Carlo Cenni
Carlo Cenni era un ragazzo maddalenino che, come tanti suoi coetanei, sin da giovane dimostrava un ardente fascino e desiderio per la vita marinara, ispiratagli soprattutto da una consolidata tradizione familiare che lo coinvolgeva da varie generazioni in un ambiente di marinai, come quello dell’ora piazza forte maddalenina. Dopo aver frequentato le scuole CEMM a Pola ed essere stato nominato Motorista Navale, veniva destinato, assieme ad altri nove allievi, a bordo del sommergibile F14 per svolgere il suo primo tirocinio pratico di bordo. La sua breve vita e appassionata carriera militare, però, sfortunatamente si fermava per sempre quel 6 agosto del 1928 nelle acque di Pola, in Istria. Una tragedia simile a quella che è avvenuta nel 2000 nelle acque del Mare di Barents, nel Nord Europa, dove tanti ragazzi russi, ora come allora, hanno visto scorrere le ultime ore della loro giovane vita impotenti, sgomenti e rassegnati. Quel 6 agosto del 1928 qui a La Maddalena tutti si godevano il meritato riposo delle vacanze estive assaporando quel meraviglioso mare che Carlo Cenni, ventenne, sino a poco tempo prima amava con grande passione ma che in quel momento, però, assieme ad altri 27 giovani come lui, cessava di vivere con il crocifisso in mano nelle acque di Pola. Il sommergibile F14, con il gemello F.15 e con altre unità navali di superficie doveva partecipare ad una esercitazione di Supermarina. L’ F14, comandato dal capitano di corvetta Isidoro Wiel di Padova era salpato da Pola alle prime luci dell’alba e si era posizionato in “agguato” a circa 7 miglia ad ovest di San Giovanni di Pelago su un fondale di circa 40/50 metri. Alle 08.40, durante una manovra di combattimento simulato fu avvistato dal cacciatorpediniere Adda che dopo averlo intercettato lo segnalò a tutte le navi. L’F14 era appena emerso quando in affioramento, molto vicino al caccia, venne colpito accidentalmente a poppa dal cacciatorpediniere Missori che seguiva l’Adda. Il Missori lo vide in ritardo e cercando di accostare bruscamente su di un lato per evitare la collisione lo colpì in piena poppa. L’urto fu violento e provocò uno grosso squarcio di 2 metri. Il sommergibile affondò immediatamente con la prora in alto. L’esercitazione venne immediatamente sospesa e tutte le navi in zona si portarono subito sul luogo della collisone per prestare il loro soccorso. Nel frattempo il sommergibile F15, accorso in aiuto all’F14, si posizionò nelle immediate vicinanze ma non riusciva a rilevare la sua posizione esatta. Dall’F14 il radiotelegrafista continuava a lanciare il mayday ma nessuna nave in superficie riusciva a captarlo. Solo alle ore 10.35 attraverso un’insistente e fortunata comunicazione il radiotelegrafista dell’F15 riusciva a captare il messaggio dell’F14 con il quale si apprendeva che il sommergibile si trovava adagiato in un fondale di circa 40 metri, inclinato di 70 gradi e con l’equipaggio in buone condizioni, a parte alcuni marinai – non meglio indicati – che erano invece rimasti chiusi nei locali di poppa. Alle 11,10 l’F14 comunicava ancora che a bordo andava tutto bene e che la poppa tocca nel fondo – erano rimasti in 24.
La sciagura veniva subito diramata dalla radio nazionale e la popolazione, con il cuore in tumulto e con indicibile angoscia, rimaneva ad ascoltare le notizie seguendo il dramma impotente.
Alle 12,38 giungevano dalla base navale di Pola tre pontoni da 280 tonnellate, con i palombari e gli operai dell’Arsenale.
Alle 15,50 i segnali dall’F14 cominciano ad essere sempre più deboli.
Le ricerche proseguirono ininterrottamente e solo intorno alle 17.30 il relitto veniva rintracciato.
Dal cacciatorpediniere Adda venivano immediatamente fatti immergere due palombari che tentarono di collegare subito una manichetta per l’aria che però non poteva essere ben utilizzata in quanto le pompe in superficie non riuscivano ad alimentare sufficientemente il sommergibile; da Pola, nel frattempo, era in arrivo un altro pontone da sollevamento più potente.
Alle 18.00 l’R.T. dell’F14 testualmente trasmetteva questo messaggio: “Qui si muore… fate presto per favore… Dall’F15 il radiotelegrafista rispondeva prontamente dicendo loro: “state tranquilli ragazzi i palombari si preparano a darvi aria … fra poco sarete in salvo.” Ma alle 18.55 l’F14 non rispondeva più.
In superficie i soccorritori speravano solamente ad un guasto della radio.
Intorno alle ore 18.20 dall’F14 il radiotelegrafista lanciava il suo ultimo messaggio: “Vi siete molto avvicinati ma fate presto qui si muore”. I messaggi telegrafici si fecero sempre più deboli e cessarono alle 21.50 a causa del presunto mancato esaurimento delle batterie di scorta.
Alle 22.05 finalmente giungeva il pontone da Pola ma a causa della sopraggiunta oscurità che impediva qualsiasi tipo di operazione non fu possibile dare corso all’imbragaggio del sommergibile.
Solamente nella successiva tarda mattina i palombari ed il personale del Grupnul davano inizio al sollevamento dello sfortunato battello.
Intorno alle ore 14.30 il sommergibile veniva portato in superficie ma durante l’operazione si spaccarono le imbragature e l’F14 tornò ad affondare molto rapidamente.
Nei volti dei soccorritori si vide affiorare inevitabilmente una triste espressione di sconforto e rassegnazione quasi accompagnata da reazioni di disperazione ma dalla plancia del cacciatorpediniere Adda il Comandante balzava fuori dalle tolde urlando: “forza ragazzi non dobbiamo rassegnarci … continuiamo…!” – poi, sempre il comandante dell’Adda, ordinava all’R.T. di lanciare ripetutamente all’F14 questo messaggio: “…Coraggio, coraggio, vi stiamo salvando, coraggio”.
Alle ore 18.00, dopo il secondo posizionamento delle braghe, l’F14 veniva fatto emergere totalmente dall’acqua e l’immediata apertura dei portelli liberava solamente nubi di gas di cloro. Tutti i membri dell’equipaggio furono trovati al loro posto. Il comandante, seduto nella scrivania del suo camerino, aveva annotato sul giornale di chiesuola: “Mentre davo aria ho visto il caccia, ho accostato in fuori, ho mollato la zavorra di poppa. Siamo in quattro in camera di manovra, tre in camera ufficiali, dieci a prora, gli altri sono chiusi a poppa vittime del dovere. Serenità a bordo. Si pensa a Dio, alla Famiglia, alla Patria. Attendiamo fiduciosi.”
Dei 27 membri dell’F14 non si salvò nessuno a causa delle emissioni di gas di cloruro. La commissione d’inchiesta fece presente che il battello non era equipaggiato di apparecchi per la rigenerazione dell’aria o assorbimento dell’anidride carbonica, per cui la riserva di aria era assicurata per un tempo non superiore alle 12 ore. All’epoca le tecniche non erano ancora perfezionate e gli equipaggi non erano abbastanza allenati per queste evenienze. Per uscire da un sommergibile in profondità bisognava allagare la camera del portello e aprire lo stesso portello trattenendo il respiro nell’acqua. Nella risalita bisognava espellere continuamente l’aria che si dilata, per evitare una lacerazione mortale dei polmoni .
Senza adeguato allenamento sono operazioni impossibili. Ma anche rimanendo all’interno del sommergibile non c’è scampo per l’avvelenamento dell’aria.
Il sommergibile fu recuperato e trasportato in bacino, da dove vennero estratte le salme.
L’allievo Motorista Navale Carlo Cenni – maddalenino – veniva trovato seduto sulla branda del locale marinai con il braccio sinistro sollevato a metà mentre guardava l’orologio posizionato sul polso e con la mano destra stringeva forte il crocefisso della sua catenina che gli regalò la mamma prima di arruolarsi in marina. A Pola, al passaggio delle 27 bare la folla, che si era assiepata ai lati del percorso, cadeva in ginocchio mentre si levava un mormorio di commiserazione misto a singhiozzi. Era evidente che si era prodotta una fusione perfetta tra la popolazione e la nostra Marina. Tra quelle 27 bare, una era quella di Carlo Cenni che, come i suoi poveri compagni, oggi viene ricordato in 2 lapidi dedicate ai caduti per la Patria: una si trova nel cimitero di Pola mentre l’altra è posizionata all’ingresso della nostra casa comunale. La tragedia dell’F14 rivelò l’amore incondizionato degli italiani per la “nostra” Marina. Il dramma fu particolarmente sentito da tutti gli italiani che lo avevano potuto seguire quasi “in diretta” e che, addirittura, ispirò anche il film di De Robertis “Uomini sul fondo”.
A. Tinteri