Cacciato al suono dei corni marini
Fin dai tempi di Omero le popolazioni isolane si sono sempre contraddistinte per l’innato senso di ospitalità e per le spontanee cordialità che riservano ad ogni forestiero che giunge dal mare. Quasi tutti i viaggiatori che nel secolo scorso visitarono La Maddalena, specie coloro che venivano a trovare Garibaldi, sono stati sempre prodighi di favorevoli riconoscimenti per le accoglienze ed i trattamenti ricevuti dagli isolani e non pochi sono stati coloro che giunti per caso ed ammaliati dal fascino dell’arcipelago e dal calore della sua gente vi sono poi definitivamente stabiliti inserendosi attivamente e positivamente nella vita comunitaria.
Scriveva a tal proposito Gin Racheli: “…l’arrivo di un ospite era un avvenimento per tutta l’Isola e questi si trovava ben presto in una calorosa rete di inviti, da una casa all’altra, dalla più ricca alla più modesta; e veniva accompagnato a caccia, a pesca, in campagna: e tutto gli era offerto con una signorilità e una grazia di cui restano decine e decine di testimonianze scritte. Né si badava da quale parte del mondo l’ospite venisse e quale lingua parlasse. Era ospite benedetto e basta”.
Ma come in tutte la parti del mondo l’ospite è ben accolto e benedetto sino a quando non viola le leggi dell’ospitalità isolana; da quel momento tutte le accoglienze e le benevolenze ricevute si trasformano in una violenta ripulsa per far fronte alla quale è bene, se si fa in tempo, far subito fagotto e prendere imbarco altrimenti si rischia di dover partire a nuoto. E di episodi di forestieri cacciati da La Maddalena a furor di popolo le cronache ce ne riferiscono a decine, non ultima quella di un Bailo che, caricato su un asino, secondo un preciso e consolidato rituale, fu accompagnato alla prima imbarcazione in partenza a suon di bastonate.
Gli atti di un giudizio della seconda metà del secolo scorso, oltre a farci rivivere un fatto di costume locale oggi scomparso, ci offrono l’occasione di rievocare uno di questi episodi del quale fu protagonista nel 1872 Francesco Accorsi di Sarzana che due anni prima era stato mandato a La Maddalena quale Ispettore delle Gabelle. Costui, giunto nell’isola per adempiere alle sue funzioni in un ambiente da sempre dedito ai contrabbandi e ai piccoli traffici sui quali i suoi predecessori spesso chiudevano un occhio, oltre ad esercitare i suoi compiti con pignoleria borbonica, ma non scevra di qualche interessenza e cointeressanza, si distinse anche per le particolari attenzioni che rivolgeva alle belle maddalenine; cosa certamente non gradita ai galletti isolani, con la conseguenza che, a parte i numerosi esposti inoltrati alle autorità nei suoi confronti, non passava giorno che un anonimo e ben informato Pasquino isolano non affiggesse nottetempo un sarcastico libello a lui diretto che la mattina dopo dava occasione ai maddalenini di ”…ciattulari” non certo con molta benevolenza sia sui suoi traffici che sulle sue scappatelle di Sarzana che due anni prima era stato mandato a La Maddalena quale Ispettore delle Gabelle. Costui, giunto nell’isola per adempiere alle sue funzioni in un ambiente da sempre dedito ai contrabbandi e ai piccoli traffici sui quali i suoi predecessori spesso chiudevano un occhio, oltre ad esercitare i suoi compiti con pignoleria borbonica, ma non scevra di qualche interessenza e cointeressanza, si distinse anche per le particolari attenzioni che rivolgeva alle belle maddalenine; cosa certamente non gradita ai galletti isolani, con la conseguenza che, a parte i numerosi esposti inoltrati alle autorità nei suoi confronti, non passava giorno che un anonimo e ben informato Pasquino isolano non affiggesse nottetempo un sarcastico libello a lui diretto che la mattina dopo dava occasione ai maddalenini di ”…ciattulari” non certo con molta benevolenza sia sui suoi traffici che sulle sue scappatelle.
E la cosa dovette ben presto arrivare tanto in alto da provocare l’immediato trasferimento dell’Accorsi con gran gioia di coloro che avevano ”suggerito” il drastico provvedimento e che, giunta la lieta notizia, non esitarono a dar luogo ad una serie di coloriti e rumorosi ”festeggiamenti”. Ed ecco come l’Accorsi, con una sua denuncia del 27 maggio 1872, descriveva al procuratore del re la festa di addio organizzata in suo onore.
”Ieri notte in sulle ore dieci, Pietro Susini, Francesco Susini e Viggiani Salvatore tutti di Maddalena, con a capo il Regio Commissario di Sanità a questa residenza Fongi Giuseppe, radunata una certa quantità di giovinastri e ragazzi e dopo avergli tutti ubriacati percorsero il paese fino alle ore undici di notte cantando canzoni allusive e suonando diversi Corni da Caccia con evidente dimostrazione che tale tumulto o se si vuole disordine era diretto contro di me, plaudendo così che imminente fosse la mia partenza da Maddalena a seguito del tramutamento che ho avuto. Incontrandosi tale accozzaglia di gente sotto le mie finestre, alle Guardie Doganali le quali andavano pregando quei soggetti di sciogliersi, il signor Fongi dichiarava ad alta voce che la dimostrazione non era contro le Guardie Doganali ma sebbene contro l’ispettore Accorsi; e sebbene le Guardie Doganali fossero decise a sciogliere il disordine anche con la forza, rifletterono però che pel maggior numero di tumultanti difficile se non impossibile sarebbe riuscito il loro scopo.
Dopo aver percorso ancora le contrade del paese gli autori del tumulto si recarono all’osteria di Moriani Giovanni a bere ed entrate le guardie doganali Bragone Michele e Zizzo Giuseppe ambedue residenti alla Maddalena il Fongi si fece loro incontro e nell’offrire loro da bere che rifiutarono, espresse le seguenti parole: Non è contro voialtri la dimostrazione ma sebbene contro quel birbante dell’Ispettore Accorsi.
Sebbene io non sia uso di sporgere querele ed anzi mi dispiaccia quando sento conflitti, tuttavia l’attuale caso presentando gradi di colpabilità tali da non potersi sullo stesso transigere io sono in obbligo di denunciare il fatto siccome lo denunzio a codesto Procuratore del Re, ed insisto perchè sia proceduto a norma di Legge in odio degli autori del disordine e specialmente nei confronti del Fongi il quale oltre alla mancanza di essersi reso autore del tumulto si è pure permesso in pubblica osteria di darmi del birbante”.
A seguito della denuncia dell’Accorsi, appena un mese dopo, veniva fissata per il 24 luglio 1872 la data del processo contro gli autori della gazzarra; l’Accorsi dovettere essere citato nella sua nuova sede di Ventimiglia ed il processo, rinviato al 20 agosto si concluse con una blanda sentenza di condanna dalla quale emergono i particolari della manifestazione inscenata dagli imputati.
”…nella notte del 21 maggio 1872 – scrive il giudice – i quattro imputati in compagnia di oltre centocinquanta individui si recarono lungo il porto di questo comune, e luogo detto la quarantena in vicinanza della quale è posta la casa ove abitava l’Ispettore delle Regie Gabelle Francesco Accorsi, e mentre colà passavano, suonavano degli strumenti che alcuni testimoni chiamarono trombe marine, altri corni da caccia, ed altri ancora portavoce, urlavano, gridavano e fischiavano. I dimostranti dopo che ebbero gridato, suonato e fischiato nella quarantena e lungo il porto, percorsero le principali contrade del paese cantando certa canzone il cui ritornello era questo: ”Ohi che partenza amara, Carolina cara”, ed accompagnando tali parole col suono delle trombe marine, o corni da caccia fossero, e con urli, grida e fischi”
Al dibattimento emerse che le canzoni allusive, oltre che in prossimità della casa dell’Accorsi. furono cantate, come riferì uno dei testi, ”…specialmente in vicinanza” di un’altra casa posta sul corso ove ”…i quattro imputati incoraggivano i ragazzi, e le persone che li seguivano a cantare e suonare le trombe e i corni”. Evidentemente il secondo tempo del concerto era stato dedicato alla ”Bella Carolina”, circostanza che la difesa sfruttò a favore degli imputati sostenendo, molto eufemisticamente, che si era trattato ”…di una serenata che avevano voluto fare senza animo d’offendere a chicchesssia, e tanto meno l’Accorsi col quale non avevano avuto a che fare”. Ma una serenata con molti solisti, con un coro di oltre centocinquanta persone ed una eterogenea strumentazione di corni marini, al cui suono, come vedremo, veniva attribuita una pesante carica offensiva, non convinse certamente il giudice, che nella motivazione della sentenza, pur facendo trasparire il suo chiaro pensiero sulla personalità dei protagonisti della vicenda, ed in particolare dell’Accorsi, commentava:
”…non è verosimile che persone della condizione sociale degli imputati abbiano voluto fare una serenata di quel genere per divertirsi come essi asseriscono, ma è più conforme al vero il ritenere che essi siansi indotti a ciò, spinti da personali risentimenti verso l’Ispettore Accorsi, che è inutile indagare se tali risentimenti siano giusti o ingiusti o se v’abbia lo stesso Accorsi potuto dar causa”.
Ovviamente, tutti i testi escussi al dibattimento, comprese le guardie doganali, dichiararono di non aver sentito gli imputati pronunciare parole offensive all’indizzo dell’Accorsi, né di aver sentito cantare il ritornello ”…ohi, che partenza amara Carolina cara”, ma non poterono esimersi dall’ammettere che la manifestazione di era svolta al suono dei corni marini. Tale strumento altro non è che una grossa conchiglia del genere dei tritoni che, opportunamente forata all’apice e suonata a mo’ di tromba, emette un suono che da secoli è servito da richiamo ai pastori di tutte le valli, nonchè da megafono e da segnalatore per le imbarcazioni che navigano nella nebbia. Uno strumento dunque indispensabile e presente su ogni barca o battello, il cui suono, tuttavia, tanto utile in mare, aveva a terra ben altra considerazione. Evidentemente, data la presenza di una consistente etnia campana nell’isola (in particolare di quella ponzese), la lunga nota emessa dal corno marino doveva essere considerata come una versione amplificata del leggendario e devastante ”pernacchio”, espressione sonora tanto cara a Eduardo e che il principe De Curtis non esitò a definire ”…l’arma segreta degli italiani”.
Il giudice, pertanto, pur escludendo il reato di ingiuria pubblica verbale, che corrisponderebbe all’attuale reato di oltraggio a un pubblico ufficiale, ritenne gli imputati colpevoli del reato di ingiuria reale diretta alla persona e non alla funzione, riconoscendo nella manifestazione inscenata dagli imputati una precisa intenzione offensiva, in quanto:
“…col suono dei corni, o trombe marine, o portavoce, che si vogliono chiamare …sonosi commessi atti ingiuriosi contro l’Ispettore Accorsi, e si è voluto esporre la persona dell’ingiuriato all’altrui sprezzo, ed è appunto ciò che costituisce la contumelia, che è l’essenza del reato di ingiuria, come ha deciso più volte la Corte Suprema, si commette reato di ingiuria con tutti i mezzi che sono idonei a gettare lo sprezzo sulla persona che si vuole ingiuriare, e poichè tale scopo si raggiunge talora, non meno coi fatti che colle parole, ne deriva l’ingiuria verbale o reale, consistendo quest’ultima in tutti gli atti, gesti o fatti contumeliosi, vale a dire dei fatti che secondo la comune opinione significano disprezzo ed espongono la persona che si è fatto segno dell’ingiuria all’altrui disistima e vilipendio”.
Significativa dunque la motivazione delle sentenza che sancisce come fatto di costume locale la carica offensiva attribuita ”secondo la comune opinione” al suono dei corni marini e dunque, gli imputati, per averli suonati o indotto altri a suonarli, sia pure per un reato di minore gravità, furono condannati alla pena pecuniaria di trenta lire ciascuno. Immediato l’appello ed altrettanto immediato il successivo giudizio; appena due mesi dopo, il 4 ottobre 1872, la sentenza fu integralmente confermata dai giudici dell’impugnazione che condivisero in pieno la decisione del magistrato di primo grado.
Ma lo scopo era raggiunto: l’inviso Ispettore Accorsi era stato trasferito ed a farne le spese era stata la Bella Carolina, rimasta a bocca asciutta.