
Via Amendola un tempo si chiamava Via Nazionale. Un nome modificato dalle alterne fortune delle politiche in Italia, ma per i maddalenini resta Bassa Marina. Semplicemente. Ma Bassa Marina non è una strada, è un quartiere, limitato dal mare a levante e da via Garibaldi a ponente. Una stretta fila di case cresciute tutte in altezza, stile genovese, lo stile primigenio dell’architettura isolana; una fila di case cresciute su antichi fornici adibiti al rimessaggio di reti ed attrezzi da pesca. Davanti il mare, dietro una lunga via ondeggiante che servì da spazio retrostante per le botteghe.
Bassa Marina fu il secondo insediamento urbano della neonata cittadina agli albori del XIX secolo, dopo che il popolo di Colle Piano ebbe sciamato a mare con la “promessa di una chiesa”, di una vera comunità “riparata”, di una vita più civile che non fosse quella di pastori brumosi spersi dietro le capre sui picchi aprichi e ventosi che danno lo sguardo alla Corsica lontana. Quel lido di fronte a Santo Stefano venne colonizzato da immigrati. Erano ponzesi e castellamaresi per lo più. Gente arrivata qui dietro il miraggio di un esistere meno gramo. Sulla riva sabbiosa dove oggi scorre il serpentone lamieroso delle auto e dei motorini venivano stese al sole le reti, venivano rammendate fra le barche in secca. Erano contemporaneamente rifugio per calafatare, chiodare, lisciare doghe e traversine, stendere tele al sole. Presso i fornici oscuri, fra gli attrezzi del mestiere difficile, le tenaci donne da cui scaturirà la più genuina genìa isolana, tiravano su stuoli di figli e figlie, e perpetuavano mestieri che hanno sapore di vento e di sale.
Tutti gli attuali negozi ne ricordano in qualche modo le fattezze: magazzini-case e case-magazzino, secondo una tipologia che si riscontra attualmente nei bassi di Ponza e delle cittadine costiere campane. Il riempimento a suo tempo realizzato per alzare la banchina (erano gli anni ’30) ha creato qualche problema. Quando scendono i dirompenti temporali estivi, i tombini non riescono a ricevere tutta l’acqua e si intasano. Allora i vecchi magazzini-case rigurgitano e il basso si riempie di liquami ed acqua scura e terrosa. Il lito seguiva un andamento concavo che ancora su via Amendola si conserva in parte ‘come un porticciolo’ chiuso ad oriente dalla spianata della Reneddha e ad occidente dall’antico Forte San Giorgio.
Sufficienti ma sostanziali interventi per salvare un pezzo unico di ambiente isolano: restaurare ciò che resta delle più antiche costruzioni litorali ed uniformarle in tinteggiature anticate, restaurare le balconate ed i terrazzi, le aperture, le facciate, i magazzini, uniformare la tipologia dei negozi.