CronologiaMillesettecento

Correva l’anno 1778

Nell’estate del 1777 e 1778 ci sono stati tanti corallatori che molte povere donne di Bonifacio si erano recate colà per confezionare pane per loro. I corallatori e i piccoli legni pagavano per l’ancoraggio 20 o 30 soldi; per il pescaggio pagavano 14 lire genovesi per ogni feluca che gettava un ingegno (l’attrezzo per la pesca del corallo), e 28 soldi se gettavano 2 ingegni”. Già dal 1470, d’altra parte, le flottiglie dei magnati genovesi dai Lomellini ai Doria, agli Spinola ed ai Bulgaro erano padroni di tutte le zone di pesca di Capo Corso, Ajaccio e Bonifacio. L’influenza di queste famiglie si estendeva fino alle coste africane dove insieme a fiorentini, pisani e veneziani, esportavano il corallo verso l’Egitto e la Siria in cambio di pregiate spezie e merci provenienti da paesi molto lontani. Nel 1547 i Lomellini avevano pure ottenuto la concessione per lo sfruttamento dei banchi corallini di Tabarca, di cui furono gli unici feudatari fino al 1718. L’attività commerciale di queste famiglie si estese quindi per tutto il mar Mediterraneo sino alle coste del Portogallo. Per comprendere l’importanza reale della loro politica è possibile riportare lo stralcio di una transazione commerciale avvenuta nel 1584 con la città di Lisbona: la città acquistò dai Lomellini in una sola operazione “una partita pel valore di oltre un milione di lire nostre attuali”, che tradotto in valuta contemporanea equivarrebbe ad un valore di almeno 5 milioni di euro. Nonostante i costanti e frequenti rapporti commerciali con Stati al di fuori del Mediterraneo, le potenti famiglie genovesi non distolsero comunque lo sguardo dalle possibilità economiche che il loro mare continuava ad offrire. L’influenza di Genova in definitiva si estendeva per tutto il XVII secolo fino alla Corsica e alla Sardegna, dove, a causa della riluttanza degli isolani verso le attività marinare, la pesca avveniva stabilmente soprattutto nelle zone di Cagliari (in contrasto con i Pisani) e nelle zone del nord-ovest a cura esclusiva dei genovesi. Il Barone des Geneys era così amareggiato per i continui pianti da pezzenti dei maddalenini, che quando si era trasferito a Genova, un giorno scrisse che se solo si fossero organizzati per andare a pescare loro, coi propri gozzi, il corallo, anziché farselo portar via da sotto il naso dagli altri, sarebbero diventati tutti ricchi e l’avrebbero smessa di piangere miseria. L’Angius, del resto, aveva già rilevato che “vengono tutti gli anni in queste acque da 20 a 40 gondole coralliere con bandiera napoletana o sarda, e fanno una pescagione or copiosa, or scarsa secondo che ne’ paraggi ove faticano, prevalga il levante o il ponente. Giova sperare che il guadagno vistoso di cui vedono spesso contenti i corallieri possa persuadere questi isolani ad applicarsi a tal pesca”. Ma d’altra parte si sapeva bene che il primo nucleo dei maddalenini era di sangue corso, e come i corsi, loro, si comportavano, se è vero che a Bonifacio le autorità registravano lo stesso identico problema. Bonifacio, tuttavia, introitava i diritti di pesca, quantificabili in media, tra il ‘700 e l’800, lire 10, per gli stranieri che sostavano in porto per la pesca del corallo e lire 1 lira e 4 soldi per coloro che comunque si ormeggiavano soltanto per acquistare vettovaglie e ritornare a pescare. Cosa, questa, che consentiva loro di introitare mediamente, in un anno, dalle 3000 alle 4000 lire, alle quali si aggiungeva il 5% del corallo pescato. I corsi prima e i maddalenini poi, per contro, non ricevettero mai-salvo che non emerga documentazione differente al momento sconosciuta-una sola lira o un solo rametto di corallo, da barattare.

Il governo concede a tutti i capifamiglia un lotto alla Marina, presso Cala Gavetta, per costruire una casa, e un appezzamento di terreno per la coltura di viti e ulivi.

In applicazione dell’editto del 1771, anche a La Maddalena si deve eleggere un Consiglio comunitativo. Il primo consiglio, con soli tre consiglieri, di cui uno di Caprera. Il primo sindaco documentato fu Antonio Ornano di Giuseppe, che così viene indicato nel famoso “Atto di sommissione” fatto dagli isolani per il materiale relativo alla costruzione della nuova chiesa alla marina, nel novembre 1779. E Antonio Giovanni Variano era il consigliere di Caprera. Con l’aumento della popolazione il consiglio divenne di 5 consiglieri, e Matteo Cogliolo, nominato nel 1790, subentrò a Paolo Martinetti. Gli subentrerà nel 1791 Michele Costantini e nel 1792 fu sindaco Antonio Ornano Pinto. Come si nota i sindaci duravano un solo anno, come previsto dal regio editto regolante l’attività dei consigli di comunità o comunitativi. Non venivano eletti, ma nominati dal consiglio, anch’esso nominato a sua volta dal consiglio precedente.

5 febbraio

Il viceré emana un pregone sulla censura dei libri.

7 giugno

Nasce alla Maddalena, Giuseppe Zicavo; figlio di Giò Battista e di Maria Rosa Ornano, morirà a Genova il 30 – 4 – 1844. Capitano di vascello di I classe, numero di matricola 12. Trascorse la sua vita combattendo sui velieri del Regno sabaudo, ricoprendo tutti i ruoli possibili, da semplice marinaio a comandante della flotta di stanza in Sardegna, dopo il trasferimento a Genova del comando navale. L’episodio più significativo della vita di Giuseppe Zicavo è legato alla guerra dichiarata dal Bey di Tripoli che pretendeva dal governo di Torino la solita regalia dovuta per l’insediamento di ogni nuovo console. Ma la pretesa era considerata arbitraria in quanto non di cambiamento di personale diplomatico si trattava, ma semplicemente di un periodo di vacanza del console sardo che aveva tutto il diritto di re insediarsi senza nulla pagare. A nulla erano valse le giustificazioni, così quando il 7 agosto 1825 il Bey Jussuf dichiarò guerra alla Sardegna, il barone Des Geneys allestì una divisione navale con le fregate “Commercio di Genova” e “Cristina” comandate da Francesco Sivori e Luigi Serra, con la corvetta “Tritone”, comandata da Giuseppe Zicavo e con il brigantino “Nereide” comandato da Maurizio Villarey. Il porto di Tripoli fu attaccato di notte da quattro barche e sei lance armate di un cannoncino a prora che diedero alle fiamme la flotta nemica costringendo il Bey Jussuf ad arrendersi e a rinunciare alle sue pretese. I Sardi ebbero due morti e cinque feriti fra cui alcuni maddalenini dei quali non ci è giunto il nome. Nel 1885 Re Umberto nominò Cavalieri del Regno quattro superstiti di quell’impresa: Giuseppe Ornano nome di guerra “Diligente”, Antonio Tanca “Fioravanti”, Marco Maria Zicavo “Calai”, Nicolò Volpe “Rosmundo” meglio noto come “Macaccio”. Per ricordare “il nostro antico comandante della flotta sarda” il Consiglio Comunale di La Maddalena intestò al generale Zicavo una strada

20 dicembre

Nasce Giuseppe Celestino Bertoleoni Poli, figlio di due corsi: Paolo di Levie e M. Angela Pinto di Bonifacio, dimoranti non stabilmente nella stessa isola di La Maddalena. Giuseppino Bertoleoni, un personaggio molto discusso, la cui storia, ricca di spunti romanzeschi, è stata arricchita con un po di fantasia. Come molti maddalenini del tempo, esercita sicuramente il redditizio mestiere del contrabbandiere, ma non disdegna quello di agricoltore e pastore, che svolge su ben tre isole da lui “occupate” abusivamente. (Santa Maria, Soffi e Tavolara) Si sposa e mette su famiglia, anzi due famiglie, una con la moglie Laura e l’altra con la “concubina” Caterina, sorella di Laura. Per un certo periodo vivono tutti insieme, felici e contenti sotto lo stesso tetto, a Santa Maria, dove le due donne mettono al mondo (una volta quasi contemporaneamente) gli eredi di Giuseppino. Dopo essere stato arrestato per bigamia (ma poi perdonato) il nostro, pensa bene di lasciare Laura a Santa Maria e di trasferire Caterina a Tavolara. Lui vive un po di qua e un po di là. Giuseppe, che aveva costruito a Tavolara una casa grande e comoda, raggiungeva molto spesso La Maddalena per fare compere e provvedere alle necessità della sua grande famiglia che cresceva a Tavolara. Intanto a Terranova, l’attuale Olbia, si levavano insistenti reclami e vivaci proteste contro l’occupazione dell’isola. Altrettanto accadeva a La Maddalena per l’occupazione di Santa Maria e Soffi da parte dell’irriducibile Giuseppe Bertoleoni che, pur essendo sposato, aveva continuato la relazione con una delle sue vecchie fiamme creandosi una famiglia anche a Santa Maria. Nonostante i vari spostamenti Giuseppe restò, comunque, a Tavolara, fino alla fine dei suoi giorni, con la moglie ed i numerosi figli che continuarono la solita vita isolana anche dopo la morte dei padre. E’ a Tavolara, nel 1836, allorché vi sbarca Carlo Alberto per cacciare le mitiche “capre dai denti d’oro”. Bertoleoni, senza riconoscerlo, lo aiuta nella caccia e quando l’ospito gli svela “sono il Re di Sardegna”, lui gli risponde imperterrito: “e io sono il Re di Tavolara”. Prima di ripartire Carlo Alberto gli regala un orologio d’oro con carillon e lo “riconosce” con un abbraccio “Re di Tavolara”. Anni dopo la Regina Vittoria d’Inghilterra invia una corvetta per fotografare “la famiglia reale di Tavolara, il regno più piccolo del mondo” ed espone l’immagine a Buckingam Palace fra quelle delle altre famiglie regnanti. Ancora oggi i discendenti del Bertoleoni si fregiano dell’antico quanto improbabile titolo dinastico. La Storia di questo piccolo Regno, accennata già dal Valery nel suo “Viaggio in Sardegna” del 1843, è stata ripresa da La Marmora con qualche particolare in più: Egli riporta che: “Giuseppino…. avendo dei contrasti con la giustizia per motivo di bigamia, prese il partito di lasciare una delle sue mogli (che erano due sorelle) nell’isolotto di Santa Maria di cui egli si impossessò, e l’altra nell’isola di Tavolara che riguardava parimente come sua proprietà, e così le visitava a turno; e perciò fu chiamato Re di Tavolara: così pure lo chiamava Carlo Alberto, quando fece l’ultima corsa in Sardegna: Giuseppino allora gli fu molto utile, specialmente per la caccia delle capre che vi fece il figlio del Re, il duca di Genova…Ora vi stanno i figli ed i nipoti, ed il Bertoleoni conserva sempre il titolo di Re di Tavolara. Sebbene la Roccia sia nuda, pure ai piedi e coltivata dal proprietario, e vi ha una bella tenuta con casa e tanca, né vi manca l’acqua potabile in due fontane”. Morirà il 10 agosto 1849, all’età di 70 anni.