Almanacco isolanoLa Maddalena Antica

Contrabbando e ordine pubblico in Gallura

Contrabbando e ordine pubblico in Gallura tra blocco continentale e neutralità del Regno di Sardegna (1800-1814)

La Sardegna, negli anni del soggiorno in essa della corte sabauda (1799-1814), per la sua posizione geografica si trova a ricoprire nello scacchiere mediterraneo un ruolo strategico di primo piano. Lo stato di guerra tra Francia ed Inghilterra, l’alleanza del re di Sardegna con quest’ultima, l’adozione del “blocco continentale” da parte della Francia rilanciano il ruolo economico dell’isola nel Mediterraneo.
La dichiarata neutralità del regno di Sardegna, confermata con pregone regio del 1804 e ribadita nel 1806, agisce da ulteriore incentivo allo sviluppo dei traffici commerciali. Grano, legumi, bestiame, formaggio e lardo sono i prodotti maggiormente richiesti ed il cui accaparramento si svolge, assai spesso, clandestinamente. Il traffico di contrabbando, assai diffuso in periodo spagnolo, nel corso del Settecento aveva assunto dimensioni assai preoccupanti, causando gravi perdite alle entrate dell’erario. Le misure per stroncarne l’attività tese ad inasprire le pene pecuniarie e corporali da infliggere ai responsabili colti in flagranza di reato o a proibire qualsiasi vendita e commercio del grano con i galluresi ed in modo particolare con gli Aggesi non ottennero che risultati effimeri.
Il controllo della struttura produttiva non poteva di certo conseguire i risultati sperati se non fosse stato accompagnato da una iniziativa politica mirata ad eliminare i nodi che imbrigliavano la libera attività commerciale. Nonostante queste iniziative le esigenze di una maggiore libertà negli scambi non vennero soddisfatte; si rafforzò invece un sistema annonario rigidamente imperniato nell’obbligo di rifornire di grano le grandi città, nella determinazione delle piazze di mercato, nel controllo delle esportazioni.
Il peso di un simile sistema ricadeva pesantemente soprattutto sui contadini, costretti a trasportare gratuitamente il grano per l’approvvigionamento delle città (Insierro), che veniva pagato a prezzo politico (Afforo) di molto inferiore a quello spuntabile a libero mercato.
L’operazione dell’insierro incontrava serie difficoltà dovute al fatto che i contadini preferivano pagare la penale. L’esportazione del grano veniva autorizzata solo e quando risultavano soddisfatte le esigenze annonarie delle città del regno.
Capitava pertanto che la popolazione nelle annate di scarso raccolto era costretta a pagare a costi elevati il grano necessario e che i contadini nelle annate propizie si vedessero ugualmente obbligati a svendere il prodotto in quanto la chiusura dell’operazione dell’insierro avveniva quando ormai i mercanti di grano si erano riforniti su altre piazze.
In questa situazione i traffici di contrabbando prosperavano fiorenti, interessando diffusamente le marine sarde, specie quelle più lontane dai centri abitati e prive di torri di vigilanza. Nel Capo di Cagliari si segnalavano le marine di Pula, quelle del golfo di Palmas, le marine di Arbus e Guspini, i litorali di Terranova e particolarmente le coste della Gallura sino a Castell’Aragonese, per una lunghezza di circa 60 miglia, sorvegliate da due sole torri, di Vignola e di Longobardo, poste dirimpetto alle coste della Corsica. Nel capo di Sassari i luoghi interessati erano le marine della Nurra e l’isola dell’Asinara, abitata da pastori.
In quegli anni numerosi soprusi venivano commessi dalla flotta inglese ai danni dei bastimenti battenti bandiera francese, naviganti in acque territoriali e quindi neutrali della Sardegna.
Momenti di particolare tensione, sul piano diplomatico, si registrarono tra Francia e governo sardo sia nell’estate del 1805, quando in acque territoriali della Sardegna meridionale dai corsari inglesi venivano catturate l’Hirondelle e la Belle Louise, sia nella primavera dell’anno seguente quando, regolarmente, i bastimenti francesi transitanti nelle acque di Longonsardo venivano abbordate e sistematicamente depredate.
A nulla erano approdate le iniziative messe in atto dal Millelire, nel gennaio del 1806, per far allontanare due corsari, l’uno inglese e l’altro russo, appostati a Porto Puzzu, in modo che un bastimento bonifacino, carico di armi, potesse prendere il largo, senza incorrere in atti di pirateria.
Infatti nonostante la cautela del Millelire nel far scortare il battello da uno schifo regio per un buon tratto di mare da La Maddalena, questo veniva ugualmente assalito e depredato del suo carico dal corsaro inglese comandato dal Capitano Reis.
A ben poco era servito anche il pregone del venti maggio 1806, emanato da Vittorio Emanuele I che interveniva per far rispettare, da parte dei belligeranti, lo stato di neutralità dell’Isola. Ma il pregone non conseguiva che un effimero risultato: infatti, pochi mesi dopo, il 23 Settembre 1806, ai comandanti di Tempio, cav.re Maramaldo, e di Longonsardo, capitano Magnon, arrivavano precise disposizioni di rinnovare l’ordine agli alcaidi delle torri dell’Isola Rossa, di Vignola e di Longonsardo, di far fuoco contro le navi a caccia di legni naviganti nei pressi delle torri e di far allontanare con la forza quelle nascoste nelle cale.
Nei confronti del corsaro maltese il “conte Gallina”, che operava in stretta collaborazione con gli inglesi, responsabile di numerose scorrerie compiute in Mare Sardo, veniva pertanto dato ordine, in caso di attracco del porto di Longonsardo, di trattenerlo. Il Magnon imponeva al corsaro inglese il “Papa” la restituzione di due gondole francesi “predate a vista” della sua torre e di altre du condotte già a La Maddalena, tenendolo alla fonda per un po’ di tempo prima di rilasciarlo.
Vittorio Emanuele I dopo le rimostranze minacciose della Francia sembrò manifestare una ferma e decisa volontà perché nel suo regno venisse attuato il più rigoroso rispetto dello stato di neutralità. Di fatto le iniziative sovrane per far rispettare lo stato di neutralità del Regno venivano limitate dall’invadente controllo politico che su di esse esercitava il governo britannico. D’altro canto il governo francese era ben al corrente dello spirito dichiaratamente ostile che, nei suoi confronti, veniva apertamente manifestato dalla Corte Sabauda e dai piemontesi residente nell’isola.
L’ostilità del governo piemontese nei confronti della Francia veniva dal D’Oriol continuamente richiamata, durante tutta la sua permanenza a Cagliari, chiusasi il 6 aprile del 1808, 14 giorni prima che Napoleone dichiarasse lo Stato di guerra al Regno di Sardegna. La dichiarazione dello stato di guerra segnava la definitiva rottura dei rapporti di neutralità con la Francia.
Il governo sardo, pertanto, oltre che trovarsi a dover affrontare le durissime condizioni imposte dall’embargo doveva prepararsi a contrastare anche un eventuale attacco militare che con le proprie sole forze non sarebbe stato in grado di respingere. Solo il 4 luglio, forte della presenza del ministro inglese, William Hill, giunto a Cagliari in missione permanente nel giugno precedente, emanava ordini di rappresaglia contro le navi francesi.
Vittorio Emanuele I dava disposizioni di trattenere qualunque bastimento che si trovasse approdato nel porto di Longonsardo. Erano esclusi dal provvedimento i navigli sardi diretti ad altri porti dell’isola ma non quelli che fossero per passare fuori regno. Il sovrano sabaudo prendeva rigorose misure per bloccare qualsiasi esportazione di prodotti sardi verso i porti francesi. Per il commercio sardo la chiusura dei porti francesi e l’interdizione agli scambi significò un colpo mortale con gravissime ripercussioni non solo sul piano economico ma soprattutto sociale. Si aggiunga che la popolazione sarda veniva sottoposta ad un pesante prelievo fiscale sia per il mantenimento della corte sia per le spese di carattere bellico e militare.
Amputato il traffico commerciale l’attività di contrabbando e le esportazioni clandestine, specie di bestiame e di grano, segnarono una nuova impennata soprattutto nel tratto di mare delle Bocche. La presenza in Corsica di un maggior numero di truppe e quella della flotta inglese diedero nuovo impulso ai traffici illegali.
Mentre da una parte la Corsica, per il blocco del porto di Lione da parte della flotta inglese, si trovava impedita a potersi rifornire di quei generi di cui aveva assoluta necessità, quali grano e carne, dall’altra la Sardegna trovava verso quell’isola l’unico obbligato e oltretutto vicino sbocco per l’esportazione degli esuberi di produzione agricola e pastorale. Il contrabbando delle Bocche tende progressivamente ad acquisire un carattere politico militare. Nel traffico clandestino ai tradizionali ceti sociali coinvolti quali principales, pastori galluresi e marinai bonifacini si sovrappongono nuove figure. Notevole scalpore, ad esempio, susciterà il coinvolgimento diretto in questa attività del Viceconsole inglese a La Maddalena, avvocato Brandi, responsabile di tirare le fila di un vasto traffico di contrabbando. La sua attività continuerà per diversi anni a svilupparsi impunita mentre venivano invece arrestati gli abituali suoi fornitori solitamente pastori di Aggius.
Le stesse autorità corse per l’estremo bisogno di rifornirsi incoraggiavano il traffico di contrabbando con la Sardegna dove il rallentamento dell’attività commerciale cominciava a far sentire i suoi effetti negativi specie sulla popolazione rurale costretta a subire il ricatto degli accaparratori di derrate che speculavano sulla fame dei cittadini rivendendo le merci al prezzo di mercato.
Sappiamo inoltre che alla sensibile diminuzione della produzione agricola della fine del ‘700 seguì un lungo ciclo di anni nel corso dei quali la produzione cerealicola registrò un ulteriore sensibile calo. La fame del 1804 e quella patita dalle popolazioni sarde nel 1812 restano ancor oggi impresse nella memoria storica della tradizione orale. L’introduzione di nuove tasse per l’armamento e la riforma delle forze armate acuì lo stato di agitazione e di tensione sociale all’interno delle masse sociali. Particolarmente critica si presentava la situazione sociale in Gallura dove il contrabbando si aggiungeva a quelle cause che contribuivano ad aggravare lo stato, assai precario, dell’ordine pubblico della regione in quanto favorita dall’abigeato. Il furto di bestiame era poi sempre il punto di partenza di una lunga catena di ritorsioni e vendette che portavano a gravi delitti e all’omicidio e che finivano poi per coinvolgere le opposte fazioni in faide sanguinose. Il problema dell’ordine pubblico in Gallura fu alla base del progetto dello stabilimento di una nuova popolazione nella zona per tenere a freno coloro che traevano profitti dal contrabbando e dalla esportazione clandestina del bestiame e delle derrate e si servivano della regione per nascondere banditi che poi utilizzavano per le loro vendette personali. Il progetto veniva attuato dal capitano Pietro Francesco Maria Magnon, comandante della torre di Longonsardo. In quegli anni la grave crisi economica e produttiva e l’introduzione dell’arruolamento obbligatorio accentuarono ulteriormente lo stato di tensione sociale nel territorio. Le proteste contro il governo sabaudo acuite dalle prepotenze dei principales nell’accaparramento delle terre comuni a danno dei ceti sociali rurali più poveri si trasformarono in aperta ribellione. I pastori che nella zona superavano le quattromila unità si rifiutarono di pagare le rate del Donativo reale ed i chiamati alle armi, per paura di essere inviati a combattere in terraferma, si diedero alla macchia.
La ribellione all’ordine costituito per il numero della popolazione coinvolta acquistava il carattere di una chiara protesta politica contro uno stato che si manifestava esclusivamente con i soli volti della gente del fisco e con quello della forca. Ad essere messa in discussione è tutta quella organizzazione politico-istituzionale, economica e sociale, di uno stato che si mostra sordo alle sollecitazioni ed alle esigenze di crescita civile complessiva che dalle diverse parti dell’isola si sollevavano con prepotenza ed infatti,negli anni 1808-1812, il governo sabaudo accomunando il fenomeno della diffusa protesta rurale e riducendolo a quello del banditismo e del malandrinaggio per tentare di risolvere la questione dell’ordine pubblico in Gallura non troverà di meglio che ricorrere a quegli strumenti di repressione più brutale, con sommarie esecuzioni ed arresti di massa, instaurando la politica del terrore. Le sanguinose repressioni militari non risolsero che momentaneamente il problema dell’ordine pubblico nella regione; anzi il diffuso malessere sociale tendeva ad accentuare il carattere di opposizione contro un governo incapace di dare risposte concrete alle esigenze di crescita sociale e civile che si levavano dal mondo delle campagne. Non è un caso che la protesta popolare si indirizzi contro i rappresentanti diretti del governo. Nell’estate del 1810, presso Calangianus veniva ucciso il sostituto procuratore fiscale Antonio Balistreri; nel marzo del 1811 veniva assassinato il reggente Ufficiale Salvatore Muzzello ad opera di alcuni pastori che si erano opposti all’esazione del regio donativo; nel settembre veniva ucciso l’avvocato fiscale Crisanto Salis, un omicidio questo legato alle indagini da lui svolte sul contrabbando.
La situazione economica e sociale della Gallura durante il soggiorno della Corte piemontese presentava situazioni di grave ritardo soprattutto sl piano della complessiva crescita civile. Allorchè Vittorio Emanuele I ritornò in Piemonte nel 1814 lasciava la terra che lo aveva ospitato e mantenuto “senza strade e senza commerci – come sottolinea il Siotto Pintor nella sua Storia civile dei popoli sardi dal 1798 al 1848 – con terre incolte per difetto di bestiame e soggette quelle dei poveri a servitù di pascolo e ad imposte esorbitanti, mentre quelle dei ricchi e delle città ne erano esenti.”.
La situazione economica e sociale dell’Isola quindi, non solo aveva fatto registrare passi in avanti, ma anzi le condizioni di vita civile delle popolazioni rurali, specie tra gli strati più deboli, avevano segnato un indubbio regresso.

Dalla relazione del prof.Gianni Murgia dell’Istituto Studi Storici della Facoltà di Magistero di Cagliari, tenuta al convegno “La rivoluzione sulle Bocche” svoltosi a Santa Teresa il 14/15.06.1991